domenica 19 agosto 2018

Scritto Misto - 19 agosto 2018

Come vedete bene avrei potuto anche chiamarla “Fakeide”, essendo un lotto di libri tutti derivanti dagli ottimi prestiti dell’amico Roberto. In particolare, questa è quasi tutta la collana intitolata appunto “Scritto Misto” e dedicata a riversare su carta esimi esempi di blog. Che tuttavia mi hanno convinto molto poco, tanto che solo uno (che segnalo a mio cugino Alessandro) ha avuto qualche momento di interesse, esseno dedicato al cinema. Per il resto, passerei sotto silenzio.
Mr. Herzog “Perse in partenza (vedi alla voce battaglie)” Unwired s.p. (Prestito di Fako)
[A: 23/01/2018 – I: 30/01/2018 – T: 31/01/2018] - && e ½ 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 88; anno 2006]
Cosa fare nella lunga traversata della ruta 40 da Puerto Natales in Cile a El Chilten in Argentina quando ti si rompe il pulmino in mezzo al nulla? Aspettare che passi qualcuno (venti minuti senza nessuno), inviare l’autista alla ricerca di aiuti, trasportare il pulmino alla più vicina stazione di servizio (3 chilometri, fortunatamente, che la seconda stazione era a più di 100!!), scoprire che si è rotta la cinghia di trasmissione ed aspettare soccorsi (almeno 4 ore). Per passare il tempo in questo nulla, ho avuto la fortuna di avere questo libricino prestato da Fako, che non è eccelso, che ha qualche spunto, che ogni tanto fa sorridere, ma che ha consentito di traghettare l’attesa senza pensare al tempo che perdevo. Un libretto di piccoli racconti che nominalisti migliori di me chiamano “blook”, acronimo orrendo che indica “book tratti da blog”. Infatti l’esimio autore, non altrimenti noto se non con lo pseudonimo virtuale di “Mr. Herzog” fu autore e mentore di un blog nei primi anni di questo secolo, trasformato in libro dalla, credo, scomparsa casa editrice “Unwired”. Anche dell’autore si perdono le tracce nella rete (o forse son io che non riesco a trovarne informazioni recenti). Sono racconti di due, tre, a volte cinque pagine, con intenti ironici, non sempre riusciti, ma con qualche spunto che almeno, nell’attesa in quel nulla, hanno avuto il pregio di muovere al sorriso la snervante attesa. Sebbene poi, e lo sapete, io non sia amante della scrittura breve, questa ha avuto il pregio di non impegnare troppo la mente, anche se, l’idea di fondo di queste battaglie quotidiane, da cui si esce sempre sconfitti, non era decisamente male. Battaglie che ci vedono affrontare le piccole montagne quotidiane, ed uscirne, generalmente, sconfitti. Herzog ha una discreta capacità di isolare momenti topici della quotidianità, isolando i vizi del nostro reale, che, di continuo, mettono alla prova le nostre scarse e poco rilevanti virtù. A volte, forse, il tentativo di ironizzare, di mettere alla berlina, è anche troppo forte, forzando un po’ la mano dell’autore verso esiti, scontati ma immutabilmente perdenti. A volte, invece, riesce ad isolare situazioni che potrebbero passare inosservate, ma che con la loro banalità, ci colpiscono lasciando segni indelebili. Cosa pensa un impiegato di pompe funebri del proprio lavoro e durante lo stesso, pur essendo laureato e conoscitore di almeno due lingue? Come liberarsi di uno scocciatore vicino di ombrellone? Sempre andando avanti così, attraversando dialoghi astratti, distratti, senza comprensione reciproca. Con una dose massiccia di luoghi comuni e di ipocrisia. Giochi mentali che ad alcuno ricordano il miglior Rodari, ma che io non spingerei a tanto, se non nell’approccio giocoso all’esistenza. Come ad esempio in quel “Dio offresi a Natale”, dove un dio distratto cerca di riciclarsi in divinità per atei. O l’idea bellissima nel titolo, meno nello svolgimento, de “La morte di Ivan Ilijc Sciosciamocca”. In fondo, ridere della quotidianità perversa è forse l’unico modo per esorcizzarla e continuare a vivere nella nostra quotidianità di perdenti. Per queste e per altre battaglie. Mi ha salvato dalla pampa, ne farei dono di lettura ad amici che devono passare qualche ora nel salotto di un dentista ad aspettare di essere guardati in bocca. Come regalo finale, vi lascio la fine di un altro racconto, “In corpore insano”, che per assonanza ricorderà sempre nella mia testa, il finto disco di Gaber (“Far finta di essere… Zani”). Così avrete un esempio della scrittura di Herzog. (A breve libro, breve commento impongasi).
