domenica 2 dicembre 2018

Aspettando il Bis(sa) - 02 dicembre 2018


Scusate l’orrendo gioco di parole, ma questa settimana si eleva sugli altri la prima prova di Emanuele Bissattini, che so aver pubblicato un secondo libro che prima o poi leggerò. Per il resto delle oneste ma sottotono prove di autori già ben noti come Faletti e Recami, nonché una lettura di un testo osannato in giro per il mondo, ma che a me non è piaciuto. Parlo del primo libro della saga di Monaldi&Sorti, di cui forse qualcuno mi spiegherà il successo.
Emanuele Bissattini “Glock 17 – La pazienza dell’odio” Round Robin s.p. (Regalo di Pietro DS)
[A: 24/05/2018 – I: 12/06/2018 – T: 14/06/2018] - &&& +
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 316; anno 2017]
Non so se l’amico di tante sudate palestrose sarà contento, visto che lui non ama il genere (ci potrebbe stare una battuta, ma sarebbe troppo complicato poi spiegarla, quindi immaginatela), ma a me, questo libro, è moderatamente ma sinceramente piaciuto. Certo, ci sono cose che non sono completamente in sintonia con me, e di questo poi accennerò. Ma l’impianto generale, la costruzione e lo svolgimento della storia, nonché la capacità affabulatoria (d’altra parte se uno scrive per dei giornali, qualcosa avrà pure imparato…) sono gradevoli. Come gradevole, punto sempre di merito dell’ottima casa editrice, il carattere di stampa che aiuta a non appesantire le parole sulla pagina. Ed in effetti, Round Robin, nella piazza romana, ha un suo merito, di non tirarsi indietro di fronte ad autori nuovi, ed a percorsi di scrittura non sempre usuali. Certo, non è il grande editore internazionale. Ma nel suo piccolo, continua a pubblicare cose gradevoli. Come gradevole, appunto (e qui torniamo a bomba) è il libro di Bissattini. Gradevole anche se “scabroso”, non nel senso “hot” del termine, ma che affronta una materia, il noir in quel di Roma, che, da “Romanzo criminale” in poi ha avuto una svolta mediatica notevole, e quindi, a volte, non è facile evitare di cadere in ripetizioni. Qui, invece, l’idea originale, anche se ogni tanto può avere debiti di riconoscenza con questo o con quello, ha una sua forza per camminare da sola. Seguendo le parole dell’autore, ci immergiamo, per strati ed ondate successive, nel mondo e nella vita di Ercole Gatto. Un “aggiustatore”, non nel senso morale alla Maigret, ma nel senso fisico, quasi un sotterraneo Mr. Wolf, che risolve problemi, seguendo tuttavia una sua dirittura morale. Lo vediamo ora, nella sua “copertura” di meccanico di moto, accudito da Santina, ed accompagnato nelle opere e nei pensieri dall’amico Sigmund. Con un uso neanche tanto spinto di flashback, ricostruiamo la sua storia, il suo odio, la pazienza nel perseguire lo scopo ultimo della vita. A 6 anni assiste impotente allo stupro della madre, che ne uscirà sconvolta senza più riprendersi mentalmente. Stupro perpetrato da una banda di malavitosi cui, pare (ma scoprirete voi come e perché) si sia aggiunto il padre. Che non regge la violenza, e si uccide. Sarà Santina che lo salva, lo porta in Nord Italia, e lo fa crescere. Ma l’episodio rimane fisso nella mente di Ercole, e per esorcizzarlo, prima entra nella Legione Straniera, poi, con alcuni elementi del gruppo, li segue in un ingaggio in guerre mediorientali. Dove sta quasi per soccombere, se non ci fosse Sigmund a salvarlo. Ma anche Sigmund ha le sue pene, che gli uccidono moglie palestinese e figli. I due ritornano a Roma, Ercole meccanico e Sigmund fioraio vicino alle Mantellate. Da lì cominciano la loro opera di aggiustatori, ma solo per cause che ritengono degne. Il tarlo della vicenda infantile ha un primo balsamo quando Ercole riesce a trovare il cattivo dello stupro e ad ucciderlo. Ma questi sono antefatti, che scopriamo qua e là tra le pagine. Il fatto è un nuovo ingaggio che, oltre ad un’azione per salvare una signorina perduta, offre in cambio indicazioni per risalire la catena che portò a quelle vicende. Non vi sto a tediare descrivendo i come ed i perché, che si seguono bene nelle pagine di Bissattini. Sia per la bravura di Ercole nelle azioni solitarie, sia per quella di Sigmund nel trovare, capire e spiegare i retroscena. Fatto sta che, evento dopo evento, Ercole risale tutta la catena degli eventi, ricostruisce la vita del padre, l’atmosfera del tempo, i