domenica 7 maggio 2017

Beatles forever - 07 maggio 2017

Cosa c’entrano i Beatles si capisce alla fine della trama, ma solo per i più attenti. Intanto, inopinatamente, ecco invece quattro gialli sempre italiani, ovvio, che rimangono il mio pallino principale. Una nova avventura dell’ispettore Grazia Negro del buon Lucarelli, ancora lontano, però, dai suoi momenti migliori. Due nuovi gialli storici di Giulio Leoni e di Alfredo Colitto, quasi sufficienti e niente più. Inaspettatamente in testa, un giallo di un nuovo autore per me, il napoletano Gaetano Amato, rivalutato anche dalla ormai finita, purtroppo, vacanza ischitana.
Carlo Lucarelli “Il sogno di volare” Einaudi euro 13 (in realtà, scontato a 6,50 euro)
[A: 01/12/2015 – I: 05/12/2016 – T: 08/12/2016] – && e ½   
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 265; anno 2013]
Ben nota è la mia frequentazione con Carlo Lucarelli, anche se pochi ricordano come cominciò. Con una chiacchierata, orami quasi ventennale, sulla nascita di un possibile modo di crearsi un alibi, durante una presentazione estiva in Santa Maria in Trastevere. Fatto sta, che continuo a seguirlo, ed ora non posso che essere contento del ritorno sulla scena dell’ispettore Grazia Negro, in un romanzo completo, e non in quel pur intrigante cammeo di intrecci con Montalbano che Lucarelli e Camilleri imbastirono sei anni fa. Abbiamo aspettato tredici anni, ma eccoci di nuovo qui. Purtroppo, la storia nel suo complesso mi è piaciuta meno. Anche se ha qualche spunto, mi è sembrata da un lato un tirare di nuovo fuori le assi portante dei casi già noti (mi riferisco a “Lupo mannaro” ed “Almost blue” ovviamente), dall’altro un tentativo di aggiornare la scrittura, che non è felice come altrove. Ultimamente Lucarelli si era dedicato maggiormente a storie africane, che mi sono sembrate di più felice respiro. Qui, abbiamo tutta l’evoluzione di Grazia Negro, della sua storia con il non vedente Simone, il tentativo di rimanere incinta (purtroppo non riuscito). E questa parte, dolente ma preponderante, rende l’ispettore vulnerabile e poco attenta a dettagli che prima le sarebbero balzati agli occhi con facilità. Dall’altra, come detto, l’efferatezza del crimine riporta subito alla mente altre storie, altri romanzi. Inoltre, proprio il modo in cui Lucarelli presenta i fatti, proprio la pluralità delle voci che escono fuori, con i loro diversi registri, fa capire non che ci troviamo di fronte ad una banda di criminali (cosa che potrebbe essere), ma al solito ad un criminale, dalla personalità multipla. Un’espediente che avevamo già visto in un romanzo di Patricia Cornwell, e che ritengo non sia facile da gestire. Come non è facile qui. Anche se sulle tracce dei crimini, senza caprine subito le implicazioni, c’è una bella squadra, anche interforze, che a Grazia Negro, al suo storico aiutante Matera ed al suo capo il commissario Carlisi, si affiancano i carabinieri, con il tenente Pierluigi (di cognome) ed il colonnello De Zan. Lucarelli fa in modo anche di mettere qualche ruscello parallelo alla storia, tra cui, di grande portata ma di scarso flusso, la rivalità sempre presente tra le forze dell’ordine. Rivalità che, spesso e volentieri, porta a competizioni che incasinano le indagini invece di agevolarle. Così mentre Carlisi e De Zan si fanno la guerra, Negro e Pierluigi collaborano anche al di là dei loro doveri istituzionali. Non solo ma tra i due si instaura un meccanismo di reciproca simpatia, alimentato dal momento negativo che intercorre tra Grazia e Simone. Anche se è più Pierluigi che sbava per la bella Negro. Ma anche lei ci mette del suo. Ci sono anche altri momenti del Lucarelli classico che non ci stanno male. Un intervento di Simone, che ascoltando una registrazione sonora, come ai tempi classici quando stava sempre con gli auricolari in posa ad ascoltare musica 24 ore al giorno, riesce ad isolare brandelli di informazione che il campionatore del computer non era riuscito a trovare. Inoltre, c’è anche qui un omaggio