"Gli amanti dello sport urbano sono davvero votati al sacrificio estremo. Dotati di fanatica volontà, nulla li può fermare. Pensate che di recente, in un parco cittadino, ho visto – lo giuro, quasi – un vecchietto, invalido di guerra, in abbigliamento tecnico e sedia a rotelle che si faceva spingere a buona andatura dal badante rumeno. E non era nemmeno tanto sudato. Il vecchietto, dico. Che il rumeno, invece." (85)
Personalità Confusa “Storia completa del tuo futuro” Unwired s.p. (Prestito di Fako)
[A: 19/02/2018 – I: 22/04/2018 – T: 24/04/2018] - &&  
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 88; anno 2006]
Secondo “ScrittoMisto” che leggo, e, benché sempre riconoscente al mio amico Fako, continuo a domandarmi che senso abbia il libro (e che senso aveva il blog da cui nasce). L’autore, secondo quanto ho desunto dal web, dovrebbe essere un uomo di nome Lorenzo, forse impiegato da qualche parte. Per anni su splinder scrive il suo bravo blog, riuscendo a spuntare molti “Like”: come dire un patito di FB. Tanto che decide di prendere una manciata di suoi scritti, integrarli, aggiustarli, aumentarli con nuove e frizzanti scritture. Di modo che qualcuno decide a sua volta che meritano di esser pubblicati in questa collana, dove i libricini (diminutivo per il piccolo formato, non per il contenuto) dovrebbero aggirarsi sulle 90 pagine. Questa collana che come vedete dal grande titolo si chiama “Scritto Misto”. E questo già indirizza la lettura ed i pensieri di chi legge verso momenti di relax e, possibilmente, di ilarità. Come detto, l’autore è un blogger, una decina d’anni fa molto in voga, ma che credo ora non lo sia più tanto. Così posso senza tema di essere servile o di essere osteggiato, dire che questa collana e questo autore non mi convincono. Certo, ci sono sprazzi di divertimento, sorrisi a fior di labbra. Un autore meglio bilanciato di me e più propenso a dire cose, avrebbe cominciato a parlare della comicità del quotidiano, degli effetti comici del crescendo (come in musica) e dell’accumulo (mattoncino piccolo, piccola risata, secondo, terzo mattoncino, aumenta l’apertura labiale, fino a che, non potendone più, magari si ride). Ma veramente si ride in questi brevi ed inutili racconti? Come la serie delle Guide: Guida completa alle colleghe del tuo ufficio, Guida alla metropolitana, Guida turistica all’Ikea il sabato pomeriggio (quest’ultimo un testo da brividi, che se ci provate ad andare di sabato all’Ikea ed uscite vivi, la prossima volta vi porto in Tanzania). La micro-comicità di Personalità Confusa è di certo molto datata, è di stampo molto “Zelig” di Bisio. Certo alcune idee sono divertenti e valide tuttora, anche se la loro realizzazione non sempre è portata alle estreme conseguenze. Tipo i sequel delle opere famose, come Pinocchio 2 o I Malavoglia 2. Poche righe per imbastire un’idea di trama, tipo un cinquantenne Pinocchio che di colpo torna ad essere di legno. Ma l’idea regge solo le dieci righe del commento, perché Personalità vuole essere spiritoso per forza, ed aggiunge ad idee promettenti, conclusioni veloci e non sempre brillanti (da meditare la seggiovia Milano – Madonna di Campiglio, forse un po’ lunga, ma quanto traffico fa risparmiare). Visto che poi più dell’onor poté il digiuno (e qualcuno sarà anche in grado di riconoscere la citazione aulica), ecco che, per farvi capire il livello del libro e la sua capacità o meno di tenervi incollati alla pagina, vi propongo un estratto di mezza pagina. Da far invidia a Umberto Eco e Maria Teresa Serafini:
