Dopo gli ottimi saggi della
settimana scorsa, ecco che passiamo a qualcosa di tipicamente estivo. Avventure
alla massima potenza, almeno in prospettiva. Visto che Cussler latita, ecco
allora che riprendo il meno amato (da me) Smith. Con la trilogia di Cross ed
una ripresa della serie egizia. Continua comunque ad essere di molto inferiore
alle attese, attestandosi su un giudizio complessivo tra 1 e 2 libretti. In
vero, un po’ poco. Chissà se le serie maggiori…
Wilbur Smith “La legge del deserto” TEA euro 12 (in realtà, scontato a
7,80 euro)
[A: 26/01/2017– I: 06/03/2017 – T: 08/03/2017] - &&
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[tit. or.: Those in Peril; ling. or.: inglese; pagine: 464;
anno 2011]
Poiché la mia
ottima amichetta Otto mi ha regalato per Natale un libro di Smith che tuttavia
è il terzo volume della trilogia dedicata ad Hector Cross, e volendo, come ho
deciso in uno dei caposaldi del mio leggere, anticipare i libri regalati per
poter dare un ritorno a chi mi ha con tanto amore omaggiato, ho comprato i
primi due volumi e cominciato a leggere questo che, per l’appunto, è il debutto
della saga di Cross. Come sapete, Smith è uno dei due “grandi” dell’avventura,
l’altro essendo il mio preferito Cussler. Ho letto e commentato di Smith i
primi quattro volumi dedicati all’Egitto, che, ricorderete forse, mi hanno
convinto in parte. Alcuni spunti, più sesso di Cussler (almeno più descritto),
ma spesso cadute di ritmo ed altri spunti poco significativi. Pensavo che,
passando dall’Egitto alla modernità (prima o poi mi dedicherò anche al recupero
del corpo principale di Smith, dedicata ai Courtney ed ai Ballantyne), potesse
scattare qualche meccanismo migliorativo. Invece… si è rischiato poco di cadere
nel precipizio. Certo, in alcuni punti anche qui c’è ritmo. Ma non c’è
suspense. Fin da subito vediamo i buoni contro i cattivi, lotta che continuerà
per tutto il libro. Dove si spera che ci siano colpi di scena, che si
rimescolino le carte tra buoni e cattivi. Ma no. Tutti sono congelati nel loro
ruolo. Con alla fine (anticipo, ma è ovvio, altrimenti non sarebbero stati
scritti altri due libri) tutti i cattivi che hanno la peggio, ed almeno Cross e
qualche altro buono che vince. Il tutto comunque sembra servire più che altro a
tratteggiare il nostro eroe, a dotarlo di una vita, prima e dopo dell’incontro
con noi. Chi è allora Cross? Hector Cross detto Heck è un ex-SAS (Servizi Aerei
Speciali) che dopo aver fatto diverse guerre mediorientali (anche da
infiltrato, tanto che parla arabo come un egiziano nativo), a seguito di uno
scontro in Afghanistan dove uccide tre persone che, probabilmente, stavano per
fare un attentato. Non coperto dalle autorità militari, decide che ne ha abbastanza
dei soldati, si mette in proprio e fonda una società di security di immediato
successo. Tanto che ben presto ha l’incarico prestigioso di provvedere alla
sicurezza dei pozzi petroliferi della Bannock Oil. Dove, nel corso di poco
tempo, sventa due attentati alla società stessa. È un rude, che spara prima di
pensare, ma poi si ferma, elabora, e riesce sempre a triar fuori piani
miracolosi di attacco o di salvataggio. La Bannock, fondata dal compianto
Henry, è ora guidata dalla giovane vedova Hazel, ex-tennista vincitrice di un
grande slam. Che entra subito in conflitto con Heck, essendo una persona più
