Una trama in ritardo, perché tutti
si è festeggiato una bella Pasqua. Ma ora, in questo lunedì dell’Angelo,
torniamo a parlare di libri, e di libri italiani, e di scrittori un po’ noir.
Come dico nel titolo, per fortuna che c’è il libro di Malvaldi dove, benché
siano racconti, almeno hanno una trama, un corpo, una scrittura interessante. Come
potrebbe essere, se non mettesse troppo materiale alla nostra attenzione, il
libro di Cassani. Mentre decisamente poco digeribili sia il tanto celebrato
Carrisi (Donato e no Al Bano) che l’oscuro e molto poco utile Massorbio (e con
una tiratina d’orecchi all’editore).
Marco Malvaldi “Sei casi al BarLume” Sellerio euro 14 (in realtà,
scontato a 11,90 euro)
[A: 21/10/2016 – I: 27/11/2017 – T: 28/11/2017] - &&&
---
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 256;
anno 2016]
Non
tragga in inganno l’anno di uscita: è quello della raccolta di questi sei
racconti, usciti (come elenco vicino ai rispettivi titoli) negli anni passati,
e che Sellerio ha deciso di raccogliere come piccola strenna lo scorso anno.
Così come ha raccolto i racconti di Manzini dedicati a Rocco Schiavone (di cui
si tornerà a parlare prima o poi). Un libro che leggo per l’affetto che dalla
prima uscita mi lega a Malvaldi ed ai suoi vecchietti ed al barrista Massimo.
Ma che solo per questo merita un po’ di librini. Nello specifico, i vari
racconti hanno poco del giallo e molto della vita vissuta in Pineta. Intanto,
per stessa ammissione di Malvaldi, il primo racconto è più che altro un modo
per approfondire un po’ proprio i nostri vecchietti, senza un giallo, senza
morti (che i nostri li attirano come il miele per le mosche), ma solo qualche
passaggio vernacolare e qualche diatriba su malcostumi vari.
Da “Un Natale in giallo (2011)”: “L’esperienza fa la
differenza”
Allora
abbiamo l’introduzione dei nostri eroi: Gino Remediotti, basso, con voce
armonica per cui viene usato per la lettura dei giornali, Pilade Del Tacca,
pensionato del comune, sempre preso in giro per la sua pretesa di aver lavorato
un dì, Ampelio Viviani, il nonno di Massimo, il più sboccato (e questi sono i
tre pensionati) e Aldo Griffa, l’unico che lavora avendo aperto un ristorante.
Qui i nostri se la prendono con il comune che dilata sempre più nel tempo la
raccolta differenziata, inneggiando all’eroe che sparge la suddetta per le
strade del comune.
Da “Capodanno in giallo (2012)”: “Il Capodanno del
Cinghiale”
Qui, almeno, si ritorna ad un
minimo di indagine, anche se la soluzione del caso Malvaldi ce la butta lì,
senza tante sottigliezze. L’idea divertente, e comunque reale e non inventata,
è il Capodanno pisano, che si celebra il 25 marzo, giorno dell’Annunciazione,
essendo 9 mesi prima del Natale. La confraternita del Cinghiale (di cui ci
vengono narrati scherzi epocali) decide di festeggiarlo cantando canzoni
maremmane all’interno del Battistero di San Giovanni a Pisa. Peccato che
qualcuno si intrufoli (o prenda l’occasione o altro) per commettere il delitto
di cui sopra. Ma questo è di poca importanza rispetto sia agli scherzi sia
soprattutto alla descrizione del Battistero stesso, mirabile opera di tal
Diotesalvi architetto per altro ignoto del dodicesimo secolo, che costruì la
cupola con due elementi sovrapposti, l’uno riprendendo la Moschea della Roccia
e l’altro la Cupola del Santo Sepolcro, entrambi in quel di Gerusalemme (di cui
per ora non dico altro).
