Cosa c’entrano i Beatles si capisce
alla fine della trama, ma solo per i più attenti. Intanto, inopinatamente, ecco
invece quattro gialli sempre italiani, ovvio, che rimangono il mio pallino
principale. Una nova avventura dell’ispettore Grazia Negro del buon Lucarelli,
ancora lontano, però, dai suoi momenti migliori. Due nuovi gialli storici di
Giulio Leoni e di Alfredo Colitto, quasi sufficienti e niente più. Inaspettatamente
in testa, un giallo di un nuovo autore per me, il napoletano Gaetano Amato,
rivalutato anche dalla ormai finita, purtroppo, vacanza ischitana.
Carlo Lucarelli “Il sogno di volare” Einaudi euro 13 (in realtà,
scontato a 6,50 euro)
[A: 01/12/2015 – I: 05/12/2016 – T: 08/12/2016] – &&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 265;
anno 2013]
Ben
nota è la mia frequentazione con Carlo Lucarelli, anche se pochi ricordano come
cominciò. Con una chiacchierata, orami quasi ventennale, sulla nascita di un
possibile modo di crearsi un alibi, durante una presentazione estiva in Santa
Maria in Trastevere. Fatto sta, che continuo a seguirlo, ed ora non posso che
essere contento del ritorno sulla scena dell’ispettore Grazia Negro, in un
romanzo completo, e non in quel pur intrigante cammeo di intrecci con
Montalbano che Lucarelli e Camilleri imbastirono sei anni fa. Abbiamo aspettato
tredici anni, ma eccoci di nuovo qui. Purtroppo, la storia nel suo complesso mi
è piaciuta meno. Anche se ha qualche spunto, mi è sembrata da un lato un tirare
di nuovo fuori le assi portante dei casi già noti (mi riferisco a “Lupo
mannaro” ed “Almost blue” ovviamente), dall’altro un tentativo di aggiornare la
scrittura, che non è felice come altrove. Ultimamente Lucarelli si era dedicato
maggiormente a storie africane, che mi sono sembrate di più felice respiro.
Qui, abbiamo tutta l’evoluzione di Grazia Negro, della sua storia con il non
vedente Simone, il tentativo di rimanere incinta (purtroppo non riuscito). E
questa parte, dolente ma preponderante, rende l’ispettore vulnerabile e poco
attenta a dettagli che prima le sarebbero balzati agli occhi con facilità.
Dall’altra, come detto, l’efferatezza del crimine riporta subito alla mente
altre storie, altri romanzi. Inoltre, proprio il modo in cui Lucarelli presenta
i fatti, proprio la pluralità delle voci che escono fuori, con i loro diversi
registri, fa capire non che ci troviamo di fronte ad una banda di criminali
(cosa che potrebbe essere), ma al solito ad un criminale, dalla personalità
multipla. Un’espediente che avevamo già visto in un romanzo di Patricia
Cornwell, e che ritengo non sia facile da gestire. Come non è facile qui. Anche
se sulle tracce dei crimini, senza caprine subito le implicazioni, c’è una
bella squadra, anche interforze, che a Grazia Negro, al suo storico aiutante
Matera ed al suo capo il commissario Carlisi, si affiancano i carabinieri, con
il tenente Pierluigi (di cognome) ed il colonnello De Zan. Lucarelli fa in modo
anche di mettere qualche ruscello parallelo alla storia, tra cui, di grande
portata ma di scarso flusso, la rivalità sempre presente tra le forze
dell’ordine. Rivalità che, spesso e volentieri, porta a competizioni che
incasinano le indagini invece di agevolarle. Così mentre Carlisi e De Zan si
fanno la guerra, Negro e Pierluigi collaborano anche al di là dei loro doveri
istituzionali. Non solo ma tra i due si instaura un meccanismo di reciproca
simpatia, alimentato dal momento negativo che intercorre tra Grazia e Simone.