“Come scrivere una tesi di laurea
Quella che segue è una piccola guida alla compilazione di una tesi di laurea, pensata per tutti gli studenti spaventati dal pensiero di dover affrontare questa spaventosa impresa:
1. È estremamente probabile che nessuno, a parte te, leggerà mai la tua tesi per intero. È triste ma è così. Nei capitoli centrali potresti scriverci l’elenco telefonico, la lista della spesa o la Gerusalemme Liberata e nessuno se ne accorgerà. Gli archivi elettronici delle università sono pieni zeppi di tesi di laurea mai lette da occhio che non fosse quello del povero studente compilatore.
2. Oltre alla tesi, dovrai stilare una bibliografia. Anche questa non verrà mai controllata da nessuno. Prova pure a inventarti titoli, fonti, anni di pubblicazione. Cita autori inventati, editori tedeschi, articoli cileni, traduzioni dal tale giornale americano, norvegese o slovacco: nessuno si prenderà la briga di andare a controllare. Mai. A questo punto, conviene sbizzarrirsi.”
Penso che avete capito, ma alla fine il risultato non si scosta molto dal basso più basso. Resta il solo merito che sono riuscito a leggere questo e gli altri libri della collana durante il viaggio in India. Per il resto, possiamo oscurare tutto.
Hotel Messico “Seppellitemi con l’accappatoio” Unwired s.p. (Prestito di Fako)
[A: 01/03/2018 – I: 25/04/2018 – T: 26/04/2018] - &--
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 87; anno 2006]
Terza lettura di questo “ScrittoMisto”, e probabilmente quella che meno mi è piaciuta, meno ha acceso la mia fantasia. Sono sempre in India, ma ormai siamo arrivati ad Agra, fa molto caldo, ma non è umido. Hotel Messico, non so perché, è uno pseudonimo. Ma qui sono stato un bravo ricercatore, e ne ho trovato traccia. In realtà, si chiama Gianni Solla, ed è un napoletano del 1974. Dieci anni fa aveva questo blog (hotelmessico.net) che ora non esiste più, ma da quelle prime righe un po’ involute, l’autore si è andato approfondendo nella scrittura, ha pubblicato anche libri interi e non solo pezzi di racconti che mi hanno dato la sensazione di essere solo molto splatter. Critici meglio informati e più bravi di me parlano di una scrittura che ricorda le visualizzazioni oniriche di Lynch, o i giri nello spazio interiore, frontiera invalicabile delle personalità deviate e devianti, quasi un ripercorrere libri come “Crash” di J. G. Ballard. Io sono più vicino alla terra, al concreto, al qui ed ora, e molto dello scritto l’ho trovato inutile. Certo, si parla della cattiveria infantile così come non se ne dovrebbe parlare (i bambini sono sempre bravi, belli, buoni, angelici), in raccontini come "Scemo", "Prima Comunione" o ancora "Resina". E lì troviamo bimbi e adolescenti cinici, cattivi, a volte inutilmente sadici. Certo troviamo spunti, trattati come fosse un abboccamento comico, che poi muta il suo ghigno prima verso l’ironia, poi verso la cattiveria pura, in altri brani come il perfezionismo suicida della protagonista di “Abbronzante”, come la tecnologia esasperata che porta ad una follia mortale dei “Cinque