Come vedete bene avrei potuto
anche chiamarla “Fakeide”, essendo un lotto di libri tutti derivanti dagli
ottimi prestiti dell’amico Roberto. In particolare, questa è quasi tutta la
collana intitolata appunto “Scritto Misto” e dedicata a riversare su carta
esimi esempi di blog. Che tuttavia mi hanno convinto molto poco, tanto che solo
uno (che segnalo a mio cugino Alessandro) ha avuto qualche momento di
interesse, esseno dedicato al cinema. Per il resto, passerei sotto silenzio.
Mr. Herzog “Perse in partenza (vedi alla voce battaglie)” Unwired s.p.
(Prestito di Fako)
[A: 23/01/2018 – I: 30/01/2018 – T: 31/01/2018] - &&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 88;
anno 2006]
Cosa
fare nella lunga traversata della ruta 40 da Puerto Natales in Cile a El
Chilten in Argentina quando ti si rompe il pulmino in mezzo al nulla? Aspettare
che passi qualcuno (venti minuti senza nessuno), inviare l’autista alla ricerca
di aiuti, trasportare il pulmino alla più vicina stazione di servizio (3
chilometri, fortunatamente, che la seconda stazione era a più di 100!!),
scoprire che si è rotta la cinghia di trasmissione ed aspettare soccorsi
(almeno 4 ore). Per passare il tempo in questo nulla, ho avuto la fortuna di
avere questo libricino prestato da Fako, che non è eccelso, che ha qualche
spunto, che ogni tanto fa sorridere, ma che ha consentito di traghettare
l’attesa senza pensare al tempo che perdevo. Un libretto di piccoli racconti
che nominalisti migliori di me chiamano “blook”, acronimo orrendo che indica
“book tratti da blog”. Infatti l’esimio autore, non altrimenti noto se non con
lo pseudonimo virtuale di “Mr. Herzog” fu autore e mentore di un blog nei primi
anni di questo secolo, trasformato in libro dalla, credo, scomparsa casa
editrice “Unwired”. Anche dell’autore si perdono le tracce nella rete (o forse
son io che non riesco a trovarne informazioni recenti). Sono racconti di due,
tre, a volte cinque pagine, con intenti ironici, non sempre riusciti, ma con
qualche spunto che almeno, nell’attesa in quel nulla, hanno avuto il pregio di
muovere al sorriso la snervante attesa. Sebbene poi, e lo sapete, io non sia
amante della scrittura breve, questa ha avuto il pregio di non impegnare troppo
la mente, anche se, l’idea di fondo di queste battaglie quotidiane, da cui si
esce sempre sconfitti, non era decisamente male. Battaglie che ci vedono
affrontare le piccole montagne quotidiane, ed uscirne, generalmente, sconfitti.
Herzog ha una discreta capacità di isolare momenti topici della quotidianità,
isolando i vizi del nostro reale, che, di continuo, mettono alla prova le
nostre scarse e poco rilevanti virtù. A volte, forse, il tentativo di
ironizzare, di mettere alla berlina, è anche troppo forte, forzando un po’ la
mano dell’autore verso esiti, scontati ma immutabilmente perdenti. A volte,
invece, riesce ad isolare situazioni che potrebbero passare inosservate, ma che
con la loro banalità, ci colpiscono lasciando segni indelebili. Cosa pensa un
impiegato di pompe funebri del proprio lavoro e durante lo stesso, pur essendo
laureato e conoscitore di almeno due lingue? Come liberarsi di uno scocciatore
vicino di ombrellone? Sempre andando avanti così, attraversando dialoghi
astratti, distratti, senza comprensione reciproca. Con una dose massiccia di
luoghi comuni e di ipocrisia. Giochi mentali che ad alcuno ricordano il miglior
Rodari, ma che io non spingerei a tanto, se non nell’approccio giocoso
all’esistenza. Come ad esempio in quel “Dio offresi a Natale”, dove un dio
distratto cerca di riciclarsi in divinità per atei. O l’idea bellissima nel
titolo, meno nello svolgimento, de “La morte di Ivan Ilijc Sciosciamocca”. In
fondo, ridere della quotidianità perversa è forse l’unico modo per esorcizzarla
e continuare a vivere nella nostra quotidianità di perdenti. Per queste e per
altre battaglie. Mi ha salvato dalla pampa, ne farei dono di lettura ad amici
che devono passare qualche ora nel salotto di un dentista ad aspettare di
essere guardati in bocca. Come regalo finale, vi lascio la fine di un altro
racconto, “In corpore insano”, che per assonanza ricorderà sempre nella mia
testa, il finto disco di Gaber (“Far finta di essere… Zani”). Così avrete un
esempio della scrittura di Herzog. (A breve libro, breve commento impongasi).