ad un sodale di Lucarelli, Massimo Picozzi, con il quale ha firmato ben sei libri, utilizzato nella sua veste precipua. Quello di profiler. Il suo intervento, direttamente con il proprio nome, è un omaggio all’amico (come candidamente ci rivela Lucarelli in finale), ma anche una piccola spinta nella giusta direzione della risoluzione delle indagini. Che avverrà peraltro con l’aiuto di una delle stesse personalità multiple, che spesso sono in conflitto tra loro (basti pensare al primo caso “letterario” di disturbo dissociativo, come andrebbe chiamato con termine medico, l’inarrivabile “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” di Stevenson). La personalità buona si mette in conflitto con le altre, e permette all’ispettore, pur con fatica, di risolvere il caso. Che ha la complicanza finale di vedere almeno tre personalità presenti nel malato. Il lato umanitario e progressista di Lucarelli non viene poi meno dato che una delle cause scatenanti è la non punizione che viene continuata a perpetrarsi negli ambienti marginali a quei oramai molti casi di morte sul lavoro di migranti senza permesso. Che lavorano in nero, che non hanno protezione, e che quando muoiono nessuno se ne prende cura. In primis, le forze dell’ordine anche se queste potrebbero accampare la non sussistenza di procedure legali opportune. Lucarelli si scaglia facilmente contro questo sistema, purtroppo senza poter, né lui né noi, trovare una soluzione al problema. Un ultimo ringraziamento al nostro scrittore è per la colonna sonora che punteggia il romanzo, ribadendo il concetto precedente. Lucarelli è sempre attento alla musica, ed in questo sono sempre con lui. Ma a parte usuali suoni da Marina Rei o da Luca Carboni, quello che esce potentemente dalle pagine, e che sorregge la trama, è la musica degli Arangara, ed i testi di Andre Buffa. Non li conoscevo, li ho cercati, e sono da tenere in considerazione. Una band bolognese che viaggia nel solco della canzone popolare, con qualche occhio a Guccini, loro nume tutelare.
“Prese il cellulare e sfiorò i tasti con il pollice. Avrebbe voluto mandargli un messaggio ma non sapeva cosa scrivergli e alla fine neanche perché.” (172)
Giulio Leoni “Il testamento del papa” TEA euro 10 (in realtà scontato a 8,50 euro)
[A: 12/02/2015 – I: 02/01/2017 – T: 04/01/2017] - && e ½  
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 430; anno 2013]
Ho cominciato a leggere i libri di Giulio Leoni non per l’assonanza né per la co-inizialità, ma affascinato, come al solito io sono, delle contaminazioni. Perché Leoni ha scritto una decente, almeno nelle prime intenzioni, trilogia su un detective del Trecento: Dante Alighieri. Certo un po’ forzato, che non vediamo certo il buon poeta fiorentino intento ad indagare su diversi misteri ed altrettante morti, tra l’Arno e il Tevere. Tuttavia, di un discreto interesse (quando si riesce a coniugare rigore storico ed invenzione). Qui l’esponente di punta del thriller storico italiano si cimenta in una diversa contaminazione, a diversi livelli di intreccio e di tempo. Forse alza un po’ troppo il tiro, ed il risultato non è dei migliori. Certo, fa passare il tempo, come lo ha fatto passare a me, nel lungo (ma non lunghissimo) viaggio verso Treviso e la mostra impressionistica (anche se non impressionante). Ma torniamo allo scritto. Che, appunto, intreccia due vicende temporalmente disgiunte e che, ma con qualche volo funambolico, Leoni riesce a raccordare. La prima, quella filologicamente più interessante, è legata alla figura di Papa Silvestro II. Papa con almeno due interessanti caratteristiche: è il primo papa francese (nasce infatti Gerberto di Aurillac) e siede sul seggio pontificio a cavallo dell’anno Mille (dal 999 al 1003). Altri punti di interesse di questo papa che (forse) non voleva esserlo è la scelta del nome: come Silvestro I fu il papa di Costantino e quindi dell’istituzione del papato e della Chiesa Cattolica come religione ufficiale del Sacro Romano Impero, Gerberto sceglie questo