Antonio Manzini “7-7-2007” Sellerio euro 14
[A: 24/08/2016 – I: 26/10/2018 – T:
27/10/2018] &&&
--
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 367; anno:
2016]
Come si diceva in giro, un libro necessario,
ma in parte non risolto compiutamente. Torniamo qui, con tutte le conoscenze
che abbiamo accumulato leggendo le prime opere di Manzini sul commissario Rocco
Schiavone. Ed avendone anche apprezzato le presenze televisive con il grande
Marco Giallini che altro non poteva meglio interpretare. Un libro necessario,
che serve a ricucire tutti quei buchi che si erano accumulati nei precedenti
romanzi, quando Rocco e Marina si parlavano (in quelle parti in corsivo che a
me non sono mai piaciute troppo, seppur avevano un senso nello svolgere della
trama) sapendo anche, fin dall’inizio, che Marina muore lasciando un vuoto che
ancora, dopo 5 romanzi e 10 anni, non è stato colmato. Forse capiremo anche che
non potrà mai essere colmato. Questo, in un certo senso, si potrebbe definire
un prequel, anche se potrebbe essere anche visto come un lungo flashback.
Perché il nostro Rocco è sempre in quel di Aosta, e, come sappiamo dall’ultima
avventura, ha avuta la sventura di vedere uccisa nel suo appartamento aostano
la donna del suo amico Seba. Il che avvia una lunga inchiesta poliziesca sui
come e sui perché, dando modo a Manzini di colmare i buchi lasciati nelle prime
storie e a Rocco di fare un percorso semi-catartico per uscire dalle sue crisi
personali. Perché tutto comincia in effetti dieci anni prima, con due
avvenimenti, uno privato ed uno pubblico, che coinvolgono il commissario
Schiavone in forza alla Questura di Roma. Nel privato, la bella moglie Marina
scopre che il suo Rocco ha, anche, traffici al limite del losco, traffici dai
quali intasca extra soldi. Rocco si difende dicendo che è una specie di Robin
Hood, che ruba solo ai ricchi e glissa su alcune malefatte dei meno abbienti.
L’integerrima Marina non è convinta, si prende una pausa di riflessione prima
di decidere del loto futuro. Nel pubblico, ci sono le morti, uno dopo l’altra,
di due persone apparentemente poco affini, ma che poi si scoprono coinvolti in
qualcosa. Giovanni e Matteo ventenni, uccisi con un colpo di punteruolo alla
nuca. Giovanni, figlio di un giornalista che vuole emulare, sembra aver trovato
un filone di spaccio in cui si intrufola per poter poi tirar fuori un pezzo
giornalistico di sicuro effetto. Peccato che, per una serie di circostanze che
vi lascio leggere, i cattivi arrivino a lui, prima che lui arrivi a loro. Ma
Rocco ed i suoi, seguendo labili indizi, arrivano anche loro ad un punto
interessante, dove convergono navi a Civitavecchia, false statue azteche e
droghe varie. Benché in modo un po’ confusionario, la retata dà i suoi frutti,
fermando buona parte dei cattivi. Non, forse, Enzo Baiocchi, il capo in testa
del giro, lo psicopatico che ha ucciso i due ragazzi. Rocco è a un tanto così
dal fermarlo, ma, u qui già ne sappiamo dai precedenti libri, è lui ad essere fermato,
quando Baiocchi & friends, trivellano di colpi la sua auto, riuscendo però
solo ad uccidere Marina. Era appunto il 7 luglio 2007. Ed io stavo partendo per
il servizio militare: settimo settantasette, autiere! Rocco, aiutato dai suoi
sodali, riesce a trovare Enzo (ma questo pure già lo sappiamo). Non il
fratello, che sembra disinteressarsi dell’affare, anche perché al momento in
carcere. Sarà uscendo che cerca vendetta, pensando che la donna nel letto di
Rocco sia una sua nuova fiamma. Riusciranno Rocco e Seba a mettere fine a
questo carosello di morti? Questo lo vedremo qui e nelle prossime puntate.
