Mickey Spillane “Una ragazza e una pistola”
Corriere della sera Gialli Americani 13 euro 6,90
[A: 11/09/2017 – I: 09/02/2019 – T: 12/02/2019] - &&
[tit. or.: My Gun is Quick; ling. or.: inglese; pagine: 269; anno 1950]
Nell’ambito
di questa nuova collana, riprendo dopo tanti anni la lettura di uno dei
maggiori esponenti dell’hard-boiled. Anzi, direi l’hard per definizione. Perché
se Chandler e Hammett sono in vetta inarrivabili, con il loro mix di violenza,
sesso e vita, Spillane elimina i ragionamenti psicologici e si sposta tutto sui
due binari principali. Elimina cioè la vita “reale” dei personaggi, spostando
tutto l’accento su “violenza e sesso”. Non è certo un caso, come dirà Sciascia
in un suo bel saggio sulla letteratura gialla, che Spillane ha una visione
razzista e fascistoide della vita, ben espressa dal suo personaggio principale
Max Hammer, maschilista e violento. Pur tuttavia questi gialli degli anni
Cinquanta ci danno una visione dell’America violenta, di quella che tutt’ora
vota per avere armi in casa, di quella che di lì a poco, ingaggerà una
battaglia contro “gli intellettuali comunisti”, una battaglia dove Spillane
prende attivamente le parti del senatore McCarthy e dei suoi accoliti. Allora,
vediamo meglio come si muove Hammer, in questa violenta New York. Una sera Mike
Hammer, dopo aver chiuso un caso, incontra in un bar una ragazza dai capelli
rossi. La donna è una prostituta, ma Mike trova in lei una persona con ancora
molte possibilità, le dà così qualche soldo, buoni consigli e la salva da un
violento che cerca di approfittare di lei. Il giorno dopo Mike viene però a
sapere che la ragazza è morta, investita da un’auto, e capisce che, nonostante
sembri un incidente, la ragazza è stata uccisa. Prende allora contatto con il
suo amico poliziotto Pat Chambers, che spesso figurerà come alter-ego di Mike,
ma dalla parte della legge. Durante le indagini, seguendo il filo di un anello
che la ragazza aveva al dito, i due si trovano ad indagare su diversi crimini,
che coinvolgono sia giri di prostitute che potenti signori del bel mondo
americano. Signori con attive connessioni con la malavita, e mezzi per minacciare
chi ostacola la loro strada verso i soldi ed il potere. Anche senza un
committente, con la segretaria Velda che cerca di dissuaderlo, Mike prosegue
sulla sua strada fatta di violenza, e di incontri femminili. Con una punta di
amarezza, ad un certo punto, sembra guardare il lettore e dirgli che, se non ci
fosse lui, la morte di una prostituta sarebbe stata presto dimenticata,
avvalorando la tesi della necessità di una vendetta privata, laddove la
giustizia usuale fallisce. Nelle indagini, si introducono ad un cero punto due
elementi di disturbo. Un facoltoso cliente sembra interessarsi alla risoluzione
del caso. Ed Hammer incontra Lola, una prostituta che conosceva Nancy, la morta
dai capelli rossi. In effetti, Hammer sembra, o forse si innamora veramente di
Lola, che gli fornisce diverse dritte su come si svolge la prostituzione
locale, sulla difficoltà di evitare malattie veneree, sulle angherie che
subisce dai cosiddetti protettori. Hammer non giudica, e si comporta con lei
onestamente. Hammer si innamora di Lola perché la vede come una persona uguale
a lui nella sua umanità, nonostante la sua difficoltà nel vedersi uguale a
causa del suo passato. Ovvio però che non ci può essere un lieto fine. Ovvio
che, e non vi dico come, Lola andrà incontra ad una fine tragica. Come vi andrà
il cattivo alla base di tutta la storia. Un cattivo di cui capiamo l’identità
ben presto, e ci aspettiamo solo di capire come ed in che modo Hammer e
Spillane porteranno a termine la vicenda. Conoscendo l’autore, non ci
meravigliamo allora che nel finale, in una tragica scena di un incendio che
potrebbe anche essere fatale a Mike, questi affronti il cattivo, e mentre
polizia e pompieri stanno arrivando, non farà nulla per consegnarlo alla
giustizia, ma, poco prima dell’arrivo dei nostri, Spillane ci dice: “Stava
ancora gridando quando premetti il grilletto.”. nonostante le riserve che
potete capire, la trama tuttavia funziona. Ci sono colpi di scena, molta
azione, molto dramma. Certo, molte cose poco piacevoli si sarebbe potute evitare
se Mike e Pat collaborassero al meglio, e non cercassero ognuno di tirare acqua
ai propri mulini. Tuttavia, l’intento di Spillane in questo suo secondo libro
con Hammer (il primo “Ti ucciderò” lo lessi veramente molti, molti anni fa) è di
precisare meglio la figura di questo eroe con tante macchie ma senza paura,
carico di un inesauribile spirito di vendetta, inserito in un ambiente tipico
da “bulli e pupe”. Un ambiente in cui ognuno è e sarà solo, in cui le donne
hanno poche speranze, così come Hammer, i cui amori finiranno sempre con pochi
margini di successo.