Da “Ferragosto in giallo (2013)”: “Azione e reazione” (ne
scrissi nel 2014)
Questo è l’unico che avevo già
letto, ed è l’unico che ha una parvenza di suspense. Come scrissi nel 2014,
quando ne parlai: Mentre si attende un
altro romanzo di più ampio respiro, abbiamo qui di nuovo i nostri beniamini:
Massimo, il BarLume, e gli anziani che intorno gravitano. Tra una discussione e
l’altra sul caldo (ferragosto, ovvio), sulle sigarette elettroniche e sul
malcostume (differenziato) degli stranieri in vacanze versiliesi, si trova il
modo di assistere alla morte appunto di un cafone russo. Qualche battuta di
Massimo, un saluto al commissario Fusco che sta per andarsene, qualche
imbarazzante uscita degli investigatori “Villa Arzilla”, per poi arrivare al
nocciolo. Intossicazione da piombo. Possibili le sigarette elettroniche? Il
nostro autore, pur non avallandole, scrive righe in loro difesa (ma che ci sono
gli sponsor?), e lascia che Massimo risolva brillantemente, seppur senza
particolari lampi, l’indagine estiva.
Da “Regalo di Natale (2013)”: “La tombola dei troiai” (ne
scrissi nel 2014)
Racconto di svolta, perché viene
introdotto il nuovo commissario, Alice Martelli, subito simpatica, e subito
dedita ad un’overdose di cappuccini. Ed anche, e non guasta, subito nelle
simpatie di Massimo. La tombola del titolo è un esperimento del nuovo prete,
per riciclare doni poco graditi (i troiai appunto) facendo anche piccole
donazioni alla Chiesa. Peccato che uno dei troiai serva ad uccidere un
farmacista, per altro noto come strozzino. Le solite brillanti deduzioni di
Massimo portano il commissario ad individuare il colpevole ed i meccanismi
della vicenda.
Da “Carnevale in giallo (2014)”: “Costumi di tutto il mondo”
(ne scrissi nel 2014)
Qui
si va sullo storico, che per raccontare una storia di sventate mazzette, si
ricorda un carnevale di quando Massimo aveva sei anni. E di come, in combutta
con i vecchietti (che forse lo erano meno, essendo passati trent’anni) riesca a
rubare il portafoglio del vigile disonesto e ad offrire una grande mangiata di
dolci a una ventina di suoi coetanei. Unico punto in più, che dietro gli sforzi
di Alice, veniamo a sapere qualcosa in più della giovinezza di Massimo.
Da “Vacanze in giallo (2014)”: “Aria di montagna” (ne
scrissi nel 2014)
Iniziando
un costume che si ripeterà nel settimo racconto, che non è presente qui ma
nell’ottimo “Viaggiare in giallo”, gradito regalo di due giovani marmotte, i
vecchietti sono in trasferta in quel di Ortisei. Alice e Massimo sono in Pineta
e cominciano schermaglie varie che li porteranno a breve ad un buon rapporto
ben oltre l’amicale. Ad Ortisei ci scappa il morto, anzi la morta, che Alice
scopre ben presto essere un pentito delle FAP (Forze Armate Proletarie), che si
era fatta anche la plastica, ma che viene sgamata da un parente di una persona
morta durante una rapina proletaria, in quanto … cieco. E non vi dico altro.
Insomma,
una buona scrittura, che si legge velocemente, che fa passare il tempo evitando
che si ritorni sempre a pensare alle disgrazie che questo anno, non bisestile
ma primo, ci sta portando.
Massimo Cassani “Zona Franca” TEA euro 11 (in realtà, scontato a 7,70
euro)
[A: 13/07/2015– I: 02/12/2017 – T: 04/12/2017] - &&
e ¾
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 422;
anno 2013]
Il
solito vizio che sembra ripercorrere tutte le storie di Cassani è quello di
voler mettere molta (troppa?) carne al fuoco. Il risultato sono libri un po’
più lunghi dell’usuale, che hanno quasi sempre alcune parti leggermente più
lente e faticose da percorrere. Il secondo vizio è quello di accorgersi di
questo primo errore e cercare, nel finale, di sciogliere tutti i nodi aperti.