"Gli amanti dello sport urbano sono
davvero votati al sacrificio estremo. Dotati di fanatica volontà, nulla li può
fermare. Pensate che di recente, in un parco cittadino, ho visto – lo giuro,
quasi – un vecchietto, invalido di guerra, in abbigliamento tecnico e sedia a
rotelle che si faceva spingere a buona andatura dal badante rumeno. E non era
nemmeno tanto sudato. Il vecchietto, dico. Che il rumeno, invece." (85)
Personalità Confusa “Storia completa del tuo futuro” Unwired s.p.
(Prestito di Fako)
[A: 19/02/2018 – I: 22/04/2018 – T: 24/04/2018] - &&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 88;
anno 2006]
Secondo
“ScrittoMisto” che leggo, e, benché sempre riconoscente al mio amico Fako,
continuo a domandarmi che senso abbia il libro (e che senso aveva il blog da
cui nasce). L’autore, secondo quanto ho desunto dal web, dovrebbe essere un
uomo di nome Lorenzo, forse impiegato da qualche parte. Per anni su splinder
scrive il suo bravo blog, riuscendo a spuntare molti “Like”: come dire un
patito di FB. Tanto che decide di prendere una manciata di suoi scritti, integrarli,
aggiustarli, aumentarli con nuove e frizzanti scritture. Di modo che qualcuno
decide a sua volta che meritano di esser pubblicati in questa collana, dove i
libricini (diminutivo per il piccolo formato, non per il contenuto) dovrebbero
aggirarsi sulle 90 pagine. Questa collana che come vedete dal grande titolo si
chiama “Scritto Misto”. E questo già indirizza la lettura ed i pensieri di chi
legge verso momenti di relax e, possibilmente, di ilarità. Come detto, l’autore
è un blogger, una decina d’anni fa molto in voga, ma che credo ora non lo sia
più tanto. Così posso senza tema di essere servile o di essere osteggiato, dire
che questa collana e questo autore non mi convincono. Certo, ci sono sprazzi di
divertimento, sorrisi a fior di labbra. Un autore meglio bilanciato di me e più
propenso a dire cose, avrebbe cominciato a parlare della comicità del
quotidiano, degli effetti comici del crescendo (come in musica) e dell’accumulo
(mattoncino piccolo, piccola risata, secondo, terzo mattoncino, aumenta l’apertura
labiale, fino a che, non potendone più, magari si ride). Ma veramente si ride
in questi brevi ed inutili racconti? Come la serie delle Guide: Guida completa
alle colleghe del tuo ufficio, Guida alla metropolitana, Guida turistica
all’Ikea il sabato pomeriggio (quest’ultimo un testo da brividi, che se ci
provate ad andare di sabato all’Ikea ed uscite vivi, la prossima volta vi porto
in Tanzania). La micro-comicità di Personalità Confusa è di certo molto datata,
è di stampo molto “Zelig” di Bisio. Certo alcune idee sono divertenti e valide
tuttora, anche se la loro realizzazione non sempre è portata alle estreme
conseguenze. Tipo i sequel delle opere famose, come Pinocchio 2 o I Malavoglia
2. Poche righe per imbastire un’idea di trama, tipo un cinquantenne Pinocchio
che di colpo torna ad essere di legno. Ma l’idea regge solo le dieci righe del
commento, perché Personalità vuole essere spiritoso per forza, ed aggiunge ad
idee promettenti, conclusioni veloci e non sempre brillanti (da meditare la seggiovia
Milano – Madonna di Campiglio, forse un po’ lunga, ma quanto traffico fa
risparmiare). Visto che poi più dell’onor poté il digiuno (e qualcuno sarà
anche in grado di riconoscere la citazione aulica), ecco che, per farvi capire
il livello del libro e la sua capacità o meno di tenervi incollati alla pagina,
vi propongo un estratto di mezza pagina. Da far invidia a Umberto Eco e Maria
Teresa Serafini:
“Come
scrivere una tesi di laurea
Quella
che segue è una piccola guida alla compilazione di una tesi di laurea, pensata
per tutti gli studenti spaventati dal pensiero di dover affrontare questa
spaventosa impresa:
1.
