Gianni Simoni nelle sue due serie
di storie e due donne in giallo allietano questo primo maggio dedicato ai
lavoratori ed anche agli ex-lavoratori. Quattro filoni seriali, dedicati a
personaggi di investigazione variegate, non tutti riusciti, anzi, come vedrete,
bene o male tutti sotto media. Sarà il momento di scarsa vena che induce letture
di scarsa presa? Ai postumi l’ardea sentenza.
Nadia Morbelli “Amin, che è volato giù di sotto” Giunti euro 5,90 (in
realtà, scontato a 5 euro)
[A: 01/08/2014– I: 26/09/2015 – T: 27/09/2015] - &&
+
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 235;
anno 2013]
Seconda
avventura dell’auto referenziata Nadia Morbelli, che sottolinea e forse
accentua tutti i limiti della prima scrittura. Nella mia imprecisa accezione,
il termine su-esposto sta ad indicare un libro (giallo in questo caso) in cui
l’autore si fa anche protagonista. Ovviamente inventato, che spero la nostra
simpatica Nadia non si trovi, ad ogni piè sospinto, qualche cadavere tra i
piedi. Forse solo il contorno rileva dalla biografia personale. Lavorare presso
una piccola casa editrice, avere i genitori nell’entroterra (tipo Ovada credo),
essere fidanzata con un tipo spesso (praticamente sempre) lontano da Genova per
lavoro, avere un’amica/confidente che ha sempre problemi di cuore. Insomma,
questi i caratteri distintivi della persona – Nadia, così come uscivano dalla
prima puntata della saga, quella dedicata alla morte della Marinin. Ed anche
lì, Nadia si trova ad un certo punto ad interagire con il vice-questore Prini,
riprendendo un po’ quei giochi tra attrazione e repulsione che c’erano stati. E
che qui, nella prima parte, presente Valerio, erano forzatamente stati messi da
parte. Ma Valerio vola versa l’Olanda (se non ricordo male), e Nadia ne è
dispiaciuta e sollevata (risponderei con quella grande massima di Terzani, il
grande amore è fatto di grandi presenze e di altrettanto grandi assenze). E
mentre la vita di Nadia scorre tra correzione di bozze, incontri con docenti
per testi da adottare e stampare, gite da week-end nel paesello genitoriale,
per grandi mangiate e grandi scambi di vedute sull’universo mondo con l’amica
Carla, ecco che capita l’intoppo. Una sera, nel carruggio della casa editrice,
Nadia rinviene il corpo di un nero morto. Amin, appunto, volato dagli ultimi
piani di un palazzo fatiscente. Ovviamente, poi, essendo nero la morte viene
classificata come dovuta a clandestinità, ubriachezza e droga. Incidentalmente,
Nadia, in facoltà per le bozze di un libro, incontra l’amica Caterina, persa di
vista ed ora bibliotecaria. Ed altrettanto incidentalmente, Caterina conosce
Tassim, la marocchina di Casablanca, che è coinquilina di Kadigia la nigeriana,
che è a sua volta sorella di Amin. Nadia, da super impicciona qual è, come fa a
tirarsi indietro? Ed ecco che tampina la sorella per farsi raccontare la
storia. Che non combacia con quanto dice la polizia. Amin è un laureato in
medicina, specializzato in ematologia, dottorando con borsa di studio a Città
del Capo. Non è certo un clandestino, né un drogato (per la professione) né un
ubriaco (per la religione). Grande mistero. Che si unisce ad altro direttamente
dalla frequentazione con Caterina: all’Università dovrebbero arrivare ogni
tanto gruppi teatrali dalla Guinea, guidati dal professor Buthu. Ma ogni volta
è un buco, si annulla tutta. Fino a che, una rogatoria verso Conakry svela il
mistero: Buthu è un millantatore, che fa espatriare clandestini con soldi verso
l’Europa, usando la carta intestata dell’Università che crede alle fandonie.
