E sì, sono ritornato alla
scrittura, prima di quanto fosse previsto per il lutto privato che mi ha
colpito, e da cui, a poco a poco, se ne uscirà. Certamente, se ne esce
riprendendo i propri punti cardinali, l’amore, l’affetto, l’amicizia, ed in
ultimo, la scrittura. Con quattro libri ascrivibili al genere investigativo –
poliziesco – thriller. Nella media i due autori che non conoscevo, l’inglese
Daly ed il francese Bussi. Costante la nuova puntata delle avventure di Harry
Hole. Buona, infine, la ripresa dell’altro giallo norvegese uscito dalla penna
di Anne Holt.
Paula Daly “Da quando sei scomparsa” TEA euro 10 (in realtà, scontato a
8,50 euro)
[A: 02/05/2016– I: 11/06/2017 – T: 13/06/2017] - &&& --
[tit. or.: Just What Kind of Mother Are You?; ling. or.: inglese; pagine: 346; anno 2013]
Una
buona penna d’esordio per la scrittrice inglese che vive in Cambria, e che
quindi potrebbe essere a buon diritto definita gallese. Galles in cui nella
parte interna, denominata “Lake District” si svolge anche la vicenda narrata.
Purtroppo, due elementi immediatamente portano alla diminuzione del gradimento
generale, uno interno ed uno esterno. Il secondo è il solito grande
interrogativo delle motivazioni per cui un titolo appropriato come l’originale
(“Che tipo di madre sei?”) viene bellamente trasposto in una ricerca di persone
scomparse. Che seppur hanno senso per la trama, ritengo che più senso abbia
l’originale. Tanto che, nelle note finali, dopo un ringraziamento ad Oprah
Winfrey da cui l’autrice ha preso lo spunto del romanzo, la stessa Daly
interviene dicendo: “Le donne di oggi … vogliono essere perfette in famiglia e
sul lavoro, a costo di rimetterci la salute e a scapito della relazione con il
partner”. Un’affermazione su cui si potrebbe imbastire un fantozziano dibattito
(solo per fare un sentito omaggio allo scomparso Paolo). Quella interna deriva
dalla scelta dell’autrice di impegnarsi in una trama considerata “gialla” o
“poliziesca”. Mentre lo stesso romanzo, con le dovute caratterizzazioni di
personaggi e situazioni, poteva collocarsi in un ambito non etichettato. E
riuscire altrettanto se non forse meglio. Perché ci sono tutte le
caratteristiche dell’intreccio di una serie di esistenze che si dipanano nella
placida Cambria. C’è Lisa, la madre ansiosa e sempre in ritardo, allevatrice di
cani e gatti, con tre figli a cui non sa dare i resti, ed un marito tassista
con evidenti problemi di stress. C’è Kate, la madre perfetta, organizzata, che
sa sempre cosa fare, cosa dire, dove mettere i fiori, cosa cucinare, con la
perfettina figlia Lucinda ed un marito, Joe, che sembra essersi abbastanza
stufato di tutta questa perfezione. C’è Alexa, la sorella di Kate, arrogante e
competitiva, decisamente fuori luogo nella provincia inglese ed il marito Adam,
belloccio ma succube fino all’annullamento di sé. Sembra una provincia felice,
ma basta un piccolo sassolino e tutto crolla. Il sasso che provoca valanghe
avviene quando Lucinda dovrebbe dormire da Sally, la figlia di Lisa. Che, persa
nei tempi e nei ritardi, se ne dimentica. E tuttavia ritorna ben presto alla
realtà quando si scopre che Lucinda è scomparsa. Non ha dormito da Lisa, pare
sia stata avvicinata da qualcuno all’uscita da scuola. E non è la prima
adolescente che scompare nella zona. Che pare sia infestata da un maniaco che
le rapisce, le violenta e poi le lascia libere. Non è questa la storia di
Lucinda che invece scompare e non riappare. Lisa è distrutta dai sensi di
colpa, cercando di coadiuvare nelle indagini la poliziotta Joanne. Proseguendo
nella scoperta degli altarini, si scopre che tra Lisa e la famiglia di Kate e
Alexa c’era qualcosa in sospeso, visto che qualche anno prima, durante una
festa, Lisa cede alle profferte di Adam. Senza conseguenze particolare (solo
una salutare scopata) ma psicologicamente devastanti. Alexa non perdona Lisa.