È estremamente probabile che nessuno, a parte te, leggerà mai la tua tesi per
intero. È triste ma è così. Nei capitoli centrali potresti scriverci l’elenco
telefonico, la lista della spesa o la Gerusalemme Liberata e nessuno se ne
accorgerà. Gli archivi elettronici delle università sono pieni zeppi di tesi di
laurea mai lette da occhio che non fosse quello del povero studente
compilatore.
2.
Oltre alla tesi, dovrai stilare una bibliografia. Anche questa non verrà mai
controllata da nessuno. Prova pure a inventarti titoli, fonti, anni di
pubblicazione. Cita autori inventati, editori tedeschi, articoli cileni,
traduzioni dal tale giornale americano, norvegese o slovacco: nessuno si
prenderà la briga di andare a controllare. Mai. A questo punto, conviene
sbizzarrirsi.”
Penso
che avete capito, ma alla fine il risultato non si scosta molto dal basso più
basso. Resta il solo merito che sono riuscito a leggere questo e gli altri
libri della collana durante il viaggio in India. Per il resto, possiamo
oscurare tutto.
Hotel Messico “Seppellitemi con l’accappatoio” Unwired s.p. (Prestito
di Fako)
[A: 01/03/2018 – I: 25/04/2018 – T: 26/04/2018] - &--
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 87;
anno 2006]
Terza
lettura di questo “ScrittoMisto”, e probabilmente quella che meno mi è
piaciuta, meno ha acceso la mia fantasia. Sono sempre in India, ma ormai siamo
arrivati ad Agra, fa molto caldo, ma non è umido. Hotel Messico, non so perché,
è uno pseudonimo. Ma qui sono stato un bravo ricercatore, e ne ho trovato
traccia. In realtà, si chiama Gianni Solla, ed è un napoletano del 1974. Dieci
anni fa aveva questo blog (hotelmessico.net) che ora non esiste più, ma da
quelle prime righe un po’ involute, l’autore si è andato approfondendo nella
scrittura, ha pubblicato anche libri interi e non solo pezzi di racconti che mi
hanno dato la sensazione di essere solo molto splatter. Critici meglio
informati e più bravi di me parlano di una scrittura che ricorda le visualizzazioni
oniriche di Lynch, o i giri nello spazio interiore, frontiera invalicabile
delle personalità deviate e devianti, quasi un ripercorrere libri come “Crash”
di J. G. Ballard. Io sono più vicino alla terra, al concreto, al qui ed ora, e
molto dello scritto l’ho trovato inutile. Certo, si parla della cattiveria
infantile così come non se ne dovrebbe parlare (i bambini sono sempre bravi,
belli, buoni, angelici), in raccontini come "Scemo", "Prima
Comunione" o ancora "Resina". E lì troviamo bimbi e adolescenti
cinici, cattivi, a volte inutilmente sadici. Certo troviamo spunti, trattati
come fosse un abboccamento comico, che poi muta il suo ghigno prima verso
l’ironia, poi verso la cattiveria pura, in altri brani come il perfezionismo
suicida della protagonista di “Abbronzante”, come la tecnologia esasperata che
porta ad una follia mortale dei “Cinque ragni”. Attraversiamo con passo lieve,
ma senza che ne veniamo mai coinvolti più di tanto, la descrizione delle gravi
menomazioni del corpo martoriato da un incidente stradale come in “Bottoncino”,
la descrizione della tossicodipendenza di "Fino a Fuorigrotta", per
sconfinare nell’evidente emarginazione dei protagonisti di "Garden