come, i perché ed i chi. Forse qui c’è un po’ di “accondiscendenza” che pare troppo semplice che tutto sia conoscibile, basta seguire appunto quei fili. Che, come nodi, si attorcigliano e non cadono mai troppo lontano dall’albero, come le mele marce fanno in genere. Avviandoci così verso un finale, che, bene o male, è già scritto da diversi capitoli. Ma va bene così, un po’ di sospensione non fa male né al lettore, che è libero di decidere l’esatto svolgersi delle cose, né all’autore che può decidere in un futuro di riprendere in mano alcuni bastoncini e ricostruire un nuovo shanghai. Un punto in più alla piacevolezza personale della trama, è che alcune parti della vicenda si svolgono tra Prati e Trionfale, zone che sono le mie, e che ben conosco. Due punti in meno per la denigrazione di via Tolemaide (dove ho abitato per 20 anni) e per una piccola incuria editoriale. A pagina sei la frase “Carmine allarga le braccia” è stampata “Carmine Allarga le braccia” (come se “allarga” fosse il cognome). Un controllo in più ed era tutto liscio. Ma sono venialità, che non intaccano la buona riuscita del romanzo stesso.
Giorgio Faletti “L’ospite” Einaudi s.p. (Regalo di Alessandra)
[A: 24/06/2018 – I: 31/07/2018 – T: 01/08/2018] - & e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 117; anno 2018]
L’anno indicato riguarda la pubblicazione di questo libro che contiene due racconti pubblicati in precedenza. Il primo, “L’ospite d’onore”, è del 2005, uscito nell’antologia “Crimini”. Il secondo, “Per conto terzi”, invece è del 2008 ed è uscito nell’antologia “Crimini italiani”. Qui, Einaudi decide una piccola operazione di marketing, tanto per ricordare il bravissimo autore da quattro anni, purtroppo, scomparso. Meritevole per ricordare Faletti, poco lodevole per la scelta, che i due racconti non è che siano il massimo della scrittura e della suspense. Infatti, il primo racconto non merita più di ½ libro. Il secondo racconto ne merita invece uno, che ha una più solida base descrittiva, anche se sono presenti diversi debiti verso altri scritti (e ci torneremo). Consiglio comunque di non leggere la quarta di copertina, dove si cerca di volare alto per spiegare le motivazioni del titolo che, se ha qualche attinenza con il primo racconto, non si vede come possa essere appicciato al secondo. Nell’ospite d’onore, Faletti cerca di accattivarsi il lettore ammiccando e facendo “il simpatico”. Atmosfere distese, descrizioni anche ironicamente coinvolgenti (se potessimo leggere tutti i libri in modo atemporale, direi quasi che potrebbe andare in parallelo con il primo libro di Robecchi con le avventure di Carlo Monterossi). Cercando di interessarci al “gossipismo” di Riccardo, alle bellezze procaci della nipote Sara, nonché alla vicenda al limite del nonsense del conduttore televisivo che, dopo la morte inspiegabile in diretta della soubrette di turno, decide di eclissarsi. Sarà Sara che casualmente lo ritroverà, e sempre lei che ne indicherà possibili nascondigli allo zio nonché giornalista da “Diva e Donna”. E saranno loro che, in una Guadalupa incantata di mare e di sole, ripercorreranno la storia di quell’ultima puntata. Con il misterioso tipo che succhia Chupa Chups, che Faletti mette lì per incutere timore, che spaventa Walter e che … Ma è una vicenda senza sugo, noi non siamo né Riccardo né Walter né tantomeno Sara. Il tutto quindi scivola via senza lasciare traccia. Unico momento che ricordo con piacere, e che mi ha fatto salire a mezzo libro il giudizio, è la descrizione della vicenda artistica di Walter, che ricalca, con opportuni distinguo, quella stessa di Faletti: “aveva cominciato per caso, dopo anni trascorsi nei villaggi come animatore turistico, con una trasmissione per giovani … su una rete Mediaset”. Ed io ben ricordo l’incontro con Giorgio nei primi anni ’80, nel campeggio di Isuledda vicino ad Arzachena (oggi diventato pomposamente, “Centro Vacanze Isuledda”), e la nostra gita in barca (io, lui e Sara) nelle Bocche di Bonifacio. Ma questa, è ovvio, fa parte di altre narrazioni. Il secondo racconto, almeno, ha una parvenza descrittiva e di trama “quasi” gialla. Anche se, a partire dal titolo, e dal sesto capitolo, si capisca tutto, anche troppo. Tra l’altro (ed in questo Faletti è ben onesto), dice lui stesso che il racconto sembra copiare il film di