ragni”. Attraversiamo con passo lieve, ma senza che ne veniamo mai coinvolti più di tanto, la descrizione delle gravi menomazioni del corpo martoriato da un incidente stradale come in “Bottoncino”, la descrizione della tossicodipendenza di "Fino a Fuorigrotta", per sconfinare nell’evidente emarginazione dei protagonisti di "Garden Bar", di "Gli operai della metropolitana" o di "Un paio di cose". Come sappiamo avendo letto dell’autore, esce fuori molto della napoletanità che permea le sue anche altre pagine, di cui vi porto un esempio in finale. Mi sarebbe piaciuto poter accostare anche idealmente queste righe ad un classico come quelli rappresentati nella “Antologia dello humor nero” di André Breton. Ma qui si vola troppo alto, mentre la scrittura di Hotel Messico ci riporta in basso. Né giova all’autore allungare il brodo dei racconti. Che qui trovano uno spazio più lungo, rispetto alle due tre pagine che in genere gli scrittori di “Scritto Misto” e dei blog in genere riservano a queste punture di spillo. Ecco allora il campione di scrittura:
“Quaderno numero undici
Ho il colera, il tifo, sono napoletano, napoletani con il sapone non vi siete mai lavati, napolecani, se mi guardi di nuovo ti sparo in faccia, pagami il pizzo, ti rubo la macchina, ti rubo il cellulare, ti do due coltellate nella pancia, rubo le macchine fotografiche ai turisti giapponesi, mi trascino una francese per venti metri per scipparle la telecamera, abito in una casa occupata, sono terremotato, porto rispetto per Casale di Principe, sono scissionista, faccio il parcheggiatore abusivo, vivo in un basso, ascolto i neomelodici, per strada ci sono gli scarafaggi, faccio le rapine a Milano, rubo i Rolex a Parma, rubo nelle ville a Varese, schifo i neri, gli albanesi, i rumeni, i milanesi, i calabresi, i baresi, mi faccio il tatuaggio di Padre Pio, se non vai in galera non sei uomo, in galera ti devi far rispettare, schifo i pentiti, devo fare un matrimonio al ristorante che deve durare undici ore, voglio il posto al comune, alla regione, alla asl, al ministero, sono un finto invalido, conosco uno alla questura, manometto il contatore dell’Enel, non pago l’acqua, sparo contro i carabinieri dal balcone, schifo la polizia, tengo la pistola nel cassetto, le nostre femmine a vent’anni ne dimostrano trenta, a diciotto anni facciamo figli perché non usiamo il preservativo.”
Una scrittura posteriore di cinque anni al libro, ma ancora lontana nel tempo. e che continua a non convincermi né coinvolgermi.
Marquant “Zitti al cinema” Unwired s.p. (Prestito di Fako)
[A: 19/02/2018 – I: 27/04/2018 – T: 28/04/2018] - &&&-- 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 87; anno 2006]
Sarà stato che ormai mi trovavo a Khajuraho mentre leggevo questo che per me era il quarto volume degli “Scritto Misto”, e come molti sanno quella città a me piace e mi rilassa (incluse le presenze dei miei amici Pappu e Saixhin), ma ho trovato lo scritto di Marquant il migliore della serie. Anche perché coniuga ironia e cinema, luoghi comuni e litigi nella sala buia. Ma anche momenti di incontri culturali di eventi. Come la trilogia di atteggiamenti per parlare male degli ultimi film di Woody Allen, dove se ne può parlare male anche senza vederli. Ma andiamo con ordine. Intanto Marquant è il più misterioso di quelli finora letti: so che è Milanese, che ora è over 40, che va (andava?) molto al cinema. Proprio l’incipit è quello che mi ha di più intrigato, con quella dedica a Pauline Clayton. Chi sarà mai l’illustre ignota? Ebbene, per noi cinefili, un’eroina! Una persona multata in Texas nel 2006 perché si è ribellata ad una persona che parlava al telefono durante un film, e dopo aver cercato di zittirla, le ha toccato una spalla dicendo “shhhh!”