dotata a vedere il buono che il cattivo. Anche se, capiamo presto, è un lupo
della finanza. Ovvio anche, che, dopo alcune scaramucce, i due si conosceranno
meglio, e daranno vita ad alcune di quelle scene che a Smith sembrano piacere
molto. Questo anche perché Hazel chiede aiuto ad Heck quando viene sequestrata
da terroristi somali la figlia Cayla. Qui scopriamo che il sequestro, oltre ai
beni di Hazel, punta proprio a Heck, che nelle tre operazioni menzionate ha
ucciso tre figli dello sceicco Tippu Tip. Ed ora il nipote dello sceicco, il
perfido Adam, ha organizzato tutto un casino per avere la testa del nostro. Si
è finto innamorato di Cayla, l’ha rapita e portata nel Puntland (regione
autonoma della Somalia, dall’altre parte dello stretto di Aden, confinante
quasi con Gibuti). Cross e Hazel organizzano una battuta di salvataggio che
occupa i primi due terzi del libro. Si organizza, si assiste allo schieramento
delle forze (Amad ed il rinnegato Uthman tra i cattivi, Heck, Paddy e l’arabo
Tariq tra i buoni). Buoni che librano Cayla, tentano la fuga in elicottero,
abbattuto da un lanciarazzi di Uthman. Provano con una nave verso la costa,
distrutta da Kamal, zio di Amad. Ed alla fine riescono a fuggire verso
l’Etiopia, salvati da Paddy e le sue forze di terra. Qui si apre un inciso dove
Heck e Hazel si sposano, Heck diventa il numero due della Bannock ed altre
amenità. Ma gli scontri non sono finiti. Che Adam, morto il nonno Tippu Tip,
decide (e passano almeno uno o due anni) una nuova offensiva. Uccide e decapita
prima la madre di Hazel, poi la stessa Cayla. A questo punto Heck si “incazza”
di brutto e decide di attaccare e distruggere Adam (che aveva anche ucciso la
moglie ed il figlio di Tariq). Organizza (e non vi dico come che sarebbe
tedioso) un grande assalto alla roccaforte dei cattivi. Dove alla fine lui
ucciderà Uthman e Hazel giustizierà Adam applicando la legge della sharia “una
vita per una vita”. La mesta storia si chiude con Hazel che vuole un figlio da
Heck. Ripeto, le scene di guerra movimentate sono ben orchestrate, ma il tutto
è pervaso da un filo di anti-islamismo mascherato da anti-terrorismo. Molti dei
cattivi sono invasati tipo ISIS, ed uccidono decapitando i prigionieri, in
scene cruente. Heck è anche lui un filo reazionario, e come detto, prima spara
e poi pensa. Infine, non si capisce perché “Quelli in Pericolo” diventi “La
legge del deserto”. Misteri del marketing italiano. Personalmente, non vedo
figure positive nella storia, come invece spesso in Cussler, anche in quelle
meno ambientaliste tipo la serie “OREGON”. Tra l’altro, benché in una zona
calda, il Puntland da anni sta cercando di lavorare attivamente contro la
pirateria delle coste somale, mentre qui è descritto come un territorio usato
solo da bande di arabi assetati di sangue. Non solo, ma collegati (si capisce
solo all’inizio, poi si cerca di passare sotto silenzio) nella mente di Smith
alle forze siriane (Uthman chiede aiuto al cugino a Damasco per entrare in
contatto con Adam). E non mi sembra di poter condividere il giudizio dato da
alcuni che sia “una bella storia di sesso, violenza e caos, con qualche buona
risata”. Non ho mai riso, c’è violenza e caos, c’è sesso ma poco coinvolgente.
Spero che le prossime avventure di Cross migliorino.