Intanto vediamo Rocco tornato nella non sua Aosta, tornato ai suoi “ragazzi”,
Caterina, Italo e gli altri. Penso che ne vedremo ancora delle belle, con calma
e serenità. La scrittura di Manzini è sempre discretamente coinvolgente, anche
passando nei vari registri del passato e del presente. anche perché, essendo un
lungo flashback, non ci sono molti di quei corsivi che mi lasciano sempre un
po’ perplesso nell’economia del testo. Qui abbiamo Marina quasi sempre “live”,
anche se un live di 10 anni prima. L’unico intervento in flashback è misurato,
finale ed in qualche modo utile a chiudere un grosso paragrafo della vita di
Rocco. Una chiusa un po’ strappalacrime, che ci lascia con Rocco e la sua cagna
Lupa a meditare su cosa succederà. Io non so come andranno avanti le prossime
puntate, visto che ci sono almeno 3 romanzi ed un libro di racconti ancora in
biblioteca. Ma certo ci sarà da leggerne.
Antonio Manzini “Pulvis et umbra” Sellerio
euro 15
[A: 14/09/2017 – I: 09/12/2019 – T:
11/12/2019] &&&
---
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 403; anno:
2017]
Continua la tendenza di Manzini ad incartarsi
un po’ in queste “nuove” avventure. Sarà la concorrenza del mezzo televisivo,
che ha fatto conoscere, forse anche troppo, il nostro Rocco-Giallini, ma una
parte (e non meno sostanziale del resto) di questa nuova prova mi è sembrata
forzata e poco, non dico gradevole, ma poco rispettosa degli alti standard di
coinvolgimento che avevano i primi romanzi. Sarà allora un caso che Manzini,
dopo averci fatto fare un grande tuffo nel passato con quel 7 di luglio, ora ci
porta non solo nel presente, ma, in un certo senso, anche nel futuro? Che già
appunto il titolo, riferito al carme di Ovidio dall’analogo titolo, ci ricorda
la caducità della vita umana, che, al contrario delle stagioni le quali
vengono, passano ma ritornano, invece una volta svolto il suo corso arriva il
termine, e da lì, solo polvere ed ombra saremo. Forse nel futuro l’ombra
ingombrante della morta moglie Marina prenderà un ruolo diverso, di amica
vicina piuttosto che sempre rifugio delle paturnie di Rocco. Che si spera (io
spero) non solo si accompagni con Lupa, il suo cane ormai fedele compagne, ma
anche con qualche donna magari viva. Come potrebbe essere l’ispettore Cristina,
che qui ha un suo ruolo ben delineato, anche se, piccolo spoiler, alla fine viene
coinvolta in azioni poco in linea con un probabile affetto. Così che si
allontanerà, almeno per questa fine delle ombre. Rimane tanta polvere, in una
storia, che, al solito, è molteplice, ed anche un po’ più complicata delle
altre. Storia duplice come spesso in questi romanzi, che oltre al giallo “da
prima pagina”, seguiamo le vicende che vengono da tutte le storie del
commissario Schiavone. Le storie della morte di Marina da parte di tal Luigi,
dalle vendette di Enzo che invece di Rocco uccide Adele, la donna di Seba, uno
dei sodali del nostro, dalla ricerca di Seba per trovare Enzo, e da tutte le
forze di polizia che, allertate all’insaputa di Rocco, intervengono a togliere
queste castagne dal fuoco. Castagne bruciate, che portano alla lite di Rocco con
i suoi amici, alla lite di Rocco con Caterina, ed altre conseguenze magari meno
importanti, ma che di sicuro troveremo nelle successive avventure del nostro.