. Ebbene, la persona toccata ha denunciato Pauline per “invasione del suo spazio privato”. Ed il giudice texano ha condannato Pauline ad una multa di 150 dollari. Per noi rimarrà un mito, uno dei caposaldi di quelli che Marquant giustamente etichetta come “Tipi da cinema”: l’Entusiasta Molesto che ride ad ogni battuta, Le Amiche delle Otto che non smettono di chiacchierare, Sua Saccenza, l’annoiato che sa tutto di questo e di tutti gli altri film e non si capisce perché allora vada al cinema, Il Popcornivoro, una specie che farei sparire a colpi di Nutella: i mangiatori di popcorn, Il cartaio, si quello che scarta le caramelle producendo un rumore fastidiosissimo. A questo punto mi inserisco con un ricordo personale, “Le anziane da televisione”: tanti anni fa stavo al cinema vedendo l’ottimo film di Scola “Il mondo nuovo”, e due signore accanto a me cominciavano a parlare a voce alta, dicendo: “Oh, ma quello è Mastroianni”. No, signora quello è Giacomo Casanova. “Oh, oh, ma quello non è Michel Piccoli?”. Ancora no, signora, quello è Luigi XVI. Insomma, ad ogni attore che compare sulla scena ne parlavano come fosse una comparsa televisiva, non un interprete del film. Mi sono alzato e mi sono spostato dieci file più indietro. Fortunatamente, era pomeriggio ed il cinema era vuoto. Capii allora perché il mio amato cugino cinefilo Paolo voleva sedersi sempre nella seconda fila. Tanti altri episodi e spigolature contiene l’ottimo libretto di Marquant, tanto che vorrei regalarvi la chicca del suo decalogo:
"Peccato originale" (promemoria strettamente autobiografico):
1.   Se il film è doppiato, lamentati per la scarsa resa dei dialoghi e per le sfumature perse nella traduzione.
2.   Se il film è in lingua originale, lamentati perché non ci sono i sottotitoli.
3.   Se ci sono i sottotitoli, lamentati perché tutte quelle scritte lì in basso distolgono l’attenzione dalle immagini.
4.   Se capisci le battute, fallo sapere a tutto il cinema: ridi, ridi sguaiatamente, un po’ per farla pesare a chi non ha capito, un po’ per sfogare la tensione accumulata nello sforzo di capire.
5.   Se non capisci i dialoghi, prenditela con la dizione degli attori americani, le patate in bocca e banalità dicendo.
6.   Se gli attori sono inglesi, limitati a osservare che parlano davvero in fretta.
7.   Se il film è in francese con sottotitoli in inglese, prima leggiti almeno la trama.
8.   Se il film è in una qualsiasi lingua non occidentale, ricordati che sei lì per ammirare la fotografia.
9.   Se guardi prima l’edizione italiana, ripromettiti di rivederlo in originale.
10.Se guardi prima la versione originale, mostrati desideroso di rivederlo in italiano ("Ma giusto per curiosità, eh").”
Certo, alla fine non ha spunti clamorosi, o momenti ridancianamente coinvolgenti. Ma è una bella confezione, e, unico fra questi libretti, ne consiglio caldamente la lettura.
