domenica 3 marzo 2019

Dai viaggi ed altro - 03 marzo 2019


Dopo un ottimo mese, o quasi, passato in India, eccoci di nuovo alle nostre letture. Che rimangono nel solco dei viaggi, dove, benché si parli di “noir” e altro, provengono o da vecchi scali mai dimenticati (l’Islanda di Indriðason) o da nuovi viaggi (il Botswana di McCall Smith o la Scozia di Peter May). Rimane spuria solo l’intramontabile George con le sue storie inglesi. Comunque, rimane sempre l’Islanda nelle posizioni migliori.
Arnaldur Indriðason “Una traccia nel buio” TEA euro 11 (in realtà, scontato a 8,25 euro)
[A: 05/07/2016 – I: 04/10/2018 – T: 06/10/2018] - &&& 
[tit. or.: Skuggasund; ling. or.: islandese; pagine: 315; anno 2013]
Eccoci, dopo un altro anno, tornati ad uno dei miei caposaldi nordici, l’islandese Arnaldur. Dove anche lui, come molti altri giallisti, decide una diversificazione della propria produzione. Certo, lo aveva fatto anche con il precedente, anche se rimaneva un solco di continuità con le mitiche gesta del commissario Erlandur. Qui saltiamo il fosso, in una storia senza nessun contatto con le altre, se non per il fatto che si parla dell’inizio, della costituzione della Polizia Investigativa islandese (e parliamo di una parte del romanzo che si svolge durante e poco dopo la seconda guerra mondiale) da cui anni ed anni dopo Erlandur sarà uno dei punti di forza. Purtroppo, l’andamento della narrazione è un po’ involuto, saltando spesso tra presente e passato. Il che porta alla fine anche ad una resa non all’altezza delle aspettative, anche perché, se noi lettori capiamo bene cosa e come sia successo e quando, i protagonisti del libro rimangono quasi all’oscuro dello scioglimento definitivo. Di certo vittima del clima generale della narrazione, ma poteva essere reso con più brio. Perché il dosaggio tra storie, persone e fatti ha una sua presa sul lettore, che viene coinvolto mentalmente nel seguire le due narrazioni, cercando di interpretare e sciogliere i fatti insieme non tanto ai due investigatori del passato, quanto al commissario pensionato e consulente della polizia che segue l’indagine al presente. L’idea, solita nel quadro di Arnaldur, oltre ai rapporti tra persone, è anche presentare qualche aspetto peculiare islandese. Come in questo caso, quella che veniva chiamata al tempo della guerra, la Situazione (“Ástandið” in islandese), cioè la promiscuità tra le donne locali ed i soldati occupanti, prima gli inglesi dal 1940, poi sostituiti nel ’43 dagli Americani. Nacquero molti matrimoni misti, molti “figli della situazione”, ed il puritanesimo locale andò in crisi. Della Situazione se ne parla che una coppia mista scopre il cadavere di una giovane donna stuprata ed uccisa. Delle indagini se ne occupa il commissario Flóvent, che con la sua opera investigativa farà nascere la polizia islandese allora ignota, aiutato da Stephen Thorson, un canadese oriundo islandese, che quindi, con le due lingue, funge da trait d’union. Un’indagine difficile, che non si trova nessun legame possibile con qualsiasi situazione di pericolo. C’è solo un vago accenno, uscito fuori in una seduta spiritica, di una seconda donna uccisa nel Nord del paese. Collegando i due fatti, pur senza prove, i due poliziotti risalgono allo studente Jonatan, studioso di elfi e mitologia scandinava. Materia collegabile ai fatti, per cui i nostri torchiano Jonatan, che si professa innocente, e che, in un tentativo di fuga, si uccide finendo sotto una macchina. Questa materia viene tirata fuori una sessantina d’anni dopo, quando viene ucciso un novantenne. Che si scopre essere Thorson, il quale alla fine della guerra, trona in Islanda, e ci resterà tutta la vita. Per fare altro, per