Dopo un ottimo mese, o quasi,
passato in India, eccoci di nuovo alle nostre letture. Che rimangono nel solco
dei viaggi, dove, benché si parli di “noir” e altro, provengono o da vecchi
scali mai dimenticati (l’Islanda di Indriðason) o da nuovi viaggi (il Botswana
di McCall Smith o la Scozia di Peter May). Rimane spuria solo l’intramontabile
George con le sue storie inglesi. Comunque, rimane sempre l’Islanda nelle
posizioni migliori.
Arnaldur Indriðason “Una traccia nel buio”
TEA euro 11 (in realtà, scontato a 8,25 euro)
[A: 05/07/2016 – I:
04/10/2018 – T: 06/10/2018] - &&&
[tit. or.: Skuggasund; ling. or.: islandese; pagine: 315; anno 2013]
Eccoci, dopo un altro anno,
tornati ad uno dei miei caposaldi nordici, l’islandese Arnaldur. Dove anche
lui, come molti altri giallisti, decide una diversificazione della propria
produzione. Certo, lo aveva fatto anche con il precedente, anche se rimaneva un
solco di continuità con le mitiche gesta del commissario Erlandur. Qui saltiamo
il fosso, in una storia senza nessun contatto con le altre, se non per il fatto
che si parla dell’inizio, della costituzione della Polizia Investigativa
islandese (e parliamo di una parte del romanzo che si svolge durante e poco
dopo la seconda guerra mondiale) da cui anni ed anni dopo Erlandur sarà uno dei
punti di forza. Purtroppo, l’andamento della narrazione è un po’ involuto,
saltando spesso tra presente e passato. Il che porta alla fine anche ad una
resa non all’altezza delle aspettative, anche perché, se noi lettori capiamo
bene cosa e come sia successo e quando, i protagonisti del libro rimangono
quasi all’oscuro dello scioglimento definitivo. Di certo vittima del clima
generale della narrazione, ma poteva essere reso con più brio. Perché il
dosaggio tra storie, persone e fatti ha una sua presa sul lettore, che viene
coinvolto mentalmente nel seguire le due narrazioni, cercando di interpretare e
sciogliere i fatti insieme non tanto ai due investigatori del passato, quanto
al commissario pensionato e consulente della polizia che segue l’indagine al
presente. L’idea, solita nel quadro di Arnaldur, oltre ai rapporti tra persone,
è anche presentare qualche aspetto peculiare islandese. Come in questo caso,
quella che veniva chiamata al tempo della guerra, la Situazione (“Ástandið” in
islandese), cioè la promiscuità tra le donne locali ed i soldati occupanti, prima
gli inglesi dal 1940, poi sostituiti nel ’43 dagli Americani. Nacquero molti
matrimoni misti, molti “figli della situazione”, ed il puritanesimo locale andò
in crisi. Della Situazione se ne parla che una coppia mista scopre il cadavere
di una giovane donna stuprata ed uccisa. Delle indagini se ne occupa il
commissario Flóvent, che con la sua opera investigativa farà nascere la polizia
islandese allora ignota, aiutato da Stephen Thorson, un canadese oriundo
islandese, che quindi, con le due lingue, funge da trait d’union. Un’indagine
difficile, che non si trova nessun legame possibile con qualsiasi situazione di
pericolo. C’è solo un vago accenno, uscito fuori in una seduta spiritica, di
una seconda donna uccisa nel Nord del paese. Collegando i due fatti, pur senza
prove, i due poliziotti risalgono allo studente Jonatan, studioso di elfi e
mitologia scandinava. Materia collegabile ai fatti, per cui i nostri torchiano
Jonatan, che si professa innocente, e che, in un tentativo di fuga, si uccide
finendo sotto una macchina. Questa materia viene tirata fuori una sessantina
d’anni dopo, quando viene ucciso un novantenne. Che si scopre essere Thorson,
il quale alla fine della guerra, trona in Islanda, e ci resterà tutta la vita.
