domenica 6 ottobre 2019

I saggi sono sempre i migliori - 06 ottobre 2019


Francesco Dominelli & Alessandro Locatelli “I grandi classici riveduti e scorretti” Longanesi s.p.
[A: 25/12/2018 – I: 16/04/2019 – T: 18/04/2019] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 273; anno 2018]
E come continua a recitare la copertina “50 libri che non potete non conoscere raccontati come nessun altro potrebbe fare, presentato dalla pagina Facebook ‘@se i social network fossero sempre esistiti’”. Alcune delucidazioni: ho messo in esplicito i nomi degli autori che ritengo giusto tributare loro un omaggio per il divertente libro, e per l’altrettanto divertente pagina Facebook (visitatela anche se non amate i social; volete un esempio di mini-post: da Ungaretti per lamentarsi della calura: “Si sta come / d’estate / con il caldo / che ti scioglie”). Comunque,  qui se ne parla ma non se ne fa una trama. D’altra parte, come fare una tarma di un libro costituito da 50 trame, seppur imbastite in modo arguto e scritte con una discreta capacità di penna? I nostri esimi curatori allora nel loro viaggio tra i libri spaziano da Dante e Shakespeare, da Ariosto e Manzoni sino a Hemingway e Garcia Marquez. Non dimenticando Omero, le sorelle Bronte, Pirandello, Calvino, Salinger e Melville. Avendo sempre come stella polare l’affermazione di Mark Twain: “Un classico è qualcosa che tutti vorrebbero aver letto e nessuno vuole leggere”. Per ognuno di questi classici, oltre ad un riassunto molto scorretto, ed alcune citazioni più o meno strampalate, viene indicata una possibile colonna sonora (cito a memoria, ad esempio per “Il giovane Holden” viene suggerito “Un ragazzo di strada” de “I Corvi”; mitico!) ed una curiosità (di queste ve le lascio gustare che sono sapide ed interessanti). Ho deciso quindi di fare un omaggio trasversale, classicheggiando in modo molto scorretto. Visto che si sono dimenticati il grande Jules Verne, e visto che io non sono all’altezza di farne un riassunto scorretto, ne faccio una citazione trasversale, riportando quello che secondo me è uno dei più riusciti e divertenti esperimenti di quel pazzo scrittore di fantascienza che fu Philip Farmer. Uno scrittore atipico, spesso dedito alla metaletteratura, per la quale inventa anche un’origine “storica”, un meteorite che cade in Inghilterra il 13 dicembre 1795 (fatto reale) che con le sue radiazioni provoca una mutazione genetica ai passeggeri di una diligenza che stava nei pressi. I discendenti dei quali diventeranno protagonisti delle opere di famosi scrittori, come Conan Doyle, ed altri. Che quindi non raccontano “storie” ma elaborano biografie. Una derivazione di queste idee sta nell’immaginare che Verne, nel suo “Giro del mondo in 80 giorni”, narri l’epifenomeno della vita di Phileas Fogg, che ora, lui e noi, scopriamo realmente. Infatti, la realtà è che sulla Terra si sta giocando un gioco di grandi forze per il possesso di un congegno vitale. Ci sono due razze in lotta mortale tra loro, gli eridani e i capellani, la loro guerra ruota attorno ai dispositivi di trasporto alieni noti come distorsori. Ogni parte fa di tutto per togliere all’altra il dominio dei distorsori. Fogg è un agente della razza Eridani, così come Passepartout (ed il suo famoso orologio che si mantiene sempre sull’ora di Londra, è un elemento vitale dei congegni). Anche Stuart, il signore del Club con cui Fogg inscena la scommessa degli 80 giorni, è un Eridano. Anzi Stuart è il capo degli Eridani. Mentre il capo dei capellani si cela sotto le astute spoglie del Capitano Nemo. Basandosi sull’assunto del meteorite, abbiamo poi, sulle due schiere (ovviamente saprete di certo con chi) da una parte Sherlock Holmes e dall’altra James Moriarty. Per citare un esempio della narrazione di Farmer, vediamo che Verne inizia il romanzo con la frase “Mr. Phileas Fogg viveva, nel 1872, al n. 7, Saville Row, Burlington Gardens, la casa in cui morì Sheridan nel 1814”. Mentre Farmer precisa: “Questa casa, come tutti sanno, una volta era occupata dal famoso e spiritoso drammaturgo squattrinato e membro del Parlamento, Richard Brinsley Sheridan, dove questi morì in circostanze angoscianti nel 1816, non nel 1814, come dice Verne.” La scommessa serve a Fogg per poter girare il mondo alla ricerca di alcuni distorsori, come quello in possesso del rajah di Bundelcund, uno dei ladri capellani. Tutto sembra perso quando Nemo entra in possesso dell’orologio di Passepartout, ma, aiutato dalla bella Aouda, anch’essa agente Eridano, Fogg ingaggia nella sua magione la battaglia finale, solo pochi istanti prima di rispettare la scadenza richiesta per vincere la sua scommessa. Farmer, infine, chiude questa “vera storia” con una profezia inquieto-divertente: "Che le iniziali di Phileas Fogg e quelli del vostro scrittore qui presente siano le stesse, vi assicuro, che è solo una coincidenza." Ecco un altro modo scorretto di leggere i classici. Comunque, leggete questo libro, è passabilmente divertente, e visitate il sito che lo è altrettanto.