Lisa si confida con Kate, ma non ne parla con Joe. Approfittando anche di
momenti di debolezza di tutta la situazione complessiva, Kate tenta (ma forse è
solo un tentativo per farsi vedere) il suicidio ingerendo barbiturici, ma viene
salvata prontamente proprio da Lisa. Intanto Joanne scopre che il marito di
Kate ha una seconda vita, avendo messo in cinta una immigrata forse ucraina, e
meditando di conseguenza di lasciare Kate. Ma mentre Joanne avrà facilità,
anche se senza particolari colpi di scena, a debellare il maniaco, non così
facile sarà capire la sorte di Lucinda. Anche se abbiamo ben presto dei
sospetti, poi degli indizi ed infine delle forti certezze. Sicuramente Alexa,
solo antipatica e mai empatica, non ne esce bene. Sicuramente Lisa e Joe
supereranno il dolore della scopata solitaria. Per il resto, l’unica cosa degna
di nota è il disvelamento finale che lascio a voi esimi ed affamati lettori
estivi. Che un po’ di freddo e nebbie gallesi non fanno che bene. Ribadisco,
tuttavia, la scarsa giallosità del libro, mentre sottolineo che il libro si
sente scritto da una donna che sa parlare delle donne. Le parti migliori sono
per l’appunto le descrizioni piene di sensibilità delle amicizie ed inimicizie
femminili, nonché il rapporto delle donne verso gli uomini. E non è poco. Tanto
che risale di qualche punto rispetto ad un giudizio che stava scivolando verso
l’insufficienza piena.
Michel Bussi “Nymphéas Noirs” Pocket s.p. (regalo di Alessandra)
[A: 15/08/2015 – I: 17/08/2017 – T: 19/08/2017] - &&&
+
[tit. or.: originale; ling. or.: francese; pagine: 493;
anno 2011]
Ancora un libro “da viaggio”, che
si era in giro per il Benelux, dove non trovando autori lussemburghesi degni di
nota né essendo io troppo portato per l’olandese, ripieghiamo, come ricordo e
menzione del viaggio su un francese (tanto siamo in una zona molto francofona)
che ci riporta ad un viaggio passato per le terre di Francia, ed ai magnifici
giardini di Giverny ed ai quadri di Monet. Con tanta pace per il Belgio, che
tanto rimane sempre legato a Simenon. Il libro è discretamente complicato, con
una struttura che non ne rende facile seguire la trama. Soprattutto impiega
molto tempo a decollare. Certo, fin dall’inizio si segue con interesse, per tre
punti positivi: l’attacco, il luogo, il contorno. Il contorno sono persone e
personaggi: gli interessati alla pittura, il poliziotto indagatore Laurenç
nonché il suo collaboratore Sylvio, i ragazzi della scuola con
quell’immedesimarsi negli impressionisti di un tempo (tanto che i giovani si
fanno chiamare Vincent, Paul, Camille come i più noti Van Gogh, Gauguin,
Pissarro, e via discorrendo). Il luogo è quello di Giverny, ed in particolare,
lo stagno delle Ninfee di Monet, nonché la vita cittadina nella stessa Giverny,
con il suo fare campagnolo, i suoi rapporti di vita, con chi c’è e chi non c’è.