Per fare altro, per ricordare l’amico Flóvent morto mentre lui era al fronte
(un po’ di spunti gay, ma non approfonditi). Ma che poco prima di morire pare
abbia scoperto una nuova pista. Pista che segue Konrađ, un commissario in
pensione. Con il gusto delle coincidenze, che spesso piace al nostro, Konrađ è
figlio del finto medium della seduta di cui sopra. Scopre che tutti i documenti
sono scomparsi, meno un appunto che era stato spostato di anno nell’archivio
della polizia. Con quella flebile traccia, Konrađ scopre il nome della ragazza
delle Situazione che scoprì il cadavere, scopre dove lavorava Rosamund, la
morta, scopre la figlia della stessa che gli racconta come Rosamund, dopo lo
stupro, non volesse più portare vestiti di sartoria ad un certo indirizzo.
Scopre l’indirizzo stesso, dove vive una potente famiglia islandese, con padri
e nonni anche ministri. Scopre che Jonatan era ospite di quella famiglia.
Scopre che il figlio (ora settantenne) ed il padre (allora ministro ed ora
morto) erano presenti sia nella capitale sia nel Nord all’epoca delle due
uccisioni. Scopre che il canadese, prima di essere ucciso, aveva visitato la
casa e parlato a lungo con il nipote (che il settantenne è anche in pieno
Alzheimer). Alla fine, Konrađ ricuce tutti i puntini che Thorson e Flóvent
avevano lasciato in sospeso. Petò questa parte finale è molto in minore, ha
poco mordente. Si, qualche piccolo colpo di coda, ma poco coinvolgimento. Tutto
si scioglie, ma a noi rimane più impresso il clima della Situazione, il ruolo
dei soldati occupanti, i modi di vivere isolani (come appunto quello di
chiamarsi per nome, tanto che del commissario Konrađ non sappiamo neanche il
patronimico, e l’altro di darsi del tu, anche come richiesta esplicita,
reiterata a lungo durante molti colloqui). Alla fine, Arnaldur, pur con alcuni
limiti, continua a piacermi. Proprio perché, oltre al racconto in sé, riesce
ogni volta a riportarmi in Islanda. Che continuo a ritenere un paese visitabile
ed affascinante.
[A: 20/06/2017 – I: 11/10/2018
– T: 13/10/2018] - && +
[tit. or.: The Banquet of Consequences; ling. or.: inglese; pagine: 572; anno 2015]
Come al solito,
periodicamente, si ritorna sugli scrittori presenti in grande copia,
soprattutto nel caso di scrittura seriali come questa. La George, ben
rappresentata nella mia biblioteca, si fa di nuovo viva nelle mie letture con
un nuovo episodio dedicato al mondo dell’ispettore Lynley. Ho detto mondo, in
quanto ormai siamo ad una rappresentazione globale dell’universo investigativo
londinese, dove, seppur l’ispettore rappresenta l’elemento unificante, rispetto
a tutti i romanzi pregressi, la platea dei personaggi si allarga sempre più.
Oltre a Lynley, ha ormai un suo spazio fisso, ed ampio, il sergente Barbara
Havers. Che qui, in particolare, prende buona parte della scena poliziesca,
mentre Lynley ha un ruolo amministrativo, e meglio connotato nella
ricostruzione della propria vita, dopo tutti i rovesci subiti. In secondo
piano, ma pure loro con una forte presenza, ci sono il capo della sezione
investigativa, Isabelle Ardery, per breve tempo anche amante di Lynley, ed ora
ben compresa nel suo ruolo istituzionale, anche un po’ antipatichella, nel
voler raddrizzare i comportamenti “al limite” di Barbara. E c’è Daidre la
possibile nuova fiamma di Lynley, che i due hanno un inizio di rapporto (già
dal romanzo precedente), ma hanno anche una difficile problematica da
affrontare, in gran parte dovuta ai pregressi familiari dei due:
l’aristocratico (e ben fornito di soldi) Lynley e la borghese ed autonoma
Daidre. In via defilata, caratteristi ma non dimenticabili, il sergente
aiutante di Barbara, Nkata Winston, e la segretaria di Isabella, Dorothea.