Wilbur Smith “Vendetta di sangue” TEA euro 12 (in realtà, scontato a 4,80
euro)
[A: 26/01/2017– I: 10/03/2017 – T: 13/03/2017] - &&
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[tit. or.: Vicious Circle; ling. or.: inglese; pagine: 510;
anno 2013]
Purtroppo le
speranze espresse alla fine del primo volume della trilogia di Cross si sono,
per ora, rivelate infondate. Questo secondo volume si mantiene sulla falsariga
dello scarso coinvolgimento emotivo del lettore, ribadendo i punti che, secondo
Smith, erano gli elementi forti del primo volume. Dispiace dirlo, ma la
violenza e il caos aumentano, il sesso rimane al livello che ci si aspetta dai
libri dello scrittore ex-rhodesiano, e le punte di buon umore, i sorrisi come
diceva Smith, non si vedono proprio. Certo, cambia leggermente il registro, che
almeno si abbandonano per queste cinquecento pagine gli anatemi anti-islamici,
anche se ben coperti dalle grida anti-terrorismo ed anti-ISIS. Quello che
rimane in Smith è comunque un forte spirito diciamo critico nei confronti dei
paesi africani, di certo mutuato dalla sua esperienza giovanile nella natia
Rhodesia del Nord, oggi Zambia. È certo anche che, secondo quanto lui disse in
un’intervista, si allontanò dal territorio africano ai tempi di Ian Smith (e
dell’apartheid) essendone fortemente critico al riguardo. Quello che compare in
alcune parti di questo libro è comunque un sentimento grandemente critico verso
tutti gli stati e staterelli africani, con i loro dittatori ed altre magagne
(non a caso, in alcune parti i cattivi sembrano una caricatura di Mugabe, per
la parte “buona”, e di Ida Amin, per la parte cattiva). Intanto la storia si
riapre che Hazel è incinta, quasi partoriente. E subito si precipita nel
baratro. Qualcuno uccide Hazel che però riesce a partorire la piccola Catherine
Cayla. Heck, ovviamente a pezzi, cerca di capire se qualche propaggine della
stirpe di Tippu Tip cerca ancora vendetta. Ovviamente no, altrimenti sarebbe
una ripetizione. Anzi, l’unico rimasto è un imam talmente buono che convince
Tariq ad andare con lui. Tolti di mezzo gli arabi, chi ci rimane? A questo
punto Heck ed i suoi (notoriamente Paddy e Nasty, la sua donna russa) si danno
da fare. Ma non arriveranno a nulla se non si mettesse in mezzo lo studio di avvocati
che gestisce l’immenso fondo della famiglia Bannock. Dopo svariate inutili
pagine, arriviamo al cuore del problema. Jo, la segretaria dello studio, si
presenta ad Heck con una documentazione sulla storia della famiglia Bannock.
Ovvio che Jo sia una bella donna, e, visto che Hazel nel testamento ha detto ad
Heck di non restare chiuso nel lutto, i due presto finiranno a letto. Con un
accordo che sembra buono, tanto che anche la piccola Cathy accoglie la nuova
donna di “baba”. Jo ha portato un lungo scritto che ripercorre tutta la storia
della famiglia. Qui abbiamo almeno duecento pagine di un altro libro: la storia
dei Bannock. Il capostipite Henry (il defunto marito di Hazel) aveva messo su
un impero economico, ma all’inizio aveva mosso i primi passi sposando un
ex-ballerina tedesca, Marlene, che aveva un figlio di primo letto, tal Carl (il
cui vero padre era un ex-gerarca nazista). Henry adotta Carl, poi Marlene gli
dà una figlia, Sasha. Ma Carl è un vero porco, e seduce e stupra la
sorellastra, tanto da stravolgerle la mente. Nessuno se ne accorge, e Marlene
ha una seconda figlia Byroni. Sarà quest’ultima che, empatica con la sorella
pazza, prima scoprirà gli stupri di Carl, poi ne subirà a sua volta gli
attacchi sessuali. Ma lei reagisce, fa arrestare Carl. E noi ci dobbiamo subire
il lungo processo, dove Henry (a causa del fondo che aveva istituito ed in base
alle regole da lui stabilite) deve pagare sia la difesa che l’accusa. Alla
fine, grazie a Byroni, Carl è condannato a 15 anni di carcere. Lì, dopo aver
subito anche lui iniziali violenze, trova il modo di sfruttare la sua immensa
ricchezza, alleandosi con il più cattivo di tutti, tal Johnny Congo. Con i suoi
soldi e con le conoscenze di Congo, mette su, pur dal carcere, una banda di efferati
assassini, che provvedono ad uccidere, con grandi torture, prima Marlene, poi
Sasha ed infine Byroni (in un modo talmente schifoso che neanche ve ne parlo).