Spad “Convivo con la metà di me stesso (il resto l’ho affittato a un pirla)” Unwired s.p. (Prestito di Fako)
[A: 01/03/2018 – I: 29/04/2018 – T: 30/04/2018] - & +
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 91; anno 2006]
Ormai il giro indiano sta per finire, ed anche i volumi di “ScrittoMisto” che ho portato con me. Purtroppo questo, che è l’ultimo, è anche quello che veramente poco mi è piaciuto, così che lascio la collana con un po’ di amarezza. Non c’è la verve e/o il coinvolgimento di Marquant, né le strampalate pagine di Personalità Confusa. Anzi qui siamo quasi sul versante haiku (tante pagine sono piccole poesie con finale alla Flavio Oreglio). Non è certo un caso che, benché abbia trovato poche notizie di Spad sul web, quello che di lui si sa è il passaggio dal blog al ghost writer per comici professionisti. Tornando alla collana (di cui lamento solo la mancanza dell’ultimo titolo per chiudere il cerchio “27 anni e non sono ancora morta” di Arkangel), insieme a quello mancante questo è sicuramente il titolo più intrigante. Ma tuttavia rimane lì, sul titolo perché il resto del volume non riesce a farci sentire più vicini all’autore ed alle sue “battute”. È vero che i più di dieci anni si sentono, ma le brevi poesie, le battute, il volgere tutto verso un sentimento sessuale che sicuramente faceva presa all’epoca ma che ora sa di vecchio ed un po’ obsoleto. Proprio per far capire cosa intendevo quando accennavo a Spad e ad Oreglio, vi propongo un breve faccia a faccia, con due mini-testi di due righe dei due autori:
OREGLIO
“Vedo
Vedo un camoscio e gli stambecchi saltare.
Un'aquila vola in alto e le marmotte zampettano circospette.
Amore, sei sicura che di qui si va a Rimini?”
SPAD
“La dura legge del pelo:
Lei può scherzare sul fatto di non essersi fatta la ceretta.
Tu no.”
Ho volutamente scelto qualcosa che non faccia riferimento al sesso e ad altre performance al fine di non essere censurato sul web se e quando metterò online queste righe. Vorrei finire questa breve panoramica del mondo “Unwired” con la ripresa di una battuta che circolava molto tempo fa relativamente a questi ed altri libri che servivano soltanto a riempire gli oziosi momenti sotto l’ombrellone nelle calde estati italiane (si parla di tanto tempo fa, che ora l’estate è tutto meno che calda, e non si sa quando arriva, e magari si sposta da agosto verso settembre-ottobre). Venivano infatti chiamati “letturatura” estiva. No, non è un refuso, era proprio una lettura che turava i buchi tra un bagno e l’altro, tra una coca-cola ed un cocomero. Or non è più quel tempo e quell’età, come diceva Carducci. E noi si rimane a rosicchiare un cardo, lasciando andare nel dimenticatoio lo “Scritto Misto”. Una breve fine per una breve e dimenticata collana.
Sono a Roma, e non so se esserne contento (di nuovo a casa) o meno (ma che caldo che fa!). Anche perché sono da solo. Ma ciò mi dà modo di riprendere le cure, questa volta per la pression, che bisogna sempre tenerla sotto controllo.
Ma siamo anche al volgere di un’estate complicata da incidenti e iatture, con pochi viaggi, è vero; con l’Irlanda rimandata a data da destinarsi. Tuttavia, con un bel riposo sorianese dedito alla ristrutturazione casalinga, ed un altrettanto bell’ozio portercolano. 

CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i “bugiardini” di Giovanni
AGOSTO 2018
Si è parlato molto questa estate di viaggi in alta quota, toccando spesso l’argomento della pressione alta, e di come utilizzare il mate di coca per abbassarla.

PRESSIONE ALTA

La lettura è un rimedio per l’ansia, e se avete la pressione alta può diventare una buona e sana abitudine - soprattutto con un animaletto peloso raggomitolato sulle ginocchia. Fate attenzione ai libri che scegliete, comunque; prendete qualcosa di troppo piccante, o di così avvincente da farvi mangiare le unghie, e il cuore pomperà ancora più forte di prima. Per rallentarlo, ridurre l’ansia, e incoraggiarvi a vivere attimo per attimo, scegliete il vostro libro dal nostro elenco di letture rasserenanti - romanzi che non corrono verso la conclusione, ma abbondano di non-eventi e cantano le lodi della vita tranquilla. Quello che manca nel ritmo, è più che compensato dalla bellezza e dalla capacità di stimolare la riflessione.
