domenica 30 luglio 2017

Avventure minori - 30 luglio 2017

Dopo gli ottimi saggi della settimana scorsa, ecco che passiamo a qualcosa di tipicamente estivo. Avventure alla massima potenza, almeno in prospettiva. Visto che Cussler latita, ecco allora che riprendo il meno amato (da me) Smith. Con la trilogia di Cross ed una ripresa della serie egizia. Continua comunque ad essere di molto inferiore alle attese, attestandosi su un giudizio complessivo tra 1 e 2 libretti. In vero, un po’ poco. Chissà se le serie maggiori…
Wilbur Smith “La legge del deserto” TEA euro 12 (in realtà, scontato a 7,80 euro)
[A: 26/01/2017– I: 06/03/2017 – T: 08/03/2017] - && --  
[tit. or.: Those in Peril; ling. or.: inglese; pagine: 464; anno 2011]
Poiché la mia ottima amichetta Otto mi ha regalato per Natale un libro di Smith che tuttavia è il terzo volume della trilogia dedicata ad Hector Cross, e volendo, come ho deciso in uno dei caposaldi del mio leggere, anticipare i libri regalati per poter dare un ritorno a chi mi ha con tanto amore omaggiato, ho comprato i primi due volumi e cominciato a leggere questo che, per l’appunto, è il debutto della saga di Cross. Come sapete, Smith è uno dei due “grandi” dell’avventura, l’altro essendo il mio preferito Cussler. Ho letto e commentato di Smith i primi quattro volumi dedicati all’Egitto, che, ricorderete forse, mi hanno convinto in parte. Alcuni spunti, più sesso di Cussler (almeno più descritto), ma spesso cadute di ritmo ed altri spunti poco significativi. Pensavo che, passando dall’Egitto alla modernità (prima o poi mi dedicherò anche al recupero del corpo principale di Smith, dedicata ai Courtney ed ai Ballantyne), potesse scattare qualche meccanismo migliorativo. Invece… si è rischiato poco di cadere nel precipizio. Certo, in alcuni punti anche qui c’è ritmo. Ma non c’è suspense. Fin da subito vediamo i buoni contro i cattivi, lotta che continuerà per tutto il libro. Dove si spera che ci siano colpi di scena, che si rimescolino le carte tra buoni e cattivi. Ma no. Tutti sono congelati nel loro ruolo. Con alla fine (anticipo, ma è ovvio, altrimenti non sarebbero stati scritti altri due libri) tutti i cattivi che hanno la peggio, ed almeno Cross e qualche altro buono che vince. Il tutto comunque sembra servire più che altro a tratteggiare il nostro eroe, a dotarlo di una vita, prima e dopo dell’incontro con noi. Chi è allora Cross? Hector Cross detto Heck è un ex-SAS (Servizi Aerei Speciali) che dopo aver fatto diverse guerre mediorientali (anche da infiltrato, tanto che parla arabo come un egiziano nativo), a seguito di uno scontro in Afghanistan dove uccide tre persone che, probabilmente, stavano per fare un attentato. Non coperto dalle autorità militari, decide che ne ha abbastanza dei soldati, si mette in proprio e fonda una società di security di immediato successo. Tanto che ben presto ha l’incarico prestigioso di provvedere alla sicurezza dei pozzi petroliferi della Bannock Oil. Dove, nel corso di poco tempo, sventa due attentati alla società stessa. È un rude, che spara prima di pensare, ma poi si ferma, elabora, e riesce sempre a triar fuori piani miracolosi di attacco o di salvataggio. La Bannock, fondata dal compianto Henry, è ora guidata dalla giovane vedova Hazel, ex-tennista vincitrice di un grande slam. Che entra subito in