[A: 05/09/2017 – I: 05/02/2019 – T: 07/02/2019] - && ½
[tit. or.: Vengeance is Mine!; ling. or.: inglese; pagine: 233; anno 1950]
In
realtà, questa l’ho letto poco prima del precedente, ma ora le riordino in
termini di scrittura. Tanto, non è che cambi molto nella genesi del
personaggio, e nella costruzione del testo da parte dello scrittore. Infatti,
Spillane segue la sua solita formula: molta azione, molta violenza e un sacco
di sesso abbastanza squallido. E va detto che è una formula divertente, molto
ben eseguita, anche se non sempre condivisibile. In questa avventura Mike
Hammer si sveglia in una stanza d'albergo dopo una notte ad alto tasso
alcoolico, con un cadavere nella camera, quello di un suo ex compagno d'armi. Il
suo amico, Chester Wheeler, si è apparentemente suicidato con la stessa pistola
di Hammer dopo aver bevuto tutta la notte. Poiché non viene considerato un
omicidio, Hammer non è sospettato, ma il Procuratore distrettuale coglie
l'opportunità di revocare le tutte sue licenze di Investigatore. Hammer è
disposto ad accettare la decisione del procuratore distrettuale fino a quando
non si accorge di qualcosa di molto strano. Solo un colpo è stato sparato, ma
nella sua pistola sono rimasti solo quattro colpi, laddove lui ha sempre sei
colpi in canna. Questa discrepanza è sufficiente perché Mike sospetti che ci
sia qualcosa di losco, e le sue indagini presto cominceranno a puntare
sull'omicidio. Durante le quali si imbatte in un ex criminale di mezza tacca e in
un'agenzia di modelle. Scopre che entrambi sono coinvolti in un grande piano di
ricatto che sembra includere anche molte persone ricche e potenti in tutta New
York. Parte dell'investigazione viene svolta dalla segretaria di Hammer, Velda
e le loro indagini li portano a frequentare lo squallido mondo di costose
modelle, fotografi di moda e bar gay. Come al solito, Mike riceve un prezioso
aiuto dal suo amico poliziotto Pat Chambers. Naturalmente ci sono alcune donne
pericolose coinvolte nel caso e naturalmente Mike si avvicina molto a loro. In
effetti molto vicino davvero. La relazione Mike Hammer-Velda è anch’essa interessante.