ricordare l’amico Flóvent morto mentre lui era al fronte (un po’ di spunti gay, ma non approfonditi). Ma che poco prima di morire pare abbia scoperto una nuova pista. Pista che segue Konrađ, un commissario in pensione. Con il gusto delle coincidenze, che spesso piace al nostro, Konrađ è figlio del finto medium della seduta di cui sopra. Scopre che tutti i documenti sono scomparsi, meno un appunto che era stato spostato di anno nell’archivio della polizia. Con quella flebile traccia, Konrađ scopre il nome della ragazza delle Situazione che scoprì il cadavere, scopre dove lavorava Rosamund, la morta, scopre la figlia della stessa che gli racconta come Rosamund, dopo lo stupro, non volesse più portare vestiti di sartoria ad un certo indirizzo. Scopre l’indirizzo stesso, dove vive una potente famiglia islandese, con padri e nonni anche ministri. Scopre che Jonatan era ospite di quella famiglia. Scopre che il figlio (ora settantenne) ed il padre (allora ministro ed ora morto) erano presenti sia nella capitale sia nel Nord all’epoca delle due uccisioni. Scopre che il canadese, prima di essere ucciso, aveva visitato la casa e parlato a lungo con il nipote (che il settantenne è anche in pieno Alzheimer). Alla fine, Konrađ ricuce tutti i puntini che Thorson e Flóvent avevano lasciato in sospeso. Petò questa parte finale è molto in minore, ha poco mordente. Si, qualche piccolo colpo di coda, ma poco coinvolgimento. Tutto si scioglie, ma a noi rimane più impresso il clima della Situazione, il ruolo dei soldati occupanti, i modi di vivere isolani (come appunto quello di chiamarsi per nome, tanto che del commissario Konrađ non sappiamo neanche il patronimico, e l’altro di darsi del tu, anche come richiesta esplicita, reiterata a lungo durante molti colloqui). Alla fine, Arnaldur, pur con alcuni limiti, continua a piacermi. Proprio perché, oltre al racconto in sé, riesce ogni volta a riportarmi in Islanda. Che continuo a ritenere un paese visitabile ed affascinante.
[A: 20/06/2017 – I: 11/10/2018 – T: 13/10/2018] - && +
[tit. or.: The Banquet of Consequences; ling. or.: inglese; pagine: 572; anno 2015]
Come al solito, periodicamente, si ritorna sugli scrittori presenti in grande copia, soprattutto nel caso di scrittura seriali come questa. La George, ben rappresentata nella mia biblioteca, si fa di nuovo viva nelle mie letture con un nuovo episodio dedicato al mondo dell’ispettore Lynley. Ho detto mondo, in quanto ormai siamo ad una rappresentazione globale dell’universo investigativo londinese, dove, seppur l’ispettore rappresenta l’elemento unificante, rispetto a tutti i romanzi pregressi, la platea dei personaggi si allarga sempre più. Oltre a Lynley, ha ormai un suo spazio fisso, ed ampio, il sergente Barbara Havers. Che qui, in particolare, prende buona parte della scena poliziesca, mentre Lynley ha un ruolo amministrativo, e meglio connotato nella ricostruzione della propria vita, dopo tutti i rovesci subiti. In secondo piano, ma pure loro con una forte presenza, ci sono il capo della sezione investigativa, Isabelle Ardery, per breve tempo anche amante di Lynley, ed ora ben compresa nel suo ruolo istituzionale, anche un po’ antipatichella, nel voler raddrizzare i comportamenti “al limite” di Barbara. E c’è Daidre la possibile nuova fiamma di Lynley, che i due hanno un inizio di rapporto (già dal romanzo precedente), ma hanno anche una difficile problematica da affrontare, in gran parte dovuta ai pregressi familiari dei due: l’aristocratico (e ben fornito di soldi) Lynley e la borghese ed autonoma Daidre. In via defilata, caratteristi ma non dimenticabili, il sergente aiutante di Barbara, Nkata Winston, e la segretaria di Isabella, Dorothea. Tutta una