Bar", di "Gli operai della metropolitana" o di "Un paio di
cose". Come sappiamo avendo letto dell’autore, esce fuori molto della
napoletanità che permea le sue anche altre pagine, di cui vi porto un esempio
in finale. Mi sarebbe piaciuto poter accostare anche idealmente queste righe ad
un classico come quelli rappresentati nella “Antologia dello humor nero” di
André Breton. Ma qui si vola troppo alto, mentre la scrittura di Hotel Messico
ci riporta in basso. Né giova all’autore allungare il brodo dei racconti. Che
qui trovano uno spazio più lungo, rispetto alle due tre pagine che in genere
gli scrittori di “Scritto Misto” e dei blog in genere riservano a queste
punture di spillo. Ecco allora il campione di scrittura:
“Quaderno
numero undici
Ho
il colera, il tifo, sono napoletano, napoletani con il sapone non vi siete mai
lavati, napolecani, se mi guardi di nuovo ti sparo in faccia, pagami il pizzo,
ti rubo la macchina, ti rubo il cellulare, ti do due coltellate nella pancia,
rubo le macchine fotografiche ai turisti giapponesi, mi trascino una francese
per venti metri per scipparle la telecamera, abito in una casa occupata, sono
terremotato, porto rispetto per Casale di Principe, sono scissionista, faccio
il parcheggiatore abusivo, vivo in un basso, ascolto i neomelodici, per strada
ci sono gli scarafaggi, faccio le rapine a Milano, rubo i Rolex a Parma, rubo
nelle ville a Varese, schifo i neri, gli albanesi, i rumeni, i milanesi, i
calabresi, i baresi, mi faccio il tatuaggio di Padre Pio, se non vai in galera
non sei uomo, in galera ti devi far rispettare, schifo i pentiti, devo fare un
matrimonio al ristorante che deve durare undici ore, voglio il posto al comune,
alla regione, alla asl, al ministero, sono un finto invalido, conosco uno alla
questura, manometto il contatore dell’Enel, non pago l’acqua, sparo contro i
carabinieri dal balcone, schifo la polizia, tengo la pistola nel cassetto, le
nostre femmine a vent’anni ne dimostrano trenta, a diciotto anni facciamo figli
perché non usiamo il preservativo.”
Una
scrittura posteriore di cinque anni al libro, ma ancora lontana nel tempo. e
che continua a non convincermi né coinvolgermi.
Marquant “Zitti al cinema” Unwired s.p. (Prestito di Fako)
[A: 19/02/2018 – I: 27/04/2018 – T: 28/04/2018] - &&&--
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 87;
anno 2006]
Sarà stato che ormai mi trovavo a
Khajuraho mentre leggevo questo che per me era il quarto volume degli “Scritto
Misto”, e come molti sanno quella città a me piace e mi rilassa (incluse le
presenze dei miei amici Pappu e Saixhin), ma ho trovato lo scritto di Marquant
il migliore della serie. Anche perché coniuga ironia e cinema, luoghi comuni e
litigi nella sala buia. Ma anche momenti di incontri culturali di eventi. Come
la trilogia di atteggiamenti per parlare male degli ultimi film di Woody Allen,
dove se ne può parlare male anche senza vederli. Ma andiamo con ordine. Intanto
Marquant è il più misterioso di quelli finora letti: so che è Milanese, che ora
è over 40, che va (andava?) molto al cinema. Proprio l’incipit è quello che mi