Anche se è più Pierluigi che sbava per la bella Negro. Ma anche lei ci mette
del suo. Ci sono anche altri momenti del Lucarelli classico che non ci stanno
male. Un intervento di Simone, che ascoltando una registrazione sonora, come ai
tempi classici quando stava sempre con gli auricolari in posa ad ascoltare
musica 24 ore al giorno, riesce ad isolare brandelli di informazione che il
campionatore del computer non era riuscito a trovare. Inoltre, c’è anche qui un
omaggio ad un sodale di Lucarelli, Massimo Picozzi, con il quale ha firmato ben
sei libri, utilizzato nella sua veste precipua. Quello di profiler. Il suo
intervento, direttamente con il proprio nome, è un omaggio all’amico (come
candidamente ci rivela Lucarelli in finale), ma anche una piccola spinta nella
giusta direzione della risoluzione delle indagini. Che avverrà peraltro con
l’aiuto di una delle stesse personalità multiple, che spesso sono in conflitto
tra loro (basti pensare al primo caso “letterario” di disturbo dissociativo,
come andrebbe chiamato con termine medico, l’inarrivabile “Lo strano caso del
dottor Jekyll e del signor Hyde” di Stevenson). La personalità buona si mette
in conflitto con le altre, e permette all’ispettore, pur con fatica, di
risolvere il caso. Che ha la complicanza finale di vedere almeno tre
personalità presenti nel malato. Il lato umanitario e progressista di Lucarelli
non viene poi meno dato che una delle cause scatenanti è la non punizione che
viene continuata a perpetrarsi negli ambienti marginali a quei oramai molti
casi di morte sul lavoro di migranti senza permesso. Che lavorano in nero, che
non hanno protezione, e che quando muoiono nessuno se ne prende cura. In
primis, le forze dell’ordine anche se queste potrebbero accampare la non
sussistenza di procedure legali opportune. Lucarelli si scaglia facilmente
contro questo sistema, purtroppo senza poter, né lui né noi, trovare una soluzione
al problema. Un ultimo ringraziamento al nostro scrittore è per la colonna
sonora che punteggia il romanzo, ribadendo il concetto precedente. Lucarelli è
sempre attento alla musica, ed in questo sono sempre con lui. Ma a parte usuali
suoni da Marina Rei o da Luca Carboni, quello che esce potentemente dalle
pagine, e che sorregge la trama, è la musica degli Arangara, ed i testi di
Andre Buffa. Non li conoscevo, li ho cercati, e sono da tenere in
considerazione. Una band bolognese che viaggia nel solco della canzone
popolare, con qualche occhio a Guccini, loro nume tutelare.
“Prese il cellulare e sfiorò i tasti con il pollice. Avrebbe voluto
mandargli un messaggio ma non sapeva cosa scrivergli e alla fine neanche
perché.” (172)
Giulio Leoni “Il testamento del papa” TEA euro 10 (in realtà scontato a
8,50 euro)
[A: 12/02/2015 – I: 02/01/2017 – T: 04/01/2017] - &&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 430;
anno 2013]
Ho
cominciato a leggere i libri di Giulio Leoni non per l’assonanza né per la
co-inizialità, ma affascinato, come al solito io sono, delle contaminazioni.
Perché Leoni ha scritto una decente, almeno nelle prime intenzioni, trilogia su
un detective del Trecento: Dante Alighieri. Certo un po’ forzato, che non
vediamo certo il buon poeta fiorentino intento ad indagare su diversi misteri
ed altrettante morti, tra l’Arno e il Tevere. Tuttavia, di un discreto
interesse (quando si riesce a coniugare rigore storico ed invenzione). Qui
l’esponente di punta del thriller storico italiano si cimenta in una diversa
contaminazione, a diversi livelli di intreccio e di tempo. Forse alza un po’
troppo il tiro, ed il risultato non è dei migliori. Certo, fa passare il tempo,
come lo ha fatto passare a me, nel lungo (ma non lunghissimo) viaggio verso Treviso
e la mostra impressionistica (anche se non impressionante). Ma torniamo allo
scritto. Che, appunto, intreccia due vicende temporalmente disgiunte e che, ma
con qualche volo funambolico, Leoni riesce a raccordare. La prima, quella
filologicamente più interessante, è legata alla figura di Papa Silvestro II.