conflitto con Heck, essendo una persona più dotata a vedere il buono che il cattivo. Anche se, capiamo presto, è un lupo della finanza. Ovvio anche, che, dopo alcune scaramucce, i due si conosceranno meglio, e daranno vita ad alcune di quelle scene che a Smith sembrano piacere molto. Questo anche perché Hazel chiede aiuto ad Heck quando viene sequestrata da terroristi somali la figlia Cayla. Qui scopriamo che il sequestro, oltre ai beni di Hazel, punta proprio a Heck, che nelle tre operazioni menzionate ha ucciso tre figli dello sceicco Tippu Tip. Ed ora il nipote dello sceicco, il perfido Adam, ha organizzato tutto un casino per avere la testa del nostro. Si è finto innamorato di Cayla, l’ha rapita e portata nel Puntland (regione autonoma della Somalia, dall’altre parte dello stretto di Aden, confinante quasi con Gibuti). Cross e Hazel organizzano una battuta di salvataggio che occupa i primi due terzi del libro. Si organizza, si assiste allo schieramento delle forze (Amad ed il rinnegato Uthman tra i cattivi, Heck, Paddy e l’arabo Tariq tra i buoni). Buoni che librano Cayla, tentano la fuga in elicottero, abbattuto da un lanciarazzi di Uthman. Provano con una nave verso la costa, distrutta da Kamal, zio di Amad. Ed alla fine riescono a fuggire verso l’Etiopia, salvati da Paddy e le sue forze di terra. Qui si apre un inciso dove Heck e Hazel si sposano, Heck diventa il numero due della Bannock ed altre amenità. Ma gli scontri non sono finiti. Che Adam, morto il nonno Tippu Tip, decide (e passano almeno uno o due anni) una nuova offensiva. Uccide e decapita prima la madre di Hazel, poi la stessa Cayla. A questo punto Heck si “incazza” di brutto e decide di attaccare e distruggere Adam (che aveva anche ucciso la moglie ed il figlio di Tariq). Organizza (e non vi dico come che sarebbe tedioso) un grande assalto alla roccaforte dei cattivi. Dove alla fine lui ucciderà Uthman e Hazel giustizierà Adam applicando la legge della sharia “una vita per una vita”. La mesta storia si chiude con Hazel che vuole un figlio da Heck. Ripeto, le scene di guerra movimentate sono ben orchestrate, ma il tutto è pervaso da un filo di anti-islamismo mascherato da anti-terrorismo. Molti dei cattivi sono invasati tipo ISIS, ed uccidono decapitando i prigionieri, in scene cruente. Heck è anche lui un filo reazionario, e come detto, prima spara e poi pensa. Infine, non si capisce perché “Quelli in Pericolo” diventi “La legge del deserto”. Misteri del marketing italiano. Personalmente, non vedo figure positive nella storia, come invece spesso in Cussler, anche in quelle meno ambientaliste tipo la serie “OREGON”. Tra l’altro, benché in una zona calda, il Puntland da anni sta cercando di lavorare attivamente contro la pirateria delle coste somale, mentre qui è descritto come un territorio usato solo da bande di arabi assetati di sangue. Non solo, ma collegati (si capisce solo all’inizio, poi si cerca di passare sotto silenzio) nella mente di Smith alle forze siriane (Uthman chiede aiuto al cugino a Damasco per entrare in contatto con Adam). E non mi sembra di poter condividere il giudizio dato da alcuni che sia “una bella storia di sesso, violenza e caos, con qualche buona risata”. Non ho mai riso, c’è violenza e caos, c’è sesso ma poco coinvolgente. Spero che le prossime avventure di Cross migliorino.