Tutta una notevole parte del romanzo gira sul filone dei rapporti privati tra
tutte queste entità, lasciando pur notevole spazio al resto. Che tuttavia poco
si sviluppa su versanti polizieschi e/o investigativi, ma che anche lì affronta
problemi personali, rapporti familiari e di lavoro, ed altro ancora. Il tutto
porta alla solita elefantiasi di scrittura, che, questa volta però, non riesce
ad essere coinvolgente come al solito. Lasciando quindi da parte Lynley ed il
suo mondo, la parte da risolvere riguarda la vita familiare che ruota intorno
alla figura di Caroline ed al suo mondo. Ci sorbiamo tutto un inizio con la
descrizione della (forse) malattia mentale del figlio William, del suo rapporto
con la inizialmente simpatica Lily. Sino a che questa non scopre un segreto
familiare, che sconvolge Will portandolo al suicidio. Con uno stacco temporale
di qualche anno, vediamo Caroline diventata aiutante della scrittrice Clara, in
perenne contrasto con il di lei editor Rebecca. Vediamo il corrompersi del
rapporto tra Caroline ed il suo secondo marito, che cerca di trovare una via di
sfogo verso la sua aiutante Sharon. Vediamo il crollo dell’altro figlio
Charles, del deteriorarsi del rapporto tra Charles e India, dovuto anche ad un
crollo psichico di Charles dopo la morte del fratello. Il momento clou, chiave
di volta della storia, si ha quando Clare inaugura un monumento in memoria di
Will. Cerimonia cui partecipano non invitati e con grande scandalo, Lily (che
dalla morte di Will non fa altro che perseguitare Caroline ritenendola
responsabile di tutto), l’ex-marito di Caroline nonché padre di Will e Charles e
la sua nuova moglie, la giovane tailandese Suleme. Scandali, urla, accuse. Poi,
pochi giorni dopo, muore inaspettatamente Clara. E poco dopo sta per morire
anche Rebecca, che però viene salvata in extremis. I due avvenimenti accadono
per avvelenamento da azoturo di sodio, sciolto nel dentifricio. Ma il
dentifricio è di Caroline, che lo aveva prestato a Clare. Il veleno poi rimane
anche nei vestiti della morta, che Rebecca raccoglie. Tutto quindi si gioca
quindi sull’indecisione: era Caroline che voleva uccidere Clare, avendo questa
scoperto alcuni suoi segreti inconfessabili, o era qualcuno che voleva invece
eliminare proprio Caroline, ma che sfortunatamente fallisce? Anche perché
Caroline è una rompipalle di decimo livello (come direbbe il grande Rocco), che
sembra godere a rovinare la vita di tutti, per proprio tornaconto o per
malvagità. Potrebbe essere stata Sharon, per liberare il suo nuovo amato.
Potrebbe essere stata Lily, finalmente riuscendo ad avvicinarsi all’odiata.
Potrebbe essere stata India, per liberare il marito dal gioco familiare.
Potrebbe essere stato Charles per liberare sé stesso e vendicare la memoria di
Will. Barbara riuscirà ad arrivare ad una soluzione dell’enigma, riconquistando
anche un po’ di fiducia. Ma il thriller non è un thriller, è troppo lungo e
lento. Ha più del romanzo di intreccio, ma alla fine non riesce bene in nessuno
dei due intrecci, quello della famiglia di Caroline e quello della vita
“privata” di Lynley. Intanto ne è uscita una nuova puntata. Vedremo. Per
finire, due appunti: perché la quarta parla di due morti sospette, laddove c’è
un suicidio (poco sospetto), una morte (questa si sospetta) ed un tentativo di
uccisione (senza morte, però). Il secondo è sul titolo italiano, laddove
l’originale parla di un banchetto di conseguenze, banchetto inteso come un
luogo in cui convergono molte persone (e molte in effetti sono le persone
coinvolte) e dove si succedono azioni conseguenti ad altre azioni. Certo che
c’è anche molto odio in giro, ma la George non lo aveva messo in primo piano.
Soliti misteri italici.