Hitchcock “Delitto per delitto” (anche se io propenderei per la radice comune verso “Sconosciuti in treno” di Patricia Highsmith). Quindi del racconto non narro molto, se non la strana (per come è congeniata, non per le motivazioni) morte di Angelo Bertolini, detto Bradipo. La parte narrata (ed è qui che un po’ sale il giudizio sullo scritto) si sviluppa in capitoli in cui ogni volta (almeno per i primi sei) entra in scena un personaggio. E non ho difficoltà a tributare il doveroso omaggio allo scrittore Faletti: agile, ben descritto, ed ognuno esce fuori con le sue particolarità. Il morto, il commissario, il triste padre, ed altri. L’atmosfera di Asti (città che non conosco, ma che prima o poi, seguendo le orme di Anita dovrò visitare) viene fuori tra le brume di una sigaretta e di un buon bicchiere di rosso. Magari con in sottofondo un bel Paolo Conte d’annata. Insomma, un centinaio di pagine che si leggono in fretta, che danno qualche scossetta, qua e là, ma di cui, voltata pagina 118, non rimane gran che. Forse solo il rimpianto per un uomo che ci ha lasciato troppo presto. Ma anche questa è un’altra storia. Una che mi vede famelico lettore del grande successo di Giorgio, e pessimo detrattore di tutte le altre scritture. Io, si sa, sono un po’ meteoropatico, ma mi volete bene ugualmente.
Rita Monaldi & Francesco Sorti “Imprimatur” Baldini & Castoldi euro 9,90
[A: 16/05/2017 – I: 24/08/2018 – T: 01/09/2018] - &&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 670; anno 2002]
Ero curioso di leggere questo libro dopo tutte le polemiche che aveva suscitato, e che, sembra, tuttora susciti. La premiata ditta Monaldi&Sorti ha infatti prodotto un discreto numero di volumi (cinque usciti e due in preparazioni) di una serie che hanno posto sotto l’egida del titolo “diplomazia internazionale barocca”, anche se potrebbe andare anche come attività internazionali di Atto Melani. Costui, abate e cantore castrato, è stato un personaggio realmente esistito, nato nel 1626 e morto nel 1714. Sembra che la coppia di scrittori ne abbia fatto il fulcro delle loro novelle, anche a partire da qualche documento bibliograficamente interessante ritrovato in qualche non nota (a me almeno) biblioteca. Ho detto coppia, in quanto Rita e Francesco sono, anche, marito e moglie. Ma cominciamo subito con le polemiche. Questo primo libro, che riporta vicende real-fittizie probabilmente svoltesi in Roma nel settembre 1683, ha un suo fulcro su presunte attività non proprio limpide del papa del tempo, Innocenzo XI al secolo Benedetto Odescalchi, eletto papa nel settembre del 1676, e rimasto in carica fino alla morte avvenuta il 12 agosto 1689. Pare (e dico pare visto che non conosco tutti i retroscena) che le gesta narrate nel libro siano state di poco gradimento alla Chiesa Cattolica. Il libro usciva nel 2002 per i tipi di Mondadori. Ma dopo una vendita di circa 10 mila copie, la casa editrice lo ritira dal commercio ed il libro sparisce. Peccato che “risorga” all’estero, dove, secondo l’editore olandese che ne prende la cura, viene tradotto in 26 lingue e tocca il milione di copie vendute. Mondadori (e la Chiesa) nega che ci sia stato ostracismo per alcune presunte scomode verità contenute nel libro. Monaldi&Sorti, per continuare a pubblicare la saga di Melani, nonché altri libri, decidono di lasciare l’Italia. E da una decina d’anni vivono a Vienna. Da dove, appunto, continuano a scrivere di Melani, e di altri personaggi dell’epoca barocca. Periodo cui sono interessati per formazione, nonché per studi musicologici (Sorti è esperto anche di musica barocca del XVII° secolo). Insomma, questo il grande mistero, e questo il motivo per cui, pur non avendone necessità particolari, la curiosità mi spinge a leggere di questo volume, che solo dal 2016 trova un nuovo editore italiano. È infatti Baldini&Castoldi che ne acquistano da Francoforte i diritti. E che ne pubblicano. Veniamo allora allo specifico del libro. Che devo dire è ben costruito, articolato, ma, per lunghi tratti, decisamente moscio. C’è poca tensione, c’è una difficile curiosità narrativa, ci sono soluzioni scontate. E ci sono sicuramente troppe pagine. L’azione è tutta in Roma, principalmente nella metà di settembre del 1689, relegata nelle stanze della taverna del Donzello, in un luogo che attualmente dovrebbe ospitare