È una di quelle relazioni in cui ci si immagina che i due dovrebbero davvero
finire insieme se solo loro potessero ammetterlo a sé stessi e se solo condizioni
avverse non continuassero a intralciarlo. Questo romanzo dà a Velda la
possibilità di mostrare davvero quello che può fare e si dimostra dura, piena
di risorse e più che disposta a sparare ai cattivi che si mettono sulla sua
strada. Comunque, anche se ripetitiva, la formula funziona: Hammer ha sempre
successo con le donne, è duro con i duri, ma è anche umano con le persone cui
vuole bene. Inoltre, dopo tutto il casino che combina, alla fine, pur dicendo
che da bravo macho non spara mai alle donne, uccide la cattiva Juno. Una
sorpresa che vi lascio scoprire. In fondo, tuttavia, la trama è solo un gioco
per Spillane, tanto che la lascerei così senza troppo approfondirla. Mentre
citerei alcuni aspetti che rivestono interessi vari. Innanzi tutto, il
formidabile attacco, degno di una tragedia inglese del ‘500, dove l’incipit del
romanzo è “The guy was dead as hell.”, tradotta ottimamente da Matteo Curtoni
con “Quel tizio non poteva essere più morto di così”. Secondo elemento di
curiosità sta nel fatto che sembra Spillane abbia scritto il libro su una
scommessa. Un amico lo aveva sfidato a scrivere un mistero in cui l'ultimo
indizio veniva trattenuto fino all'ultima pagina. Quindi il nostro scrittore si
impegna, ed in effetti, come ho accennato ma non spoilerarto l'ultima e
cruciale informazione viene data proprio nell'ultima frase, anzi proprio nell'ultima
parola. In tutto il romanzo, anzi in tutti i suoi romanzi, compare sempre forte
(Sciascia dixit) la misoginia di Spillane, l'omofobia di Spillane o le sue
opinioni politiche di supporto alla John Birch Society (per chi non la
conoscesse, è un'associazione politica statunitense ultraconservatrice che
propugna ideali discriminatori e d'estrema destra quali il razzismo,
l'antisemitismo, l'omofobia, e l'anticomunismo). Non condivido le sue opinioni.
Non approvo i suoi messaggi. Ma cerco di entrare nella facilità e destrezza con
cui si esprime. Come nella prima frase. Come quando, visitando l’agenzia di
modelle, osserva esserci “lot of women
dressed in very little nothing … so the camera would pick up most of the
nothing she was wearing and none of the most she was showing” (molte donne
vestite di molto poco così che la macchina fotografica potesse riprendere molto
del nulla che indossavano e nulla del molto che mostravano). Poi, una volta la sospensione delle licenze, osserva che i
giornali, cui forniva molte notizie, erano pronti a dimenticarsi di lui, e
chiosa ironicamente: “Solo uno si è preoccupato di essere sentimentale nei miei
riguardi. Mi ha scritto un epitaffio. In rima.” Come ha scritto un critico
migliore di me, sembra una prosa ritmata col jazz. Una prosa diretta ed
efficace, che cattura l'atmosfera delle strade del mondo criminale nascosto di
New York con notevole vividezza. Ed in fondo, con tutta la violenza che
esprime, Mike Hammer, come ogni buon eroe poliziesco, deve fare affidamento sul
suo cervello e non solo sui muscoli per risolvere il caso.
“Le
diedi un bacio talmente lungo che lei smise di avercela con me.” (119)
Mickey
Spillane “Cacciatori di donne” Corriere della sera Gialli Americani 6 euro 6,90
[A: 25/07/2017 – I: 13/02/2019 – T: 16/02/2019] - && --
[tit. or.: The Girl Hunters; ling. or.: inglese; pagine: 204; anno 1962]
Terzo
ed ultimo libro di Spillane e Hammer, di cui, dopo questa infornata, credo di
aver avuto una dose anche un po’ eccessiva. Comunque, questo è un testo
fondamentale per chiudere la parentesi “Spillane”. Dopo un folgorante inizio,
in cui scrive 6 romanzi hard-boiled con il duro Hammer, nel 1953 Mickey si
ferma. Sarà che entriamo nella fase dura del maccartismo, sarà la sua vena in
esaurimento, posa la penna, e si volge alla religione. Per otto anni, sarà
parte attiva dei testimoni di Geova. Ma un autore come lui, ad un certo punto,
non si può tirare indietro, anche perché le risorse finanziarie non sono
eterne. Ed allora, ecco che tira fuori dal cilindro questo libro tutto basato
su anticomunismo, guerra fredda, ed altre topiche proprie del suo essere uno
scrittore coerentemente di destra. Per far sì che la finzione si adegui alla
realtà, il lettore scopre che anche Hammer sono sette anni che non esercita
più. Anzi vive da barbone ed ubriaco nei bassofondi di New York. Scopriamo ben
presto che il motivo della caduta in basso di Mike è la scomparsa dell’amata e
amante segretaria Velda. C’era stata una missione affidata a lui e a Velda, una
protezione di gente importante in un ricevimento mondano di Chicago. Protezione
finita male, dove il protetto muore e Velda scompare. Tutti pensano alla sua
morte, ed Hammer si attacca alla bottiglia. Più di tutti, lo accusa il suo
vecchio sodale, il capitano Pat Chambers, che non perde occasione di
manifestare il suo odio verso Mike per la morte di Velda (forse anche Pat ne
era innamorato). In tutto ciò, Hammer viene convocato da un portuale che sta
morendo per gravi ferite. Richie Cole insiste a parlare solo con Hammer, a cui
rivela che Velda è ancora viva e minacciata, lei, dallo stesso assassino di
Cole: un killer sovietico di grande destrezza, soprannominato “il Drago”.