Leonardo Sciascia “Il metodo di Maigret” Adelphi euro 13 (in realtà, scontato a 8,45 euro)
[A: 12/03/2018 – I: 26/04/2019 – T: 01/05/2019] - &&&& e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 191; anno 2018]
La data è per la pubblicazione in volume di una serie di articoli di Sciascia sul giallo, che furono scritti tra il 1953 ed il luglio 1989 (poco prima della morte). Articoli che nel titolo riflettono quanto aveva detto nel 1982 in un’intervista: “Io vagheggio da sempre uno stato che abbia una polizia come quella guidata da Maigret, intelligente e umana al tempo stesso”. Ma che poi spaziano sull’universo del “giallo”, che mi permetto di scrivere anch’io tra virgolette, non essendone convinto come nome e come genere. Purtroppo, il termine deriva dalla pubblicazione dei primi romanzi di genere, negli Anni Trenta, presso Mondadori, con quella copertina colorata, che serviva a distinguerli nella massa delle pubblicazioni periodiche. In questo superlativo volume, ben curato e chiosato dal curatore Paolo Squillacioti, sono quindi raccolti molti interventi che Sciascia fa per discettare di libri e di metodi. Alcuni ancora ben reperibili (come le note ai libri di Sellerio, con quelle ultime bellissime pagine su Geoffrey Holiday Hall ed il suo libro “La fine è nota”). Altri un po’ dimenticati, anche se il corpus centrale su Simenon e Maigret, una volta letto, è indimenticabile. Altri addirittura introvabili, come l’intervento su Arthur Conan Doyle, recuperato da una copia a carta carbone di un dattiloscritto conservato dagli eredi e mai pubblicato, dove intavola un ardito ma interessante paragone tra le due coppie: Don Chisciotte e Sancho Panza da un lato e Holmes e Watson dall’altro. Comunque, pur essendo tuti gli interventi interessanti, ed in un certo senso coordinati e subordinati all’idea di letteratura che aveva Sciascia, due punti sono stati per me fondamentali nel recuperare questo scrittore che ama e odia il genere: gli scritti su Maigret ed il testo “Breve storia del romanzo poliziesco”. Perché Sciascia, come ammette lui stesso, ama il poliziesco, per aver trascorso l’adolescenza (e non solo quella) leggendo gialli. Ma è un sentimento ambivalente, quando condivide l’opinione diffusa che il giallo sia un sottoprodotto culturale. Anche se si domanda, come farà più tardi Tuzzi in un libro che ho tramato, chi sia poi realmente il lettore di questi libri. Ma veniamo ai due punti sopracitati. Nei quattro scritti dedicati a Maigret ed al mondo di Simenon, Sciascia dimostra, ben prima che la fama si sia sparsa per tutto il mondo, di conoscere a menadito lo scrittore belga. Dandogli quel posto di rilievo che, negli Anni Cinquanta, nonostante gli apprezzamenti di uno scrittore influente come Gide, Simenon ancora non aveva. Pur commettendo una piccola imprecisione (i romanzi con Maigret non sono ottanta e più, ma esattamente 75 come ho potuto ricostruire leggendoli e tramandoli tutti), dall’analisi di Sciascia emerge la somiglianza tra il metodo (poco metodico) di Maigret con le modalità investigative di molti personaggi delle trame poliziesche del grande di Racalmuto. Poi, nel breve saggio sulla storia del romanzo poliziesco ci sono due elementi di rara bellezza, al mio leggere. L’individuazione, come capostipite della letteratura investigativa, non, come diceva Aristotele, l’Edipo Re, ma ancora più indietro , addirittura nel Vecchio Testamento, dove, nel “Libro di Daniele”, Sciascia individua come il profeta, come un avvocato alla Perry Mason ante-litteram, riesca a smascherare i due giudici corrotti ed a salvare l’imputata, Susanna. Mettendo in scena quel gioco narrativo che ha le caratteristiche di un rompicapo, brillante ed intelligente. Le qualità che per Sciascia “deve” avere il genere. L’altro è quel mettere la faccia, dicendo, a brutto muso, quali sono le sue preferenze e le sue idiosincrasie. Che a volte non