l’Hostaria dell’Orso. In una possibile epidemia di peste (che spesso era flagello al tempo), una decina di personaggi sono rinchiusi nella taverna. Il primo, De Mourai, un francese, muore subito, forse avvelenato forse appestato. Così come colpito da bubboni sembra l’inglese Bedford. Poi c’è un musico francese virtuoso di chitarra, Robert Devizé, che spesso suona un rondò che incanta i presenti. C’è un artista vetraio di Murano che poco entra nelle storie, così come l’astrologo napoletano (anche se ci saranno lunghe pagine dedicate proprio alle stelle ed alla loro influenza vera o presunta sul comportamento umano). Anche il gesuita spagnolo, padre Robleda, avrà alcune pagine di interpretazioni teologiche ma poco di più. Ben più presente il marchigiano Pompeo Dulcibeni, che aveva accompagnato il de Mourai da Napoli. E che ha un comportamento assai misterioso. Le fila del discorso sono tenute, in modo nascosto tra le quinte, da uno dei personaggi con storicità accertata: il cantore castrato Atto Melani, poi abate, e di sicuro spia a vario titolo del regnante francese. Le gesta ci vengono infine narrate dal garzone della taverna, il piccolo (di statura) forse di nome Francesco, il cui diario è fittiziamente riportato dagli autori. Storie vere ed immaginate si intrecciano: de Mourai in realtà sarebbe il grand commis francese Nicolas Fouquet misteriosamente fuggito dalla prigione di Pinerolo. Dulcibeni, aiutato dal vero archiatra del papa, il dottor Tiracorda, cerca di avvelenare con le zecche della peste le sanguisughe del papa, in base ad una vendetta cui da anni tiene il filo. Cloridia non a caso è nella locanda, essendo la figlia perduta di Dulcibeni. Melani, con l’aiuto di Francesco e di tombaroli romani, detti “corpisantari”, che cercavano le reliquie dei corpi santi dentro le catacombe romane per poi rivenderle ai gonzi pellegrini. Se volete un bel riassunto degli avvenimenti che si succedono nel libro, gli stessi autori ne forniscono un sunto dei sunti a pagina 505 cui rimando senza riproporlo. La storia del libro, narrate da Francesco, si concludono tirando le fila dei vari misteri. Ed a loro rimando per chi fosse interessato. Io vorrei sottolineare invece da un lato la fatica nel leggere le lunghe pagine del testo, che diluiscono le vicende, le ingarbugliano, ma non ne fanno una narrazione avvincente come meriterebbe. D’altro lato, il punto forte è il vero (o presunto veritiero) insieme di notizie che storicamente corredano il testo. Le notizie della Battaglia di Vienna tra le forze cristiane guidate dal nobile polacco Sobieski contro l’invasione turca, e la successiva vittoria dei cristiani stessi (foraggiati dalle casse vaticane di papa Odescalchi). Le storie del re Sole Luigi XIV e dei suoi sovraintendenti alle Finanze, prima il Fouquet poi il Colbert. Il ruolo di spione ai servizi del re Sole dell’abate Melani. Ma soprattutto la pietra finale dello scandalo, motivo reale secondo gli autori dell’ostracismo vaticano nei loro confronti. Sarebbero infatti i soldi degli Odescalchi, gestiti dal fratello del papa, Carlo, ma con il tacito assenso del papa stesso, che avrebbero permesso a Guglielmo III d’Orange di spodestare il cattolico Giacomo II Stuart e di instaurare, dal 1689, il regno protestante della casa di Hannover in Inghilterra (regno che terminò con la regina Vittoria nel 1901, per passare, tramite il di lei marito, a quello dei Sassonia-Coburgo-Gotha cui appartiene l’attuale regina Elisabetta II). Questo “coup de theatre” viene messo in onda dalla coppia Monaldi&Sorti proprio nel 2002, anno in cui doveva svolgersi il processo che avrebbe portato il beato pontefice al ruolo di Santo. Processo interrotto e non più ripreso. Devo dire in realtà che sono proprio le ultime cento pagine di documentazione storica che più mi hanno preso, sia per un miglior ritmo descrittivo, sia per un maggior interesse sul reale intreccio di momenti così oscuri della storia pre-moderna. Un ultimo accenno: questo è il primo di sette libri dedicati all’argomento, i cui titoli, letti nell’ordine, recitano “Imprimatur Secretum Veritas Misterium Dissimulatio Unicum Opus”, che tradotto sta a significare "Si pubblichino tutti i segreti del mondo, ma la verità è sempre un mistero. Unica impresa, la dissimulazione". Ma non credo che leggerò altro di queste storie.