L’unica possibilità per Hammer è scoprire l’identità del killer per riuscire a
salvare Velda. Cole gli dice di avergli inviato indizi, nascosti in una busta
depositata a suo nome presso il suo edicolante di fiducia. Cole muore prima di
poter dire altro, ed anche il giornalaio viene freddato. Allora, Hammer si
sveglia, e benché senza nessun incarico ufficiale (è sempre senza licenza),
comincia ad indagare, ed a scontrarsi con Chambers, che cerca di fermarlo non
ritenendolo più idoneo alle ricerche investigative. Hammer dribbla Pat, ma si
trova invischiato nelle trame di un agente federale di nome Art Rickerby, che
gli rivela che sia Cole che Velda erano agenti federali sotto false identità.
Anche Art vuole il Drago, promettendo a Mike aiuti per riportare alla luce
Velda. Le indagini lo portano a questo punto a contatto con un’altra femme
fatale, Laura Knapp, vedova di un senatore assassinato anche lui dal russo
cattivissimo. Dalle indagini di Mike, e dalle ammissioni di Laura, scopriamo
che Velda è stata drogata, ed inviata oltre la cortina di ferro. Da dove ora è
fuggita, nascondendosi nel posto indicato da Cole ma che Mike non riesce a
decifrare. Mike sembra comunque cedere alle lusinghe di Laura, anche se questa
non è proprio limpidissima. Poi si cimenta in una brutale lotta all'ultimo
sangue con una metà del team di assassini del Drago, prima di mettere insieme
l'ultimo dei pezzi che alla fine lo porterà a Velda. Nell’ultima scena vediamo
che qualcuno (e non vi dico chi) cerca di sparare a Mike per impedirgli di
salvare Velda. Ma lui è super furbo, ed ha tappato con l’argilla le canne del
fucile, che scoppia in mano ed uccide chi stava per ucciderlo. La particolarità
del ritorno alla scrittura di Spillane è che immediatamente, sull’onda dei film
“patriottici” dell’inizio degli anni ’60 (ma anche dello spionaggio alla James
Bond, visto che proprio nel ’62 usciva “Licenza di uccidere”), il romanzo viene
adattato per lo schermo. Non avrà molto successo, ma si distingue per due “idee
forti”. La prima è che il ruolo di Hammer è interpretato proprio da Mickey
Spillane in una delle sue (per fortuna poche) uscite da attore (l’altra sarà in
un telefilm della serie “Colombo”). L’altra è che il ruolo di Laura è
interpretato da Shirley Eaton, che, per la sua avvenenza, recita per quasi
tutto il tempo in bikini. Ora, voi direte che c’entra tutto ciò? Ebbene, un
anno e mezzo dopo, Shirley interpreterà Jill Masterson, la ragazza tutta d’oro
di “Goldfinger”. E scusate se è poco. Finisco questo breve excursus su Mike
Hammer ed il suo autore, citando una delle frasi esemplari costruite da
Spillane per il suo personaggio: “Io non ho mai sparato ad una signora … le
prendo sempre a calci!”. Adieu, Mickey.
Raymond Chandler “Addio mia amata” Corriere
della sera Gialli Americani 7 euro 6,90
[A: 25/07/2017 – I: 17/02/2019 – T: 20/02/2019] - &&& +
[tit. or.: Farewell, My Lovely; ling. or.: inglese; pagine: 282; anno 1940]
Humphrey
cammina nell’ombra. Dopo tanti anni, letture diverse, film belli e a volte
strampalati, torno ad un Chandler puro. Lasciando da parte il buon Dashiell
Hammett, capostipite, fondatore e esponente senza pari dell’hard-boiled
americano, il nostro Raymond ha la capacità di creare un mondo reale, in cui
cala personaggi a volte al limite, ma che si muovono nel nostro spazio umano.