mi trovano concorde, ma che ne possiamo discutere, e queste è sempre il bello con i miei amici siciliani. Così, ad esempio, non concordo con l’antipatia sciasciana per l’approccio freddo e scientifico delle indagini di Sherlock Holmes (anche se spesso anch’io sono tiepido verso Conan Doyle). Mentre sono assolutamente in sintonia con l’amore per i detectives che sviluppano il lato umano dell’indagine, per assorbire i dati ambientali dove sono maturati i delitti. Siamo allora d’accordo nel riverire il maestro del giallo italiano Augusto De Angelis, ma anche lo stesso Maigret, oppure Miss Marple (sulla quale io ho delle riserve), Hercule Poirot o il Padre Brown di Chesterton, per finire con gli americani Perry Mason e Nero Wolfe (anche se qui Sciascia fa un altro piccolo errore, che Wolfe non è genericamente “balcanico”, ma precisamente montenegrino). Abbiamo poi un sentire assolutamente concorde quando si passa ai gialli americani, al fastidio per i romanzi ormai troppo datati di Edgar Wallace o per la figura (che ho palesemente trattato male) del detective maccartista ed un po’ salviniano Mickey Spillane. Mentre altro sono i narratori americani da vagliare, e che ritengo appunto romanzieri tout court, come Chandler, come Hammett, o come il forse meno noto ai più William Riley Burnett. Per finire con tutti quei “gialli” atipici prodotti da grandi scrittori (oltre lo stesso Sciascia) come Gadda (anche se a me “er pasticciaccio” non è mai piaciuto tanto) o come Dürrenmatt (dove ritengo che “La promessa” sia assolutamente un capolavoro del genere. Per finire con il primo, per me, e più amato, anche da Sciascia, e cioè Jorge Luis Borges. Chissà, forse un giorno anch’io scriverò un micro-saggio su questa letteratura che continua ad accompagnarmi, e sul perché lo faccia. Per ora mi accontento di aver letto con piacere questa raccolta. E mi pregio di consigliarla in lettura, a tutti.
“I buoni lettori del giallo … cercano il giuoco ingegnoso … e non è un caso che professori di università si appassionino a queste letture.” (37)
Massimo Recalcati “Mantieni il bacio. Lezioni brevi sull’amore” Feltrinelli euro 14
[A: 25/04/2019 – I: 20/05/2019 – T: 24/05/2019] - &&&& -
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 125; anno 2019]
Leggo sempre con interesse sia gli articoli di Massimo Recalcati su “La Repubblica”, sia i suoi libri, che danno spesso interessanti spunti di riflessione ed approfondimento. So che questo “almost instant book” è uno spin-off del programma televisivo (che non ho visto e non conosco) intitolato “Lessico amoroso”. Ma TV a parte, è comunque un breve eppur denso concentrato di sensazioni. Che per me, se dovessi fare una sintesi, compendiare in una che credo sia la domanda fondamentale, del libro e della vita amorosa: bruciare o durare? Per me, ma forse anche per il libro, è una questione di fusione tra i due termini. Certo, l’inizio di ogni rapporto è una bruciatura. La sua resistenza trasforma la bruciatura in durata, ma questo avrebbe poco senso, se, contemporaneamente, non ci fossero delle bruciature. L’amore dura, l’amore brucia, a volte non è lo stesso amore. Ma come dice l’autore, ci sono alcuni punti saldi nella propria vita, che servono proprio ad andare avanti, nella vita e nell’amore. Uno è la convivenza con la propria solitudine. Solo che sa stare solo sa anche stare con l’altro. Il secondo è l’arte del kintsugi: una pratica giapponese che consiste nell'utilizzo di oro o argento liquido o lacca con polvere d'oro per la riparazione di oggetti rotti; è l’arte di esaltare le ferite. Le vostre cicatrici, visibili e invisibili, sono la dimostrazione del fatto che avete incontrato e superato delle difficoltà. Rivelano la vostra storia, mostrano che siete “sopravvissuti” e vi infondono coraggio. Ma nell’immediato, tornando al testo, ci sono le sette lezioni amorose che tracciavano il percorso radiofonico