domenica 23 febbraio 2020

Stranieri (quasi) seriali - 23 febbraio 2020


J.K. Rowling (Robert Galbraith) “La via del male” Repubblica Noirissimo 1 euro 7,90
[A: 13/06/2017 – I: 02/10/2019 – T: 07/10/2019] - && e ½   
[tit. or.: Career of Evil; ling. or.: inglese; pagine: 663; anno 2015]
Terzo episodio delle storie di Cormoran Strike e della sua assistente Robin. Ha uno spunto interessante, di cui parlerò tra poco, ma il libro in generale risulta pesante, poco scorrevole, tanto che ho impiegato quasi una settimana a digerirlo. Lo spunto, dicevo, nasce dalla storia passata di Strike, dove la scrittrice ci ricorda che la madre era una “groupie” e si era tatuata nelle parti intime un verso di una canzone dei Blue Öyster Cult (“Mistress of the Salmon Salt”). Da qui l’idea di mettere come incipit dei 62 capitoli un verso di una canzone del gruppo. Diversificando i capitoli narrativi, dove viene citata anche la canzone, e quelli soggettivi del cattivo, dove è riportato solo un verso. Il grande sforzo è coronato alla fine, sia con i “credits” verso tutte le canzoni, sia con la traduzione dei versi riportati. Per i meno musicofili, ricordo che i Blue Öyster Cult (B.Ö.C.) sono stati un gruppo di rock trasversale, che ebbe il suo fulgore negli anni ’70, dovuto in gran parte al cantante Eric Bloom, e ad una fortunata collaborazione con Patti Smith, che all’epoca stava insieme ad Allen Lanier, il tastierista del gruppo. La collaborazione sfociò in uno dei grandi successi del gruppo, “Career of Evil”, che giustamente viene qui posto come titolo del libro. Tutto il romanzo ruota intorno a questa idea, alla “via del male” del testo, ai rimandi alla vita precedente di Strike ed ai cattivi che ha incontrato lungo la via. Son questi, i tre cattivi su cui si punta l’indice di Cormoran quando comincia la storia. Storia che inizia con l’invio a Robin e Strike della gamba di una donna. Ricordo, per chi non avesse seguito i primi due libri, che Strike ha una parte della gamba amputata in seguito ad una bomba scoppiata in zona di guerra, e che porta una protesi. Ho citato Robin, che seguiamo per tutto un percorso trasversale. Certo, è presente, aiuta in alcune parti le indagini, ha idee interessanti, che consentono a Strike di fare passi avanti per soluzioni parziali del mistero. Ma per tutto il lungo libro è solo presa dal suo problema con Matt, il fidanzato assolutamente da cancellare. Fidanzato che la tradiva da giovane, che non sopporta il suo lavoro poco retribuito, che osteggia la sua amicizia con Strike, che lei farebbe bene a non sposare. Infatti, a lungo il matrimonio rimane in sospeso, e la Rowling ci fa balenare la possibilità che tra lei e Strike possa nascere qualcosa. Tuttavia, forse darebbe una svolta troppo intimista alla narrazione. E poi la Rowling ci ha abituato nella saga di Harry Potter che è capacissima di mettere i bastoni tra le ruote di soluzioni semplici. Per cui ci becchiamo le paturnie di Robin, le indecisioni di Cormoran (che l’unica cosa buona che farà sarà lasciare la pallosissima Eilin. Tutta la storia privata dei due, però non coinvolge né da spunti interessanti. Serve solo ad allungare il brodo delle pagine (ricordo più di 600!). Il plot “giallo” è quello di uno squartatore di cadaveri, che ce l’ha a morte con Cormoran, e che invia pezzi di donna al nostro ed a Robin. Vorrebbe anche far fuori Robin, cercando di incastrare Strike, cosa che, per le vicende personali di Robin stessa, riesce sempre più difficile. Ma questi sono elementi laterali la cui soluzione lascio agli incauti lettori (Robin ne esce viva? Robin si sposa?). noi ci concentriamo sui tre cattivi che sono nella lista dei possibili squartatori. Sono Whittaker, Laing e Brockbank. Il primo è stato l’unico marito legittimo di Leda, la madre di Cormoran. Un fallito, che vive alle spalle di artisti più o meno famosi, che spillava soldi a Leda, che trattava male il nostro da piccolo. Ora vive con una squinzia che maltratta e fa prostituire e si dedica a piccolo spaccio. Ovviamente, Whittaker poteva sapere dei B.