nome in quanto è molto legato all’imperatore del tempo, il germanico Ottone III (di cui era stato precettore). Voleva in un certo modo ripercorrere l’unità di politica e religione in due figure distinte ma strettamente in collaborazione. La leggenda (più o meno accreditata) di Silvestro II, e sulla quale si innesta l’idea di Leoni, è che fosse anche un “mago”. Di certo aveva avuto molte frequentazioni con le culture altre dell’epoca: frequentò arabi leggendo di Aristotele, di Boezio, di Isidoro di Siviglia. Sapeva di musica e di matematica. Tanto mago che si dice abbia costruito un automa che potesse riprodurre la voce umana. Tanto mago che nel 1648 ne fu aperta la tomba trovando intatto il corpo, che come nel sepolcro di Tutankhamon si dissolve all’aria (vero), insieme ad un cilindro che da quel momento viene conservato in Vaticano (pura leggenda). Su questa “historia” che poteva portare interesse e sviluppi (ma cui Leoni dedica solo pochi capitoli sparsi), l’autore innesta un thriller che invece si svolge tra il 1928 ed il febbraio del 1929. Qui sì invece che si dipana un guazzabuglio inestricabile, il corpo del libro purtroppo, dove Leoni apre tante porte, faticando non poco a portarle a termine. Ci sono i servizi segreti tedeschi, non ancora hitleriani, che cercano di recuperare una macchina per generare codici cifrati, la prima versione di “Enigma” quindici anni prima della sua evoluzione e della sua decifrazione durante la Seconda Guerra Mondiale ad opera di quel genio matematico di Turing. La spia tedesca (uomo? donna?) deve contattare il possessore di una macchina Enigma, un ingegnere italiano fondatore di una setta esoterica che vuole il ritorno alla grandezza di Roma contrastando l’avvicinamento che sta avvenendo in quegli anni tra il Fascismo di Mussolini e la Chiesa cattolica. Riunione che, come sappiamo, porterà l’11 febbraio 1929 ai famosi Patti Lateranensi. La spia deve scambiare la macchina con armi. Vengono coinvolti anche i servizi segreti inglesi, sia perché quando ci sono le spie è bene che ci siano inglesi, sia, e soprattutto, perché la spia tedesca avrebbe contribuito all’affondamento dell’incrociatore Hampshire nel 1916 dove viaggiava il grande stratega inglese Lord Kitchner. Inglesi che cercheranno di contrastare i tedeschi, senza riuscirci e facendo figure barbine. La parte del leone (scusa Leoni) la fa invece un architetto, Cesare Marni, che viene coinvolto casualmente nella vicenda, quando un oscuro muratore gli mette pulci nell’orecchio sull’automa di Papa Silvestro II. Lì Cesare si inserisce nella vicenda, trovandosi sempre nei punti focali, dove in genere muore qualcuno. Aiutato da un certo punto in poi dalla giovane Marcella, una fan di Marinetti, del futurismo e di altre “diavolerie”. Cesare riuscirà alla fine a capire chi sia la spia tedesca, senza riuscire a fermarla, a decifrare il nascondiglio del pazzo conte italico, fermandolo prima che con la mitragliatrice tedesca riesca a falciare il corteo di Mussolini che sta attraversando i Fori Romani, allora in grande lavorazione, dovendo i fasci creare quell’arteria inutilmente pomposa di via dei Fori Imperiali. E tutto finisce. Non sappiamo che fine fanno gli inglesi. Sappiamo che la spia tedesca torna in patria con il prototipo di Enigma. Non sappiamo (cioè lo sappiamo da altre storie) come andrà avanti la cifratura. Non sappiamo, soprattutto, se Cesare e Marcella avranno una positiva evoluzione della loro storia. Insomma, poteva essere una storia interessante, dove purtroppo Leoni non ha avuto la forza di scriverne in maniera sintetica, senza aprire tutti questi fronti che non ha saputo gestire. Peccato. E tra l’altro, perché quel titolo sul “testamento del Papa”? Silvestro, al limite, avrebbe potuto fare un lascito con quell’automa finto. Ma testamento? Per poi centrare tutta la storia nel Ventennio, dove tra l’altro “regnava” Pio XI. Forse perché, memore di Costantino e di Ottone III, Pio XI fu il primo sovrano dello Stato della Città del Vaticano? Mah!