Wilbur Smith “Vendetta di sangue” TEA euro 12 (in realtà, scontato a 4,80 euro)
[A: 26/01/2017– I: 10/03/2017 – T: 13/03/2017] - && ---- 
[tit. or.: Vicious Circle; ling. or.: inglese; pagine: 510; anno 2013]
Purtroppo le speranze espresse alla fine del primo volume della trilogia di Cross si sono, per ora, rivelate infondate. Questo secondo volume si mantiene sulla falsariga dello scarso coinvolgimento emotivo del lettore, ribadendo i punti che, secondo Smith, erano gli elementi forti del primo volume. Dispiace dirlo, ma la violenza e il caos aumentano, il sesso rimane al livello che ci si aspetta dai libri dello scrittore ex-rhodesiano, e le punte di buon umore, i sorrisi come diceva Smith, non si vedono proprio. Certo, cambia leggermente il registro, che almeno si abbandonano per queste cinquecento pagine gli anatemi anti-islamici, anche se ben coperti dalle grida anti-terrorismo ed anti-ISIS. Quello che rimane in Smith è comunque un forte spirito diciamo critico nei confronti dei paesi africani, di certo mutuato dalla sua esperienza giovanile nella natia Rhodesia del Nord, oggi Zambia. È certo anche che, secondo quanto lui disse in un’intervista, si allontanò dal territorio africano ai tempi di Ian Smith (e dell’apartheid) essendone fortemente critico al riguardo. Quello che compare in alcune parti di questo libro è comunque un sentimento grandemente critico verso tutti gli stati e staterelli africani, con i loro dittatori ed altre magagne (non a caso, in alcune parti i cattivi sembrano una caricatura di Mugabe, per la parte “buona”, e di Ida Amin, per la parte cattiva). Intanto la storia si riapre che Hazel è incinta, quasi partoriente. E subito si precipita nel baratro. Qualcuno uccide Hazel che però riesce a partorire la piccola Catherine Cayla. Heck, ovviamente a pezzi, cerca di capire se qualche propaggine della stirpe di Tippu Tip cerca ancora vendetta. Ovviamente no, altrimenti sarebbe una ripetizione. Anzi, l’unico rimasto è un imam talmente buono che convince Tariq ad andare con lui. Tolti di mezzo gli arabi, chi ci rimane? A questo punto Heck ed i suoi (notoriamente Paddy e Nasty, la sua donna russa) si danno da fare. Ma non arriveranno a nulla se non si mettesse in mezzo lo studio di avvocati che gestisce l’immenso fondo della famiglia Bannock. Dopo svariate inutili pagine, arriviamo al cuore del problema. Jo, la segretaria dello studio, si presenta ad Heck con una documentazione sulla storia della famiglia Bannock. Ovvio che Jo sia una bella donna, e, visto che Hazel nel testamento ha detto ad Heck di non restare chiuso nel lutto, i due presto finiranno a letto. Con un accordo che sembra buono, tanto che anche la piccola Cathy accoglie la nuova donna di “baba”. Jo ha portato un lungo scritto che ripercorre tutta la storia della famiglia. Qui abbiamo almeno duecento pagine di un altro libro: la storia dei Bannock. Il capostipite Henry (il defunto marito di Hazel) aveva messo su un impero economico, ma all’inizio aveva mosso i primi passi sposando un ex-ballerina tedesca, Marlene, che aveva un figlio di primo letto, tal Carl (il cui vero padre era un ex-gerarca nazista). Henry adotta Carl, poi Marlene gli dà una figlia, Sasha. Ma Carl è un vero porco, e seduce e stupra la sorellastra, tanto da stravolgerle la mente. Nessuno se ne accorge, e Marlene ha una seconda figlia Byroni. Sarà quest’ultima che, empatica con la sorella pazza, prima scoprirà gli stupri di Carl, poi ne subirà a sua volta gli attacchi sessuali. Ma lei reagisce, fa arrestare Carl. E noi ci dobbiamo subire il lungo processo, dove Henry (a causa del fondo che aveva istituito ed in base alle regole da lui stabilite) deve pagare sia la difesa che l’accusa. Alla fine, grazie a Byroni, Carl è condannato a 15 anni di carcere. Lì, dopo aver subito anche lui iniziali violenze, trova il modo di sfruttare la sua immensa ricchezza, alleandosi con il più cattivo di tutti, tal Johnny Congo. Con i suoi soldi e con le conoscenze di Congo, mette su, pur dal carcere, una banda di efferati assassini, che provvedono ad uccidere, con