In realtà, a parte la trama, il libro è un omaggio a Monet, lì dove c’è la sua
casa, il suo giardino, nonché i turisti che ne affollano ogni meandro. E l’attacco:
“Tre donne vivevano in un paesino. La prima era cattiva, la seconda bugiarda e
la terza egoista. … La terza, la più
giovane, si chiamava Fanette Morelle. La seconda Stéphanie Dupain, la più
vecchia ero io.” La difficoltà nel seguire la trama è che l’io narrante è la
vecchia di cui sopra, che parla del suo presente, dove da poco muore il marito,
e dove ogni tanto muoiono i suoi cani, che, per non sbagliarsi mai, chiama
tutti Nettuno. Come tutte le persone anziane, il suo narrare non può che
mescolare passato e presente, anche se per lungo tempo sembra che tutto si
svolga nel qui ed ora. Ma accenni ai contorni, ai vestiti, alle moto, non
tardano a farci a capire che c’è un grande zibaldone di avvenimenti. C’è la
piccola Fanette, 11 anni, con un invidiabile dono nella pittura, cui è spinta
dalla scuola ma anche da un vagabondo pittore americano capitato nel luogo
perché innamorato di Monet. James, questo il suo nome, spinge Fanette ad uscire
dal suo guscio, la vuole veleggiante là dove il suo talento può esplodere. Ma
Fanette trova James ucciso, e quando lo cerca insieme alla madre il cadavere è
sparito. Ogni tanto, tra Fanette e la vecchina, si inserisce la storia di Stéphanie,
maestra della scuola locale, coinvolta in quel di Giverny dove si verifica un nuovo
omicidio, quello di Jérôme Morval famosissimo oftalmologo, ricco e fedifrago,
che viene trovato con una pugnalata al cuore, col cranio spaccato e con il viso
dentro al ruscello che abbevera lo stagno delle ninfee. Una cartolina di auguri
di buon compleanno gli viene trovata nella tasca con una citazione di una
famosa poesia. Morval era anche interessato alla pittura, ed in particolare
alle mitiche “ninfee nere” che Monet avrebbe dipinto prima di morire. O che
forse ha dipinto Fanette imitando il maestro. O, se esistono, le ha prese la
vecchia. L'ispettore Laurenç Sérénac e il suo vice Sylvio Bènavides cercheranno
di far luce sul caso attraverso gli anni, tra amanti, gelosia, un amore folle,
la pittura, un assassino e un pastore tedesco, il famoso Nettuno, che sa tutti
i retroscena, ma non può parlare. Ovvio che tra Laurenç e Stéphanie nasca una
passione, che rischia di travolgere la vita del villaggio, portando la bella
signorina alla fuga. Ma un evento inatteso, che non svelo, impedisce la
realizzazione della storia d’amore. Tanto che Laurenç decide di partire, di
emigrare in Canada, e di diventare uno dei maggiori esperti di “furti d’arte”
al mondo. La fine, anch’essa leggermente poco usuale, consentirà a noi poveri
lettori di ricollegare le fila di tutte le storie, sebbene si era capito da
tempo chi è che aveva ucciso chi (leggete per scoprire questo riferimento
circolare). Sebbene tuttavia non abbia mai sentito parlare di Monet che usasse
il nero, la scena globale è plausibile. Meno questo voler intorcinare le
storie, facendo solo alla fine scattare i meccanismi risolutivi. Bussi sembra
dotato di una buona inventiva, e so che altri libri sono apparsi in Italia,
tutti presso le edizioni E/O, che in genere hanno un buon tasso di godibilità.
Poteva volare molto alto, ma alla fine rimane interessante, sopra la media, ma
anche portatore sano di qualche “delusione”.
“Il n’y a pas d’amour
heureux… à l’exception de ceux que notre mémoire cultive.” [Non ci sono
amori felici … tranne quelli che coltiva la nostra memoria.] (414)
Jo Nesbø “Polizia” Einaudi euro 14 (in realtà, scontato a 11,90 euro)
[A: 12/06/2015– I: 29/10/2017 – T: 05/11/2017] - &&&
--
[tit. or.: Politi; ling. or.: norvegese; pagine: 635;
anno 2013]
Eccoci ad una nuova puntata della
saga di Harry Hole. Dal primo libro, ritengo Nesbø un autore interessante,
tanto che ho letto nove delle sue undici puntate: ho saltato la seconda, uscita
in ritardo in Italia e prima o poi arriverò all’ultima uscita. La scrittura è
un bel mix di suspense e di vita nordica, almeno nelle prime puntate. Oltre ad
essere presi dalla personalità di Hole, indolente, solitario, ma di grandi
capacità analitiche e di collegamento tra i fatti. Certo, mi ha sempre disturbato
all’inizio la propensione all’autodistruzione alcolica, un po’ alla Rebus di
Ian Rankin. Ma sembra che pian pianino ne sia o ne possa uscire (potenza anche
dell’amore). Quello che meno mi attira, man mano che Nesbø procede con le sue
storie, è questo tentativo sempre maggiore di ingarbugliare le storie, di
cercare di sviare il lettore su episodi marginali o secondari, facendo ogni
tanto scoppiare il bubbone della storia principale. Nesbø si è ben impadronito
di quella tecnica da scrittore che gli anglosassoni chiamano “cliffhanger”,
malamente tradotta con suspense. Si, c’è della sospensione, ma è proprio il
termine inglese che rende l’idea: letteralmente vuol dire “gancio sulla
scogliera”, qualcosa di appeso, che può portare alla caduta o alla salita.