Dall’altra parte c’è l’indagine principale, ben orchestrata ed anche
discretamente complicata. C’è un trans che viene trovato morto (o morta) sulle
rive del fiume di Aosta, che credo sia una Dora che pensavo fosse Riparia
invece è Baltea. Solite difficoltà per risalire all’identità, poi alla location
di Juan/Juana. Si ritrova il caseggiato, e Manzini sfoggia un bel catalogo
descrittivo per introdurci i vari personaggi del condominio. Il giovane un po’
frettoloso, il pensionato con cane, il ragioniere, l’anziana signora un po’
pettegola. Nonostante gli sforzi della squadra di Rocco (intramezzati dalle
varie situazioni personali della squadra stessa, dalla rottura tra Italo e
Caterina, dall’avvicinamento della stessa a Rocco, nonché sempre di Caterina le
vicende personali, l’odioso padre in punta di morte, la madre che tenta
un’ultima pacificazione tra i due, cosa che risulterà praticamente impossibile,
ed alfine il rapporto tra Caterina ed il suo mentore romano, ma finiamola qui
con questo elenco), sembra difficile cavare qualche informazione utile. Poi,
come tutte le situazioni delle vicende aostane, alla fine (o meglio a metà) c’è
un’accelerazione. Il giovane confessa di essere gay e di aver un rapporto con
il ragioniere, ma non in casa (disdicevole) bensì nello studio di lui. Così che
i due possono darsi un alibi a vicenda. Peccato che il ragioniere non si trovi
né a casa né a studio. Anzi sembra tutto lindo e pulito. Così come pulita è la
casa di Juana. Si trova solo una telecamera che registra l’entrata in casa di
un “forse cliente” di Juana. Rintracciatolo (sempre con difficoltà) si scoprono
altri altarini, che l’improbabile cliente ha visto qualcosa, che chiede aiuto
ad una prefettura (guarda caso quella di Biella, dove ci sono amici di
famiglia, miei non di Rocco). Un lampo di genio di Rocco, visto che la casa è
tanto misteriosa porta sia alla scoperta del proprietario (che non è odioso, ma
di più), e dei misteri degli affittuari. Rocco cerca allora quello che potrebbe
essere la chiave di volta, ma anche il pensionato è sparito, con tutta la casa,
che risulta non tanto vuota, ma mai abitata. È facile ipotizzare che ci siano
dietro servizi segreti, personaggi sotto copertura, pentiti forse di mafia
(probabilmente di mafia). Gli apparati romani riusciranno a mettere le pezze a
tutti i buchi, lasciando Rocco con il cerino ed il dispiacere in mano. Vogliamo
iniziare un discorso sulla giustizia? O vogliamo parlare che Manzini, ben prima
delle inchieste giudiziarie ipotizza infiltrazioni mafiose nel territorio
aostano? Però si nota, per finire, e fortemente quanto detto all’inizio. La
concorrenza del mezzo televisivo che impone quasi scelte che l’autore non
sembra condividere a pieno. Quando Rocco ci pare sia pronto ad aprirsi, se
questa strada è forse utile alla scrittura, non lo è alla TV, e quindi, dopo
qualche giravolta le aperture di Rocco vengono rimandate. Per questo, alla
fine, la sufficienza c’è, perché mi piace l’autore, ma molto, molto, molto
scarsa.
Antonio Manzini “Fate il vostro gioco”
Sellerio euro 15 (in realtà, scontato a 12,75 euro)
[A: 15/10/2018 – I: 16/12/2019 – T:
18/12/2019] &&
e ¾
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 389; anno:
2018]
Purtroppo,
continua il gioco al ribasso, e questa volta, seppur vicina, la sufficienza non
c’è. Non tanto e non solo perché le storie di Manzini si stanno intorcinando su
sé stesse, quanto per la non conclusività della storia stessa. Ci sta, è
ragionevole anche, che in una serie di romanzi collegati, le storie vadano,
vengano e si ripresentino. Meno ragionevole è una storia che scientemente non
viene terminata, rimandando in maniera veramente esplicita ad un successivo
romanzo. Ma essendo qui nel lato libri e non nel lato TV, questa chiusa lascia
insoddisfatti, facendo cadere il giudizio, già di per sé neanche tanto elevato.