grandi torture, prima Marlene, poi Sasha ed infine Byroni (in un modo talmente schifoso che neanche ve ne parlo). Poi, fanno arrivare il video con queste nefandezze a Henry, cui prende un infarto secco. Mentre poi si svolgono gli avvenimenti del primo volume, Carl esce dal carcere avendo scontato la pena, fa evadere Johnny (sul quale pendeva una condanna a morte in quanto pluriomicida) ed insieme mettono su un piccolo esercito ed invadono diventando i re il piccolo stato fittizio di Kazandu. Uno stato irreale, posto tra il Congo ed il lago Tanganika. Da lì continuano le loro nefandezze sessuali, ed organizzano, riuscendovi, l’assassinio di Hazel. Se pensate che Heck si incazzi sbagliate per difetto. Molto di più. Ovvio che organizza, con l’aiuto della sua squadra di sicurezza e con le dritte che gli dà la sua nuova amante Jo, una contro-rivoluzione in Kazandu per andare a prendere i due cattivoni. Johnny viene preso e portato via, Carl viene preso e Heck si vendica lasciandolo cadere nella fossa della reggia di Kazandu, dove vivono due coccodrilli che, come ovvio, ne fanno scempio. Il nostro vorrebbe uccidere anche Johnny, ma Jo, che non ha apprezzato tutta questa violenza, gli chiede di consegnarlo alla giustizia americana. Cosa che il nostro fa per amore. Peccato che prima di essere giustiziato, Johnny evade. A questo punto Hector sa che dovrà dargli la caccia, e Jo capisce che la violenza non avrà fine. Mentre finisce il libro con i due che si lasciano e con la promessa di Heck di non dare quartiere al cattivo. Insomma tutto fila liscio, si fa per dire, a parte che anche qui sembra ci siano due libri in uno. C’è realmente l’incapacità di trovare un giusto equilibrio tra violenza e reazione alla stessa. Inoltre mancano completamente colpi di scena. Mi aspettavo che Jo si rivelasse dalla parte dei cattivi, ed invece no. Ci si aspetta sempre ad ogni passo che qualcuno tradisca. Per ora neanche questo. I buoni sono tutti da una parte, e lottano contro i cattivi, ogni volta diversi. Ma non prende, non coinvolge, non ha nessun aspetto che attira (ambiente, finanza, risorse, nulla di nulla). È solo un serial book, ben scritto ma dal respiro corto. E con quella tara che continua a colpire i romanzi di avventura: perché intitolare “Vendetta di sangue” un libro il cui titolo originale era “Circolo vizioso”? Qualcuno prima o poi avrà la bontà di spiegarmelo. Magari attendendo di scoprire cosa vedremo nel terzo episodio.
Wilbur Smith & Tom Cain “La notte del predatore” Longanesi s.p. (regalo natalizio di Otto)
[A: 25/12/2016– I: 24/03/2017 – T: 27/03/2017] - & e ½   
[tit. or.: Predator; ling. or.: inglese; pagine: 483; anno 2016]
Non mi è per nulla piaciuto. Non mi è piaciuto il titolo. Non mi è piaciuto lo svolgimento. Sono anche poco convinto del finale. Tuttavia sono contento di averlo ricevuto in regalo, cosa che mi ha consentito di colmare una lacuna, e di comprendere che questa tipologia di avventura per me è solo meramente estiva. Poiché tuttavia è un regalo ho cercato di leggerlo prima possibile, insieme agli altri due libri della trilogia. Spero di avviarmi presto ad un quarto così da poter pubblicare quanto prima questi commenti. Tornando al libro, notiamo anche che, come il mio amato Cussler, Smith si avvia alla costituzione di una factory, facendosi aiutare in questa avventura dal giovane autore inglese Tom Cain, specializzato in “serial book”. Intanto il titolo, che non si capisce perché si stata aggiunta “La notte” al diretto titolo inglese “Predatore”. Non aggiunge nulla, se non il solito tentativo di rendere appetibile un libro che di per sé aveva già i crismi della buona riuscita editoriale. Lo svolgimento, poi, ricalca, in grande linee, quello delle precedenti avventure. Il protagonista Hector “Heck” Cross si trova invischiato in grossi guai perché qualcuno delle persone cui ha pestato i piedi vuole vendicarsi. Ci sono donne di mezzo, ed in genere finiscono male (o abbastanza male). Alla fine Heck riesce se non a vincere almeno a indirizzarsi verso una possibile vittoria. Peccato che