Con il rischio di lasciarne qualcuno irrisolto, e scioglierne altri troppo in
fretta. Terzo ed ultimo elemento distintivo che non viene gestito al meglio, è
la volontà di colpire alto, troppo in alto forse, perché nel mondo della
polizia, dei carabinieri e del malaffare, c’è sempre una zona grigia, che
nessuno ha fin qui svelato, o decifrato. Entrare lì dentro può essere poco salutare,
per chi ci entra e per chi ci scrive. E così, anche in questo lungo viaggio
nella Milano del commissario Micuzzi, abbiamo tante storie che si intrecciano.
Spesso poi, per motivi casuali, si intersecano così casualmente da creare veri
e propri ingorghi polizieschi. Intanto dalla precedente puntata sappiamo che
Micuzzi, è stato parcheggiato al commissariato Città Studi, volendolo
allontanare dalla Questura Centrale. Dove il suo posto viene preso da Lariccia
che qui ha un ruolo marginale, solo come carrierista, leccapiedi del Questore e
forse intralciatore dei buoni uffici che sta mettendo il magistrato Cavalli per
disinnescare mine di ‘ndrangheta ed altre trame nere. Il filone principale
(almeno apparentemente) sembra seguire le orma di allegri ottantenni
(eufemismo) che vivevano da giovani (ante guerra quindi) in quella “zona
franca” che si stende dietro Piazzale Loreto, sulla direttrice che ha come asse
via Padova. Seguiamo, a balzelli, e con fatica, le esistenze odierne di queste
tre persone, a suo tempo legate. C’è Luigi Pecchia, timido, visionario, balilla
senza capire perché, poi partigiano, ribelle, ed ora sul matticchio, cioè da un
lato fuori di testa (vuole abbattere il Duomo perché dalla Madonnina escono
fumi che avvelenano i milanesi e si lamenta di tutto, tanto da essere
soprannominato Gigi Sciagura) dall’altro da sempre legato a quella sua fiamma
di gioventù, che aiutò a fuggire e di cui conserva un tesoro. Si tratta
dell’ebrea Sarah Piave, la bella della scuola, fuggita in Svizzera al proclama
delle leggi razziali, poi in America, ed ora, dopo una lunga carriera di
pianista, in pensione, e con l’idea di ritrovare il Pecchia. Infine il terzo
lato, Benito Marabelli, balilla e fascista convinto, innamorato anche lui di
Sarah e scornata dalla di lei preferenza verso Luigi. Benito che fugge alla
fine della guerra, ripara in Argentina, dove si fa una solida posizione. Benito
che rimane legato a Servizi Segreti deviati e sotterranei, tanto da essere
coinvolto (almeno sulla carta, e mai con una prova) nella fuga di Kappler dal
Celio. Benito che torna in Italia per incontrare Sarah (che viene dall’America)
e Luigi. Ma con l’intento di uccidere Gigi Sciagura. Gigi che intanto è stato
intervistato da Ambra (che conosciamo dai precedenti episodi) giornalista free
lance e bisex. Ambra che si lancia su di una storia di muratori in nero e morti
sul lavoro che gli racconta Gigi. Ambra che incontra Selene, conoscenza
occasionale che sta fuggendo da una strana situazione familiare (con uno zio
anche lui nel campo edilizio che vuole a tutti costi il 51% della società che
hanno in comune e che detiene Selene). Selene che (casualmente?) incontra
Luigi, lo vede inseguito da una macchina, e sente due colpi di pistola. Luigi
che viene trovato ucciso con tre colpi di pistola. Ambra che ospita Selene, ma
quando lei esce a far la spesa viene quasi uccisa da un energumeno e si trova