“Pensiamo di essercelo
lasciato alle spalle, ma il passato ci segue ovunque come un cane affamato.” (440)
Alexander McCall Smith “The n°.1 Ladies’ Detective Agency” Abacus euro
13
[A: 17/11/2018 – I: 18/11/2018 – T: 21/11/2018] - &&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 233;
anno 1998]
Ebbene sì, ecco un altro libro “in viaggio”. D’altra
parte, non si possono passare due settimane nel Kalahari, in giro tra i parchi
del Botswana, e dimenticare di avere decine di libri di un autore che del
Botswana ha fatto una grossa fetta della sua produzione. McCall Smith lo leggo
e lo apprezzo per i suoi libri scozzesi, ma non scordo che ha scritto una
ventina di titoli ambientati in Africa, che proprio da questi titoli ha messo
su fame e soldi. Anche se, avendone letto uno spurio, questa parte della sua
produzione non mi ha mai messo molto appetito di lettura. Ora però, passando a
poche decine di chilometri da Gaborone, per ingannare il lungo viaggio di
ritorno dal Sudafrica in Italia, e, non ultimo, per rendergli un piccolo
omaggio, ho trovato in aeroporto il primo volume della serie africana. Serie
dedicata ad una donna, Precious Ramotswe. E già questo è un campanello di
interesse, in un Africa molto al maschile. Inoltre, la signora Ramotswe è la
proprietaria dell’unica agenzia investigativa femminile del Botswana, altro
elemento di non poca rottura. Ne scopriremo altri di elementi di interesse da
contesto, mentre purtroppo il testo non è all’altezza. Non appassionano molto
le indagini di Precious né i diversi momenti botswani descritti. Qui seguiamo
tutti gli inizi della storia, il ritorno a casa del padre, malato. La sua morte
e l’eredità che lascia a Precious per aprire una macelleria. Invece, la nostra
eroina vuole aiutare gli altri, visto che poco ha potuto fare per aiutare il
padre. Così fonda questa agenzia investigativa e si mette in attesa di clienti.
Sappiamo anche qualcosa del suo passato. La storia d’amore con il jazzista Note
Mokoti, finita male per il carattere violento di lui, che lascia in lei il
segno di non voler più dipendere dagli altri, e dagli uomini in particolare.
Precious è una normale donna africana, anche un po’ paffutella, ma questo si sa
non è un difetto in Africa. Incontriamo ben presto anche la sua assistente, la
signorina Grace Makutsi, giovane vedova, e contraltare di Precious, sottile con
i capelli raccolti in treccine. E veniamo a conoscenza di JLB Matekoni,
meccanico, tranquillo, che diventerà amico fidato, anche se vorrebbe qualcosa
in più. Con lentezza i primi piccoli casi si accumulano. Figlie ribelli.
Mariti scomparsi. Fidanzati fedifraghi. Truffatori impiccioni. Coccodrilli
spariti. Precious, con i suoi modi poco convenzionali, ed il suo fiuto riesce a
risolvere i problemi che le vengono incontro. Fino a che si trova di fronte al
caso più difficile da affrontare, e che l’autore mutua da fatti realmente
avvenuti. Precious viene infatti coinvolta nella ricerca relativa alla
scomparsa di una quattordicenne, che ombreggia il rapimento e l’uccisione di Segametsi
Mogomotsi, avvenuta in Botswana nel 1994. Un omicidio rituale, un “muti” in
lingua locale. Dove un adolescente viene mutilato/a per utilizzare parti del
corpo in una specie di “medicina tradizionale” o tribale. Segametsi fu trovata
giorni dopo, appunto mutilata, ma non fu mai scoperto l’autore del crimine. Nel
libro, McCall Smith ci racconta l’origine e le derivazioni pericolose del
“muti”, ma port tutto verso un lieto fine che i racconti di Precious non
debbono essere troppo truculenti. Dicevamo di altre chicche extra testuali del
libro. Come l’amore per il proprio paese di Precious (e del padre di lei). In una
lunga tirata papà Ramotswe confessa il suo orgoglio di essere un Motswana nel
Botswana. Sembra uno scioglilingua, ma nel dialetto locale il prefisso “Mo”
significa “uomo” ed il prefisso “Bo” significa paese, nazione. Mentre “tswana”
è il nome della popolazione indigena. Così la frase sta per “sono orgoglioso di
essere un uomo della tribù degli Tswana nella nazione del popolo Tswana”. Anche
gli animali sono spesso presenti e ben descritti. Serpenti e coccodrilli
entrano con drammaticità nella narrazione. Ed il bestiame assume una
connotazione vitale: è necessario per il cibo, può essere una fonte forte per
lo scambio di beni. Insomma, Alexander, nato in Zimbabwe, ma poi tornato in
Europa quando i conflitti locali prendono una piega che non condivide, non dimentica
le sue radici, ed in modo semplice cerca di farcene partecipi. Questo è
senz’altro un punto di merito, purtroppo sorretto solo in parte da una trama e
da uno sviluppo conseguenti, così come invece nelle prove di scrittura che
l’autore ambienta in Scozia, e che amo maggiormente leggere.