Ö.C. dall’intimità con Leda. Il secondo era stato incrociato da Strike nell’esercito. Prima in un incontro di pugilato vinto da Strike. Poi quando Cormoran stesso trovò la moglie di Laing seviziata e legata nel letto. Laing viene condannato, ma esce per buona condotta, e per la sua capacità di incantare la gente con le parole. Il terzo, sempre nel periodo militare, venne sospettato di violenza su bambine (sessuale e macabra, a quanto pare). Mai condannato, ma con la testa in disordine per botte ed epilessie, di cui accusava Strike. Insomma, tutti i cattivi hanno buone ragioni di avercela con il nostro. Tutti, in un modo o nell’altro, anche per la personalità pubblica di Leda Strike, potevano sapere dei B.Ö.C.. Parte così la caccia dei nostri, prima aiutati, poi, per una serie di motivi che vi lascio leggere, ostacolati dalla polizia. Ci sono però sempre i buoni, anche se sotto mentite spoglie. Alla fine, Cormoran troverà il filo che lo porterà al vero assassino, anche se farà in modo di incastrare anche gli altri due. Tralasciando la lungaggine del tutto, e, purtroppo, l’accelerazione finale, risolta in troppo poche pagine, rimarco soltanto una cosa: le descrizioni del passaggio per Edimburgo e la Scozia durante le indagini. Luoghi ben conosciuti dalla Rowling che lì abita, e che mi hanno riportato ad un bellissimo viaggio fatto con Alessandra. Ho già l’ultimo libro della saga, ma non so quando lo leggerò.
David Lagercrantz “Quello che non uccide” Repubblica Noirissimo 3 euro 7,90
[A: 27/06/2017 – I: 08/10/2019 – T: 10/10/2019] - && +  
[tit. or.: Det som inte dödar ass; ling. or.: svedese; pagine: 587; anno 2015]
Ero decisamente restio ad acquistare la continuazione del Millennium di Larsson, sia per le polemiche suscitate al tempo sia perché Larsson era Larsson e Lagercrantz non so chi sia. Ma la collana di Repubblica meritava attenzione. Poi capita che sul volo da Seattle verso casa ce ne sia la trasposizione cinematografica, che devo dire, nel suo genere, non è neanche fatta male. Allora leggiamone, magari senza farci venire troppi pensieri nascosti, cercando di abituarsi a chiamarlo Millenium 4, anche se non ci si riesce molto bene. Visto che ho parlato anche del film, dico subito che è una decente trasposizione, con il solo difetto di far passare più velato il ruolo dei Servizi Segreti americani, essendo un film pagato con soldi statunitensi. Venendo al testo, diciamo che le figure di Lisbeth Salander e Mikael Blomkvist escono abbastanza coerenti con quelle dipinte dal compianto Larsson. In realtà, sono già talmente ben delineate che è difficile farle pendere verso altro. Il giornalista è svagato, inappagato, con il suo buon rifugio nell’amante Erika, e solo se pungolato, si mette alla caccia di un buon reportage, che alla fine riuscirà a scrivere. Lisbeth è forse un po’ più dark in alcuni tratti, e sembra più debole nel finale. Tuttavia, ha il solito piglio combattivo verso gli uomini che maltrattano le donne. Ed anche verso quelli che trattano male i bambini. L’impianto generale vira verso uno dei problemi cruciali del mondo attuale, il controllo delle informazioni e lo spionaggio attraverso i sistemi informatici di ogni tipo. Il giornale “Millennium” è in crisi di vendita e sta per essere fagocitato da un grande gruppo editoriale di tipo berlusconiano. Ma a Blomkvist arriva una dritta, di prendere contatto con un tecnico informatico svedese tornato in patria dopo un breve periodo presso una grande industria americana (legata al Pentagono, ovvio). Frans Balder, il