Alfredo Colitto “La compagnia della morte” Piemme euro 1,90 (in realtà scontato a 1,52 euro)
[A: 21/03/2016 – I: 29/01/2017 – T: 01/02/2017] - && e ½  
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 178; anno 2014]
Viaggiando pe il nord del Laos, ecco che mi tiene compagnia un nuovo (o quasi) scritto di Alfredo Colitto, buon rifinitore di gialli storici. Lasciatasi alle spalle la trilogia di Mondino de’ Liuzzi, una buona prova ambientata nella Bologna del 1300, agli albori della storica Università, Colitto fa un balzo in avanti portandosi a metà del 1600 e spostandosi a Sud, per arrivare in quel di Napoli. Prima di entrare nel merito, facciamo una piccola riflessione sull’operazione di marketing che coinvolge questo ed il seguente lavoro dello scrittore bolognese. Non vi meravigli il costo di questo libro, veramente irrisorio. È dovuto ad una operazione di prequel e di lancio. Per spingere le vendite del volume “Peste” cui si è maggiormente impegnato (e che non ho ancora nei miei scaffali), l’autore e la casa editrice si inventano un prequel alla storia stessa, che funga da traino. Per fare questo, lanciano il libro a meno di 2 euro, sperando (ed in parte riuscendo) ad avere una buona resa di vendite. L’operazione (già nota al mercato anglosassone) è divertente in quanto i prequel in genere vengono confezionati dopo che il prodotto maggiore ha avuto un discreto successo, per viaggiare veloci sulla scia delle vendite. Ricordo a chi non fosse aduso che il prequel è il contrario del sequel. Il sequel è il seguito della storia, il prequel ce ne racconta gli antefatti. La peste, che sarà oggetto del volume maggiore, scoppia a Napoli nel 1656, provocando una mortalità che secondo statistiche recenti sfiora il 50% dell’allora popolazione napoletana. Ma qui ci poniamo dieci anni prima, per seguire le vicende di Sebastiano Filieri, pittore napoletano dalle discrete capacità e dalla vita tumultuosa. Nel 1645, appunto, Sebastiano, con altri pittori (falso storico dovuto alla penna di tal De Dominici, pittore e storico dell’arte settecentesco) entra a far parte di un’accolita di altri a lui sodali, che avrebbero appunto fondato la “Compagnia della Morte”. I pittori sono realmente esistiti, e rispondono a nomi quali ad esempio Aniello Falcone, Micco Spadaro e Salvator Rosa. Per ribellarsi agli Spagnoli che allora governavano la città, durante la notte i nostri non si peritano di andare in giro a far fuori notabili ed altri benestanti. Della Compagnia fa parte anche Ugo Mantovani, cognato di Sebastiano avendo sposato la sorella della di lui moglie Angela. Ma da sempre in lotta con lui, in quanto Ugo voleva Angela e non Maria. Altro elemento di disturbo è Lucrezia, arricchita puttanella che sta cercando di sposare il padre di Sebastiano, intortandolo con la sua giovinezza. Peccato che Sebastiano l’abbia vista, di sera, accompagnarsi ad altri uomini. Per non farsi denunciare la stessa Lucrezia tenta di coinvolgere Sebastiano in accuse inventate di molestie varie. In tutta questa confusione, siamo, per l’appunto, negli anni che precedono la rivolta napoletana del 1647, quella guidata dal famoso capopopolo Masaniello. Al fine di salvaguardare la rivolta, o parte di essa, Sebastiano convince la Compagnia ad allearsi con Masaniello, soprattutto nel fermare una nave spagnola che, con i suoi cannoni, potrebbe mettere subito fine alla rivolta stessa. Seguiamo tutti i preparativi nonché la riuscita dell’impresa. Peccato che nei tumulti susseguenti, Angela, la moglie di Sebastiano, e Beata, la figlioletta, perdano la vita. Avvenimento che distrugge la vita di Sebastiano, e lo mette nell’angolo. Ora però vediamo che Maria, la moglie di Ugo, in punto di morte rivela al cognato la terribile verità: sono stati Ugo e Lucrezia a tramare per la morte dei suoi cari. Vendetta, tremenda vendetta! Così Sebastiano la organizza, e riuscirà a portarla a termine. Non vi dico come, che 2 euro potete investirli se vi va. Intanto, nell’ultimo capitolo, c’è l’aggancio. A Sebastiano, che ha ripreso anche a dipingere chiede aiuto la giovane Cecilia, in fuga inseguita da scherani del conte de Guzman. Conte che lei aveva sentito complottare in oscure trame che coinvolgono Spagna e Francia. Ma qui questo romanzo si chiude, per permettere, a chi sia interessato, di seguire le successive vicende comprando e leggendo la “Peste”. Per finire, ripeto, che mi h divertito questa operazione id marketing. Mi ha permesso un po’ di leggerezza leggere queste pagine di certo non impegnative, ma altrettanto certamente scritte bene e che si fanno seguire senza troppi patemi. Colitto è sicuramente uno scrittore con buone capacità. Ed i suoi gialli storici si leggono e si fanno leggere con buon gradimento.