ha di più intrigato, con quella dedica a Pauline Clayton. Chi sarà mai
l’illustre ignota? Ebbene, per noi cinefili, un’eroina! Una persona multata in
Texas nel 2006 perché si è ribellata ad una persona che parlava al telefono
durante un film, e dopo aver cercato di zittirla, le ha toccato una spalla
dicendo “shhhh!”. Ebbene, la persona toccata ha denunciato Pauline per
“invasione del suo spazio privato”. Ed il giudice texano ha condannato Pauline
ad una multa di 150 dollari. Per noi rimarrà un mito, uno dei caposaldi di
quelli che Marquant giustamente etichetta come “Tipi da cinema”: l’Entusiasta
Molesto che ride ad ogni battuta, Le Amiche delle Otto che non smettono di
chiacchierare, Sua Saccenza, l’annoiato che sa tutto di questo e di tutti gli
altri film e non si capisce perché allora vada al cinema, Il Popcornivoro, una
specie che farei sparire a colpi di Nutella: i mangiatori di popcorn, Il
cartaio, si quello che scarta le caramelle producendo un rumore
fastidiosissimo. A questo punto mi inserisco con un ricordo personale, “Le
anziane da televisione”: tanti anni fa stavo al cinema vedendo l’ottimo film di
Scola “Il mondo nuovo”, e due signore accanto a me cominciavano a parlare a
voce alta, dicendo: “Oh, ma quello è Mastroianni”. No, signora quello è Giacomo
Casanova. “Oh, oh, ma quello non è Michel Piccoli?”. Ancora no, signora, quello
è Luigi XVI. Insomma, ad ogni attore che compare sulla scena ne parlavano come
fosse una comparsa televisiva, non un interprete del film. Mi sono alzato e mi
sono spostato dieci file più indietro. Fortunatamente, era pomeriggio ed il
cinema era vuoto. Capii allora perché il mio amato cugino cinefilo Paolo voleva
sedersi sempre nella seconda fila. Tanti altri episodi e spigolature contiene
l’ottimo libretto di Marquant, tanto che vorrei regalarvi la chicca del suo
decalogo:
"Peccato originale"
(promemoria strettamente autobiografico):
1.
Se il film è doppiato, lamentati per la scarsa
resa dei dialoghi e per le sfumature perse nella traduzione.
2.
Se il film è in lingua originale, lamentati
perché non ci sono i sottotitoli.
3.
Se ci sono i sottotitoli, lamentati perché tutte
quelle scritte lì in basso distolgono l’attenzione dalle immagini.
4.
Se capisci le battute, fallo sapere a tutto il
cinema: ridi, ridi sguaiatamente, un po’ per farla pesare a chi non ha capito,
un po’ per sfogare la tensione accumulata nello sforzo di capire.
5.
Se non capisci i dialoghi, prenditela con la
dizione degli attori americani, le patate in bocca e banalità dicendo.
6.
Se gli attori sono inglesi, limitati a osservare
che parlano davvero in fretta.
7.
Se il film è in francese con sottotitoli in
inglese, prima leggiti almeno la trama.
8.
Se il film è in una qualsiasi lingua non
occidentale, ricordati che sei lì per ammirare la fotografia.
9.
Se guardi prima l’edizione italiana,
ripromettiti di rivederlo in originale.
10.Se guardi prima la versione
originale, mostrati desideroso di rivederlo in italiano ("Ma giusto per
curiosità, eh").”
Certo, alla fine non ha spunti
clamorosi, o momenti ridancianamente coinvolgenti. Ma è una bella confezione,
e, unico fra questi libretti, ne consiglio caldamente la lettura.