tecnico, è venuto anche per prendersi cura del figlio autistico, ma prima di riuscire a parlare con Mikael viene ucciso, presente il figlio. Mikael cercava Frans anche perché aveva saputo che Lisbeth lo aveva aiutato nel criptare i dati delle sue scoperte, scoperte che avrebbero consentito di penetrare in tutti i sistemi informatici mondiali, operando uno spionaggio d’alto livello. Così si scatena una lotta, sul lato giallo per capire che ci sia dietro la morte di Frans. Sul lato “action” per salvare il piccolo dalle rappresaglie dei cattivi, pentitisi di averlo lasciato in vita. Che il piccolo autistico ha due elementi fuori dell’ordinario: capacità matematiche, con l’abilità di scomporre grandi numeri nei loro fattori primi di base, e capacità artistiche, che disegna con una proprietà e precisione assoluta. Fortunatamente, Lisbeth riesce a rapire il piccolo prima che venga ucciso. E Mikael, che capisce il suo intervento, si mette anche alla sua ricerca che erano anni che la nostra eroina era scomparsa, in questo aiutato dall’ex tutore di Lisbeth, Holger Palmgren (altro cammeo ben riuscito). A questo punto intervengono anche i Servizi Segreti americani, che hanno avuto da parte di Lisbeth una intrusione nei loro superprotetti sistemi. Quindi, nel suolo svedese abbia la lotta tra diverse forze contrastanti, almeno in apparenza. Gli americani che vogliono i programmi di hackeraggio, i cattivi che vogliono uccidere il piccolo testimone, i buoni che cercano di salvare il salvabile. Il lato abbastanza poco nuovo in questo panorama è che ben presto scopriamo che i cattivi sono guidati da una donna, che si rivela essere Camilla, la sorella gemella di Lisbeth, quella che è rimasta con il padre, e si è votata al male, in modo specularmente antagonista alla nostra eroina. Questa parte sembra essere un po’ appiccicata, che ci risiamo alle solite, con il risalire tutto alle turbe infantili, alle cattiverie del padre, ed alle storie già viste in finale di trilogia. La storia in sé non potrà che finire bene, almeno per il piccolo, ed anche per il giornalista che uscirà con un mega scoop dove verranno fatte rivelazioni sorprendenti, che ricollegheranno molti dei puntini del grande rompicapo iniziale. Rimane il dubbio che Camilla riesca a fuggire, e sia pronta ad altre lotte titaniche tra il bene ed il male. Rispetto ai temi classici di Larsson, c’è sempre la denuncia del lato cattivo del mondo, prima, nei testi originali, partendo soprattutto dal risorge dei fascismi in tutta Europa. Qui con la denuncia del ruolo corrotto dei Servizi Segreti di tutti i paesi (ed in un momento in cui escono fuori le magagne russo-americane con Putin-Trump in prima fila, e le piccole rogne italiche di Salvini e compagnia, ciò non ci fa meravigliare più di tanto). Sul lato scrittura, il libro stenta a decollare nella prima parte, quasi Lagercrantz avesse un timore di affrontare un compito forse più grande di lui. D’altra parte, prima di questo il suo grande successo era la biografica del calciatore Zlatan Ibrahimovic! Poi si rilassa, prende un buon ritmo ed una buona scrittura, forse con l’unica pecca di scivolare troppo spesso in tecnicismi matematico-informatici, che a me hanno divertito, ma non so se siano graditi al grande pubblico. Vedremo e capiremo in futuro se alla fine il buon David ha imparato la lezione di Stieg, visto che sono usciti almeno altri due capitoli della serie. Per finire, ad uso dei cultori delle titolazioni, ricordo che il titolo viene dalla prima parte di una citazione di Nietzsche, che recita :”Quello che non uccide, fortifica”. Mi ricorda uno dei più interessanti libri del mio amato Isaac Asimov, “Neanche gli dei”. Anche quello citazione del grande pensatore, che però continuava: “Neanche gli dei, contro la stupidità, possono nulla!”.