qualche cattivo rimanga ancora in piedi, tanto da poter ipotizzare una nuova puntata (e qui mi sa che c’è il tocco di Cain). Inoltre, con pervicacia degna di miglior causa, le prime cento pagine dilatano a dismisura le ultime tre del romanzo precedente. Dove, ricordo, Cross aveva sconfitto ed ucciso il cattivo Carl, sconfitto e consegnato alla giustizia l’altrettanto cattivo Congo, e si stava godendo un meritato riposo con la sua nuova fiamma Jo. In quelle ultime pagine, veniamo a sapere che Congo evade dalla cella della morte, e Jo, capendo che Cross non avrà pace fino a che non si farà giustizia, pensa bene di lasciarlo e tornare nello studio di avvocati che gestisce il Trust Fund della famiglia Bannock-Cross. Ora, in queste cento pagine, ci viene spiegato per filo e per segno come Congo, aiutato dall’avocato Weiss, ma soprattutto da Brown jr., il fratello di quell’Aleutin ucciso da Heck nel libro precedente. Quest’ultimo è trafficante ma dalla parvenza esteriore di onestà (un padrino di alta levatura) e riesce nell’intento. Congo si rifugia in Venezuela, dove Cross lo rintraccia, dove tenta di acciuffarlo ma fallisce (ogni tanto una battuta a vuoto per non far finire subito il libro). Ma Congo non sta con le mani in mano. Approfitta della sconsiderata (perché con poca copertura di sicurezza) apertura di un pozzo petrolifero da parte della Bannock al largo dell’Angola, per allearsi con il tristo Da Cunha, politico che propugna l’indipendenza della regione (unico dato rilevante, che Cabinda è realmente una exclave angolana, tutta fondata sul petrolio; e se non sapete cos’è una exclave, chiedetemi pure). Qui si apre anche una parentesi finanziaria che ho capito poco, dove un finanziere d’assalto si allea con Congo, e con Weiss, per sfruttare il possibile crollo della Bannock. Intanto Weiss compera anche il trust Bannock, dove però è tornata Jo, che ne scopre le mire. Ovvio che Jo ci lascia le penne, uccisa da dei sicari. Heck si incazza di brutto, anche perché nel frattempo Congo riesce a far saltare in aria il pozzo, provocando il crollo definitivo della Bannock. Con qualche uscita laterale, aiutato da dei Ranger del Texas, Heck riesce tuttavia a mettere all’angolo sia Weiss che il finanziere. Intanto, sbuca fuori la sorella di Nasty (vedi libro precedente), Zenja, di cui ci si narra la storia (poco rilevante) e che diventa la nuova fiamma di Heck, nonostante i 15 anni di differenza. Ma Nasty e Zenja non stanno con le mani in mano, si intrufolano nell’entourage di Da Cunha, rivelando a Heck i piani per la rivolta in Cabinda. Nel convulso finale, finalmente, le forze dei buoni assaltano la nave di Da Cunha, lo arrestano e Heck, altrettanto finalmente, uccide anche Congo. Per tornare, contento anche se molto più povero di quando ha cominciato, alla sua amata figlia Cathy. Perché anche il finale è poco convincente? Perché Heck si mette con una nuova donna, e tutte le donne che gli sono state intorno hanno fatto una brutta fine. Cayla, la figlia di Hazel, nel primo libro, uccisa da terroristi arabi (che Heck uccide). Hazel, nel secondo libro, uccisa da Aleutin (anche lui ucciso da Heck). Jo, che muore qui, uccisa da scherani di Brown jr., che purtroppo è l’unico che rimane in vita. Quindi, nel prossimo episodio, se ci sarà, dovremmo vedere: la nuova ascesa di Heck, che farà risorgere la Bannock dalle ceneri cui è sprofondata, la ricerca di Brown jr. per ucciderlo, e la possibile triste fine di Zenja (a meno che non cambi un po’ il registro, come speriamo). Fortunatamente, e qui un mezzo libricino in più, ci siamo tolti di mezzi gli arabi cattivi, e ipotizziamo dovremo smetterla anche con gli africani corrotti. Forse la nuova idea sarà di mettere mano a qualche sudamericano poco affidabile? Non so se lo vedremo, perché l’unico motivo per leggere questi libri è stata la curiosità, non certo l’intreccio, la storia o altri elementi che fanno i un libro un elemento gradevole con cui stare in compagnia. Però non manco, anche in finale, di ringraziare Otto che mi permette di sfogare così la mia cattiveria.