Gaetano Amato “Il mistero della I lunga. Di Palma investigazioni” Edizioni CentoAutori euro 12 (in realtà, scontato a 10,56 euro)
[A: 21/09/2016 – I: 02/02/2017 – T: 04/02/2017] – &&&  
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 185; anno 2016]
Allettato dal prezzo invitante, nonché dalla presenza di un autore italiano a me ignoto, mi sono rivolto a questo libro. Anche perché avevo avuto modo di apprezzare la cura editoriale (anche se non la piena riuscita) del libro che ha permesso a questa giovane casa editrice di raccogliere un piccolo successo di nicchia nell’ambito dei libri gialli. Mi riferisco al poco noto “L’omicidio Carosino” di Maurizio de Giovanni (di cui parlai circa quattro anni fa). Ho così scoperto che, al contrario, Amato è un personaggio discretamente noto in ambito televisivo (ovvio che non ne sapessi molto, vista la mia astinenza dal mezzo), che ha fatto parte per anni nella compagine televisiva del serial “La Squadra”, partecipando inoltre ad una trentina di film come caratterista. Ignorando tutto ciò, mi sono invece dedicato alla scrittura, ed alla ambientazione del libro. Sempre gradevole quest’ultima, laddove non si parla di una Napoli fittizia, lucida e patinata, ma di quella reale, sporca, brutta e pur viva. Quella che va con la barca a fare il bagno a Procida. Quella che gira tra San Gregorio Armeno e i Tribunali. Quella, infine, che pochi conoscono ma che invito a scoprire, della Napoli sotterranea. Dove si trovano e si può ammirare una lunga storia cittadina dai resti dell’acquedotto greco-romano ai rifugi anti-aerei della Seconda Guerra Mondiale. Infine, non è il primo libro che l’autore dedica a questo suo personaggio, Gennaro Di Palma, ex-poliziotto ed ora investigatore. Un personaggio discretamente simpatico, ben inserito nel tessuto cittadino, che ha conosciuto da poliziotto, e che ora ripercorre per trovare il bandolo della matassa di misteriosi furti che avvengono ad un supermercato napoletano. Che, qui forse con scarsa fantasia, ribattezza “I lunga”, tanto per non tenersi lontano dalla vera catena di supermercati, la famosa “Esselunga” di Bernardo Caprotti, recentemente tornata alla luce della ribalta in seguito alla morte del fondatore (anzi, sarebbe meglio dire co-fondatore, visto che il supermercato nacque nel lontano 1957 da un accordo commerciale tra una cordata italiana facente capo ai Caprotti ed un certo magnate americano di nome Nelson Rockefeller). Ma qui si sta divagando un po’. La vita da investigatore di Gennaro è poi ben complicata dalla contemporanea sparizione della sua portinaia, nonché segretaria senza incarico, Lisa. Scomparsa che terrà sulle spine Gennaro per tutto il tempo dell’indagine. Avendo però alla fine un risvolto positivo, quando Gennaro ritrova miracolosamente il testamento del parente di Lisa (che lui aveva utilizzato come stabilizzatore in una gara di tiro a segno con degli ex-colleghi) e con il quale Lisa riesce ad ottenere quanto dovutole da dei parenti terribili (certo si sa, che i parenti sono come le scarpe: più sono stretti più fanno male). Ma l’indagine è sui furti, e su di una strana prosperità che la comunità di Don Mario, amico di Gennaro, ha dà un po’ di tempo, riuscendo a soddisfare sempre meglio i diseredati con una mensa