Poi, fanno arrivare il video con queste nefandezze a Henry, cui prende un
infarto secco. Mentre poi si svolgono gli avvenimenti del primo volume, Carl
esce dal carcere avendo scontato la pena, fa evadere Johnny (sul quale pendeva
una condanna a morte in quanto pluriomicida) ed insieme mettono su un piccolo
esercito ed invadono diventando i re il piccolo stato fittizio di Kazandu. Uno
stato irreale, posto tra il Congo ed il lago Tanganika. Da lì continuano le
loro nefandezze sessuali, ed organizzano, riuscendovi, l’assassinio di Hazel. Se
pensate che Heck si incazzi sbagliate per difetto. Molto di più. Ovvio che
organizza, con l’aiuto della sua squadra di sicurezza e con le dritte che gli
dà la sua nuova amante Jo, una contro-rivoluzione in Kazandu per andare a
prendere i due cattivoni. Johnny viene preso e portato via, Carl viene preso e
Heck si vendica lasciandolo cadere nella fossa della reggia di Kazandu, dove
vivono due coccodrilli che, come ovvio, ne fanno scempio. Il nostro vorrebbe
uccidere anche Johnny, ma Jo, che non ha apprezzato tutta questa violenza, gli
chiede di consegnarlo alla giustizia americana. Cosa che il nostro fa per
amore. Peccato che prima di essere giustiziato, Johnny evade. A questo punto
Hector sa che dovrà dargli la caccia, e Jo capisce che la violenza non avrà
fine. Mentre finisce il libro con i due che si lasciano e con la promessa di
Heck di non dare quartiere al cattivo. Insomma tutto fila liscio, si fa per
dire, a parte che anche qui sembra ci siano due libri in uno. C’è realmente
l’incapacità di trovare un giusto equilibrio tra violenza e reazione alla
stessa. Inoltre mancano completamente colpi di scena. Mi aspettavo che Jo si
rivelasse dalla parte dei cattivi, ed invece no. Ci si aspetta sempre ad ogni
passo che qualcuno tradisca. Per ora neanche questo. I buoni sono tutti da una
parte, e lottano contro i cattivi, ogni volta diversi. Ma non prende, non
coinvolge, non ha nessun aspetto che attira (ambiente, finanza, risorse, nulla
di nulla). È solo un serial book, ben scritto ma dal respiro corto. E con
quella tara che continua a colpire i romanzi di avventura: perché intitolare “Vendetta
di sangue” un libro il cui titolo originale era “Circolo vizioso”? Qualcuno
prima o poi avrà la bontà di spiegarmelo. Magari attendendo di scoprire cosa
vedremo nel terzo episodio.
Wilbur Smith & Tom Cain “La notte del predatore” Longanesi s.p. (regalo
natalizio di Otto)
[A: 25/12/2016– I: 24/03/2017 – T: 27/03/2017] - & e ½
[tit. or.: Predator; ling. or.: inglese; pagine: 483; anno 2016]
Non
mi è per nulla piaciuto. Non mi è piaciuto il titolo. Non mi è piaciuto lo
svolgimento. Sono anche poco convinto del finale. Tuttavia sono contento di
averlo ricevuto in regalo, cosa che mi ha consentito di colmare una lacuna, e
di comprendere che questa tipologia di avventura per me è solo meramente
estiva. Poiché tuttavia è un regalo ho cercato di leggerlo prima possibile,
insieme agli altri due libri della trilogia. Spero di avviarmi presto ad un
quarto così da poter pubblicare quanto prima questi commenti. Tornando al
libro, notiamo anche che, come il mio amato Cussler, Smith si avvia alla
costituzione di una factory, facendosi aiutare in questa avventura dal giovane
autore inglese Tom Cain, specializzato in “serial book”. Intanto il titolo, che
non si capisce perché si stata aggiunta “La notte” al diretto titolo inglese
“Predatore”. Non aggiunge nulla, se non il solito tentativo di rendere
appetibile un libro che di per sé aveva già i crismi della buona riuscita
editoriale. Lo svolgimento, poi, ricalca, in grande linee, quello delle
precedenti avventure. Il protagonista Hector “Heck” Cross si trova invischiato
in grossi guai perché qualcuno delle persone cui ha pestato i piedi vuole
vendicarsi. Ci sono donne di mezzo, ed in genere finiscono male (o abbastanza
male). Alla fine Heck riesce se non a vincere almeno a indirizzarsi verso una
possibile vittoria. Peccato che qualche cattivo rimanga ancora in piedi, tanto
da poter ipotizzare una nuova puntata (e qui mi sa che c’è il tocco di Cain).