I DIECI MIGLIORI ROMANZI PER ABBASSARE LA PRESSIONE
Vincenzo Cerami             “Un borghese piccolo piccolo”
Daniel Defoe                 “Moll Flanders”
Charles Dickens              “David Copperfield”
Ernst T. Hoffman            “Gli elisir del diavolo”
Ian McEwan                   “Bambini nel tempo”
Petronio Arbitro              “Satyricon”
Jean-Jacques Rousseau   “Le confessioni”
Leonardo Sciascia           “Il contesto”
Stendhal                       “Il rosso e il nero”
Virginia Woolf                “Le onde”

Bugiardino

Conosco, ance se ne ho letto solo parti, sin dai tempi del liceo sia il Satyricon che “Le confessioni” di Rousseau. Defoe e Stendhal erano presenti nelle librerie paterne, e ne ricordo i testi, seppur non sia sicuro della loro lettura. Dickens e McEwan, per ragioni diverse, li ho letti o riletti agli inizi degli anni 2000. Ho anche traccia si Hoffman, di Sciascia e di Virginia Woolf, ma non so dire se li ho letti o solo cercati qua e là su internet.
Vincenzo Cerami “Un borghese piccolo piccolo” Mondadori euro 9
[tramato il 1 marzo 2015]
Letto ad un anno esatto della morte del grande sceneggiatore italiano, purtroppo scomparso nel luglio ‘14 a soli 72 anni. Un po’ sotto la spinta di un commento di Stassi, un po’ per capire meglio la figura di Cerami, dopo averne apprezzato i film con Benigni, ma anche con Bertolucci, Amelio, fino ai primi lavori da aiuto-regista a Pasolini. Ed infine, per comprendere l’amaro film di Monicelli che il grande regista ne trasse poco dopo l’uscita del libro. Film che, per una serie di motivi, tra cui il mio scarso amore per le pellicole di Alberto Sordi successivi alle folgoranti uscite degli anni ’50 (da “Lo sceicco bianco” di Fellini del ’52 a “Tutti a casa” di Comencini del ’60), mi sono sempre rifiutato di vedere. E benché appunto Monicelli ne abbia fatto un epigono di un mondo in rovina (non era più tempo delle commedie all’italiana, e già si sentiva aria di tragedia, visto che l’anno dopo veniva ucciso Aldo Moro), stravolgendo (secondo quanto ho letto e quanto se ne dice sui libri di cinema) il finale di Cerami, interpretazione su cui ritornerò. Ad una lettura poco concentrata, il libro, apologo, come da titolo, di un mondo borghese triste ed immiserito, risulta non solo non particolarmente avvincente, ma anche (e questo dipende senza dubbio dalla personalità dello scrittore) tendente alla dimostrazione di una qualche teoria giustamente decadente del mondo dei primi anni ’70. È la storia del piccolo impiegato Giovanni Vivaldi, di ruolo nella Pubblica Amministrazione, ed in particolare nel Ministero dedito alla concessione delle pensioni. Storia che comincia con il nostro Vivaldi tipico e svogliato lavoratore burocratico e termina con i giorni sempre uguali che andranno dalla pensione alla morte. Detto così, l’apologo di Giovanni è di una tristezza infinita: la casa malandata, la moglie Amelia, Mario il figlio ragioniere, i pasti fatti perché sì, le mattine in ufficio, le chiacchiere con i colleghi, la FIAT ottocentocinquanta, il gelato da Fassi a Piazza Vittorio, la Settimana Enigmistica. Ripeto, non vi sentite già immersi in un gelo artico? In una vita che speriamo finisca presto? Su questa via che non porta a niente, su questo rettifilo triste e sconsolato tra la nascita e la morte, l’idea di Cerami (vincente dal punto di vista drammatico) è di mettere una zeppa, un ostacolo, un incidente di percorso. Allora vediamo che, una volta Mario diplomatosi, Giovanni, come tutti i bravi impiegati di quegli anni, comincia a brigare per sistemare il figlio, magari nel suo stesso ministero. E quando chiede aiuto