[A: 17/07/2018 – I: 18/12/2018 – T: 24/12/2018] - &&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 475;
anno 2011]
Come si può intuire, per i più attenti e
smaliziati, dalla data di acquisto, anche questo, come molti libri in lingua, è
legato ad un viaggio. Un bellissimo giro in Scozia, con una degna compagnia
avventuriera. In particolare, il libro è anche legato ad un bel ricordo di
luoghi, con un discreto intreccio di belle sensazioni. Si era in quel di
Ullapool, e già dal nome ci si sente immersi nell’aria di torba e guerrieri.
L’alloggio era nelle dependance di un degnissimo hotel “THE CEILIDH PLACE”
(dove il nome in scozzese indica un posto in cui ci si riunisce tra amici e
conoscenti per stare insieme e raccontarsi novità). Incuriosito dal nome chiedo
alla direttrice di fare un giro anche nella parte principale, per vedere le
stanze, che, proprio nell’accezione del nome, non prevedono apparecchiature da
isolamento come televisioni o altro, ma ogni stanza ha un piccolo scaffale con
libri di letteratura scozzese. Quindi profusioni di sir Walter Scott, di
Stevenson e di Conan Doyle, di McCall Smith e di J.K. Rowling, fino a Ian
Rankin e Irvine Welsh. Non solo, nella hall, accanto al bar, c’è anche una
piccola libreria, che ovviamente è omaggiata di una mia lunga visita, con
chiacchierata alla libraia. Cui chiedo di qualche autore, e lei mi consiglia
appunto questo Peter May, la cui saga, di cui questo è il primo libro, è
ambientata nell’isola di Lewis, una delle Ebridi esterne. Pochi dubbi
nell’acquisto, un po’ di più nella lettura, con un inglese per me non di facile
approccio, e qualche appannamento nella trama. Ma alla fine, pur con questi
piccoli distinguo, mi ha riportato in Scozia, ed alle sue atmosfere. Quelle che
in fondo chiedo ai “libri in viaggio” (non di viaggio, ma comperati durante un
viaggio). A parte l’anglo-scozzese, la mia difficoltà/perplessità deriva anche
dal solito (che spesso ormai si trova in molti gialli) andamento a pendolo.
Cioè quell’andare su e giù tra presente e passato che mi rende ostile a molti
testi. L’idea (nuova?) di May è di utilizzare una differenziazione nella
scrittura, dove il passato è narrato in soggettiva ed il presente in terza
persona. La soggettiva è dell’eroe della saga, Finlay Macleod, un ispettore di
polizia di Edimburgo, nativo però di Lewis, e dove viene mandato in seguito al
ritrovamento del cadavere di Ange Macritchie, non solo compagno di giovinezza,
ma ucciso in modalità simili ad un altro crimine cui Fin sta indagando. Il
pendolo ci porta Fin nella giovinezza, alla sua solidarietà con Artair Macinnes,
alle angherie che subiscono i due da parte dei fratelli Macritchie (Ange e
Murdo), all’amore di Fin per Marsaili, con cui pianifica di lasciare Lewis per
andare sulla terraferma. Ma Fin e Artair sono anche sotto l’ala del padre di
Artair, che li vuole studiosi e laureati. La particolarità di Lewis è la caccia
periodica alla “sula bassana” (spero sia il nome giusto dei “gannet”, vero
Paola?) dove annualmente viene concesso di uccidere duemila pulcini. La caccia
avviene in due settimane in una isoletta impervia vicino a Lewis. Il momento di
svolto del passato è proprio la caccia, dove muore il padre di Artair, forse da
solo, forse no, dove Fin ha una crisi, dove, al ritorno, Fin scappa e Artair
sposa Marsaili. Ora, nel presente, Artair non è più sodale con Fin, Marsaili è
sempre innamorata di Fin (ma allora perché sposò Artair?), c’è un figlio di
mezzo, che si chiama Finlay anche lui. Indagando e girando, aiutato dalle forze
dell’isola, Fin scopre molti altari che devono essere chiariti. Soprattutto,
riesce ad avere un lungo e chiarificatore colloquio con Gigs MacAulay, il capo
dei cacciatori di sula da sempre. Fin ricostruisce gli avvenimenti della sua
giovinezza, capisce meglio il ruolo di prepotenti dei fratelli Macritchie,
capisce anche meglio il ruolo e l’importanza del giovane Finlay. Aiutato
dall’ispettore Gunn, della polizia locale, e dai referti della morte recente e di
altri avvenimenti correlati, Fin, alla fine, comprende che tutto era una messa
in scena, seppur macabra, per farlo tornare sull’isola. Sarà una nuova caccia
alle sule, che porterà all’epilogo del romanzo, aprendo quella casa nera, dove,
a turno, venivano rinchiusa a studiare Fin e Artair da parte del padre di lui.