Guillaume Musso “La ragazza di Brooklyn” Repubblica Noirissimo 5 euro 7,90
[A: 25/07/2017 – I: 15/11/2019 – T: 17/11/2019] &&&& 
[titolo: La fille de Brooklyn; lingua: francese; pagine: 405; anno: 2018]
Premetto che è una trama un po’ sgarrupata, figlia di un mio errore madornale, come può, ma non deve capitare. Dopo aver scritto una trama del libro, di ci non ricordo nulla (della scrittura ovvio, non del libro), ho utilizzato lo schema per una nuova trama, ricoprendo il povero Musso. Ecco allora che, a distanza di tre mesi, scoprendo l’errore, cerco un rimedio. Purtroppo, anche usando le mie pregresse virtù esadecimale di analisi del disco rigido, non ho recuperato nulla. Quindi, scriviamo tutto da capo. È il primo libro di Musso che leggo, e devo dire, pur nella non linearità della riuscita, mi è piaciuto, più di diversi coevi scritti di altri autori, ben più celebrati. Vedremo, leggendo altro dell’autore francese, se l’impressione rimane. Tra l’altro, cito subito le frasi che riporto in finale come due esempi di “lampi di memoria” che portano luci bellissime, e personali, allo scritto. I ricordi di piccoli passaggi in giro per l’Europa me li hanno fatti rivivere, lasciandomi ancora una volta in bocca il sapore impagabile dei pasticcini di Belém. Il primo, invece, mi rimanda alle note ed alle bibliografie che ho seguito a lungo negli anni Novanta, sulle orme di quel bravissimo viaggiatore e scrittore svizzero che era Nicolas Bouvier (il primo che pubblicò in un suo sito elenchi ragionati e da condividere sulla letteratura di viaggio). Tornando al romanzo in sé, il libro comincia abbastanza sereno per le prime tre pagine, per poi iniziare un ritmo incalzante, pieno di copi di scena che non si fermerà sino alla fine. Lo scrittore nonché ragazzo-padre Raphael sta facendo un soggiorno prematrimoniale in Costa Azzurra con la fidanzata Anna. I due si conoscono da poco, e Raphael non sa nulla del passato della bella pediatra. Insiste nel chiedere chi sia Anna, e lei, esasperata, gli mostra una foto con cadaveri bruciati, dicendo “Sono stata io”. Raphael scappa via sconvolto, poi, come tutte le persone un po’ insicure, ci ripensa, torna indietro, ma Anna non c’è più. Raphael chiede allora aiuto al suo amico ed ex-poliziotto Marc Caradec. I due scoprono nell’appartamento di Anna, quattrocento mila euro in contanti e due carte d’identità false. Baratro! Chi è Anna? O meglio chi era? Di certo bisognerà scavare nel passato, cosa che i nostri due fanno. Trovano tracce di Anna, ma ogni volta la ragazza sfugge. Marc trova tracce delle impronte della signorina in una banca dati dell’Interpol. Ma sono di una certa Claire, che risulta essere stata rapita una quindicina di anni prima da un mostro pedofilo, insieme ad altre ragazze. E con loro, ed il mostro, risulta morta nel rogo del luogo dove il mostro teneva le rapite. Forse l’unica traccia è allora risalire alla madre di Anna-Claire, che però stava in America. Passo dopo passo, Raphael fa continue agnizioni sul passato della sua bella. Peccato che ogni volta, mentre sta per compiere il passo decisivo, il testimone che potrebbe parlare, la giornalista che forse potrebbe sapere, o chiunque sia in giro con informazioni, muore o scompare. Alla fine, tuttavia, come ben si capisce dall’inizio, i tasselli misteriosi vengono ricollocati al posto giusto. E tutti i personaggi riassumono la loro connotazione. Sempre un po’ grigia, che non c’è mai una netta divisione in bianco e nero. Ed anche chi pensavamo esente da macchie, in realtà ha qualche punto oscuro da nascondere. Forse il solo Raphael risulta “tutto da una parte”, ed è ovvio che sarà uno degli ultimi a comprendere tutti gli intrecci, anche impensati, che il bravo scrittore ha disseminato lungo le 400 pagine del romanzo. Anche perché (e questo è uno dei limiti per me del testo) Musso si sforza di cambiare registro spesso, passando dalla prima alla terza persona, cambiando punti di vista, alternando pensieri e tempi dell’azione. Un buon thriller, che forse cerca di sparare troppe cartucce nella cascata dei finali a ripetizione, ma che è anche un romanzo sul modo di ricostruirsi la vita di una persona che, ad un certo punto ha visto tutto il suo mondo crollare, senza poterlo sostituire con qualcosa d’altro. Con quella domanda di fondo, che aleggia all’inizio e ci portiamo per tutto lo scritto. È possibile e corretto sapere “tutto” di un’altra persona? Chi stabilisce quale sia il limite? Io, immanente, preferisco sapere chi sei ora, e su questo baso i nostri rapporti. Ma… Comunque, rimane un libro che ha un suo interessante sviluppo. E tutto sommato, piacevole.