Certo, la scrittura di ottanta anni fa si sente, ma se ci caliamo nel clima
dell’epoca, e seguiamo la penna del più che cinquantenne scrittore, possiamo
dimenticare tutto ed affermare che siamo di fronte ad un bel libro, ad una
scrittura potente, e ad una fotografia della California degli anni ’30 senza
pari. Certo, Chandler viene poco considerato all’epoca, troppo fuori schema
sono le sue trame e soprattutto il suo Philip Marlowe. Un investigatore che ha
fatto l’Università, che oltre a bere (con moderazione) e a sparare sa anche
giocare a scacchi, apprezza la musica classica ed ha forti principi morali.
Chandler ha inoltre una indubbia capacità sia nelle descrizioni (a volte i suoi
capitoli si aprono con lunghe descrizioni di uomini e luoghi al limite della
fotografia alla Perec), sia nei dialoghi. Tanto che spesso lo si accosta ad
Hemingway. E Chandler se ne prende gioco, come qui, dove, a pagina 161,
descrive così il grande Ernest:
“Ma
insomma chi sarebbe questo Hemingway?”
“Uno
che continua a ripetere sempre le stesse cose finché tutti non cominciano a
pensare che quello che dice sia interessante per forza.”
Venendo
invece al romanzo appena letto, ribadisco lo zibaldone di trama che riesce a
combinare il nostro, inzeppando il testo di personaggi (alcuni improbabili come
il dottor Amthor). Ma nonostante tutto, l’autore non perde mai lo slancio, e
porta a termine, più o meno, la sua avventura. Che comincia quasi per caso:
mentre segue un caso di routine si imbatte in tal Moose Malloy, un nero fuori
misura, che lo coinvolge nella ricerca della sua bella Velma, un tempo frequentante
il Florian. Una discoteca che, dopo otto anni di carcere di Moose, ha cambiato
stile e proprietario. Ma Moose, non si dà per vinto, irrompe con la sua
brutalità, uccide il gestore attuale e fugge. Marlowe si vede allora quasi
costretto a seguire le fila delle avventure di Moose. Rintraccia la vedova
Florian, viene coinvolto da un tal Marriott in un pagamento di riscatto per una
collana rubata, e si ritrova pesto in un canyon di Los Angeles, con Marriott
morto. Viene raccolto dalla bella Anne, figlia di un onesto poliziotto di Bay
City (nome fittizio per la cittadina di Santa Monica), che gli rivela la
collana appartenere a tal signora Grayle, ex-cantante ed ora moglie di un facoltoso
abitante di Bay City. Tra l’altro, in tasca a Marriott, Philip trova sigarette
di marjuana che lo portano al tal Amthor di cui sopra. Che lo droga e lo fa
rapire da due corrotti poliziotti, e da questi portare nell’inquietante clinica
del dr. Sonderborg, un losco dottore, in realtà commerciante di droga. Per non
far mancare nulla agli intrecci, Marlowe scopre anche che la casa della signora
Florian è di proprietà di Marriott. Inoltre, scopre Malloy nella clinica di Sonderborg,
da cui Moose fugge per rifugiarsi sulla barca del malavitoso Brunette, che
gestisce la malavita di Bay City. Marlowe cerca di contattarlo, ma Malloy fugge
e Brunette affronta il nostro: non hanno interessi in comune, così che Brunette
lo lascia andare, comunicando a Malloy dove sia la casa di Philip. Qui
arriviamo alla resa dei conti. Marlowe riesce a portare la signora Grayle in
casa sua, dove c’è Malloy. La fa parlare, così che scopriamo che lei (come
sospettiamo da decine di pagine) è proprio la Velma cercata da Malloy. Che si
trastullava con Marriott, e lo utilizzava per pagare la signora Florian che la
ricattava. Tra l’altro, era stata proprio Velma a denunciare a suo tempo Moose
per farlo finire in carcere. Finirà tutto in un calderone di sparatorie, fughe,
ricerche ed ammazzamenti. Dove tutti, a parte il nostro eroe. Faranno una
brutta fine. Ma non è quello che interessa Chandler. Poco gli importa di
seguire le venti regole di Van Dine o il decalogo di Ronald Knox. Lui sta
dipingendo un mondo, e ci riesce bene. Se poi qualche rivolo si perde, importa
poco. L’importante è il clima, l’atmosfera. Certo anche il fatto che la
simpatica Anne chieda espressamente al sentimentale Marlowe di baciarla,
accidenti a lui, non guasta. Tuttavia, come detto il libro è un calderone di
contraddizioni, di personaggi che spuntano ed escono (certo Amthor e Sonderborg
faranno anche loro una brutta fine, ma viene lasciato un po’ all’immaginario di
noi lettori, piuttosto che ad una descrizione coerente dell’autore). Ma questo
è Chandler. E questo è Marlowe. Prendere o lasciare.