Così abbiamo: clandestini a go-go, università messa in berlina, giro strano che
forse tocca Amin e che di sicuro lo ha portato alla morte. E di chi è la casa
da dove sarebbe “volato”? Di tal Tommaso qualchecosa, prima farmacista in
Genova, ora possidente e direttore farmaceutico di una nota casa svizzera
(anvedi’ ma sempre la Svizzera tra i piedi da un po’, eh?). Ora è il momento di
coinvolgere Prini, che completa le informazioni che la nostra Ellery Queen in
gonnella è andata racimolando. Prini che ha lasciato l’ultima fidanzata, che
parla bene di letteratura, ed ha una casa arredata in modo favoloso (possiede
anche un Fontana!). Nelle more, la bella Nadia è anche minacciata/avvertita da
un fusto martinicano spacciatosi, ma Prini scopre subito la bugia, per agente
Interpol. Come nel primo caso, purtroppo, è la fine che lascia delusi. Che Nadia
ricostruisce a Prini quello che dovrebbe essere stato tutto il percorso di Amin
delle ricerche contro l’inquinamento del plasma sino all’uccisione. Ma Nadia ci
lascia anche in sospeso, che la ricostruzione non finisce con una prova di
verità o di falsità. Rimane solo il fatto che Nadia, per sfuggire alle
rappresaglie del finto Interpol, si rifugia a casa del vice-questore. Non ci
viene detto cosa succede la notte, perché il libro termina una pagina prima. Mi
sa che anche nolente, dovrò comprare il terzo volume. Ripeto quel che dissi, la
cosa migliore sono i ristoranti, i bar, e le ricettine sparse qua e là. La
storia zoppica anziché no. Fortuna che Nadia è almeno simpatica. Meno i correttori
di bozze, che il buon Buthu a volte trattano da Butho. Un uso migliore di Word,
no, eh?
Gianni Simoni “Commissario, domani ucciderò Labruna” TEA euro 10 (in
realtà, scontato a 9 euro)
[A: 05/05/2014– I: 05/10/2015 – T: 09/10/2015] - &&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 368;
anno 2007]
Anche
qui mi aspettavo qualcosa in più. Invece mi sembra che Simoni s’incarti un po’.
Da un lato c’è la caratterizzazione dei personaggi, con le diverse tipologie di
poliziotto, che probabilmente il nostro ha ricavato come summa da tanti anni in
magistratura. Ed è un versante valido, forse il migliore che riscontro in lui.
Tuttavia sull’altro versante c’è la poca credibilità della storia, dove fin
dalle prime righe io mi ostinavo ad ondeggiare nella lettura tra Labruna e La
Bruna. Siamo a Brescia. È questo è un altro punto di forza del romanzo: nella
collana di cui ho tanto scritto de “Il Sole 24 ore” molti autori tentavano di
farci entrare nello spirito di una città. Simoni con poche frasi, ci porta in
una città che si attraversa in poco meno di mezz’ora, dove tutti ancora
ricordano i nomi di viali, piazze e stradine. Ed è qui che il commissario
Miceli riceve una lettera anonima in cui qualcuno, utilizzando ritagli di
giornale, scrive la frase che dà il titolo al libro. Con il solito tono finto
ironico, il commissario non dà troppo peso alla missiva. Peccato che il giorno
dopo il signor Antonio Labruna finisce stecchito, abbattuto da degli spari
nella periferia industriale bresciana. Miceli è giustamente fuori fase (forse
un po’ stordito), dato che si sta avvicinando il giorno di andare in pensione.
E questa sembra un’indagine veramente “storta”. Storta dai suoi subalterni, i
personaggi, come ho detto sopra, descritti alla perfezione dalla penna di
Simoni: Maccari, Tondelli, Vizzini, Giusti, Bruni, Esposito. Come da tradizione
abbiamo il poliziotto in gamba che forse diventerà il braccio destro del
commissario, la poliziotta con le palle che non si fa mettere i piedi in testa
da nessuno (neanche dal temuto Procuratore) e che si aggira sbandierando per la
Squadra Omicidi la sua folta capigliatura rossa (e si sa che le rosse sono
speciali, almeno per un certo periodo), lo sbirro stupido che non coglie mai
niente alla prima (anzi, il duo, che sembrano Gianni e Pinotto). Insomma il
classico ufficio di Polizia descritto con una vena ironica ma anche con molto
affetto. Mentre la squadra cerca di approfondire i dintorni della vita di
Labruna, arriva il secondo avvertimento, sull’uccisione di Crispino Lobianco.