Papa con almeno due interessanti caratteristiche: è il primo papa francese
(nasce infatti Gerberto di Aurillac) e siede sul seggio pontificio a cavallo
dell’anno Mille (dal 999 al 1003). Altri punti di interesse di questo papa che
(forse) non voleva esserlo è la scelta del nome: come Silvestro I fu il papa di
Costantino e quindi dell’istituzione del papato e della Chiesa Cattolica come
religione ufficiale del Sacro Romano Impero, Gerberto sceglie questo nome in
quanto è molto legato all’imperatore del tempo, il germanico Ottone III (di cui
era stato precettore). Voleva in un certo modo ripercorrere l’unità di politica
e religione in due figure distinte ma strettamente in collaborazione. La
leggenda (più o meno accreditata) di Silvestro II, e sulla quale si innesta
l’idea di Leoni, è che fosse anche un “mago”. Di certo aveva avuto molte
frequentazioni con le culture altre dell’epoca: frequentò arabi leggendo di
Aristotele, di Boezio, di Isidoro di Siviglia. Sapeva di musica e di
matematica. Tanto mago che si dice abbia costruito un automa che potesse
riprodurre la voce umana. Tanto mago che nel 1648 ne fu aperta la tomba
trovando intatto il corpo, che come nel sepolcro di Tutankhamon si dissolve
all’aria (vero), insieme ad un cilindro che da quel momento viene conservato in
Vaticano (pura leggenda). Su questa “historia” che poteva portare interesse e
sviluppi (ma cui Leoni dedica solo pochi capitoli sparsi), l’autore innesta un
thriller che invece si svolge tra il 1928 ed il febbraio del 1929. Qui sì
invece che si dipana un guazzabuglio inestricabile, il corpo del libro
purtroppo, dove Leoni apre tante porte, faticando non poco a portarle a
termine. Ci sono i servizi segreti tedeschi, non ancora hitleriani, che cercano
di recuperare una macchina per generare codici cifrati, la prima versione di
“Enigma” quindici anni prima della sua evoluzione e della sua decifrazione
durante la Seconda Guerra Mondiale ad opera di quel genio matematico di Turing.
La spia tedesca (uomo? donna?) deve contattare il possessore di una macchina
Enigma, un ingegnere italiano fondatore di una setta esoterica che vuole il
ritorno alla grandezza di Roma contrastando l’avvicinamento che sta avvenendo
in quegli anni tra il Fascismo di Mussolini e la Chiesa cattolica. Riunione
che, come sappiamo, porterà l’11 febbraio 1929 ai famosi Patti Lateranensi. La
spia deve scambiare la macchina con armi. Vengono coinvolti anche i servizi
segreti inglesi, sia perché quando ci sono le spie è bene che ci siano inglesi,
sia, e soprattutto, perché la spia tedesca avrebbe contribuito all’affondamento
dell’incrociatore Hampshire nel 1916 dove viaggiava il grande stratega inglese
Lord Kitchner. Inglesi che cercheranno di contrastare i tedeschi, senza
riuscirci e facendo figure barbine. La parte del leone (scusa Leoni) la fa
invece un architetto, Cesare Marni, che viene coinvolto casualmente nella
vicenda, quando un oscuro muratore gli mette pulci nell’orecchio sull’automa di
Papa Silvestro II. Lì Cesare si inserisce nella vicenda, trovandosi sempre nei
punti focali, dove in genere muore qualcuno. Aiutato da un certo punto in poi
dalla giovane Marcella, una fan di Marinetti, del futurismo e di altre
“diavolerie”. Cesare riuscirà alla fine a capire chi sia la spia tedesca, senza
riuscire a fermarla, a decifrare il nascondiglio del pazzo conte italico,
fermandolo prima che con la mitragliatrice tedesca riesca a falciare il corteo
di Mussolini che sta attraversando i Fori Romani, allora in grande lavorazione,
dovendo i fasci creare quell’arteria inutilmente pomposa di via dei Fori
Imperiali. E tutto finisce. Non sappiamo che fine fanno gli inglesi. Sappiamo
che la spia tedesca torna in patria con il prototipo di Enigma. Non sappiamo
(cioè lo sappiamo da altre storie) come andrà avanti la cifratura. Non
sappiamo, soprattutto, se Cesare e Marcella avranno una positiva evoluzione
della loro storia. Insomma, poteva essere una storia interessante, dove
purtroppo Leoni non ha avuto la forza di scriverne in maniera sintetica, senza aprire
tutti questi fronti che non ha saputo gestire. Peccato. E tra l’altro, perché
quel titolo sul “testamento del Papa”? Silvestro, al limite, avrebbe potuto
fare un lascito con quell’automa finto. Ma testamento? Per poi centrare tutta
la storia nel Ventennio, dove tra l’altro “regnava” Pio XI. Forse perché,
memore di Costantino e di Ottone III, Pio XI fu il primo sovrano dello Stato
della Città del Vaticano? Mah!