dello psicanalista. C’è la fase della promessa, dell’incontro, in cui più forte è il dilemma tra bruciare e durare, ed a cui ho già dato la mia personale risposta. Poi c’è il desiderio, spesso guidato solo da fatti esogeni, come una sovraproduzione di dopamina. E quando questa scende, il desiderio scema. Ma, domando, e se invece di 18 mesi, come dicono i testi, ci si avvicina ai 18 anni? Poi ci si addentra nei meandri delle difficoltà amorose. La nascita dei figli, che, com’è ovvio, cambia il modo di vivere della coppia. E come conseguenza, spesso si cade in trappola, laddove Recalcati individua la fase del tradimento e del perdono. Ogni amore può morire, ed allora io rimando al kintsugi. Se invece non viene risolto il nodo si cade sovente nella violenza , che, purtroppo è spesso subita solo dalle donne. Perché una donna che pensa a molti fa paura. infine, se nulla si risolve, deve avvenire una separazione. La morte dell’amore, per strappo, con una separazione unilaterale, o per estinzione, dove si intravede la sua fine naturale, l’amore ha smesso di bruciare e ha smesso di durare. Quali sono, infine, le lezioni che abbiamo imparato da Recalcati e dalla vita? La prima è che l’amore che dura, l’amore fedele, è quello in cui la ripetizione non annienta l’amore ma lo rende infinito. Ed è un lavoro di coppia. Se uno dei due partner diminuisce l’impegno, l’amore è già pronto ad affievolirsi fino a strapparsi. Poi abbiamo il bacio, l’immagine che condensa la bellezza e la poesia dell’amore. Il bacio, laddove si uniscono parola e corpo, è il luogo dell’intimità. È il luogo per far sentire all’altro che ci siamo. È il toccarsi, spesso amichevole, che diventa amore, che diventa la dichiarazione “ti amo”, quando si usa l’elemento devastante del bacio: la lingua. È la lingua che distingue questo sentimento da altri. Sentire la lingua dell’altro è come fare l’amore. E come dice il titolo bisogna mantenere il bacio, perché se ci si bacia, c’è amore. Se si perde il desiderio di baciarsi c’è la crisi dell’amore. Bisogna quindi che resti sempre la possibilità di vedere l’altro, che è sempre la stessa persona, come qualcosa che ogni volta va esplorato. Cominciando dal bacio e proseguendo verso i propri reciproci sentieri. Significa anche non annullarsi mai per l’altro, ma mantenere ognuno la propria solitudine condivisa. Un tocco editoriale merita di ribadire la bellezza della stupenda copertina in bianco e nero, con quello splendido sguardo d’amore tra Ingrid ed il giovane Gregory, tratta dal film “Io ti salverò” del 1945 (omaggio che gradirà Alessandro). Al fine, chi ha voglia di interrogarsi sulla legge cosmica della vita, che l’amore, che p il nostro Amore, consiglio vivamente di leggere questo veloce libro, e di parlarne, con i vicini d’ombrellone, con i passeggiatori in montagna, con gli amici, con gli amanti, e soprattutto con il proprio amore. Cui dedico le ultime righe della splendida poesia di Neruda che cito in fondo.
“Ogni libro … si distingue da un oggetto del mondo perché è esso stesso un mondo.” (49)
“Mentre la gelosia femminile tende a strutturarsi sul fantasma di perdere l’amore … quella maschile … punta … a rovesciare sull’amata la spinta al tradimento.” (68)
“L’odio è una ‘carriera senza limiti’: non c’è pace, né termine, né fine, né soddisfazione nell’odio.” (109)
“Gli amori che durano sono quelli nei quali ciascuno dei Due ha una certa confidenza con la propria solitudine.” (116)
“Amare significa dare all’Altro quello che non si ha.” (118)
“da Pablo Neruda: Cento sonetti d’amore
Non t'amo come se fossi rosa di sale, topazio:
No te amo como si fueras rosa de sal, topacio
o freccia di garofani che propagano il fuoco
o flecha de claveles que propagan el fuego:
t'amo come si amano certe cose oscure,
te amo como se aman ciertas cosas oscuras,
segretamente, tra l'ombra e l'anima.
secretamente, entre la sombra y el alma.