Tant’è che proprio per capire il libro bisogna agganciarsi, termine corretto
questa volta, a quanto è successo nella precedente puntata, “Lo spettro”,
uscita l’anno prima. Il gancio questa volta è una pistola, la mitragliatrice
Odessa che alla fine del libro sparò 8 colpi: tre pallottole hanno colpito
degli spacciatori kosovari, due hanno ucciso Gusto Hanssen, tre hanno colpito
testa e petto dell’ex poliziotto che indagava proprio sulla morte di
quest'ultimo, il nostro Harry. Che viene dato per morto. Che sappiamo che a sparare
è il figliastro Oleg, che Harry non riusciva a far uscire dal tunnel della
droga. Questo romanzo quindi comincia senza Harry, con Nesbø che fa di tutto
prima per farlo credere morto, poi piantonato all’ospedale da due colleghi. Poi
ci fa seguire una lunga scena di persona in bicicletta, che ricorda da vicino
l’analoga scena di Cruz Smith in “Tatiana”. Ma sono solo pagliuzze lasciate per
strada. Perché vediamo ben presto che il nucleo centrale è l’uccisione di una
serie di poliziotti che hanno per legame l’aver partecipato anni prima
all’indagine sulla morte di una ragazzina, indagine che però non portò a nessun
colpevole. Si costituisce allora una bella squadra per seguire queste nuove
indagini. Squadra dei fedelissimi di Harry senza Harry: Katrine Bratt, agente
con alle spalle un ricovero psichiatrico, con diagnosi da maniaco-depressiva a
borderline a bipolare a sana ed ora anche hacker di servizio a Bergen, Beate
Lønn, capo della Scientifica, Bjørn Holm, esperto della stessa squadra
scientifica e Ståle Aune, psicologo. Pur capendo che gli omicidi avvengono con
le stesse modalità di vecchi casi, la squadra non riesce a frenare la valanga,
talmente forte che anche Beate viene travolta. A questo punto (e siamo già
centinaia di pagine avanti) finalmente si svela il mistero: Harry si è ritirato
a fare il docente alla Scuola di Polizia, promettendo all’amata Rachel di
rimanere fuori dalle indagini. Ma ora non può tirarsi indietro. Subito i suoi,
e i nostri sospetti si appuntano su Valentin Gjertsen, omicida evaso da
prigione che ha cambiato i connotati con la chirurgia plastica, e che ora segue
da vicino chi lo incastrò, lo psicologo Ståle, andando alle sue sedute. Ma
Valentin ha un alibi inattaccabile per almeno uno degli omicidi. Allora si
passa a sospettare Truls Bernsten, agente sospeso dal servizio per sospetta
corruzione, e mano destra del nuovo capo della polizia, Mikael Bellman, il
quale sicuramente ha qualcosa da nascondere, e che briga con la sua amante
Isabelle Skoyen, assessore alle Politiche sociali, affinché Harry e il
ricoverato in ospedale muoiano senza lasciar tracce. Ma Truls e Harry vengono
attirati in una trappola mortale da cui solo per le capacità del nostro si
salvano. A questo punto esce dal cilindro il vero assassino, che tenta nel
finale, inutilmente, di uccidere Oleg, Rachel e lo stesso Harry. Non vi dico
come, ma abbiamo il sottofinale tipo “happy end”, con un morto, un
disintossicato, e Rachel e Harry che si sposano. Tutto bene? Tutto finito? No,
perché ecco il “gancio” finale. Nelle ultime pagine una ragazzina viene seguita
nei bagni pubblici da un misterioso individuo, la fidanzata di un poliziotto
ucciso sente, al cimitero, dei passi furtivi che la seguono… Quanti altri
misteri e punti di sospensione ha il libro? Tanti che vi lascio, almeno qui, la
costanza di scovarli. Ma torniamo ad alcuni elementi del libro, al fatto che
Harry compare a circa un terzo del libro. E tutta la prima parte senza di lui
lascia noi un po’ spiazzati, ma anche la squadra stenta a decollare, anche lo
scritto non riesce a prendere. Nesbø si è imbarcato in un’impresa titanica, in
una ricerca di darci un lungo spaccato di vita non solo di Harry, ma di tutta
la fetta delle persone che sono o sono state in contatto con lui negli ultimi
libri. Ne patisce il ritmo, ne soffre la visione cupa di Oslo, il lettore ne
esce frastornato. Tanto che non me la sono sentita di dargli la sufficienza
piena. Anche se leggo e leggerò ancora di Harry Hole. Aspetto, bevendo! (ps:
capirete perché alla prossima puntata).