al suo capufficio, si trova invischiato in una ridanciana associazione massonica. Primo colpo che lo scrittore dà forte e chiaro alla società. Per avere un posto fisso, per sistemarsi, bisogna avere “degli amici”. Se fossimo in Sicilia, si chiamerebbe mafia, ma siamo a Roma, e quindi Giovanni si fa massone (con la veramente ridicola cerimonia di iniziazione!). Questo però gli consente di avere dal suo superiore, una settimana prima dell’esame di ammissione al Ministero (i famosi “concorsoni”) il testo dell’esame stesso, così che il figlio possa prepararsi a dovere (che lo scritto è individuale, poi all’orale ci si dà una mano comunque). E qui il secondo masso che Cerami mette sulla strada di Giovanni: andando da casa al Ministero, i nostri due incappano in una rapina, parte un colpo di rivoltella e Mario muore. Questo sì che farà crollare il castello di Giovanni: alla moglie prende un colpo apoplettico, ed il nostro si ritrova a girellare tra le macerie della sua vita, inebetito e senza scopo. Cerami si domanda (con lo scritto, anche se non esplicitamente) dove sia la giustizia del mondo, dove Giovanni possa essere risarcito (e non certo dalla Chiesa, messa in burla con l’omelia del parroco durante il funerale). Inaspettatamente, mesi e mesi dopo la morte di Mario, Giovanni incappa nel rapinatore che ha sparato. Terzo masso: nessuna denuncia alla polizia, che al massimo esce fuori un ergastolo; ma, con un’astuzia ed una forza improvvisa, rapimento del rapinatore, trasferimento dello stesso nella baracchetta in riva al lago che serviva a Giovanni come casotto da pesca. E lì Giovanni, lega il rapinatore ad una sedia, e, giorno dopo giorno, lo lascia morire di fame e di sete. Meravigliandosi che la “tortura” duri poco, e quindi seppellendo il cattivo sotto un fico in giardino. Arriva quindi la sospirata pensione, ed il giorno stesso Amelia muore. Lasciando Giovanni solo, senza lavoro, senza figlio, senza moglie e senza vendetta. Nel film, al contrario, Monicelli spinge la sua cattiveria portando l’impiegato Vivaldi a continuare l’opera di vendicatore solitario. Cerami no, Cerami si ferma, annegando la vita in una tristezza infinita e senza scopo. Personalmente, la figura del vendicatore solitario mi lascia alquanto perplesso dal punto di vista intellettuale (cerco di capire, ma spero di non trovarmi mai nella situazione in cui la domanda da teorica possa diventare pratica). Non è la mia idea di giustizia. Come, quella di Vivaldi, non è la mia idea di vita. Ma so, per averne passati di anni attraverso Ministeri ed affini, che quella è molta vita che scorre. Io mi illudo nel pensiero che “scorresse” e che i giovani, ora, possano, riescano ad uscirne, a crearsi un’aspettativa di futuro che comporti la Settimana Enigmistica solo l’estate al mare. Speriamo. Intanto, finisco considerando che il libro, pur con quei punti interessanti che ho evidenziato, non mi ha coinvolto in maniera esasperata. Anzi.

Conclusioni

E qui mi trovo in disaccordo totale con il suggerimento. Se avete la pressione alta, leggete questo libro e vi scoppieranno le coronarie di bile e di voglia di vendetta. Tanto da prendere la prima arma contundente e scendere in piazza brandendola e massacrando chiunque incontriate. Per la pressione ci vuole un dosaggio equilibrato, tra calma e coinvolgimento, magari con poco adrenalina. E non sono questi i casi.

1 commento:

  1. Marquant è stato uno dei primi blogger italiani sulla piattaforma Splinder che non esiste più. Il suo blog teamtico sul cinema: "Zitti al cinema", è stato uno dei più seguiti.

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