Alfredo Colitto “La compagnia della morte” Piemme euro 1,90 (in realtà
scontato a 1,52 euro)
[A: 21/03/2016 – I: 29/01/2017 – T: 01/02/2017] - &&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 178;
anno 2014]
Viaggiando pe il nord del Laos,
ecco che mi tiene compagnia un nuovo (o quasi) scritto di Alfredo Colitto, buon
rifinitore di gialli storici. Lasciatasi alle spalle la trilogia di Mondino de’
Liuzzi, una buona prova ambientata nella Bologna del 1300, agli albori della
storica Università, Colitto fa un balzo in avanti portandosi a metà del 1600 e
spostandosi a Sud, per arrivare in quel di Napoli. Prima di entrare nel merito,
facciamo una piccola riflessione sull’operazione di marketing che coinvolge
questo ed il seguente lavoro dello scrittore bolognese. Non vi meravigli il
costo di questo libro, veramente irrisorio. È dovuto ad una operazione di
prequel e di lancio. Per spingere le vendite del volume “Peste” cui si è
maggiormente impegnato (e che non ho ancora nei miei scaffali), l’autore e la
casa editrice si inventano un prequel alla storia stessa, che funga da traino.
Per fare questo, lanciano il libro a meno di 2 euro, sperando (ed in parte
riuscendo) ad avere una buona resa di vendite. L’operazione (già nota al
mercato anglosassone) è divertente in quanto i prequel in genere vengono
confezionati dopo che il prodotto maggiore ha avuto un discreto successo, per
viaggiare veloci sulla scia delle vendite. Ricordo a chi non fosse aduso che il
prequel è il contrario del sequel. Il sequel è il seguito della storia, il
prequel ce ne racconta gli antefatti. La peste, che sarà oggetto del volume
maggiore, scoppia a Napoli nel 1656, provocando una mortalità che secondo
statistiche recenti sfiora il 50% dell’allora popolazione napoletana. Ma qui ci
poniamo dieci anni prima, per seguire le vicende di Sebastiano Filieri, pittore
napoletano dalle discrete capacità e dalla vita tumultuosa. Nel 1645, appunto,
Sebastiano, con altri pittori (falso storico dovuto alla penna di tal De
Dominici, pittore e storico dell’arte settecentesco) entra a far parte di
un’accolita di altri a lui sodali, che avrebbero appunto fondato la “Compagnia
della Morte”. I pittori sono realmente esistiti, e rispondono a nomi quali ad
esempio Aniello Falcone, Micco Spadaro e Salvator Rosa. Per ribellarsi agli
Spagnoli che allora governavano la città, durante la notte i nostri non si
peritano di andare in giro a far fuori notabili ed altri benestanti. Della
Compagnia fa parte anche Ugo Mantovani, cognato di Sebastiano avendo sposato la
sorella della di lui moglie Angela. Ma da sempre in lotta con lui, in quanto
Ugo voleva Angela e non Maria. Altro elemento di disturbo è Lucrezia,
arricchita puttanella che sta cercando di sposare il padre di Sebastiano,
intortandolo con la sua giovinezza. Peccato che Sebastiano l’abbia vista, di
sera, accompagnarsi ad altri uomini. Per non farsi denunciare la stessa
Lucrezia tenta di coinvolgere Sebastiano in accuse inventate di molestie varie.
In tutta questa confusione, siamo, per l’appunto, negli anni che precedono la
rivolta napoletana del 1647, quella guidata dal famoso capopopolo Masaniello.
Al fine di salvaguardare la rivolta, o parte di essa, Sebastiano convince la
Compagnia ad allearsi con Masaniello, soprattutto nel fermare una nave spagnola
che, con i suoi cannoni, potrebbe mettere subito fine alla rivolta stessa.