Inoltre, con pervicacia degna di miglior causa, le prime cento pagine dilatano
a dismisura le ultime tre del romanzo precedente. Dove, ricordo, Cross aveva
sconfitto ed ucciso il cattivo Carl, sconfitto e consegnato alla giustizia
l’altrettanto cattivo Congo, e si stava godendo un meritato riposo con la sua
nuova fiamma Jo. In quelle ultime pagine, veniamo a sapere che Congo evade
dalla cella della morte, e Jo, capendo che Cross non avrà pace fino a che non
si farà giustizia, pensa bene di lasciarlo e tornare nello studio di avvocati
che gestisce il Trust Fund della famiglia Bannock-Cross. Ora, in queste cento
pagine, ci viene spiegato per filo e per segno come Congo, aiutato dall’avocato
Weiss, ma soprattutto da Brown jr., il fratello di quell’Aleutin ucciso da Heck
nel libro precedente. Quest’ultimo è trafficante ma dalla parvenza esteriore di
onestà (un padrino di alta levatura) e riesce nell’intento. Congo si rifugia in
Venezuela, dove Cross lo rintraccia, dove tenta di acciuffarlo ma fallisce
(ogni tanto una battuta a vuoto per non far finire subito il libro). Ma Congo
non sta con le mani in mano. Approfitta della sconsiderata (perché con poca
copertura di sicurezza) apertura di un pozzo petrolifero da parte della Bannock
al largo dell’Angola, per allearsi con il tristo Da Cunha, politico che
propugna l’indipendenza della regione (unico dato rilevante, che Cabinda è realmente
una exclave angolana, tutta fondata sul petrolio; e se non sapete cos’è una
exclave, chiedetemi pure). Qui si apre anche una parentesi finanziaria che ho
capito poco, dove un finanziere d’assalto si allea con Congo, e con Weiss, per
sfruttare il possibile crollo della Bannock. Intanto Weiss compera anche il
trust Bannock, dove però è tornata Jo, che ne scopre le mire. Ovvio che Jo ci
lascia le penne, uccisa da dei sicari. Heck si incazza di brutto, anche perché
nel frattempo Congo riesce a far saltare in aria il pozzo, provocando il crollo
definitivo della Bannock. Con qualche uscita laterale, aiutato da dei Ranger
del Texas, Heck riesce tuttavia a mettere all’angolo sia Weiss che il
finanziere. Intanto, sbuca fuori la sorella di Nasty (vedi libro precedente),
Zenja, di cui ci si narra la storia (poco rilevante) e che diventa la nuova
fiamma di Heck, nonostante i 15 anni di differenza. Ma Nasty e Zenja non stanno
con le mani in mano, si intrufolano nell’entourage di Da Cunha, rivelando a
Heck i piani per la rivolta in Cabinda. Nel convulso finale, finalmente, le
forze dei buoni assaltano la nave di Da Cunha, lo arrestano e Heck, altrettanto
finalmente, uccide anche Congo. Per tornare, contento anche se molto più povero
di quando ha cominciato, alla sua amata figlia Cathy. Perché anche il finale è
poco convincente? Perché Heck si mette con una nuova donna, e tutte le donne
che gli sono state intorno hanno fatto una brutta fine. Cayla, la figlia di
Hazel, nel primo libro, uccisa da terroristi arabi (che Heck uccide). Hazel, nel
secondo libro, uccisa da Aleutin (anche lui ucciso da Heck). Jo, che muore qui,
uccisa da scherani di Brown jr., che purtroppo è l’unico che rimane in vita.