in coma all’ospedale. Selene che viene ospitata da Micuzzi nell’attesa di
chiarire i fatti. Selene che si scontra con Margherita, l’ex-moglie di Micuzzi,
che sta cercando di tornare con lui (ma quanto è antipatica?). Selene che viene
rapita. Micuzzi che organizza un’infiltrazione di un suo sottoposto nei
cantieri sospetti. O capperi, ma quanta storie si vanno intersecando? Sappiamo
che Benito qualcosa ha fatto, ma cosa? Sappiamo che c’è un ingegnere che sta
tirando losche fila: ma è il padrone dei cantieri (che tra l’altro sta
acquistando le case di via Padova per mettervi i suoi operai in nero) o è lo
zio di Selene? Vediamo Micuzzi che, con molta lentezza, si riappropria del
centro della scena, sia nella latitanza (voluta?) di Lariccia, sia con l’aiuto
del magistrato Cavalli. Dopo pagine e pagine di una lentezza esasperante,
l’accelerazione finale ci porta all’uscita di Ambra dal coma, alla liberazione
di Selene da rapimento, a scoprire chi e perché l’aveva rapita, a svelare le
trame nere di Marabelli, a disinnescare la bomba dei cantieri in nero, che
servivano solo come paravento per operazioni di droga, a decifrare tutta
l’intricata vicenda della morte del Pecchia, ad opera di … (e qui una bella
tirata d’orecchi, perché non si può risolvere il tutto con altri casuali
meccanismi, senza farci partecipi, almeno con qualche pagina d’anticipo, di
cosa stia succedendo). Come dice Cassani nella postfazione, oltre alla storia,
c’è anche molta Storia nel romanzo. Non vi dico quale ed in quali punti (ma
forse si è capito). Tiro fuori solo un cilindro dal cappello, perché alla fine
saltano fuori gli spartiti per piano che suonava Sarah da giovane. Sono opera
del compositore Aldo Finzi, militare, fascista, ebreo, poi allontanatosi dai
fasci, quindi partigiano ed alla fine fucilato alle Fosse Ardeatine. Cassani ne
accenna, senza citare la morte di Finzi. Peccato perché sarebbe stata
funzionale a decifrare qualche passaggio. Tuttavia, ribadisco, la fine è troppo
veloce, e lascia qualche puntino in sospensione che forse si poteva chiudere.
Anche qui, peccato!
“La vecchiaia non cambia le persone, forse
sottolinea soltanto quello che siamo da giovani.” (346)
Donato Carrisi “Il suggeritore” Superpocket euro 4,90
[A: 20/07/2015 – I: 26/12/2017 – T: 27/12/2017] - &+
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 460;
anno 2009]
Ho
aspettato veramente tanto prima di accingermi a leggere questo libro, per una
serie di mie personali valutazioni, che forse poco entrano con lo specifico del
libro. La prima è che su tutti i media, cartacei ed online, Carrisi viene
(veniva?) salutato come un autore geniale, l’autore italiano di thriller più
venduto al mondo. La seconda è, quasi come pendant della prima, che nessuno, al
di fuori degli specialisti ne parlava. La terza è che quel cognome mi ricordava
troppo un cantante che, fin dalla mia giovinezza, ho odiato profondamente.
L’ultima, anche questa molto personale, è che non ne usciva mai una versione
economica. Poiché sono un grande consumatore di libri, e poiché non sono uno scialacquatore
di patrimoni, a meno di casi speciali, aspetto sempre un abbattimento dei
prezzi dei libri che mi interessano, tanto c’è sempre qualcosa da leggere.
Detto ciò, ora l’ho letto, ed il mio giudizio finale è che sia un autore sopravvalutato.