Anne Holt “Quale verità” Einaudi euro 13
[A: 25/01/2016– I: 29/11/2017 – T: 01/12/2017] - &&&&
[tit. or.: Sannheten
bortenfor. Ein Hanne Wilhelmsen-roman;
ling. or.: norvegese; pagine: 384; anno 2003]
Sempre un po’ troppa carne al
fuoco dei libri dell’ex-ministro della Giustizia norvegese. Ed alcune parti
vengono un po’ troppo bruciacchiate, ed altre, forse, rimangono un po’ crude.
Ma dato che io mangio tutto, dal crudo allo stracotto, devo dire che ho gradito
questa lettura rilassante e pensierosa. Come spesso nei libri di Anne Holt,
anche se, comunque, sono dei polizieschi. Questo è il filone dedicato ad Hanne Wilhelmsen,
ispettore di polizia, capace e solitaria, con abbastanza guai alle spalle, in
una vita dedita al lavoro, ma con un carattere diremmo leggermente difficile.
Lesbica dichiarata, come la sua autrice del resto, questo fatto (comunque
accettato dalla società norvegese) non le facilita certo i rapporti umani,
soprattutto in un ambiente che, in tutto il mondo, è noto per il suo
“machismo”. Inoltre è abile, capace di elaborare i dati del crimine che sta
affrontando senza fermarsi alle solite apparenze, come dovrebbero fare tutti i
buoni detective. Anche qui, il romanzo corre sui due binari, della vita sociale
e della vita privata. La seconda sembra procedere alla grande, con un ottimo
rapporto con la ricca Nefis che tra l’altro è di origini mussulmane, mettendo
sul piatto tutta una serie di ulteriori problemi, oltre quelli sessuali.
Comportamentali, integrazione, non ultimo la sperequazione economica. Hanne ha
anche due grossi colpi privati durante lo scorrere delle quasi quattrocento
pagine: muore l’odiato padre, che l’aveva scacciata di casa in gioventù e con
il quale non si era mai riappacificata ed accoglie in casa il nipote Alexander,
forse anche lui gay, forse anche lui osteggiato dalla famiglia. Il tutto
condito dai non facili rapporti con i colleghi: con Billy T., suo sodale ma
conflittuale, che troverà alcuni fili della trama per arrivare alla soluzione,
ma che non ha dimenticato una isolata notte di sesso e consolazione con Hanne
(Billy è un tipo che non si tira indietro con le donne, avendo cinque figli da
cinque donne diverse), con Silje, la giovane collega, anche lei capace di
annodare dei fili verso la soluzione, ma con un fondo di razzismo (più
economico che altro in realtà), e via elencando. Questo ci porta alla storia,
alla trama poliziesca, che si apre con la scoperta di quattro morti ammazzati
in una casa bene di Oslo. Sono i coniugi Stahlberg, detentori di un piccolo
regno nell’ambito navale, del figlio maggiore Perben e di un intruso, tal Knut
Sidensvans, un consulente editoriale che stava collaborando alla scrittura di
un libro sulla polizia norvegese. Tutti, meno Hanne ovvio, si buttano sulla pista
della faida familiare. Perché Hermann Stahlberg era in causa con il secondo
figlio, Carl-Christian detto CC, e la di lui mogli Mabelle, che aveva allontanato
dalla gestione dell’impero familiare quando Perben era ritornato all’ovile dopo
un periodo, lungo, in Australia. Lotta senza quartiere, a colpi di carte
bollate, e di documenti tra il falso ed il falsabile. Perché Hermann ricattava
CC per alcune foto porno di Mabelle, e CC con Mabelle cercava tutti i modi,
legali o meno, per escludere Perben dalla ditta. Il tutto condito dalle vicende
della sorella minore Hermine, molto ricca, molto drogata, molto succube dello
zio, ed altre “molto” vicende. Il tutto complicato dalla vicinanza con il