Wilbur Smith “Il Dio del deserto” TEA euro 7,50
[A: 05/07/2016– I: 08/04/2017 – T: 11/04/2017] - & e ½   
[tit. or.: Desert God; ling. or.: inglese; pagine: 491; anno 2014]
L’avevo comperato sull’onda del ciclo egizio di Smith, dove la pubblicità ne elogiava i rimandi ed i collegamenti. L’ho letto in anticipo sul mio piano di lettura, perché volevo completare un quartetto “smithiano”, dato che della trilogia di Cross non credo leggerò altro, se e quando uscirà. Ed ho fatto bene, che questo mette una pietra tombale anche sul ciclo egizio. Illeggibile e scollegato! Capisco che lo stile di Smith è scrivere qualcosa usando personaggi delle sue serie. Ma almeno in Hector Cross c’è una sequenzialità, come insegnano i seriali moderni. E credo che nelle sue serie maggiori (quella dei Courtney e dei Ballantyne, che prima o poi leggerò, ma senza fretta) ci sia comunque un minimo di attenzione. Qui siamo alla confusione totale. Intanto, dal precedente libro della serie sapevamo che: 1. l’Alto e il Basso Egitto erano stati riunificati e 2. Taita, l’eroe della saga, dopo una visita in India, viene operato e ritrova la virilità. Allora Smith fa un salto doppio all’indietro, e ci riporta a poco dopo la morte della regina Lostris, il grande e non consumato amore di Taita, con il Faraone Tamose ancora vivo, e con due sorelle, Tehuti e Bakatha, ma non abbiamo notizia invece del figlio che aveva nell’episodio numero 3, il famoso Nefer, quello che riunificherà l’Egitto. Ovviamente, Taita è ancora eunuco, ed altrettanto ovviamente, cerca con le sue arti diplomatiche, di vincere la guerra contro gli hyksos. Altrettanto incongruentemente, riposiziona la geografia dell’epoca, collocando sugli altri vertici del potere mondiale Nimrod, il re babilonese, ed il Supremo Minosse di Creta (l’isola del Minotauro e del Labirinto, di antichissima ed epica memoria). Quindi Taita cerca di trovare il modo di stringere alleanze a tre contro i cattivissimi hyksos. Per fare ciò si inventa una strategia lunga e complicata: i cretesi avevano fatto un patto di non belligeranza con gli hyksos, mettendo un avamposto dalle parti del delta del Nilo, con soldati e tanto, tanto argento. Taita arma una nutrita legione con la quale assalta i cretesi vestiti da hyksos, ruba l’argento ma lascia vivi i cretesi che possano dire di essere stati assaliti dagli hyksos, risale il Nilo con le barche cretesi e l’argento, ed attraversando Menfi si scontra con gli hyksos e ne uccide il capo. Una volta salvi a Tebe, decide di dare le due ragazze in sposa al cretese, passando per Babilonia, dove pensa di coinvolgere Nimrod con promesse e soldi. Ma Babilonia è senza risorse (spese per i giardini pensili), e viene salvata da Taita con il suo argento. Poi finalmente arrivano a Creta, le due ragazze vanno spose al Minosse di Creta. Ma Creta è un regno lussurioso, capaci di grandi navigatori e di grandi barche, ma oppresso da un re che pensa solo al sesso, e da un vulcano che ogni tanto esplode e per calmarlo, ovvio, si pensa solo a sacrificare vergini. Così mentre con la flotta cretese, Taita ed i suoi