Quindi, nel prossimo episodio, se ci sarà, dovremmo vedere: la nuova ascesa di
Heck, che farà risorgere la Bannock dalle ceneri cui è sprofondata, la ricerca
di Brown jr. per ucciderlo, e la possibile triste fine di Zenja (a meno che non
cambi un po’ il registro, come speriamo). Fortunatamente, e qui un mezzo
libricino in più, ci siamo tolti di mezzi gli arabi cattivi, e ipotizziamo
dovremo smetterla anche con gli africani corrotti. Forse la nuova idea sarà di
mettere mano a qualche sudamericano poco affidabile? Non so se lo vedremo,
perché l’unico motivo per leggere questi libri è stata la curiosità, non certo
l’intreccio, la storia o altri elementi che fanno i un libro un elemento
gradevole con cui stare in compagnia. Però non manco, anche in finale, di
ringraziare Otto che mi permette di sfogare così la mia cattiveria.
Wilbur Smith “Il Dio del deserto” TEA euro 7,50
[A: 05/07/2016– I: 08/04/2017 – T: 11/04/2017] - & e ½
[tit. or.: Desert God; ling. or.: inglese; pagine: 491; anno 2014]
L’avevo
comperato sull’onda del ciclo egizio di Smith, dove la pubblicità ne elogiava i
rimandi ed i collegamenti. L’ho letto in anticipo sul mio piano di lettura,
perché volevo completare un quartetto “smithiano”, dato che della trilogia di
Cross non credo leggerò altro, se e quando uscirà. Ed ho fatto bene, che questo
mette una pietra tombale anche sul ciclo egizio. Illeggibile e scollegato!
Capisco che lo stile di Smith è scrivere qualcosa usando personaggi delle sue
serie. Ma almeno in Hector Cross c’è una sequenzialità, come insegnano i
seriali moderni. E credo che nelle sue serie maggiori (quella dei Courtney e
dei Ballantyne, che prima o poi leggerò, ma senza fretta) ci sia comunque un
minimo di attenzione. Qui siamo alla confusione totale. Intanto, dal precedente
libro della serie sapevamo che: 1. l’Alto e il Basso Egitto erano stati
riunificati e 2. Taita, l’eroe della saga, dopo una visita in India, viene
operato e ritrova la virilità. Allora Smith fa un salto doppio all’indietro, e
ci riporta a poco dopo la morte della regina Lostris, il grande e non consumato
amore di Taita, con il Faraone Tamose ancora vivo, e con due sorelle, Tehuti e
Bakatha, ma non abbiamo notizia invece del figlio che aveva nell’episodio
numero 3, il famoso Nefer, quello che riunificherà l’Egitto. Ovviamente, Taita
è ancora eunuco, ed altrettanto ovviamente, cerca con le sue arti diplomatiche,
di vincere la guerra contro gli hyksos. Altrettanto incongruentemente,
riposiziona la geografia dell’epoca, collocando sugli altri vertici del potere
mondiale Nimrod, il re babilonese, ed il Supremo Minosse di Creta (l’isola del
Minotauro e del Labirinto, di antichissima ed epica memoria). Quindi Taita
cerca di trovare il modo di stringere alleanze a tre contro i cattivissimi
hyksos. Per fare ciò si inventa una strategia lunga e complicata: i cretesi
avevano fatto un patto di non belligeranza con gli hyksos, mettendo un
avamposto dalle parti del delta del Nilo, con soldati e tanto, tanto argento.