Francesco Recami “Commedia nera n.1” Sellerio euro 14
[A: 16/03/2017 – I: 02/09/2018 – T: 03/09/2018] - && e ½  
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 210; anno 2017]
Francesco Recami, terminata, più o meno, tutta la serie delle “Storie di ringhiera”, su cui tornerò prima o poi, decide di intraprendere un nuovo filone di giallo – burlesque (cercherò anche di spiegare cosa intendo con questo termine). Ho anche la “Commedia nera n.2” che si leggerà, anche se per ora non so se sia basati con gli stessi personaggi, o solo con situazioni comparabili. Vedremo (anche se propendo per la seconda interpretazione). Ho usato il termine burlesque nel senso etimologico primario di “spettacolo satirico con venature comiche”, piuttosto che nell’accezione attuale di spettacolo di varietà con canzoni, caricature e spogliarelli. Che l’intento di Recami mi sembra quello di creare situazioni improbabili, comiche, a volte anche tragiche, facendoci riandare alla mente i cartoni di Will Coyote che il protagonista della storia, Antonio Maria, guarda spesso e volentieri in televisione. La vicenda è quasi un “pas de deux” nella vita familiare appunto di Antonio Maria e di sua moglie Maria Antonietta (notiamo già il contrappunto dei nomi). Conosciutisi all’Università (facoltà di Giurisprudenza) Antonio Maria deve abbandonare gli studi per la morte del padre e per prendere in mano la sartoria di famiglia. Maria Antonietta invece si laurea, fa il concorso in polizia, dove entra carica di onori e con una solida carriera che perseguirà presto. I due si sposano, ma già si notano le avvisaglie delle future lotte. Il nostro è tendenzialmente un debole, un po’ succube degli eventi che lo condizionano, piuttosto che essere lui a guidarli. La moglie invece è assertiva e sicura, non fa un passo se non sa la direzione che prenderà. E prende sempre il comando delle operazioni. Anche in casa, e soprattutto a letto. Dove sfiancherà ben presto il malcapitato Antonio Maria. Chiedendo sempre di più e con più intensità e profondità. Una volta compreso che il marito non riesce a seguirla su questi ritmi, e dovendolo punire ed umiliare per motivazioni varie, si arriva allo scenario con cui si apre il romanzo. Antonio Maria, caduto anche in depressione, non esce più di casa, dove svolge tutti i compiti per la gestione della stessa (compresa la spesa che, non uscendo, si fa recapitare). Eccellendo particolarmente nelle preparazioni culinarie. Maria Antonietta, relegato lo sposo in una stanza a parte, fa installare in casa, a rotazione, stalloni in genere presi dalle forze di polizia, che, con la scusa della sorveglianza del commissario, vivono a rimorchio della precaria (moralmente) situazione familiare. Il balletto tra i due è speculare e prolungato. Maria Antonietta, en passant, cita casi e situazioni poliziesche, che risolve brillantemente. Noi, all’inizio, si pensava che potesse scaturire da qui il filone “nero” della commedia, mentre sono solo intermezzi per il “dramma” che invece si svolge tra le pareti domestiche. Dove Antonio Maria tenta di fuggire, alla casa ed alle grinfie della moglie, con tutte le difficoltà di una persona depressa, che ha paura nell’affrontare le strade aperte. Ovviamente, tutti i tentativi del nostro, come quelli di Will Coyote, sono destinati a fallire. Quasi sempre per inezie, per sviste, per accadimenti imprevisti. Ci sono momenti in cui la fortuna sembra sia dalla parte di Antonio