finalmente ben fornita. Gennaro si rivolge allora anche al poeta e conoscitore dei misteri di Napoli, l’amico Filuccio, che lo introduce, appunto, nelle segrete cose della Napoli sotterranea. Lì, nei cunicoli bui che innervano tutta la città, Gennaro scopre che sono un’accolita di personaggi in fondo buoni che sottraggono del surplus alimentare al supermercato per foraggiare (nascostamente) Don Mario ed i suoi. Scoperto l’arcano, ci si trova davanti al dilemma: denunciare i ladri per beneficenza, interrompendo il flusso di generi alimentari, o tacere, venendo meno sia al ruolo di investigatore sia alla deontologia imparata da poliziotto. Gennaro e Filuccio trovano un ghiotto escamotage, che fonda sulle mitologie ataviche napoletane: il monacello ("piccolo monaco" in napoletano) uno spiritello leggendario del folclore napoletano. Per chi non fosse aduso alla leggenda, ricordo che una delle origini più accreditata è che il monacello fosse l'antico gestore dei pozzi d'acqua (il "pozzaro"), il quale riusciva (per la sua statura piccola) ad entrare nelle case passando attraverso i canali che servivano a calare il secchio. Poiché spesso i pozzari non venivano pagati dai loro committenti, costoro si "vendicavano" entrando nelle case dei Signori e rubando per sé oggetti preziosi. Gli stessi oggetti preziosi, talvolta, venivano poi donati dai pozzari alle loro amanti, nelle cui case i gestori dei pozzi si intrufolavano sempre attraverso i canali per calare il secchio. Anche per questo la leggenda vuole che il monacello talvolta rubi, talvolta doni. Facendo finta di credere alla leggenda, i gestori della “I lunga” tengono sotto controllo gli ammanchi fisiologici, la comunità di Don Mario riceve aiuti preziosi per i poveri, e Gennaro riesce ad ottenere quel po’ di denaro che serve per la piccola sopravvivenza come investigatore-pensionato (ah come lo capisco). Certo la narrativa non è sempre scorrevole, ma, ripeto, ne ho apprezzato soprattutto la napoletanità non di maniera (d’altra parte l’autore è pur nato a Castellamare di Stabia, no?).
Essendo la prima domenica, anche se non la prima trama, del mese, ecco che vi riporto l’elenco dei libri letti nel mese di febbraio. Non molti i libri letti, complice il bel viaggio asiatico. In compenso, un alto tasso di giudizi tesi verso l’alto: Borges, Saramago e Zucconi su tutti. Da leggere, assolutamente.

#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Alfredo Colitto
La compagnia della morte
Piemme
1,90
2
2
Gaetano Amato
Il mistero della I lunga
Edizioni CentoAutori
12
3
3
Margherita Oggero
Il rosso attira lo sguardo
Mondadori
9,50
2
4
Jorge Luis Borges
L’idioma degli argentini
Adelphi
14
4
5
José Saramago
Caino
Feltrinelli
8
4
6
Clive Cussler & Graham Brown
Uragano
TEA
9,90
2
7
Leif GW Persson
Anatomia di un’indagine
Corriere della Sera Svezia
7,90
3
8
Vittorio Zucconi
Gli spiriti non dimenticano
Mondadori
s.p.
4
9
Enrico Pandiani
Lezioni di tenebra
Instar
11
3

Ma, e i Beatles? Essendo questo giorno felice non ancora finite, ve ne dò un indizio, citando quella bella canzone che inizia con I seguenti versi “When I get older losing my hair, / Many years from now.” Avete capito? Spero di sì, tanto che non posso che lasciarvi qui.

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