L’idea centrale è buona ed in un certo senso spiazzante. La resa nella
scrittura risente da un lato il voler a tutti costi tirar fuori colpi di scena
quasi ad ogni capitolo, dall’altro il dilungarsi, a volte poco utile, in
descrizioni di contorno che allungano inutilmente il brodo. La terza ragione è
che alla fine, a parte il serial killer, tutti sono colpevoli, o hanno delle
colpe. Elemento che nel mio pantheon ideale non è previsto: qualche “buono” ci
deve essere. Comunque, come mi insegnò la mia mentore Luisa, cominciamo dai
punti positivi. Il maggiore è la ricerca di una reinvenzione del personaggio e
della storia del serial killer. Perché di un serial killer si tratta, che
uccide bambine, anche mutilandone i corpi. Quello che lascia spiazzata è la
squadra investigativa, perché non sembra esserci una logica dietro la scelta
delle vittime. O almeno è talmente nascosta che il disvelamento nell’ultima
pagina lascia un po’ l’amaro in bocca dell’invenzione a posteriori. Tipo: ho
fatto talmente casino, ho “inventato” a destra e a manca, ed ora vi appiccico
un collante per unire tutti i pezzi. Non solo, ma un collante che non può che
rimandarci ad un possibile, probabile secondo episodio. La verità di primo
livello, che anche un neofita del genere capta dopo le prime cinquanta pagine,
è che ci sia un nesso tra le bambine morte (sono sempre femmine, mai
maschietti), la mutilazione del braccio (sempre lo stesso), la diversità delle
modalità di morte, la storia del detenuto che non lascia nessuna traccia,
neanche in prigione. Se colleghiamo tutti questi indizi con il titolo, troviamo
che il colpevole è, come dice qualcuno con felice intuizione, un “serial killer
per induzione”. Una persona talmente forte da condizionare altri ad agire per
conto suo, scatenando i loro peggiori istinti, facendo leva su tormenti
psicologici che immaginiamo, visto che non lo vediamo realmente all’opera. Ma è
anche un suggeritore dedito alla ripulitura del mondo dai cattivi soggetti.
Perché le sue tracce, velate, criptiche, portano la squadra speciale a scoprire
questi ed altri crimini, ad arrestare, imprigionare, uccidere molti altri
criminali. Anche se sempre dopo che questi vengono commessi. Quasi che il dio –
killer voglia alla fine rimanere l’unico sulla scena. Come contraltare del non
noto cattivo, abbiamo la cosiddetta squadra investigativa. Una squadra già ben
formata, che viene irrobustita dall’arrivo di Mila Vasquez, un’agente
specializzata nel ritrovamento di bambini scomparsi. Che sicuramente ha dei
problemi alle spalle (faticheremo un po’ ma alla fine Carrisi ce ne narra),
tanto che per ogni bambino trovato, si infligge delle cicatrici sul corpo, a
memento di quanto accaduto. Per non dimenticare, diremmo noi. La squadra
intanto è composta da Boris, il piacione del gruppo, elefantiaco nelle movenze
ma capace di momenti di delicatezza estrema; da Sarah, che da subito si pone in
modo antagonista a Mila (ci metteremo 300 pagine a capire perché) e dal capo
Stern, che fa da collante e da interfaccia con le alte sfere, ma con qualche
problema insoluto alle spalle. Di supporto, come capo ufficioso, il criminologo
Goran Gavila, dotato di alte intuizioni, della voglia e della capacità di
empatizzarsi non con le vittime, ma proprio con i criminali. Entrando nella
mentalità, riesce spesso a prevederne le mosse. Questo ha fatto di lui
l’autorità che tutti rispettano. Ovviamente sarà Mila a trovare il maggior
numero di bandoli a questo puzzle, in cui tutti (e non vi dico come né perché)
hanno scheletri nascosti nell’armadio (a volte neanche troppo metaforicamente,
ah, ah). Allora come mai mi ha convinto poco? La narrazione ha un ritmo molto
basso all’inizio, tanto che non riesce a decollare. Alcune scelte narrative
sono direi azzardate, come l’intrusione di una medium per delucidare alcuni
aspetti (poco credibile). Inoltre il cattivo, sempre un passo avanti a tutti,
sembra sapere mesi prima che la polizia la coinvolga che, ad un certo punto,
Mila farà parte della squadra. Sarà anche lui un medium? Non sono convinto
dello spaesamento logistico: non viene fornita alcuna indicazione di dove
siamo, ed i nomi delle persone si possono adattare a diversi e disparate
località. Ma se vogliamo usare il thriller per parlare di noi e della realtà,
dobbiamo consentire al lettore di identificarsi, con qualcuno, con un luogo.
Mentre qui, ultimo elemento poco avvincente per me, ci si identifica solo con
il male, andando ogni volta più a fondo nella cattiveria e nella crudeltà. Non
che noi appassionati cultori di serial TV del tipo “Bones” non siamo abituati a
vedere o leggerne, ma qui sembra esserci quasi una compiacenza del male.
Insomma, non so se darò altre chance all’autore per cambiare il giudizio. Per
ora, no.