Spad “Convivo con la metà di me stesso (il resto l’ho affittato a un
pirla)” Unwired s.p. (Prestito di Fako)
[A: 01/03/2018 – I: 29/04/2018 – T: 30/04/2018] - & +
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 91;
anno 2006]
Ormai
il giro indiano sta per finire, ed anche i volumi di “ScrittoMisto” che ho
portato con me. Purtroppo questo, che è l’ultimo, è anche quello che veramente
poco mi è piaciuto, così che lascio la collana con un po’ di amarezza. Non c’è
la verve e/o il coinvolgimento di Marquant, né le strampalate pagine di
Personalità Confusa. Anzi qui siamo quasi sul versante haiku (tante pagine sono
piccole poesie con finale alla Flavio Oreglio). Non è certo un caso che, benché
abbia trovato poche notizie di Spad sul web, quello che di lui si sa è il
passaggio dal blog al ghost writer per comici professionisti. Tornando alla
collana (di cui lamento solo la mancanza dell’ultimo titolo per chiudere il
cerchio “27 anni e non sono ancora morta” di Arkangel), insieme a quello
mancante questo è sicuramente il titolo più intrigante. Ma tuttavia rimane lì,
sul titolo perché il resto del volume non riesce a farci sentire più vicini
all’autore ed alle sue “battute”. È vero che i più di dieci anni si sentono, ma
le brevi poesie, le battute, il volgere tutto verso un sentimento sessuale che
sicuramente faceva presa all’epoca ma che ora sa di vecchio ed un po’ obsoleto.
Proprio per far capire cosa intendevo quando accennavo a Spad e ad Oreglio, vi
propongo un breve faccia a faccia, con due mini-testi di due righe dei due
autori:
OREGLIO
“Vedo
Vedo
un camoscio e gli stambecchi saltare.
Un'aquila
vola in alto e le marmotte zampettano circospette.
Amore,
sei sicura che di qui si va a Rimini?”
SPAD
“La dura legge del pelo:
“La dura legge del pelo:
Lei
può scherzare sul fatto di non essersi fatta la ceretta.
Tu
no.”
Ho
volutamente scelto qualcosa che non faccia riferimento al sesso e ad altre
performance al fine di non essere censurato sul web se e quando metterò online
queste righe. Vorrei finire questa breve panoramica del mondo “Unwired” con la
ripresa di una battuta che circolava molto tempo fa relativamente a questi ed
altri libri che servivano soltanto a riempire gli oziosi momenti sotto
l’ombrellone nelle calde estati italiane (si parla di tanto tempo fa, che ora
l’estate è tutto meno che calda, e non si sa quando arriva, e magari si sposta
da agosto verso settembre-ottobre). Venivano infatti chiamati “letturatura”
estiva. No, non è un refuso, era proprio una lettura che turava i buchi tra un
bagno e l’altro, tra una coca-cola ed un cocomero. Or non è più quel tempo e
quell’età, come diceva Carducci. E noi si rimane a rosicchiare un cardo,
lasciando andare nel dimenticatoio lo “Scritto Misto”. Una breve fine per una
breve e dimenticata collana.
Sono a Roma, e non so se esserne
contento (di nuovo a casa) o meno (ma che caldo che fa!). Anche perché sono da
solo. Ma ciò mi dà modo di riprendere le cure, questa volta per la pression, che bisogna sempre
tenerla sotto controllo.
Ma siamo anche al volgere di
un’estate complicata da incidenti e iatture, con pochi viaggi, è vero; con
l’Irlanda rimandata a data da destinarsi. Tuttavia, con un bel riposo sorianese
dedito alla ristrutturazione casalinga, ed un altrettanto bell’ozio
portercolano.
CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i
“bugiardini” di Giovanni
AGOSTO 2018
Si è parlato molto questa estate
di viaggi in alta quota, toccando spesso l’argomento della pressione alta, e di
come utilizzare il mate di coca per abbassarla.
PRESSIONE ALTA
La
lettura è un rimedio per l’ansia, e se avete la pressione alta può diventare
una buona e sana abitudine - soprattutto con un animaletto peloso raggomitolato
sulle ginocchia. Fate attenzione ai libri che scegliete, comunque; prendete
qualcosa di troppo piccante, o di così avvincente da farvi mangiare le unghie,
e il cuore pomperà ancora più forte di prima. Per rallentarlo, ridurre l’ansia,
e incoraggiarvi a vivere attimo per attimo, scegliete il vostro libro dal
nostro elenco di letture rasserenanti - romanzi che non corrono verso la conclusione,
ma abbondano di non-eventi e cantano le lodi della vita tranquilla. Quello che
manca nel ritmo, è più che compensato dalla bellezza e dalla capacità di
stimolare la riflessione.