Grande spiegamento di forze, coinvolgimento dell’alter ego di Miceli, l’ex
magistrato Petri. Ma anche lui brancola nel buio. E Lobianco viene ucciso con
le stesse modalità: due colpi di pistola con silenziatore. La svolta (ma noi
già l’avevamo prevista e ve l’ho già detta), si ha con la terza missiva. L’8
maggio arriva sul tavolo di Miceli una nuova missiva anonima: “UCidero LaroSsa
il 2 giUgNo” (per vostra comodità ho riportato fedelmente lo scritto). Ed ora
per 200 pagine dobbiamo sorbirci un gran pippone su questo terzo ma non ancora
compiuto omicidio. Dalla pista del serial killer, che si accanisce con i colori
(ma qualcuno ci aveva mai creduto?), finalmente il “saggio” Petri tira fuori la
pista (con)vincente. Ma la polizia è polizia, così la squadra di Miceli da un
lato mette sotto controllo Guido, Roberto, Gaetano e Giovanni Larossa. Dall’altro
cerca di capire se la lettura potesse essere disgiunta tra articolo ed
aggettivo. La narrazione dell’indagine va di pari passo con il racconto della
vicenda personale, malata e di conseguenza sgradevole del serial killer, un
essere dal profilo multiforme e difficilmente rappresentabile, come capita
spesso anche nella realtà. Inoltre non ci si può dimenticare i tormenti di
Miceli, che non solo è spaccato tra due realtà, ma si domanda (e giustamente)
se anche il 2 giugno sia un depistaggio. Una volta capiti i meccanismi, l’unico
elemento di gradimento finale è il modo non usuale con cui il killer cerca di
utilizzare le armi a sua disposizione per raggiungere il suo scopo. Riusciranno
i nostri eroi a fermarlo? Quindi, romanzo duplice, scrittura veloce e sicura,
trama forse troppo semplice. O meglio come qualcuno ha osservato che ben
inizia, ma che ad un certo punto l’autore fatica a portare avanti e
s’impoverisce. E pur tuttavia un autore cui daremo altre chance.
Cristiana Astori “Tutto quel blu” Mondadori euro 4,90
[A: 22/12/2014 – I: 17/12/2015 – T: 19/12/2015] &&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 257;
anno: 2014]
Dopo
aver saltato un anno (il 2013), Cristiana Astori torna a riproporci le
vicissitudini di Susanna Marino in un libro della serie “Tutto quel…”. Il primo
era stato NERO (2011), poi era uscito ROSSO (2012), ed ora eccoci al BLU. Come
ho già detto nelle trame degli altri due, mi piacciono le idee alla base delle
tormentate storie della scrittrice (che tra l’altro si è fatta le ossa traducendo
fior di gialli e di noir, tra cui il mitico Jeffrey Deaver). Sono invece meno
convinto del modo realizzativo, nonché di una certa ripetitività nello
svolgimento della trama. Nel primo (NERO) c’era la ricerca di un film in cui
compaiono delle sequenze “stravolte” interpretate da Soledad Miranda (e su di
lei torneremo più avanti), con una morte finale che ricalca quella della
sfortunata attrice. Nel secondo (ROSSO) c’è invece la ricerca delle
ambientazioni torinesi dei film di Dario Argento, e dove anche qui c’è una meta
citazione, che il cattivo di turno muore ripercorrendo la scena finale di
“Profondo Rosso”. L’idea di BLU invece è più labile, anche se il nocciolo duro
è una specie di calco “da serie B” del film “Terminator” (il primo, ovvio, quello
di Schwarzy alla grande). Ma dato che non bastava a reggere tutta la trama,
ecco che ci accompagniamo con un po’ di hard rock, di quello duro. Che per
tutto il filo del libro ci accompagna Bon Scott, il primo leader degli AC/DC.