Seguiamo tutti i preparativi nonché la riuscita dell’impresa. Peccato che nei
tumulti susseguenti, Angela, la moglie di Sebastiano, e Beata, la figlioletta,
perdano la vita. Avvenimento che distrugge la vita di Sebastiano, e lo mette
nell’angolo. Ora però vediamo che Maria, la moglie di Ugo, in punto di morte
rivela al cognato la terribile verità: sono stati Ugo e Lucrezia a tramare per
la morte dei suoi cari. Vendetta, tremenda vendetta! Così Sebastiano la
organizza, e riuscirà a portarla a termine. Non vi dico come, che 2 euro potete
investirli se vi va. Intanto, nell’ultimo capitolo, c’è l’aggancio. A
Sebastiano, che ha ripreso anche a dipingere chiede aiuto la giovane Cecilia,
in fuga inseguita da scherani del conte de Guzman. Conte che lei aveva sentito
complottare in oscure trame che coinvolgono Spagna e Francia. Ma qui questo
romanzo si chiude, per permettere, a chi sia interessato, di seguire le
successive vicende comprando e leggendo la “Peste”. Per finire, ripeto, che mi
h divertito questa operazione id marketing. Mi ha permesso un po’ di leggerezza
leggere queste pagine di certo non impegnative, ma altrettanto certamente
scritte bene e che si fanno seguire senza troppi patemi. Colitto è sicuramente
uno scrittore con buone capacità. Ed i suoi gialli storici si leggono e si
fanno leggere con buon gradimento.
Gaetano Amato “Il mistero della I lunga. Di Palma investigazioni”
Edizioni CentoAutori euro 12 (in realtà, scontato a 10,56 euro)
[A: 21/09/2016 – I: 02/02/2017 – T: 04/02/2017] – &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 185;
anno 2016]
Allettato
dal prezzo invitante, nonché dalla presenza di un autore italiano a me ignoto,
mi sono rivolto a questo libro. Anche perché avevo avuto modo di apprezzare la
cura editoriale (anche se non la piena riuscita) del libro che ha permesso a
questa giovane casa editrice di raccogliere un piccolo successo di nicchia
nell’ambito dei libri gialli. Mi riferisco al poco noto “L’omicidio Carosino”
di Maurizio de Giovanni (di cui parlai circa quattro anni fa). Ho così scoperto
che, al contrario, Amato è un personaggio discretamente noto in ambito
televisivo (ovvio che non ne sapessi molto, vista la mia astinenza dal mezzo),
che ha fatto parte per anni nella compagine televisiva del serial “La Squadra”,
partecipando inoltre ad una trentina di film come caratterista. Ignorando tutto
ciò, mi sono invece dedicato alla scrittura, ed alla ambientazione del libro.
Sempre gradevole quest’ultima, laddove non si parla di una Napoli fittizia,
lucida e patinata, ma di quella reale, sporca, brutta e pur viva. Quella che va
con la barca a fare il bagno a Procida. Quella che gira tra San Gregorio Armeno
e i Tribunali. Quella, infine, che pochi conoscono ma che invito a scoprire, della
Napoli sotterranea. Dove si trovano e si può ammirare una lunga storia cittadina
dai resti dell’acquedotto greco-romano ai rifugi anti-aerei della Seconda
Guerra Mondiale. Infine, non è il primo libro che l’autore dedica a questo suo
personaggio, Gennaro Di Palma, ex-poliziotto ed ora investigatore. Un
personaggio discretamente simpatico, ben inserito nel tessuto cittadino, che ha
conosciuto da poliziotto, e che ora ripercorre per trovare il bandolo della
matassa di misteriosi furti che avvengono ad un supermercato napoletano. Che,
qui forse con scarsa fantasia, ribattezza “I lunga”, tanto per non tenersi
lontano dalla vera catena di supermercati, la famosa “Esselunga” di Bernardo
Caprotti, recentemente tornata alla luce della ribalta in seguito alla morte
del fondatore (anzi, sarebbe meglio dire co-fondatore, visto che il
supermercato nacque nel lontano 1957 da un accordo commerciale tra una cordata
italiana facente capo ai Caprotti ed un certo magnate americano di nome Nelson
Rockefeller). Ma qui si sta divagando un po’. La vita da investigatore di
Gennaro è poi ben complicata dalla contemporanea sparizione della sua
portinaia, nonché segretaria senza incarico, Lisa. Scomparsa che terrà sulle