I DIECI MIGLIORI ROMANZI PER ABBASSARE LA
PRESSIONE
Vincenzo
Cerami “Un borghese piccolo
piccolo”
Daniel
Defoe “Moll Flanders”
Charles
Dickens “David Copperfield”
Ernst
T. Hoffman “Gli elisir del
diavolo”
Ian
McEwan “Bambini nel
tempo”
Petronio
Arbitro “Satyricon”
Jean-Jacques
Rousseau “Le confessioni”
Leonardo
Sciascia “Il contesto”
Stendhal “Il rosso e il nero”
Virginia
Woolf “Le onde”
Bugiardino
Conosco, ance se ne ho letto solo
parti, sin dai tempi del liceo sia il Satyricon che “Le confessioni” di
Rousseau. Defoe e Stendhal erano presenti nelle librerie paterne, e ne ricordo
i testi, seppur non sia sicuro della loro lettura. Dickens e McEwan, per
ragioni diverse, li ho letti o riletti agli inizi degli anni 2000. Ho anche
traccia si Hoffman, di Sciascia e di Virginia Woolf, ma non so dire se li ho
letti o solo cercati qua e là su internet.
Vincenzo Cerami “Un borghese piccolo piccolo” Mondadori euro 9
[tramato
il 1 marzo 2015]
Letto
ad un anno esatto della morte del grande sceneggiatore italiano, purtroppo
scomparso nel luglio ‘14 a soli 72 anni. Un po’ sotto la spinta di un commento
di Stassi, un po’ per capire meglio la figura di Cerami, dopo averne apprezzato
i film con Benigni, ma anche con Bertolucci, Amelio, fino ai primi lavori da
aiuto-regista a Pasolini. Ed infine, per comprendere l’amaro film di Monicelli
che il grande regista ne trasse poco dopo l’uscita del libro. Film che, per una
serie di motivi, tra cui il mio scarso amore per le pellicole di Alberto Sordi
successivi alle folgoranti uscite degli anni ’50 (da “Lo sceicco bianco” di Fellini
del ’52 a “Tutti a casa” di Comencini del ’60), mi sono sempre rifiutato di
vedere. E benché appunto Monicelli ne abbia fatto un epigono di un mondo in
rovina (non era più tempo delle commedie all’italiana, e già si sentiva aria di
tragedia, visto che l’anno dopo veniva ucciso Aldo Moro), stravolgendo (secondo
quanto ho letto e quanto se ne dice sui libri di cinema) il finale di Cerami,
interpretazione su cui ritornerò. Ad una lettura poco concentrata, il libro,
apologo, come da titolo, di un mondo borghese triste ed immiserito, risulta non
solo non particolarmente avvincente, ma anche (e questo dipende senza dubbio
dalla personalità dello scrittore) tendente alla dimostrazione di una qualche
teoria giustamente decadente del mondo dei primi anni ’70. È la storia del
piccolo impiegato Giovanni Vivaldi, di ruolo nella Pubblica Amministrazione, ed
in particolare nel Ministero dedito alla concessione delle pensioni. Storia che
comincia con il nostro Vivaldi tipico e svogliato lavoratore burocratico e termina
con i giorni sempre uguali che andranno dalla pensione alla morte. Detto così,
l’apologo di Giovanni è di una tristezza infinita: la casa malandata, la moglie
Amelia, Mario il figlio ragioniere, i pasti fatti perché sì, le mattine in
ufficio, le chiacchiere con i colleghi, la FIAT ottocentocinquanta, il gelato
da Fassi a Piazza Vittorio, la Settimana Enigmistica. Ripeto, non vi sentite
già immersi in un gelo artico? In una vita che speriamo finisca presto? Su
questa via che non porta a niente, su questo rettifilo triste e sconsolato tra
la nascita e la morte, l’idea di Cerami (vincente dal punto di vista
drammatico) è di mettere una zeppa, un ostacolo, un incidente di percorso.