notevole parte del romanzo gira sul filone dei rapporti privati tra tutte queste entità, lasciando pur notevole spazio al resto. Che tuttavia poco si sviluppa su versanti polizieschi e/o investigativi, ma che anche lì affronta problemi personali, rapporti familiari e di lavoro, ed altro ancora. Il tutto porta alla solita elefantiasi di scrittura, che, questa volta però, non riesce ad essere coinvolgente come al solito. Lasciando quindi da parte Lynley ed il suo mondo, la parte da risolvere riguarda la vita familiare che ruota intorno alla figura di Caroline ed al suo mondo. Ci sorbiamo tutto un inizio con la descrizione della (forse) malattia mentale del figlio William, del suo rapporto con la inizialmente simpatica Lily. Sino a che questa non scopre un segreto familiare, che sconvolge Will portandolo al suicidio. Con uno stacco temporale di qualche anno, vediamo Caroline diventata aiutante della scrittrice Clara, in perenne contrasto con il di lei editor Rebecca. Vediamo il corrompersi del rapporto tra Caroline ed il suo secondo marito, che cerca di trovare una via di sfogo verso la sua aiutante Sharon. Vediamo il crollo dell’altro figlio Charles, del deteriorarsi del rapporto tra Charles e India, dovuto anche ad un crollo psichico di Charles dopo la morte del fratello. Il momento clou, chiave di volta della storia, si ha quando Clare inaugura un monumento in memoria di Will. Cerimonia cui partecipano non invitati e con grande scandalo, Lily (che dalla morte di Will non fa altro che perseguitare Caroline ritenendola responsabile di tutto), l’ex-marito di Caroline nonché padre di Will e Charles e la sua nuova moglie, la giovane tailandese Suleme. Scandali, urla, accuse. Poi, pochi giorni dopo, muore inaspettatamente Clara. E poco dopo sta per morire anche Rebecca, che però viene salvata in extremis. I due avvenimenti accadono per avvelenamento da azoturo di sodio, sciolto nel dentifricio. Ma il dentifricio è di Caroline, che lo aveva prestato a Clare. Il veleno poi rimane anche nei vestiti della morta, che Rebecca raccoglie. Tutto quindi si gioca quindi sull’indecisione: era Caroline che voleva uccidere Clare, avendo questa scoperto alcuni suoi segreti inconfessabili, o era qualcuno che voleva invece eliminare proprio Caroline, ma che sfortunatamente fallisce? Anche perché Caroline è una rompipalle di decimo livello (come direbbe il grande Rocco), che sembra godere a rovinare la vita di tutti, per proprio tornaconto o per malvagità. Potrebbe essere stata Sharon, per liberare il suo nuovo amato. Potrebbe essere stata Lily, finalmente riuscendo ad avvicinarsi all’odiata. Potrebbe essere stata India, per liberare il marito dal gioco familiare. Potrebbe essere stato Charles per liberare sé stesso e vendicare la memoria di Will. Barbara riuscirà ad arrivare ad una soluzione dell’enigma, riconquistando anche un po’ di fiducia. Ma il thriller non è un thriller, è troppo lungo e lento. Ha più del romanzo di intreccio, ma alla fine non riesce bene in nessuno dei due intrecci, quello della famiglia di Caroline e quello della vita “privata” di Lynley. Intanto ne è uscita una nuova puntata. Vedremo. Per finire, due appunti: perché la quarta parla di due morti sospette, laddove c’è un suicidio (poco sospetto), una morte (questa si sospetta) ed un tentativo di uccisione (senza morte, però). Il secondo è sul titolo italiano, laddove l’originale parla di un banchetto di conseguenze, banchetto inteso come un luogo in cui convergono molte persone (e molte in effetti sono le persone coinvolte) e dove si succedono azioni conseguenti ad altre azioni. Certo che c’è anche molto odio in giro, ma la George non lo aveva messo in primo piano. Soliti misteri italici.