Come immagina chi ha letto la precedente puntata, la bella Caterina, dopo aver
“deluso” il nostro Rocco, se ne torna a Roma in missione peraltro ignota. Per
tutte le 400 pagine Rocco va su e giù nei sentimenti verso di lei, non avendo
aiuti neanche dal “fantasma Marina” (che ultimamente ha iniziato ad essere poco
coinvolgente). Rimangono le indagini, e le storie di chi rimane ad Aosta. Come
fa intuire il titolo, questa volta parliamo di casinò, essendo presente in
vallata il mitico “Casino de la Vallée di Saint-Vincent”, dei giochi, di
ludopatia ed altre amenità correlate. Dal lato privato, abbiamo due
comportamenti ludopatici di diversa gravità. C’è Italo, l’aiutante di Rocco,
all’inizio del coinvolgimento, anche se solo nel poker. Si capisce da poche ed
essenziali battute che più che giocatore, è un pollo che qualcuno sta
spennando. Sarà divertente scoprire come Rocco, con l’amico Brizio, riuscirà a
guarire Italo ed infliggere (ci riusciranno?) una lezione agli spennatori. Poi
c’è Claudia, invece ludopatica all’ultimo stadio, che si è giocata tutto, anche
la casa. Che perseguita un croupier pensando che le possa fornire numeri per la
roulette, che si aggira di notte vicino ad una casa dove si scopre al mattino
esserci un morto. Anzi “il morto”, quello che farà da filo rosso del romanzo.
Claudia sembra molto coinvolta, anche perché un suo accendino è sul luogo del
delitto. Ma è anche improbabilmente colpevole, dato che scopriamo ben presto
essere niente di meno che la madre del mitico ragazzino Gabriele. Da qui tutta
una serie di gag, tra Gabriele e Rocco, tra Gabriele, Rocco e le amanti di
Rocco, tra Rocco e Claudia, tra Rocco, Claudia e Gabriele, sempre sottolineate
dalle canzoni messe, urlate dal giovane. Ma questa è una storia “buona”, dove
Rocco il buon samaritano troverà una via di percorrenza per risolvere molti dei
rispetti problemi (mai quelli suoi, ovvio). Intanto, come detto, esce fuori il
morto. Tal Romano, una volta ispettore di sala del casinò ed ora in pensione.
Quali sono i percorsi che una persona, che sembrerebbe ormai occuparsi di
altro, viene coinvolta in qualche trama? Rocco scatena i suoi, a tutti i
livelli, alla ricerca di risposte. Sia gli scagnozzi, che trovano riscontri
sulla presenza di Romano in sala e sulla ricorrenza di alcuni personaggi. Sia
l’anatomo-patologo, per capire modalità ed ora della morte. Sia infine
l’ossessiva ed ossessionante Michela, che, benché piena di paturnie al limite
del ridicolo (ci manca solo che sia terrapiattista e le avremo viste tutte), è
super efficiente nel suo lavoro. Trovati elementi, e riscontri, Rocco porta
tutta la banda al casinò in una delle migliori scene del romanzo, una che sicuramente
avrà (o ha avuto) il suo effetto televisivo. Tutti al casinò, in ghingheri, a
girare per le sale, giocare, parlare, bere, guardare. Con il risultato che ben
presto il cerchio si restringe a pochi e selezionati elementi. Qua c’è il
secondo filone investigativo, che i tre ipotizzati elementi fanno un gioco
duro, basato sui soldi e su connessioni che vengono da mafiosamente lontano.
Alla fine, imprecando per il consumo eccessivo delle sue “clarks” a contatto
con la neve aostana, Rocco riesce a capire chi ha ucciso Romano, cosa fanno i
tre sospetti che Romano stava controllando, ipotizzando vari finali in cui
intreccia possibilità, ipotesi, mezze soluzioni. Tuttavia, niente si risolve e
Rocco stesso dice una frase che suona “ci vedremo alla prossima puntata…”. Caro
Manzini, non si fa così, non siamo in un racconto a puntate alla Dumas, come ne
uscivano sui grandi giornali nell’Ottocento. Se fosse così, avresti ragione.
Tra l’altro, Dumas e Dickens (tanto per citare due enormi esempi) finivano
sempre i capitoli con una nuova rivelazione che, incuriosendo il lettore, lo
portava a comprare il giornale alla sua prossima uscita. Ma qui, caro Manzini,
siamo in un libro. Ed un romanzo deve avere una sua conclusione. Altrimenti,
potevi aspettare e pubblicare questo insieme al successivo. Certo, avrebbe
avuto un calo delle vendite. Ma non esiste solo il marketing, e questa
operazione è veramente di basso profilo. A meno che, ma non voglio pensare
possa essere vero, alla fine tu non avessi idea di come terminare in maniera
coerente le mille storie iniziate. Così che hai preferito terminare con dei
punti di sospensione, tipo “fino a qui mi avete seguito, io non so come andare
avanti, ora ci penso, e ci risentiamo tra qualche mese.” Se ci sono altre
soluzioni, qualcuno me lo faccia sapere, che io termino qui, un po’ storto.