“Stiamo accanto a persone di cui pensiamo di
conoscere tutto, invece non sappiamo niente di loro.” (454)
Giulio Massorbio “Occhi chiusi” Newton Compton s.p. (Prestito di
Alessandra)
[A: 10/10/2015 – I: 17/01/2018 – T: 18/01/2018] - & e ¾
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 281;
anno 2012]
Non
un gran libro. Forse un’onesta prova di un personaggio che si occupa di arte,
musei e storia (soprattutto napoleonica), e che soprattutto scrive e si occupa
di Alessandria. Un libro che è stato regalato ad Ale molto tempo fa, e che
(probabilmente in modo corretto visto che non è il suo genere) me lo ha
prontamente passato … due anni fa. Devo dire subito che quello che fa prendere
un ¾ di voto in più è proprio l’ambientazione alessandrina, città che non
conosco (e che forse solo in pochi frequentano, almeno a sentire la mia amica
Anita) e che ha o potrebbe avere degli spunti interessanti, magari quando
saremo un po’ più anziani. La struttura del libro, però, è abbastanza scontata,
o quanto meno già letta e rimasticata. Anche se, da questo si potrebbe vedere
l’abilità di uno scrittore, prendere una trama classica, ed inventarci qualche
cosa. Classico e scontato è anche l’utilizzo del flash-back che dovrebbe aprire
squarci di comprensione, ma, da una parte è inutilmente oscuro, dall’altra
ribadisce concetti che il corso narrativo va a poco a poco svelando.
Dimenticavo, il secondo elemento d’interesse è l’anno d’ambientazione, quel
1961 centenario dell’Unità d’Italia, che le questure vanno preparando, in particolare
quelle piemontesi (orgoglio Savoia?). Elemento funzionale, perché, visto che
Massorbio fa mettere le radici del problema negli anni della Guerra, andare
oltre i 16 anni trascorsi dal 1945 farebbe invecchiare troppo i protagonisti.
Insomma, nel flash-back seguiamo alcune vicende del decenne Trovato Piccolo (un
trovatello, abbandonato dalle suore, e minuto di costituzione), che nasce nel
1934, si barcamena alla meglio, per poi essere preso (rapito? salvato?) da un
signore elegante con macchina al seguito. Passando al presente del racconto,
troviamo il bel mondo alessandrino degli inizi degli anni ‘60 (quelli del boom,
per intenderci), con al centro il commissario Piazzi, un po’ anomale, passato
(quasi) indenne negli anni del fascismo (ma poi vedremo che sotto sotto
lavorava per la resistenza), con il suo gruppo di vice e poliziotti, che
l’autore cerca di caratterizzarci, ma che sembrano un po’ piallati sullo
sfondo. Ci sono Carla e Mario, amici storici di Piazzi, che, ognuno con i
propri mezzi e capacità, daranno una mano nelle indagini. In particolare Carla,
che lavorando al comune, ha accesso a molti vecchi documenti. Poi c’è la
borghesia, l’architetto Cammei, il dottor Gabutti, il faccendiere Porzelli,
l’ingegner Renzi, la nobildonna Acquaretta, il conte Cassini. C’è il clero, con
il vecchio mons. Bensi ammalato, l’oscuro don Mario, ed il giovane (solo
ventisettenne) don Paolo Tarcisio. E ci sono gli emarginati, il cieco Restelli,
la prostituta chiamata “La Mondina”. Il tutto inizio quando si trova Cammei
ucciso nel parco cittadino con uno stiletto, e con un cartello “Numero 1”.
Piazzi indaga, scruta, scartabella, sembra immacolata la vita di Cammei, tutto
casa, studio e chiesa. Ma è tutto troppo pulito. Piazzi subodora, anche perché
muore (allo stesso modo ma senza numeri) il cieco Restelli. Con La Mondina che
narra i suoi rapporti e l’aiuto che dava quotidianamente al non-vedente,
lanciando però dei piccoli, innocenti ami. Tutto precipita quando anche il
dottor Gabutti viene ucciso, con lo stiletto, e con scritto “2” sul palmo.