Ed uno dei personaggi chiave si fa chiamare DJ Ash, e propina colonne sonore
degli Anni ’80. Inoltre, dovendo giustificare (almeno verso sé stessa) il nuovo
connubio, visto che poteva scegliere fra un numero imprecisato di morti
premature nel mondo della musica, l’idea (molto nascosta anche se io sono un
sopraffino scavatore) è stata quella di trovare un musicista che sia nato lo
stesso giorno della Miranda, cioè il 9 luglio. Non lo stesso anno, che sarebbe
stato troppo. Come accennato all’inizio, la protagonista è sempre la stessa, la
narcolessica Susanna Marino, questa volta, appunto, invischiata in una trama
alla Terminator, in cui la sua parte non è tanto legata alla ricerca del
personaggio che fa fuori tutti gli Stefano Salvatori del libro, ma sempre
quella della ricerca di una piccola cosa perduta. Nella fattispecie, una copia
pirata di “L’autuomo” del regista Marco Masi. Ovvio che la pellicola esiste (se
ne può leggere la trama sul fornitissimo IMDB in Internet), quello che si cerca
è, appunto, una copia pirata. Girata da un giovane Salvatori, e fondamentale
dato che, durante la proiezione in un locale d’essai a Torino nel 1984, entra
in scena un personaggio che uccide uno spettatore. Delitto mai risolto, ma se
si trovasse la pellicola… Tanto per ricalcare la trama del film di Schwarzenegger,
c’è anche la storia di un bambino il cui padre dovrebbe essere proprio il
Salvatori della copia piratata. Giovane che, saputo delle morti a catena di
tutte le persone che si chiamano come il padre (che tra l’altro lui non ha
conosciuto, essendosi separato dalla madre prima della nascita), si mette alla
ricerca del suddetto. Aiutato nella bisogna da un fantasma, appunto il Bon
Scott citato sopra. Messo in cantiere il fatto che Susanna ha una strana
coinquilina che sembra svagata e non lo è. Messo sul fuoco che il Salvatori
amico di Susanna non è il padre del piccolo. Messa infine sul piatto la
presenza di un politico rampante dal passato poco chiaro. Fatte tutte le somme
si arriva a confezionare un gialletto che saltabecca qua e là. Che ha delle
parti filologiche interessanti ed acute (sia cinematograficamente parlando che
musicalmente). Ed è anche passabilmente divertente. Ma non coinvolge nel
giallo, né tanto meno spiega realmente tutto quello che è accaduto. Perché è
avvenuto quell’assassinio al cinema? Come conciliare la presenza e la morte di
Ben Scott? E notiamo anche i salti “logici” che sono presenti, e che non
rendono facile la lettura. Tanto per fare un esempio, ad un certo punto ci si
trova al Blue Velvet e si parla con un indovino, ma: 1) non sappiamo come siamo
lì, e perché e chi (si scopre due pagine dopo); 2) chi non ha letto i
precedenti libri della Astori non coglie i rimandi, la presenza dell’indovino,
così come, pagine dopo, l’accenno allo spogliarello della Miranda. Insomma,
volutamente criptico o sadicamente tagliato dai soliti editor della Mondadori?
Alla fine, tanta simpatia per l’autrice, ma poco di più.
Gianni Simoni “Piazza San Sepolcro” TEA euro 9
[A: 01/11/2014– I: 20/02/2015 – T: 21/02/2016] - &&&
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[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 232;
anno 2012]
L’ex
magistrato Gianni Simoni, dopo aver condotto un po’ il gioco sui due
investigatori che si danno man forte l’uno l’altro (della serie, appunto, i
casi di Petri e Miceli, di cui ho parlato già), incomincia una nuova serie
imperniata su un ispettore di polizia. L’idea di partenza è buona, così come
l’ambientazione ed il contorno, elementi di cui andremo a parlare tra breve.