Raymond Chandler “Finestra sul vuoto”
Corriere della sera Gialli Americani 11 euro 6,90
[A: 05/09/2017 – I: 21/02/2019 – T: 24/02/2019] - &&&
[tit. or.: The High Window; ling. or.: inglese; pagine: 267; anno 1942]
Come
concludevo prima, allora prendiamo. Prendiamo anche quest’altro Chandler,
scritto un paio di anni dopo il primo. Prendiamo ancora questo Marlowe, un uomo
anche lui apparentemente normale, ed anche apparentemente mediocre, uno dei
tanti che compongono il quotidiano della vita. Almeno il quotidiano degli anni
Trenta in America. Dico apparentemente che Marlowe, sotto le spoglie del
disincantato investigatore, ha comunque uno spessore che lo distingue dai suoi
coevi. Ama la musica classica (un po’ come una cinquantina di anni dopo il Bosch
di Connelly ama il jazz), ed è un appassionato di scacchi. Tanto che il libro
si conclude con una sua partita solitaria, ed uno sguardo allo specchio. Prendiamo
anche questo mio scritto che sarà un mega-spoilerone che consiglio di non
leggere ai patiti del giallo (almeno saltate la fine). La prosa di Chandler è
questa, certo ingabbiata in un genere che ancora non si era tolto dalle pastoie
di “scrittura di genere”, per cui ci doveva essere una trama complicata, dei
morti, locali fumosi, donne belle e perdute. Tuttavia, la scrittura in
soggettiva e l’occhio attento dello scrittore ce li fanno vivere quasi fosse un
dipinto di Hopper. Non è un caso, allora, che Humphrey Bogart sia rimasto
l’icona rappresentativa di Marlowe, con quella faccia e quell’andamento che
andavano bene da “Casablanca” a “La Regina d’Africa”. Con quel suo avvicinarsi
alle donne, senza mai approfittarne. Quasi che Chandler, memore dei suoi studi
inglesi, ne volesse fare un idealista con un tocco di romanticismo, una sorta
di Sir Galahad dell’era moderna. Si confeziona così questo (terzo come
scrittura) romanzo di Chandler, combinando il gusto di trame un po
sconclusionate alla Hammett con una indubbia bravura nei dialoghi (e nelle
frasi corte) alla Hemingway. Perché certo la trama, che inizia abbastanza
piano, si complica man mano, dando anche vita ai ritratti delle persone di ogni
giorno, ed anche di ogni ceto. Comincia con Marlowe che viene coinvolto nella
ricerca di un doblone scomparso dalla collezione della signora Murdock. Una anziana
vedova, discretamente acida, che beve porto al posto delle medicine. Insieme
alla moneta di valore, scompare anche Lois, una ex-entraineuse sposatasi con
Leslie, il figlio della signora. Leslie che cerca di sviare subito le
attenzioni di Marlowe da tutta la faccenda, riuscendo solo ad incuriosirlo, e
fargli scoprire che il giovane è ben carico di debiti di gioco, soprattutto
verso il losco Morny. Marlowe viene anche avvicinato da tal Philipps che dice
di avere notizie per lui. Scopre inoltre l’esistenza di un commerciante in
monete, tal Morningstar, che sostiene avere un doblone (o il doblone). A questo
punto la trama vira nell’hard, che prima troviamo Philipps morto nella sua
stanza d’albergo. E poco dopo, anche il commerciante si fa cadavere nel suo negozio.