sbaragliano un altro po’ di hyksos, ma senza dare il colpo finale, le ire del vulcano devono essere placate dal sacrificio di Tehuti e Bakatha. Che però vengono all’ultimo salvate da Taita, e da due dei suoi comandanti (oltre alla bravura di Tehuti con la spada). Ovvio anche che i due comandanti sono innamorati delle due. Alla fine, Taita e le sue legioni tornano vittoriose a Tebe, mentre le ragazze e i due guerrieri migrano verso il Nord. Ma non c’è una riga di nuovo sotto il sole. Taita è bravo, è il migliore, non sbaglia un colpo (e non muore nessuno dei suoi, incredibile!). Il suo amico Zaras è ferito quasi a morte e lui lo salva con una temeraria operazione. Sa parlare tutte le lingue note. Mette al suo posto Nimrod, ed altrettanto farà con Minosse. Smith infarcisce tutto poi con leggende raccogliticce e decontestualizzate. Tanto per fare degli esempi: le invasioni degli Hyksos, che servirono da passaggio tra il Medio ed il Nuovo Regno egizio sono intorno al 1600 a.C.; la tremenda esplosione vulcanica di Santorini, che coinvolse e distrusse molte città cretesi, è del 1450 a.C.; addirittura i giardini pensili sono del 600 a.C. (se non si vuole da credito alla leggenda che li fa risalire a Semiramide ed alla costruzione di Babele). Poi ci sono gli altri “classici” della scrittura di Smith, anche qui senza variazioni: ragazze belle che girano nude o quasi, che si innamorano con amori contrastati, ma dove o vince l’amore o muoiono, guerrieri audaci, battaglie. Purtroppo pochi paesaggi, che erano una caratteristica del bello scrivere. Infine, dove sta, in queste pagine, il famoso “Dio del Deserto”? Certo, Taita ed i suoi attraversano la penisola arabica per andare da Tebe a Ninive, hanno scontri con predoni (ma ne avranno anche in mare, ovviamente, con i “Predoni del Mare”). Ma non ho trovato nessun cenno al Dio, se non (ma non è certo del deserto) la ribadita più volte fede e devozione di Taita ad Horus (che è più e meglio degli dei assiri o cretesi). Boh! Mi sono perso qualcosa, o forse lo ha fatto Smith. Comunque, questo è l’ultimo libro della saga egizia che leggerò. E non capisco come faccia l’autore ad essere non solo prolifico alla bella età di 85 anni, ma anche comperato e letto. Mistero!
“Mi ritrovai incantato da quel paesaggio brullo e tetro ma al contempo di una bellezza indimenticabile… costituito da un’infinità di dune, cangianti come le onde di un mare tranquillo.” [ah, il mio deserto…] (178)
“Alcuni uomini, per quante cose si vedano offrire, cercano sempre di ottenere di più.” (304)
Con questa trama, credo si chiuda anche il ciclo pre-vacanziero, che si stanno organizzando le prossime settimane verso il più fresco Nord Europa, dopo il caldo omanita e l’umidità romana. Ciò non toglie che si continuerà a leggere e scrivere, magari riprendendo queste fila nel più riposante settembre. Mentre vi saluto, lancio un pensiero di biasimo alla fino ad ora ottima libreria di anobii, che con il nuovo look messo in onda è diventata inguardabile. Speriamo in qualcosa di meglio.

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