Meno riuscita è la trama o le trame giallo – poliziesche, che sembrano soltanto
un pretesto per parlare della natura umana. Dicevo dell’idea di base. Al centro
delle vicende un ispettore di polizia, Andrea Lucchesi, che non la manda a dire
a nessuno, tant’è che pare abbi diversi procedimenti alle spalle, e che nel
contempo ha una buona capacità investigativa. Deve solo trovare un commissario
meno becero di Lo Bue (un nome, un fatto) per poter sviluppare meglio il suo
talento. La zeppa che Simoni pone sotto i piedi di Andrea e dell’ambiente in
cui si muove, sono le origini del nostro ispettore (che dovrebbe aver superato,
anche se di poco, la quarantina): figlio di padre toscano e madre eritrea,
mostra un bel colorito nerastro. Niente di meglio che indagare sull’umana
risposta ad un ispettore di colore, eppur italianissimo. Con tanto di ex-moglie
scassapalle, figlia quattordicenne che frequenta poco e nuovo marito della
moglie (che tuttavia sembra il più simpatico del trio). Per il suo carattere
poco socievole, il nostro viene spostato dalla questura centrale al
commissariato di Piazza San Sepolcro (da cui il titolo). Dove lo seguiamo in
alcune indagini: furti di quadri in appartamenti poco controllati, ma con
elementi pittorici degni (un macchiaiolo come Silvestro Lega, un Corcos, di cui
ancora ricordo il bellissimo “Sogni” dello GNAM, un Cabianca, tanto per dirne
qualcuno), incidenti vari, tra cui aggressioni sessuali a signore e signorine.
Con poche mosse, e ben studiate, Lucchesi risolve brillantemente il problema
dei furti di quadri. Mistero talmente ovvio che non si capisce perché la polizia
non l’avesse risolto prima, se non, come sembra adombrare Simoni, per troppo
lavoro e poco personale. L’orizzonte del commissariato si scurisce quando ai
furti e scippi, si aggiunge il morto. Ma qui neanche c’è mistero, che il morto
è il tristo attentatore delle virtù muliebri, di cui ci si narra la triste
storia, adombrando abusi alla radice delle perversioni. Sappiamo anche che è
stata una delle sue ultime vittime a farlo fuori con un colpo di rivoltella in
fronte. Quindi, niente da segnalare sulle vicende giudiziarie, a parte il
problema morale finale, che ricorda le decisioni prese da Maigret nei suoi
primi casi giudiziari, anche se lì si parlava di anni Trenta e non della
giustizia del 2000. Ciò che imbastisce Simoni è invece la vicenda umana, e la vita
di un tipico commissariato (con annessa Questura) italiano. Come detto c’è il
nostro Lucchesi, arrabbiato con il mondo per la sua pelle nera, che non ne
lascia passare una, ma che non riesce a ragionare con la dovuta calma, tant’è
che al più si butta sugli alcolici (ricordando da vicino l’Harry Hole di
Nesbo). Provano a smuoverne i caratteri sia la giovane collega Lucia sia la
meno giovane, seppur piacente, vedova Elena Urbinati (quella del furto dei
quadri). E lui si comporta ovviamente ed in tutti e due i casi, come uno
stronzo: abbandona subito il ring dell’incontro con Elena, signora di classe,
che Andrea pensa di non essere all’altezza, e che lei voglia solo trastullarsi
con lui. Frustrato da questo smacco, che però vede solo lui, se la prende con Lucia,
andandoci a letto, ma trattandola talmente male prima, durante e dopo, che noi
e lei ci accorgiamo che ha fatto tutto per altri motivi (sfoghi verso Elena,
verso l’ex-moglie, verso la Questura e l’universo mondo). Così si ritrova solo,
ubriaco, e con il solito paio di pacchetti di sigarette da fumare. In tutto
ciò, risolve il caso dell’omicidio, ma non denuncia la signora Francesca, anzi
le dà consigli per rendere minime le possibilità che sia rintracciata. Qui,
appunto, si erge a giudice in un caso dove non può farlo. Ritengo che la
signora abbia tutte le attenuanti del caso (aggressione, marito imbecille, e
via elencando), ma è sempre una persona che ha messo mano ad un’arma, che ha
occultato un cadavere, e via con altri reati di maggior o minor entità.