T'amo come la pianta che non fiorisce e reca
Te amo como la planta que no florece y lleva
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
dentro de sí, escondida, la luz de aquellas flores,
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
y gracias a tu amor vive oscuro en mi cuerpo
il concentrato aroma che ascese dalla terra.
el apretado aroma que ascendió de la tierra.
T'amo senza sapere come, né quando, né da dove,
Te amo sin saber cómo, ni cuándo, ni de dónde,
t'amo direttamente senza problemi né orgoglio:
te amo directamente sin problemas ni orgullo:
così ti amo perché non so amare altrimenti
así te amo porque no sé amar de otra manera,
che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
sino así de este modo en que no soy ni eres,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
tan cerca que tu mano sobre mi pecho es mía,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.
tan cerca que se cierran tus ojos con mi sueño.
” (29)
Carlo Rovelli “L’ordine del tempo” Adelphi euro 14 (in realtà, scontato a 9,10 euro)
[A: 12/03/2018 – I: 22/08/2019 – T: 25/08/2019] - &&&& 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 200; anno 2017]
Non avevo ancora letto nulla di divulgativo del professor Carlo Rovelli (mi permetterà di essere ironicamente sopra le righe, ma si capirà il perché). Devo dire che questo libro che presenta tredici capitoli divulgativi e due “tecnici” è un saggio molto intrigante. Mi ha fatto piacere leggerlo, sia allo stomaco che al cervello. Non mi sembra poco. D’altra parte, Rovelli (pur non entrando a pieno in tutte le sue teorie, per mia ovvia incapacità e farraginosità) mi è stato subito simpatico. Per il modo piacevole con cui espone con parole (quasi) facili argomenti a volte ostici. Per il fatto che viene dal mondo fisico delle Università Veronesi e Patavine, dove andò ad evolversi la capacità numerica del mio amico Roberto. Infine, e non ultimo, perché è uno dei fisico-matematici della prima decade di maggio, la mia, ovvio (anche se ne sono parte a metà, cioè solo anagraficamente). E quella di Roberto, di Andrea, di Laura, tanto per citare. Allora, lascerò stare senza neanche provare a ritrovarli nella memoria, i capitoli “teorici”, quelli delle hamiltoniane, dei salti quantici, ed altre piacevolezze che, al più, posso lasciare ad un Renato o ad un Mauro. Restiamo nell’ordine divulgativo. Allora, cosa ci dice Carlo? In tre grossi tronconi di esposizione, ci spiega cos’è il tempo che noi percepiamo, lo annulla, dimostrandone l’inesistenza, quindi ne fa rivivere un “avatar” che non è “IL” tempo, ma che sarà (e lo sarà per sempre) il mio tempo. In fondo tutti conosciamo, abbiamo percezione soggettiva del tempo, un orologio, un cellulare, ci dicono qualcosa. Tra la colazione di stamane ed ora, che sto facendo uno spuntino pomeridiano, è passato del tempo. Quindi, abbiamo la colazione (passato), lo spuntino (presente), la cena di stasera (futuro). Un fluire dall’esatto (so bene cosa ho mangiato stamane), al dubitativo (potrei prendere o meno un biscotto con il caffè), all’incerto (cosa cucinerò?). Ma questo fluire è “tempo”? Se Argo mi vedesse da Proxima b (8 anni luce da qui), vedrebbe quello che ho fatto otto anni fa. Quindi il mio tempo ora, non è il tempo di Argo, e viceversa. Perché (e questo ce lo diceva bene Einstein) la velocità influisce sul tempo (il paradosso dei gemelli…). Tanto che, molto immaginificamente, invece di rappresentare il tempo come una freccia, Rovelli ce lo presenta come un doppio cono unito per la punta, punta che è il nostro presente. Ma qui c’è un passaggio fondamentale: se andiamo verso una descrizione “fisica” del tempo, vediamo (oppure ci fidiamo se non siamo addentro) che tutte le equazioni fondanti la descrizione del mondo sono indipendenti dalla variabile tempo. Anzi, ce n’è una dove esiste il tempo, ma come tempo al quadrato, così che può essere soddisfatta sia se andiamo dal passato al futuro sia viceversa. Quindi, se il tempo non esiste, l’unico punto su cui ci possiamo aggrappare è l’entropia. Dove sappiamo che (come dice in altri termini la frase