Intanto, Marlowe ritrova Lois, che ora se la fa proprio con Morny. Ma che
sembra avere una tresca anche con tal Vannier. In tutto ciò, entra ed esce
dalle pagine la signorina Merle, la segretaria dell’anziana Murdock, la quale
la tratta come una mappina. Morny convince Marlowe ad indagare su partite di
prodotti odontoiatrici fatti sparire da Vannier, e forse rivenduti dal dottor
Tagger. Vi state perdendo? Aspettate un po’, che la signora Murdock licenzia
Marlowe avendo, secondo lei, avuto indietro il doblone. Ma il nostro
Galahad-Marlowe non si ferma. Il meccanismo complicato è che Leslie, per pagare
i debiti con Morny, voleva falsificare i dobloni, rubandone uno come campione,
inducendo Tagger ad usare tecniche per la produzione di protesi come conio di
monete d’oro, facendosi incastrare da Vannier che vuole entrare nell’affare
dato che da anni ricatta la famiglia Murdock con delle foto che ritraggono la
caduta da una finestra del secondo piano del primo marito della signora
Murdock. Caduta di cui la signora incolpa Merle, che sottostà alle angherie
essendo innamorata di Leslie. I cattivi poi inducono l’ingenuo Philipps a fare
da corriere dei falsi. Quando questi di spaventa dell’entità del gioco, Vannier
lo uccide, come uccide il commerciante che poteva scoprire i giochi. Ma anche
Vannier viene trovato morto. Noi sappiamo che è stato Leslie, ma una serie di
circostanze che non rivelo, portano a classificarlo come suicidio. Alla fine,
Marlowe libera dal giogo anche la signorina Merle, facendole vedere la foto del
ricatto, dove è proprio la signora Murdock a spingere il marito fuori dalla
finestra. La libera, e la riporta a casa dai genitori, da dove si allontana,
mentre Chandler chiosa, con un tocco di lirismo: "Provai una sensazione
strana quando ho visto la casa scomparire nello specchietto retrovisore, come
se avessi scritto una poesia molto bella e l’avessi perduta, conscio di non
poterla più ricordare.". Due note finali: il titolo e la storia dell’affare
Cassidy, citato nel capitolo 15. La finestra alta del titolo inglese si
riferisce all’uso delle villette americane di avere un grande finestrone ai
piani nobili per dar luce alla casa e spaziare sul giardino. Come e perché sia
diventata una finestra sul vuoto rimane un mistero. Invece, l’affare Cassidy,
cui Marlowe si riferisce per fare un paragone con i potenti che coprono i
delitti della propria casta, si riferisce ad un vero caso giudiziario, quello
di Ned Doheny che commette un omicidio-suicidio con il proprio segretario Hugh
(per due motivi: implicati in corruzioni e gay), ed è coperto dal padre, il
magnate del petrolio Edward Doheny. Sarebbe interessante anche entrare nella
storia della famiglia Doheny, ma forse non in questa trama.
Prima trama di luglio,
ed allora eccoci ai libri letti lo scorso aprile. Un mese “drogato” nelle
letture dal viaggio messicano, dove molto si è visto e poco si è letto. Un mese
anche decisamente piatto, ma verso il basso. Dove solo il poco noto Gunnar
Gunnarsson ha dato un tocco di pallida luce a dieci letture poco avvincenti.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Alessandro Baricco
|
La sposa giovane
|
Repubblica Duemila
|
9,90
|
2
|
2
|
Gunnar Gunnarsson
|
Il pastore d’Islanda
|
Corriere Boreali
|
9,90
|
3
|
3
|
Tomas Tranströmer
|
I ricordi mi guardano
|
Corriere Boreali
|
9,90
|
2
|
4
|
Cormac McCarthy
|
Oltre il confine
|
Einaudi
|
12,50
|
2
|
5
|
Eric-Emmanuel Schmitt
|
La femme au miroir
|
Livre de Poche
|
9,20
|
2
|
6
|
Philip Pullman
|
La tigre nel pozzo
|
Salani
|
10,80
|
2
|
7
|
Wilbur Smith
|
Il giorno della
tigre
|
Longanesi
|
12,90
|
2
|
8
|
Tom De Haven
|
È Superman!
|
Edizioni BD
|
s.p.
|
2
|
9
|
@seisocial @network
|
I grandi classici riveduti e scorretti
|
Longanesi
|
s.p.
|
3
|
10
|
Stig Dagerman
|
Il viaggiatore
|
Corriere Boreali
|
9,90
|
2
|
Confermo
il caldo, e confermo che c’è molta fatica nel concentrarsi e nel cercare di
produrre scritti, idee, visite ed altro. Ma siamo fiduciosi nel supporto di
tutti, amici, viaggiatori ed altro, per un luglio di alta produzione. Per cui
non posso che augurarvi un buon caldo a tutti.
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