Taita arma una nutrita legione con la quale assalta i cretesi vestiti da
hyksos, ruba l’argento ma lascia vivi i cretesi che possano dire di essere
stati assaliti dagli hyksos, risale il Nilo con le barche cretesi e l’argento,
ed attraversando Menfi si scontra con gli hyksos e ne uccide il capo. Una volta
salvi a Tebe, decide di dare le due ragazze in sposa al cretese, passando per
Babilonia, dove pensa di coinvolgere Nimrod con promesse e soldi. Ma Babilonia
è senza risorse (spese per i giardini pensili), e viene salvata da Taita con il
suo argento. Poi finalmente arrivano a Creta, le due ragazze vanno spose al
Minosse di Creta. Ma Creta è un regno lussurioso, capaci di grandi navigatori e
di grandi barche, ma oppresso da un re che pensa solo al sesso, e da un vulcano
che ogni tanto esplode e per calmarlo, ovvio, si pensa solo a sacrificare
vergini. Così mentre con la flotta cretese, Taita ed i suoi sbaragliano un
altro po’ di hyksos, ma senza dare il colpo finale, le ire del vulcano devono
essere placate dal sacrificio di Tehuti e Bakatha. Che però vengono all’ultimo
salvate da Taita, e da due dei suoi comandanti (oltre alla bravura di Tehuti
con la spada). Ovvio anche che i due comandanti sono innamorati delle due. Alla
fine, Taita e le sue legioni tornano vittoriose a Tebe, mentre le ragazze e i
due guerrieri migrano verso il Nord. Ma non c’è una riga di nuovo sotto il
sole. Taita è bravo, è il migliore, non sbaglia un colpo (e non muore nessuno
dei suoi, incredibile!). Il suo amico Zaras è ferito quasi a morte e lui lo
salva con una temeraria operazione. Sa parlare tutte le lingue note. Mette al
suo posto Nimrod, ed altrettanto farà con Minosse. Smith infarcisce tutto poi
con leggende raccogliticce e decontestualizzate. Tanto per fare degli esempi:
le invasioni degli Hyksos, che servirono da passaggio tra il Medio ed il Nuovo
Regno egizio sono intorno al 1600 a.C.; la tremenda esplosione vulcanica di
Santorini, che coinvolse e distrusse molte città cretesi, è del 1450 a.C.;
addirittura i giardini pensili sono del 600 a.C. (se non si vuole da credito
alla leggenda che li fa risalire a Semiramide ed alla costruzione di Babele).
Poi ci sono gli altri “classici” della scrittura di Smith, anche qui senza
variazioni: ragazze belle che girano nude o quasi, che si innamorano con amori
contrastati, ma dove o vince l’amore o muoiono, guerrieri audaci, battaglie.
Purtroppo pochi paesaggi, che erano una caratteristica del bello scrivere.
Infine, dove sta, in queste pagine, il famoso “Dio del Deserto”? Certo, Taita
ed i suoi attraversano la penisola arabica per andare da Tebe a Ninive, hanno
scontri con predoni (ma ne avranno anche in mare, ovviamente, con i “Predoni
del Mare”). Ma non ho trovato nessun cenno al Dio, se non (ma non è certo del
deserto) la ribadita più volte fede e devozione di Taita ad Horus (che è più e
meglio degli dei assiri o cretesi). Boh! Mi sono perso qualcosa, o forse lo ha
fatto Smith. Comunque, questo è l’ultimo libro della saga egizia che leggerò. E
non capisco come faccia l’autore ad essere non solo prolifico alla bella età di
85 anni, ma anche comperato e letto. Mistero!
“Mi ritrovai incantato da quel paesaggio
brullo e tetro ma al contempo di una bellezza indimenticabile… costituito da
un’infinità di dune, cangianti come le onde di un mare tranquillo.” [ah, il mio
deserto…] (178)
“Alcuni uomini, per quante cose si vedano
offrire, cercano sempre di ottenere di più.” (304)
Con questa trama, credo si chiuda
anche il ciclo pre-vacanziero, che si stanno organizzando le prossime settimane
verso il più fresco Nord Europa, dopo il caldo omanita e l’umidità romana. Ciò non
toglie che si continuerà a leggere e scrivere, magari riprendendo queste fila
nel più riposante settembre. Mentre vi saluto, lancio un pensiero di biasimo
alla fino ad ora ottima libreria di anobii, che con il nuovo look messo in onda
è diventata inguardabile. Speriamo in qualcosa di meglio.
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