di Clausius) l’entropia non può diminuire, anzi qualsiasi azione (dal micro al macro) non fa che aumentarne il valore. Ed ogni azione è un fatto, un passaggio da uno stato di bassa entropia ad un altro leggermente maggiore. Noi lo percepiamo, noi lo teniamo all’interno della nostra mente. Da qui si ricostruisce l’ordine del tempo, che è una serie di relazioni, di sensazioni, di ricordi. Con una bella immagine letteraria, Rovelli, dal campo fisico e filosofico, ci porta a quello letterario. A Proust, alla sua “ricerca del tempo perduto”, dove riesce a scrivere più di 3000 pagine su quanto è contenuto nella sua memoria. Ecco, il tempo è quindi dentro di noi, noi che non siamo altro che un insieme di relazioni. Così si chiude il cerchio. Non esiste un tempo assoluto, esiste il nostro tempo, soggettivo, personale. Sono tutte le sensazioni che entrano in questi strani lobi frontali che ci contraddistinguono. L’ultima immagine che mi rimane è il sovraccarico di informazioni che potrebbe annidarsi nel nostro cervello. Come ci fa ricordare Borges, nel suo Ireneo o della memoria. Uno che, ricordando tutto, non può che andare verso la morte. Noi non moriamo solo perché ci salva il sonno, dove, in uno stato di quiete, vengono cancellate tutte le informazioni inutili, in modo che possiamo continuare a vivere, nonostante quella bellissima immagine orrorifica che ci viene dal Mahabharata. Certo, una persona più brava e più capace di razionalità sarebbe entrata nel cuore della descrizione proposta da Rovelli, che, dal punto di vista fisica, si appoggia su quella descrizione del mondo nota come LQG (“loop quantum gravity”), cioè l’universo a loop, contrapposta all’altra (che per ora va per la maggiore) che è la descrizione dell’universo attraverso la teoria delle stringhe (“string theory”). Ma a me non interessa. A me fa piacere essere partiti dal soggettivo, e passando per Proust, essere tornati a me stesso. Il saggio, alla fine, pecca ancora di qualche parte divulgativamente debole, per cui non otterrà il massimo dei voti. Ma “solo” un giudizio più che sufficiente, ed una spinta a leggerne, anche saltandone qualche passo. Perché comunque fa pensare, e, se volessimo essere anche più bravi, ci permetterebbe (cosa che ho saltato) di passare da Democrito ad Aristotele, da Sant’Agostino a Newton, fino a Husserl e Heidegger. Questo però è materia altra da me.
“Se nient’altro intorno cambia, il calore non può passare da un corpo freddo a uno caldo (Clausius)” (29)
“Per tutto quanto si muove, il tempo passa più lento.” (39)
“Ogni giorno muoiono innumerevoli persone, eppure quelli che rimangono vivono come se fossero immortali (Mahabharata)” (173)
Eccoci alla prima trama di ottobre e quindi ai libri letti in luglio, un mese praticamente monopolizzato da i bastardi di Pizzofalcone di De Giovanni e dal capitano Martin Bora di Pastor. Per il resto, ordinaria amministrazione, a parte la pessima (per me) riuscita di McEwan.

#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Ian McEwan
Miele
Einaudi
s.p.
1
2
Maurizio De Giovanni
Gelo per i bastardi di Pizzofalcone
Einaudi
14,50
3
3
Donna Tartt
Il cardellino
Rizzoli
9,90
2
4
Maurizio De Giovanni
Cuccioli per i bastardi di Pizzofalcone
Einaudi
14,50
3
5
Ben Pastor
Il signore delle cento ossa
Sellerio
s.p.
2
6
Ben Pastor
Lumen
Sellerio
14
3
7
Maurizio De Giovanni
Pane per i bastardi di Pizzofalcone
Einaudi
14,50
3
8
Maurizio De Giovanni
Souvenir per i bastardi di Pizzofalcone
Repubblica Noir
7,90
3
9
Maurizio De Giovanni
Vuoto per i Bastardi di Pizzofalcone
Einaudi
s.p.
2
10
Ben Pastor
I piccoli fuochi
Sellerio
15
3
11
Graham Greene
Il fattore umano
Mondadori
9,50
3
12
Claudio Coletta
Il manoscritto di Dante
Repubblica Noirissimo
7,90
2
13
Ben Pastor
La strada per Itaca
Sellerio
15
3

In queste giornate ho anche avuto il piacere di salutare amici che non vedevo da tempo immemore e da sentirmi da loro sorretto, come se ci si fosse lasciati da una settimana. Un bel sentimento, che mi sprona ad affrontare positivamente anche questo mese compleannico e felice. 

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