Piazzi, con l’aiuto dei suoi e di Carla, ricostruisce allora brandelli della
vita di Cammei, che fin dai tempi del fascismo era nel mirino in quanto
adescatore di minorenni. Che maltrattava fino alla morte, per poi farsi aiutare
da Gabutti con i certificati di morte. Piazzi, com’è ovvio, scopre anche
evasioni fiscali, bandi per costruzioni poco puliti, ed altre magagne dell’alta
società. Ma non è questo che lo irrita: è l’aria omertosa che i vari Renzi,
Cassini e company portano avanti. Tanto che quando li stana, tutti ammettono
molto. Che sapevano di Cammei ma chiudevano un occhio. Che c’era anche un altro
grande “traviatore”, sebbene di donne, il fratello maggiore del conte Cassini,
morto pazzo da poco, ma salvato in una delle sue ultime crisi proprio dalla
Mondina. Vediamo anche che il signore con la macchina nel ’45 era proprio
Cammei. Che Trovato forse è morto ma forse è stato messo in salvo in Vaticano
da don Mario. Che don Mario era della stessa razza di Cammei (anche se all’inizio
meno scoperto). Che don Paolo ha le inziali simili a Trovato. Che Cassini si
aggira nella notte. Che la Mondina sa più di quel che dice. Che don Mario non è
più don, e vive in periferia, ed è l’unico dei tre pervertiti ancora in vita.
Il finale convulso, con lapsus, finte rivelazioni, ed altri “trucchi” porta ad
una soluzione non banale e non scontata all’inizio. Ma rimane ben poca cosa,
rispetto ad un numero elevato di pagine poco utili. Se non appunto per fare un
tour ad Alessandria. Ma forse non era questa l’intenzione di Massorbio. Di
certo però bisognerebbe appendere per gli alluci i “marketing man” della casa
editrice che mettono in copertina la seguente nota: “Vi presentiamo il
commissario Piazzi. Un po’ Montalbano, un po’ Maigret”. Evito di commentare una
frase così insulsa.
Cominciamo
allora con i libri letti quest’anno, e cominciamo da gennaio, con i suoi 13
libri, con alcune presenze e risultati rimarchevoli. Prima su tutti, “Stoner”
di cui ho parlato la settimana scorsa, con a ruota Mac Orlan (stesso discorso).
Accomunati nel buon giudizio dal solito Simenon e da un Oz di cui spero poter
parlare tra non molto. E dove invece la collana “Arte come Romanzo” comincia decisamente
male.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Amos Oz
|
How to Cure a Fanatic
|
Vintage
|
s.p.
|
4
|
2
|
Melania G. Mazzucco
|
La lunga attesa dell’angelo
|
Corriere della Sera Arte
|
7,90
|
2
|
3
|
Pierre Mac Orlan
|
Il porto delle nebbie
|
Adelphi
|
s.p.
|
4
|
4
|
Margrit De Moor
|
Il pittore e la ragazza
|
Corriere della Sera Arte
|
7,90
|
1
|
5
|
Georges Simenon
|
I Maigret – 10
|
Adelphi
|
s.p.
|
4
|
6
|
John Williams
|
Stoner
|
Fazi editore
|
15
|
5
|
7
|
Romain Gary
|
Educazione europea
|
Neri Pozza
|
s.p.
|
3
|
8
|
Faye Kellerman
|
Kippur
|
Repubblica Noir
|
7,90
|
3
|
9
|
Giulio Massorbio
|
Occhi chiusi
|
Newton Compton
|
s.p.
|
2
|
10
|
Carlo Flamigni
|
Un tranquillo paese di Romagna
|
Repubblica Italia Noir
|
7,90
|
2
|
11
|
Helen Fielding
|
Il diario di Bridget Jones
|
Rizzoli
|
12
|
2
|
12
|
Gianni Farinetti
|
Rebus di mezza estate
|
Repubblica Italia Noir
|
7,90
|
2
|
13
|
Mr. Herzog
|
Perse in partenza (vedi alla voce battaglie)
|
Unwired
|
s.p.
|
2
|
Nessun commento:
Posta un commento