Alexander McCall Smith “The n°.1 Ladies’ Detective Agency” Abacus euro 13
[A: 17/11/2018 – I: 18/11/2018 – T: 21/11/2018] - && e ½  
[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 233; anno 1998]
Ebbene sì, ecco un altro libro “in viaggio”. D’altra parte, non si possono passare due settimane nel Kalahari, in giro tra i parchi del Botswana, e dimenticare di avere decine di libri di un autore che del Botswana ha fatto una grossa fetta della sua produzione. McCall Smith lo leggo e lo apprezzo per i suoi libri scozzesi, ma non scordo che ha scritto una ventina di titoli ambientati in Africa, che proprio da questi titoli ha messo su fame e soldi. Anche se, avendone letto uno spurio, questa parte della sua produzione non mi ha mai messo molto appetito di lettura. Ora però, passando a poche decine di chilometri da Gaborone, per ingannare il lungo viaggio di ritorno dal Sudafrica in Italia, e, non ultimo, per rendergli un piccolo omaggio, ho trovato in aeroporto il primo volume della serie africana. Serie dedicata ad una donna, Precious Ramotswe. E già questo è un campanello di interesse, in un Africa molto al maschile. Inoltre, la signora Ramotswe è la proprietaria dell’unica agenzia investigativa femminile del Botswana, altro elemento di non poca rottura. Ne scopriremo altri di elementi di interesse da contesto, mentre purtroppo il testo non è all’altezza. Non appassionano molto le indagini di Precious né i diversi momenti botswani descritti. Qui seguiamo tutti gli inizi della storia, il ritorno a casa del padre, malato. La sua morte e l’eredità che lascia a Precious per aprire una macelleria. Invece, la nostra eroina vuole aiutare gli altri, visto che poco ha potuto fare per aiutare il padre. Così fonda questa agenzia investigativa e si mette in attesa di clienti. Sappiamo anche qualcosa del suo passato. La storia d’amore con il jazzista Note Mokoti, finita male per il carattere violento di lui, che lascia in lei il segno di non voler più dipendere dagli altri, e dagli uomini in particolare. Precious è una normale donna africana, anche un po’ paffutella, ma questo si sa non è un difetto in Africa. Incontriamo ben presto anche la sua assistente, la signorina Grace Makutsi, giovane vedova, e contraltare di Precious, sottile con i capelli raccolti in treccine. E veniamo a conoscenza di JLB Matekoni, meccanico, tranquillo, che diventerà amico fidato, anche se vorrebbe qualcosa in più. Con lentezza i primi piccoli casi si accumulano. Figlie ribelli. Mariti scomparsi. Fidanzati fedifraghi. Truffatori impiccioni. Coccodrilli spariti. Precious, con i suoi modi poco convenzionali, ed il suo fiuto riesce a risolvere i problemi che le vengono incontro. Fino a che si trova di fronte al caso più difficile da affrontare, e che l’autore mutua da fatti realmente avvenuti. Precious viene infatti coinvolta nella ricerca relativa alla scomparsa di una quattordicenne, che ombreggia il rapimento e l’uccisione di Segametsi Mogomotsi, avvenuta in Botswana nel 1994. Un omicidio rituale, un “muti” in lingua locale. Dove un adolescente viene mutilato/a per utilizzare parti del corpo in una specie di “medicina tradizionale” o tribale. Segametsi fu trovata giorni dopo, appunto mutilata, ma non fu mai scoperto l’autore del crimine. Nel libro, McCall Smith ci racconta l’origine e le derivazioni pericolose del “muti”, ma port tutto verso un lieto fine che i racconti di Precious non debbono essere troppo truculenti. Dicevamo di altre chicche extra testuali del libro. Come l’amore per il proprio paese di Precious (e del padre di lei). In una lunga tirata papà Ramotswe confessa il suo orgoglio di essere un Motswana nel Botswana. Sembra uno scioglilingua, ma nel dialetto locale il prefisso “Mo” significa “uomo” ed il prefisso “Bo” significa paese, nazione. Mentre “tswana” è il nome della popolazione indigena. Così la frase sta per “sono orgoglioso di essere un uomo della tribù degli Tswana nella nazione del popolo Tswana”. Anche gli animali sono spesso presenti e ben descritti. Serpenti e coccodrilli entrano con drammaticità nella narrazione. Ed il bestiame assume una connotazione vitale: è necessario per il cibo, può essere una fonte forte per lo scambio di beni. Insomma, Alexander, nato in Zimbabwe, ma poi tornato in Europa quando i conflitti locali prendono una piega che non condivide, non dimentica le sue radici, ed in modo semplice cerca di farcene partecipi. Questo è senz’altro un punto di merito, purtroppo sorretto solo in parte da una trama e da uno sviluppo conseguenti, così come invece nelle prove di scrittura che l’autore ambienta in Scozia, e che amo maggiormente leggere.