“Un piccolo dolore dietro la schiena gli
ricordò che non doveva fare movimenti bruschi, pena una coltellata alla zona
lombo-sacrale.” (377) [ah, come ti capisco, Rocco!]
Antonio Manzini “Rein ne va plus” Sellerio
euro 14 (in realtà, scontato a 11,90 euro)
[A: 14/07/2019 – I: 23/12/2019 – T:
25/12/2019] &&&
--
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 310; anno:
2019]
E come avevo detto concludendo il precedente,
ecco che questo nuovo “Rocco Schiavone” riprende per concludere il libro
precedente. Ripeto, non si fa così, a meno che le imposizioni della serie
televisiva non impongano altro. Un libro, benché parte di una lunga serie, deve
avere una sua conclusione, che sia accettabile o meno da parte del lettore
(andate a vedere non solo le grandi serie americane alla Cussler, ma anche
l’onesta sequenza delle avventure di Salvo Montalbano). Ciò detto, Manzini ha
sempre una bella scrittura e Rocco Giallini fa sempre presa nel mio
immaginario. Con i suoi tic (le “clarks” sempre ai piedi), le sue fissazioni
(gli amici non si toccano anche se sbagliano), le sue improbabili chiacchierate
con Marina (e qui non entro che già spesso ho parlato di questa parte che mi
piace meno, e che, se non riuscirà ad evolversi, tende ad ingabbiare il
personaggio in un binario troppo stretto). Ovvio che in “Fate il vostro gioco”
l’idea di chi abbia ucciso il croupier in pensione esce fuori, ma come dice il
titolo, rimaniamo nell’ambito del gioco. D’altra parte, siamo sempre in Val
d’Aosta, dove non sapevo però che i valligiani non hanno il permesso d’entrare
al Casinò. E sull’ossatura della vicenda di Romano, del suo assassino e dei
figuri, più o meno loschi, che orbitano intorno al gioco d’azzardo, ecco che si
evolve la vicenda e si complica. Un furgone portavalori sparisce nel nulla con
tre milioni di euro a bordo. Mica sono briciole! L’indagine, dove finalmente
assurgono a ruoli più di primo piano anche i collaboratori di Rocco, porta,
capitolo dopo capitolo, a svelare sempre più i retroscena della vicenda. Una
guardia giurata che sembra colpevole è forse innocente. Un’altra pare il
contrario. La direttrice del Casinò è ambigua, come lo sono il gestore
dell’autotrasporti che faceva parte della confraternita con il morto e
l’assassino. E come non lo è la russa (o forse serba, ma comunque slava) Lada,
che non perde colpo di fare la svenevole con Rocco. Dove la carne è debole, si
sa, e quindi c’è il rischio di farsi sfuggire notizie basilari per l’indagine.
Ma l’unione degli sforzi di Casella, D’Intino e della Gambino portano al
ritrovamento del furgone, ed a farci capire come si sia svolto il furto, cosa e
chi c’è dietro. Con un finale inutilmente hard-boiled, ma che serve all’autore
per istillare qualche dubbio. Finisce qui o ci saranno nuove avventure?
L’abilità dello scrittore in serie è anche questa, di arrivare ad un finale
problematico, dove si possono prendere diverse strade, o addirittura nessuna.
C’è spazio per tutto ciò. Anche perché l’altra vicenda è anch’essa arrivata ad
un punto saliente, anche se non risolutivo. Sappiamo che Rocco uccise
l’assassino del famoso 7 luglio. Sappiamo che Seb, suo fraterno amico, cerca
vendetta per una vicenda che risale ad un paio di libri fa e su cui non
ritorno. Sappiamo che le confessioni del pentito possono portare alla scoperta
di un cadavere scomodo. Ma in questo libro dove bisogna giocare perché la
roulette sta girando, anche questi interrogativi arrivano ad un loro punto
fermo, ance se non definitivo. Rimangono due storie aperte e sviluppantesi in
parallelismi e sincronismi vari. Da un lato c’è la vicenda “Caterina”, che
certo ha deluso Rocco, ma che meriterebbe qualche approfondimento, qualche
beneficio del dubbio, qualche collegamento che ancora manca. Rocco è tentato e
respinto dalla vicenda, ma dovrà arrivarne a capo, voglia o non voglia.