Una fine che ci aspettiamo da diversi capitoli, con una promessa di futuro (che
non so se ci sia e non so se ne leggerò) dove meglio potrebbero svolgersi le
vite di tutti i Fin (che in gaelico suona Fionnlagh), di Marsaili (che invece
in inglese sarebbe Marjorie) e di tutti gli abitanti di Lewis. Ci sono altre
storie “laterali”, ma leggetene anche in traduzione italiana, che poi ho
scoperto esiste. Ma i pub, l’aria isolana delle Ebridi (che non ho visitato, ma
che mi ricordano il giorno sull’isola di Skye), e l’atmosfera di Ullapool sono
stati impagabili, per la vacanza e per la lettura.
“He was learning
again how easy it was to be lonely in a crowd.” [Stava imparando di nuovo quanto fosse facile
essere soli in mezzo alla folla] (137)
“It was no
good looking backwards, even if you had no notion of where it was you were
going.” [Non
era una buona idea guardare indietro, anche se non aveva idea di dove stesse
andando] (344)
Come ogni primo del mese, eccoci
anche al riepilogo delle letture di dicembre, che non hanno tirato fuori
elementi di spicco ma solo due letture poco coinvolgenti ed una da dimenticare.
Un quasi inutile giallo italiano di Gianfrancesco Turano ed una lettura d’annata
che non mi ha convinto affatto, in una delle prime opere di Vargas Llosa. Nonché
un pasticcio inqualificabile di Mathias Gatza.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Pietro Del Re
|
Giallo Umbro
|
Repubblica Italia Noir
|
7,90
|
3
|
2
|
Mathias Gatza
|
Il mago della luce
|
Corriere della Sera Arte
|
7,90
|
½
|
3
|
Emilio Martini
|
Doppio delitto al Grand Hotel Miramare
|
Fanucci
|
9,90
|
3
|
4
|
Flavio Santi
|
La primavera tarda ad arrivare
|
Repubblica Italia Noir
|
7,90
|
3
|
5
|
Emilio Martini
|
Il mistero della gazza ladra
|
TEA
|
9
|
3
|
6
|
Mario Vargas Llosa
|
Pantaleón e
le visitatrici
|
BUR
|
s.p.
|
1
|
7
|
Francesco Fioretti
|
Il quadro segreto di Caravaggio
|
Corriere della Sera Arte
|
7,90
|
3
|
8
|
Emanuele
Bissattini
|
47
|
Round Robin
|
16
|
2
|
9
|
Gianfrancesco Turano
|
Contrada Armacà
|
Repubblica Italia Noir
|
7,90
|
1
|
10
|
Anthony Bailey
|
Vermeer – Vita di un genio della pittura
|
Corriere della Sera Arte
|
7,90
|
3
|
11
|
Jonathan Coe
|
Expo 58
|
Feltrinelli
|
9
|
3
|
12
|
Peter May
|
The Black House
|
Quercus
|
10
|
2
|
13
|
Hans Tuzzi
|
Come scrivere un romanzo giallo o di altro colore
|
Bollati Boringhieri
|
14
|
3
|
Ripeto quello che a molti ho
detto a voce, della bellezza dell’India del Sud. Ora si pensa a rimettere mano
alle campagne familiari, con un occhio ad una possibile settimana spagnola. Per
ora un abbraccio a tutti.
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