[A: 17/07/2018 – I: 18/12/2018 – T: 24/12/2018] - && e ½  
[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 475; anno 2011]
Come si può intuire, per i più attenti e smaliziati, dalla data di acquisto, anche questo, come molti libri in lingua, è legato ad un viaggio. Un bellissimo giro in Scozia, con una degna compagnia avventuriera. In particolare, il libro è anche legato ad un bel ricordo di luoghi, con un discreto intreccio di belle sensazioni. Si era in quel di Ullapool, e già dal nome ci si sente immersi nell’aria di torba e guerrieri. L’alloggio era nelle dependance di un degnissimo hotel “THE CEILIDH PLACE” (dove il nome in scozzese indica un posto in cui ci si riunisce tra amici e conoscenti per stare insieme e raccontarsi novità). Incuriosito dal nome chiedo alla direttrice di fare un giro anche nella parte principale, per vedere le stanze, che, proprio nell’accezione del nome, non prevedono apparecchiature da isolamento come televisioni o altro, ma ogni stanza ha un piccolo scaffale con libri di letteratura scozzese. Quindi profusioni di sir Walter Scott, di Stevenson e di Conan Doyle, di McCall Smith e di J.K. Rowling, fino a Ian Rankin e Irvine Welsh. Non solo, nella hall, accanto al bar, c’è anche una piccola libreria, che ovviamente è omaggiata di una mia lunga visita, con chiacchierata alla libraia. Cui chiedo di qualche autore, e lei mi consiglia appunto questo Peter May, la cui saga, di cui questo è il primo libro, è ambientata nell’isola di Lewis, una delle Ebridi esterne. Pochi dubbi nell’acquisto, un po’ di più nella lettura, con un inglese per me non di facile approccio, e qualche appannamento nella trama. Ma alla fine, pur con questi piccoli distinguo, mi ha riportato in Scozia, ed alle sue atmosfere. Quelle che in fondo chiedo ai “libri in viaggio” (non di viaggio, ma comperati durante un viaggio). A parte l’anglo-scozzese, la mia difficoltà/perplessità deriva anche dal solito (che spesso ormai si trova in molti gialli) andamento a pendolo. Cioè quell’andare su e giù tra presente e passato che mi rende ostile a molti testi. L’idea (nuova?) di May è di utilizzare una differenziazione nella scrittura, dove il passato è narrato in soggettiva ed il presente in terza persona. La soggettiva è dell’eroe della saga, Finlay Macleod, un ispettore di polizia di Edimburgo, nativo però di Lewis, e dove viene mandato in seguito al ritrovamento del cadavere di Ange Macritchie, non solo compagno di giovinezza, ma ucciso in modalità simili ad un altro crimine cui Fin sta indagando. Il pendolo ci porta Fin nella giovinezza, alla sua solidarietà con Artair Macinnes, alle angherie che subiscono i due da parte dei fratelli Macritchie (Ange e Murdo), all’amore di Fin per Marsaili, con cui pianifica di lasciare Lewis per andare sulla terraferma. Ma Fin e Artair sono anche sotto l’ala del padre di Artair, che li vuole studiosi e laureati. La particolarità di Lewis è la caccia periodica alla “sula bassana” (spero sia il nome giusto dei “gannet”, vero Paola?) dove annualmente viene concesso di uccidere duemila pulcini. La caccia avviene in due settimane in una isoletta impervia vicino a Lewis. Il momento di svolto del passato è proprio la caccia, dove muore il padre di Artair, forse da solo, forse no, dove Fin ha una crisi, dove, al ritorno, Fin scappa e Artair sposa Marsaili. Ora, nel presente, Artair non è più sodale con Fin, Marsaili è sempre innamorata di Fin (ma allora perché