Allora vediamo che, una volta Mario diplomatosi, Giovanni, come tutti i bravi
impiegati di quegli anni, comincia a brigare per sistemare il figlio, magari
nel suo stesso ministero. E quando chiede aiuto al suo capufficio, si trova
invischiato in una ridanciana associazione massonica. Primo colpo che lo
scrittore dà forte e chiaro alla società. Per avere un posto fisso, per
sistemarsi, bisogna avere “degli amici”. Se fossimo in Sicilia, si chiamerebbe
mafia, ma siamo a Roma, e quindi Giovanni si fa massone (con la veramente
ridicola cerimonia di iniziazione!). Questo però gli consente di avere dal suo
superiore, una settimana prima dell’esame di ammissione al Ministero (i famosi
“concorsoni”) il testo dell’esame stesso, così che il figlio possa prepararsi a
dovere (che lo scritto è individuale, poi all’orale ci si dà una mano comunque).
E qui il secondo masso che Cerami mette sulla strada di Giovanni: andando da
casa al Ministero, i nostri due incappano in una rapina, parte un colpo di
rivoltella e Mario muore. Questo sì che farà crollare il castello di Giovanni:
alla moglie prende un colpo apoplettico, ed il nostro si ritrova a girellare
tra le macerie della sua vita, inebetito e senza scopo. Cerami si domanda (con
lo scritto, anche se non esplicitamente) dove sia la giustizia del mondo, dove
Giovanni possa essere risarcito (e non certo dalla Chiesa, messa in burla con
l’omelia del parroco durante il funerale). Inaspettatamente, mesi e mesi dopo
la morte di Mario, Giovanni incappa nel rapinatore che ha sparato. Terzo masso:
nessuna denuncia alla polizia, che al massimo esce fuori un ergastolo; ma, con
un’astuzia ed una forza improvvisa, rapimento del rapinatore, trasferimento
dello stesso nella baracchetta in riva al lago che serviva a Giovanni come
casotto da pesca. E lì Giovanni, lega il rapinatore ad una sedia, e, giorno
dopo giorno, lo lascia morire di fame e di sete. Meravigliandosi che la “tortura”
duri poco, e quindi seppellendo il cattivo sotto un fico in giardino. Arriva
quindi la sospirata pensione, ed il giorno stesso Amelia muore. Lasciando
Giovanni solo, senza lavoro, senza figlio, senza moglie e senza vendetta. Nel
film, al contrario, Monicelli spinge la sua cattiveria portando l’impiegato
Vivaldi a continuare l’opera di vendicatore solitario. Cerami no, Cerami si
ferma, annegando la vita in una tristezza infinita e senza scopo.
Personalmente, la figura del vendicatore solitario mi lascia alquanto perplesso
dal punto di vista intellettuale (cerco di capire, ma spero di non trovarmi mai
nella situazione in cui la domanda da teorica possa diventare pratica). Non è
la mia idea di giustizia. Come, quella di Vivaldi, non è la mia idea di vita.
Ma so, per averne passati di anni attraverso Ministeri ed affini, che quella è
molta vita che scorre. Io mi illudo nel pensiero che “scorresse” e che i
giovani, ora, possano, riescano ad uscirne, a crearsi un’aspettativa di futuro
che comporti la Settimana Enigmistica solo l’estate al mare. Speriamo. Intanto,
finisco considerando che il libro, pur con quei punti interessanti che ho
evidenziato, non mi ha coinvolto in maniera esasperata. Anzi.
Conclusioni
E qui mi trovo in disaccordo
totale con il suggerimento. Se avete la pressione alta, leggete questo libro e
vi scoppieranno le coronarie di bile e di voglia di vendetta. Tanto da prendere
la prima arma contundente e scendere in piazza brandendola e massacrando
chiunque incontriate. Per la pressione ci vuole un dosaggio equilibrato, tra
calma e coinvolgimento, magari con poco adrenalina. E non sono questi i casi.
Marquant è stato uno dei primi blogger italiani sulla piattaforma Splinder che non esiste più. Il suo blog teamtico sul cinema: "Zitti al cinema", è stato uno dei più seguiti.
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