Maria. Ma è sicuro che ogni volta, lui si ferma un attimo prima, o fa la mossa sbagliata. Insomma, non si riesce a sfuggire alla casa. Quindi, accentuandosi la depressione, il primo passo successivo del nostro è tentare di organizzare un omicidio perfetto. Che prepara varie volte meticolosamente, e che, anche qui con gli effetti “comici” che si accennava, miseramente falliscono. Il passo successivo, allora, sarà quello di porre fine alla propria vita. Ma anche il suicidio, non solo è difficile, ma cade sempre in successivi inciampi che ne ostacolano l’esecuzione sia per motivi esterni che per insipienza dello stesso suicidante. Fino alla soluzione finale: impiccarsi! Ovvio, non ve lo mando a dire, che troverà il modo di sbagliare la lunghezza della corda, o l’altezza cui appenderla (essendo anche non troppo alto). Finendo però… Lasciamo qualche sospensione finale, ad una commedia che alla fine, per me, è risultata poco nera. Molto lontana, ad esempio, da quell’”Humor noir” di un tempo che fu della mia memoria di André Breton, che tutt’altro svolgimento e concatenazione aveva. Un libro che scorre, ma che alla fine, nella ripetitività delle situazioni, si aspetta solo che arrivi presto ad una conclusione, pur che sia. Vedremo che ne sarà alla seconda puntata, che in fondo a me di Recami non dispiace leggere.
Invece, ecco subito, in questa prima trama di dicembre, la ripresa delle intense letture settembrine, con ben tre punte di valore: un bel libro di Pisani sulla Cappella degli Scrovegni, il 13° volume dei romanzi di Maigret, nonché il numero speciale di Micromega dedicato al cinquantenario del ’68. Ci sono anche punte che volgono decisamente al basso, come l’ennesimo ed illeggibile libro su Bridget Jones, un altrettanto illeggibile giallo anglosassone di un’esimia e giustamente poco nota Elizabeth Daly, ma anche su di un datato e per me poco fruibile libro di Haruki Murakami.

#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Monaldi & Sorti
Imprimatur
Baldini & Castoldi
9,90
2
2
Helen Fielding
Bridget Jones Un amore di ragazzo
BUR
9,90
1
3
Francesco Recami
Commedia nera n.1
Sellerio
14
2
4
Giuliano Pisani
I volti segreti di Giotto
Corriere della Sera Arte
7,90
4
5
Georges Simenon
I Maigret – 13
Adelphi
s.p.
4
6
Alessia Gazzola
Una lunga estate crudele
TEA
12
2
7
Jack Iams
Non si uccide pima di Natale
Corriere della Sera Gialli
6,90
2
8
Marina Fiorato
La ladra della Primavera
Corriere della Sera Arte
7,90
3
9
Anne Perry
Assassinio a Brunswick Gardens
Mondadori
5,90
2
10
Anne Perry
Il complotto di Whitechapel
Mondadori
4,05
2
11
Anne Perry
L’amante egiziana
Mondadori
3,60
2
12
Anne Perry
Mezzanotte a Marble Arch
Mondadori
5,90
2
13
Haruki Murakami
La fine del mondo e il paese delle meraviglie
Einaudi
s.p.
1
14
Dorothy Cameron Disney
Una sciarpa intorno al collo
Corriere della Sera Gialli
6,90
2
15
Maurizio De Giovanni
Buio per i bastardi di Pizzofalcone
Repubblica Italia Noir
7,90
2
16
Autori Vari
Micromega 1 e 2
Repubblica editore
19,50
4
17
Elizabeth Daly
L’assassino scrive di notte
Corriere della Sera Gialli
6,90
1

Per il resto, cominciamo bene questo mese di dicembre per il suo volgere alla fine di un anno difficile, complicato e poco amato. Niente viaggi all’orizzonte, ma tante situazioni amical-familiari da tenere in considerazione. Sperando che non vogliate regali, che questo Natale poco mi ispira, penso invece di continuare ad abbracciarvi.

Nessun commento:

Posta un commento