sposò Artair?), c’è un figlio di mezzo, che si chiama Finlay anche lui. Indagando e girando, aiutato dalle forze dell’isola, Fin scopre molti altari che devono essere chiariti. Soprattutto, riesce ad avere un lungo e chiarificatore colloquio con Gigs MacAulay, il capo dei cacciatori di sula da sempre. Fin ricostruisce gli avvenimenti della sua giovinezza, capisce meglio il ruolo di prepotenti dei fratelli Macritchie, capisce anche meglio il ruolo e l’importanza del giovane Finlay. Aiutato dall’ispettore Gunn, della polizia locale, e dai referti della morte recente e di altri avvenimenti correlati, Fin, alla fine, comprende che tutto era una messa in scena, seppur macabra, per farlo tornare sull’isola. Sarà una nuova caccia alle sule, che porterà all’epilogo del romanzo, aprendo quella casa nera, dove, a turno, venivano rinchiusa a studiare Fin e Artair da parte del padre di lui. Una fine che ci aspettiamo da diversi capitoli, con una promessa di futuro (che non so se ci sia e non so se ne leggerò) dove meglio potrebbero svolgersi le vite di tutti i Fin (che in gaelico suona Fionnlagh), di Marsaili (che invece in inglese sarebbe Marjorie) e di tutti gli abitanti di Lewis. Ci sono altre storie “laterali”, ma leggetene anche in traduzione italiana, che poi ho scoperto esiste. Ma i pub, l’aria isolana delle Ebridi (che non ho visitato, ma che mi ricordano il giorno sull’isola di Skye), e l’atmosfera di Ullapool sono stati impagabili, per la vacanza e per la lettura.
“He was learning again how easy it was to be lonely in a crowd.” [Stava imparando di nuovo quanto fosse facile essere soli in mezzo alla folla] (137)
“It was no good looking backwards, even if you had no notion of where it was you were going.” [Non era una buona idea guardare indietro, anche se non aveva idea di dove stesse andando] (344)
Come ogni primo del mese, eccoci anche al riepilogo delle letture di dicembre, che non hanno tirato fuori elementi di spicco ma solo due letture poco coinvolgenti ed una da dimenticare. Un quasi inutile giallo italiano di Gianfrancesco Turano ed una lettura d’annata che non mi ha convinto affatto, in una delle prime opere di Vargas Llosa. Nonché un pasticcio inqualificabile di Mathias Gatza.

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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Pietro Del Re
Giallo Umbro
Repubblica Italia Noir
7,90
3
2
Mathias Gatza
Il mago della luce
Corriere della Sera Arte
7,90
½
3
Emilio Martini
Doppio delitto al Grand Hotel Miramare
Fanucci
9,90
3
4
Flavio Santi
La primavera tarda ad arrivare
Repubblica Italia Noir
7,90
3
5
Emilio Martini
Il mistero della gazza ladra
TEA
9
3
6
Mario Vargas Llosa
Pantaleón e le visitatrici
BUR
s.p.
1
7
Francesco Fioretti
Il quadro segreto di Caravaggio
Corriere della Sera Arte
7,90
3
8
Emanuele Bissattini
47
Round Robin
16
2
9
Gianfrancesco Turano
Contrada Armacà
Repubblica Italia Noir
7,90
1
10
Anthony Bailey
Vermeer – Vita di un genio della pittura
Corriere della Sera Arte
7,90
3
11
Jonathan Coe
Expo 58
Feltrinelli
9
3
12
Peter May
The Black House
Quercus
10
2
13
Hans Tuzzi
Come scrivere un romanzo giallo o di altro colore
Bollati Boringhieri
14
3

Ripeto quello che a molti ho detto a voce, della bellezza dell’India del Sud. Ora si pensa a rimettere mano alle campagne familiari, con un occhio ad una possibile settimana spagnola. Per ora un abbraccio a tutti.

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