spine Gennaro per tutto il tempo dell’indagine. Avendo però alla fine un
risvolto positivo, quando Gennaro ritrova miracolosamente il testamento del
parente di Lisa (che lui aveva utilizzato come stabilizzatore in una gara di
tiro a segno con degli ex-colleghi) e con il quale Lisa riesce ad ottenere
quanto dovutole da dei parenti terribili (certo si sa, che i parenti sono come
le scarpe: più sono stretti più fanno male). Ma l’indagine è sui furti, e su di
una strana prosperità che la comunità di Don Mario, amico di Gennaro, ha dà un
po’ di tempo, riuscendo a soddisfare sempre meglio i diseredati con una mensa
finalmente ben fornita. Gennaro si rivolge allora anche al poeta e conoscitore
dei misteri di Napoli, l’amico Filuccio, che lo introduce, appunto, nelle
segrete cose della Napoli sotterranea. Lì, nei cunicoli bui che innervano tutta
la città, Gennaro scopre che sono un’accolita di personaggi in fondo buoni che
sottraggono del surplus alimentare al supermercato per foraggiare
(nascostamente) Don Mario ed i suoi. Scoperto l’arcano, ci si trova davanti al
dilemma: denunciare i ladri per beneficenza, interrompendo il flusso di generi
alimentari, o tacere, venendo meno sia al ruolo di investigatore sia alla
deontologia imparata da poliziotto. Gennaro e Filuccio trovano un ghiotto
escamotage, che fonda sulle mitologie ataviche napoletane: il monacello
("piccolo monaco" in napoletano) uno spiritello leggendario del
folclore napoletano. Per chi non fosse aduso alla leggenda, ricordo che una
delle origini più accreditata è che il monacello fosse l'antico gestore dei
pozzi d'acqua (il "pozzaro"), il quale riusciva (per la sua statura
piccola) ad entrare nelle case passando attraverso i canali che servivano a
calare il secchio. Poiché spesso i pozzari non venivano pagati dai loro
committenti, costoro si "vendicavano" entrando nelle case dei Signori
e rubando per sé oggetti preziosi. Gli stessi oggetti preziosi, talvolta,
venivano poi donati dai pozzari alle loro amanti, nelle cui case i gestori dei
pozzi si intrufolavano sempre attraverso i canali per calare il secchio. Anche
per questo la leggenda vuole che il monacello talvolta rubi, talvolta doni.
Facendo finta di credere alla leggenda, i gestori della “I lunga” tengono sotto
controllo gli ammanchi fisiologici, la comunità di Don Mario riceve aiuti
preziosi per i poveri, e Gennaro riesce ad ottenere quel po’ di denaro che
serve per la piccola sopravvivenza come investigatore-pensionato (ah come lo
capisco). Certo la narrativa non è sempre scorrevole, ma, ripeto, ne ho
apprezzato soprattutto la napoletanità non di maniera (d’altra parte l’autore è
pur nato a Castellamare di Stabia, no?).
Essendo
la prima domenica, anche se non la prima trama, del mese, ecco che vi riporto
l’elenco dei libri letti nel mese di febbraio. Non molti i libri letti,
complice il bel viaggio asiatico. In compenso, un alto tasso di giudizi tesi
verso l’alto: Borges, Saramago e Zucconi su tutti. Da leggere, assolutamente.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Alfredo Colitto
|
La compagnia della morte
|
Piemme
|
1,90
|
2
|
2
|
Gaetano Amato
|
Il mistero della I lunga
|
Edizioni CentoAutori
|
12
|
3
|
3
|
Margherita Oggero
|
Il rosso attira lo sguardo
|
Mondadori
|
9,50
|
2
|
4
|
Jorge Luis Borges
|
L’idioma degli argentini
|
Adelphi
|
14
|
4
|
5
|
José Saramago
|
Caino
|
Feltrinelli
|
8
|
4
|
6
|
Clive Cussler & Graham Brown
|
Uragano
|
TEA
|
9,90
|
2
|
7
|
Leif GW Persson
|
Anatomia di un’indagine
|
Corriere della Sera Svezia
|
7,90
|
3
|
8
|
Vittorio Zucconi
|
Gli spiriti non dimenticano
|
Mondadori
|
s.p.
|
4
|
9
|
Enrico Pandiani
|
Lezioni di tenebra
|
Instar
|
11
|
3
|
Ma,
e i Beatles? Essendo questo giorno felice non ancora finite, ve ne dò un
indizio, citando quella bella canzone che inizia con I seguenti versi “When I
get older losing my hair, / Many years from now.” Avete capito? Spero di sì,
tanto che non posso che lasciarvi qui.
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