Natale (si comincia il 20 dicembre infatti) e dalla fretta che a tutti mette
Jens Puntvold, il nuovo e rampante capo dell’anticrimine. Fretta sostenuta da
Annmari, il pubblico ministero interno alla polizia (una figura non presente
nella giurisprudenza italiana e di non facile collocazione). Indagando su tutte
le figure della famiglia Stahlberg, si scopre una neanche tanto velata trama di
possibile coinvolgimento in fatti classificabili in omicidio di CC, di Mabelle
e di Hermine. Ma Knut? Come entra nel quadro? Questo è l’elemento che porta
Hanne a farsi domande su domande. Scoprendo su cosa Knut stava indagando,
scoprendo che il vicino di casa di Stahlberg è un ex-agente di polizia che
forse ha coperto dei crimini di qualche poliziotto di grosso calibro. Scoprendo
una serie di incongruenze sulle pistole del delitto, sulle telefonate di Knut
poco prima della morte, sulla morte, per infarto, di un giudice che aveva un
appuntamento con Hermann. Arriveremo così a scopre cosa c’è al di là della
verità, oltre la verità stessa, come recita meglio il titolo originale (che non
è comunque di facile traduzione). Scopriremo chi ha fatto cosa e come, ma ci
sarà anche un finale al solito ambiguo, come succede speso in alcuni gialli
seriali in cui non si sa bene se il personaggio abbia ancora delle frecce al
proprio arco. Allora lo si mette in una situazione tale che potrebbe,
sottolineato, prevedere un abbandono. Come fu con il commissario Igor Attila di
Paolo Foschi dopo “Il killer delle maratone”. Come fu con Harry Hole di Jo Nesbø
dopo “Lo spettro”. Chi li ha letti sa di cosa parlo, per cui non spiego di più.
Ma io ho già letto i libri di Anne Holt dedicata ai detective Vik e Stubø, e so
come procederà. Per cui, l’unico consiglio è, leggetene di questa autrice, che
è sempre interessante. Anche perché continua a darci una visione interessante
del “mondo Norvegia”, magari per capire come poi si possa arrivare a Breivik e
la strage di Utøya.
Riprendendo comunque l’abituale
scrittura, eccovi anche i libri letti nel mese di novembre, abbastanza
omogeneamente sulla mediana, da cui si staccano il sempre verse “Via col vento”
(verso l’alto) e verso il basso la poco utile lettura del libricino di
Maurensig.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Jo Nesbø
|
Polizia
|
Einaudi
|
14
|
3
|
2
|
Markus Zusak
|
Storia di una ladra di libri
|
Pickwick
|
14
|
2
|
3
|
Arne Dahl
|
Brama
|
Corriere della Sera Svezia
|
7,90
|
2
|
4
|
Arne Dahl
|
Ira
|
Corriere della Sera Svezia
|
7,90
|
2
|
5
|
Milton Propper
|
Morte in sala d’attesa
|
Corriere della Sera Gialli
|
6,90
|
3
|
6
|
Leslie Cargill
|
La morte viaggia in autobus
|
Corriere della Sera Gialli
|
6,90
|
2
|
7
|
Mariolina Venezia
|
Come piante tra i sassi
|
Repubblica Italia Noir
|
7,90
|
2
|
8
|
Samuel W. Taylor
|
L’uomo con la mia faccia
|
Corriere della Sera Gialli
|
6,90
|
3
|
9
|
Margaret Mitchell
|
Via col vento
|
Mondadori
|
12
|
4
|
10
|
Marco Malvaldi
|
Sei casi al BarLume
|
Sellerio
|
14
|
3
|
11
|
Gianrico Carofiglio
|
Il silenzio dell’onda
|
Rizzoli
|
15
|
3
|
12
|
Paolo Maurensig
|
L’ombra e la meridiana
|
Mondadori
|
s.p.
|
1
|
Durante la bella ed intensa
vacanza patagonica, purtroppo, mia madre mi ha inviato il suo ultimo saluto. Che
ho preso e porto con me, aspettandomi giorni non proprio semplici nel prossimo
futuro. Ma è un evento della vita, per cui bisogna elaborarlo e non negarlo.
Vedremo come sarò in grado di farlo, per ora, intanto, non posso che
abbracciarvi tutti.
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