Comunque, Simoni fa la sua scelta, ed io ripeto quello che ho detto in altre
trame: belle situazioni generali, poca condivisione (mia) delle decisioni
operative che Simoni fa prendere a molti dei suoi personaggi. È pur vero che
dopo la decisione ed i consigli all’omicida, Lucchesi si prende un infarto
quasi mortale, da cui è salvato per il rotto della cuffia. Finiamo questa prima
puntata con l’invito alle nozze della collega Lucia, che sposa un ispettore
della Questura meno fumino di Lucchesi, e la bella Elena che ha accudito Andrea
durante la malattia. Come si evolverà la situazione? Avremmo una seconda
puntata da analizzare insieme prima o poi? È probabile, per ora questa
l’abbiamo letta, in modo discretamente veloce, che non pone particolari
problemi di lettura e di concentrazione. Per ora diciamo solo ai revisori dei
testi che sarebbe il caso di chiarire i nomi delle collaboratrici domestiche.
Perché sia la filippina della signora Elena sia la badante della madre del
morto si chiamano Iniza. Peccato però che poche pagine prima la filippina di
casa Urbinati sia indicata come thailandese e chiamata familiarmente Titta.
Ribadendo l’augurio per una
giornata festiva priva di pioggia, condividiamo le grandi letture febbrili di
febbraio (bella l’allitterazione). Senza molti sprofondi nell’illeggibile, e
con tre buone prove: il giallo kosher americano di Faye Kellerman, le avventure
del commissario Rocco Schiavone di Manzini, ed il bello, strano e complicato
libro di Junot Diaz (da leggere!).
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Agatha Christie
|
Sipario, l’ultima avventura di Poirot
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
3
|
2
|
Antonio Manzini
|
La costola di Adamo
|
Sellerio
|
14
|
4
|
3
|
Amitav Ghosh
|
Il fiume dell’oppio
|
Neri Pozza
|
14
|
3
|
4
|
Faye Kellerman
|
Il bagno rituale
|
Repubblica MondoNoir
|
7,90
|
4
|
5
|
Jeffrey Eugenides
|
Le vergini suicide
|
Mondadori
|
10
|
2
|
6
|
Robert
Galbraith (alias di J. K. Rowling)
|
Il richiamo del cuculo
|
Repubblica MondoNoir
|
7,90
|
3
|
7
|
Michael Pollan
|
In difesa del cibo
|
Corriere della Sera
|
7,90
|
3
|
8
|
Vikas Swarup
|
I sei sospetti
|
Repubblica MondoNoir
|
7,90
|
3
|
9
|
Arto Paasilinna
|
Il liberatore dei popoli oppressi
|
Iperborea
|
s.p.
|
3
|
10
|
Fausto Brizzi
|
Ho sposato una vegana
|
Einaudi
|
12,50
|
3
|
11
|
Anne Holt
|
La ricetta dell’assassino
|
Repubblica MondoNoir
|
7,90
|
2
|
12
|
Agatha Christie
|
Addio, Miss Marple
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
2
|
13
|
Gianni Simoni
|
Piazza San Sepolcro
|
TEA
|
9
|
2
|
14
|
Junot Diaz
|
La breve favolosa vita di Oscar Wao
|
Mondadori
|
10
|
4
|
15
|
Danila Comastri Montanari
|
Morituri te salutant
|
Mondadori
|
9,90
|
3
|
16
|
Giovanni Ricciardi
|
La canzone del sangue
|
Fazi Editore
|
14,50
|
3
|
17
|
Patrick Dennis
|
Zia Mame
|
Adelphi
|
12
|
3
|
18
|
Danila Comastri Montanari
|
Parce Sepulto
|
Mondadori
|
9,90
|
2
|
Si intuisce dalle dolenti note
che quest’anno si prospettano meno viaggi e più stanzialità. Quelli bravi ne
approfittano per mettere ordine nelle proprie cose. Quelli meno bravi si
arrovogliano nel dispiacere. Io, mediano alla Oriali come direbbe il Liga,
prendo pause.
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