Dall’altro c’è il giovane Gabriele, che risveglia dei sentimenti di paternità
che si erano anestetizzati con la vicenda Marina, ma che rigurgitano. Un
ragazzo sveglio, anche se con problemi. Come sveglia sembra essere la madre
Cecilia, benché pericolosamente ludopatica. I casi della vita portano i tre a
convivenze forzate, che sembrano stimolare i migliori sentimenti di tutti.
Questa è la parte più aperta delle storie del nostro Schiavone. E ci si
domanda: si chiarirà con Caterina? Avrà un suo ruolo con Gabriele? Non è che
poi si innamora anche di Cecilia? O peggio ci va a letto per stanchezza della
carne, rovinando tutti i suoi rapporti personali? Penso che siano domande
legittime e che avranno non dico soluzioni ma sicuramente prosecuzioni nel
prossimo romanzo del nostro autore. Già in libreria, ma ancora non pronto per
essere letto.
Siamo
in febbraio, e riporto quindi titoli e giudizi delle tredici letture
novembrine. Con due bei gialli in pole position: l’inossidabile Colin Dexter e
l’interessante Guillaume Musso. Mentre in coda, a parte l’aspettato ultimo atto
della collana sull’arte, c’è il poco digeribile, seppur letto con interesse,
libro di Camus.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
James
Patterson
|
Ricorda
Maggie Rose
|
Sonzogno
|
s.p.
|
2
|
2
|
Colin Dexter
|
Al momento della
scomparsa la ragazza indossava
|
Sellerio
|
14
|
4
|
3
|
Jonathan
Arpetti & Christiana B. Assouad
|
Delitto
dietro le quinte
|
Fanucci
|
13
|
2
|
4
|
Giovanni
Ricciardi
|
Gli
occhi di Borges
|
Fazi
Editore
|
16
|
3
|
5
|
Jean Renoir
|
Renoir, mio padre
|
Corriere della Sera Arte
|
7,90
|
3
|
6
|
Enrico
Franceschini
|
L’uomo della
città vecchia
|
Repubblica
Noirissimo
|
7,90
|
3
|
7
|
Guillaume Musso
|
La ragazza di
Brooklyn
|
Repubblica
Noirissimo
|
7,90
|
4
|
8
|
Albert
Camus
|
Il
mito di Sisifo
|
Bompiani
|
s.p.
|
1
|
9
|
Camilla Lackberg
|
Il segreto degli
angeli
|
Repubblica
Noirissimo
|
7,90
|
3
|
10
|
Enrico
Pandiani
|
Una
pistola come la tua
|
BUR
Rizzoli
|
12
|
2
|
11
|
Lucio
Figini
|
La
bambina del mare
|
Fanucci
|
13
|
2
|
12
|
Peter Cameron
|
Un giorno questo
dolore ti sarà utile
|
Repubblica
Duemila
|
9,90
|
3
|
13
|
John
Grisham
|
Theodore
Boone – La ragazza scomparsa
|
Mondadori
|
13
|
2
|
14
|
John
North
|
Il
segreto degli ambasciatori
|
Corriere
della Sera Arte
|
7,90
|
1
|
Mentre
faccio notare di passaggio che questa seconda trama di quest’anno viene inviata
in un giorno palindromo (cioè la 02 del 2020 si spedisce lo 02/02/2020; un
trionfo di due…), dicevo di una pausa di riflessione, dovuta in gran parte a
questo inizio di febbraio che, purtroppo, riporta alla mente tanti recenti
lutti, con il pensiero che dolente va ancora a mamma Agnese. Però, anche per
loro, ed io li tengo bene in mente, si continua a leggere, a scrivere, a far
circolare idee (spero). I
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