“Ci siamo incrociati qualche anno fa. La intervistai al festival Étonnants Voyageurs nel 2011.” (135)
“Ricordo i frontoni gotici delle case in riva ai canali di Amsterdam. Ricordo … la pioggia in Scozia. Ricordo l’azzurro degli azulejos dell’Alfama, l’odore di polpo grigliato nelle strade di Lisbona, la freschezza estiva di Sintra e i pasteis de nata di Belém…” (404)
Camilla Läckberg “Il segreto degli angeli” Repubblica Noirissimo 7 euro 7,90
[A: 25/07/2017 – I: 18/11/2019 – T: 22/11/2019] &&& --- 
[tit. or.: Änglamakerskan; ling. or.: svedese; pagine: 542; anno 2011]
Siamo così arrivati all’ottavo episodio della saga di Fjällbacka, la cittadina svedese sulla costa di fronte alla Norvegia, situata 150 km. a nord di Göteborg. Località turistica specialmente estiva, nota per essere il rifugio svedese di Ingrid Bergman. Sorta alla ribalta della cronaca letteraria con la scrittrice, qui nata, Camilla Läckberg che qui appunto ambienta i suoi gialli, imperniati inizialmente sulla sola Erica Falck, scrittrice e curiosa. Per poi allargarsi al prima fidanzato, poi sposo, poi padre dei suoi tre figli (Maja e i due gemelli Noel e Anton) l’ispettore di polizia Patrik Hedström. Dall’iniziale piglio molto giallo nero, la serie si è allargata alla comunità che grava intorno alla stazione di polizia, prendendo da un lato un piglio corale, senza tuttavia perdere di vista il lato investigativo, il mistero. Che sembra Fjällbacka sia sempre pronta a fornire elementi misteriosi, morti, scomparse ed altri fatti “Inspiegabili”. Intanto, forse qualcuno non conosce il mondo di Camilla. Riassumendo, oltre alla famiglia Falck, c’è Anna la sorella di Erica. Viene da una storia tormentata con il primo marito Leon, manesco e tendente al femminicidio, che ha lasciato insieme ai suoi due figli, per andare a convivere con il gentile Dan (che ha già una figlia). Sembrava una situazione tranquilla, ma nell’ultimo romanzo Anna perde il bambino che ha in pancia in un incidente di macchina. Così qui la vediamo tormentata e tormentante, che non ha ancora ripreso un suo modo di essere, soprattutto con Dan. Ci sono poi i “poliziotti”: Martin, la cui moglie vediamo ora alle prese con il cancro, e lui con i tormenti di una possibile fine; Gösta, l’anziano del gruppo, vedovo, molto legato alla moglie morta, ed ai ricordi del passato (che qui ritorneranno); Annika, la giovane e spigliata che sa trovare notizie ovunque; Paula, ora in maternità accudita dalla sua compagna Johanna, e dalla madre, che si è anche messa con il maldestro capo della polizia Mallberg (che sarebbe meglio stesse solo in ufficio che altrimenti…). Il quadro è completato da Kjell, giornalista di una testata locale, pieno di idee e di iniziative (ed anche capace di interessanti interviste). Come spesso accade, in particolare nell’ultima produzione di Camilla da me letta, il racconto si muove su due piani temporali: quello presente, dove vediamo agire i personaggi, ed una storia che parte dal passato e che si ricongiungerà con qualcosa nel presente. La storia passata comincia addirittura nel 1908, con l’arresto, la condanna e l’impiccagione di Helga, accusata di essere “fabbricatrice di angeli” (e torneremo su questa definizione) perché uccide i neonati a lei affidati. Lasciando così nelle peste la figlia Dagmar, che, anche se bella, si dovrà arrangiare, ovviamente usando il suo corpo. Anche con il bel tedesco Hermann con il quale si congiunge nel 1919 a quasi vent’anni, partorendo Laura. Peccato che Hermann sia proprio Göring, che non gli passa neanche per l’anticamera del cervello di sposare la bella Dagmar, e che tornerà in patria facendo la carriera che sappiamo. Dagmar comincia a sbarellare, dedicandosi anche al bere, e lasciando che Laura pian piano se la cavi da sola. Soprattutto quando viene ricoverata in un istituto psichiatrico, dove uscirò a fine guerra e… (beh questo non ve lo dico). Laura si sposa, ed a trent’anni partorisce Inez, che dirigerà come un soldatino, fino a farle sposare l’inflessibile Rune, vedovo con già tre figli. Inez genera Ebba, e Rune gestisce un convitto in un’isola di fronte a Fjällbacka. Quando nel 1974 la famiglia sparisce lasciando la sola Ebba di 1 anno. Che fine hanno fatto? Morti? Fuggiti? L’allora giovane Gösta indaga, si prende cura di Ebba, e cerca di sapere i fatti dai cinque giovani presenti sull’isola: il biondo Leon, quello che prende decisioni, il perfido Sebastian, pronto a mentire su tutto, il rampollo Piotr, smidollato erede di una ricca famiglia, il rude John, figlio di un fervente nazista svedese, e l’ebreo Jozef. Ma nulla esce ed il mistero rimane. Che si ricongiunge con il presente quando Ebba, per riprendersi dalle ferite della sua anima dovuta alla morte del figlio Vincent, torna sull’isola con il marito Martens. Ed a Fjällbacka convergono anche i cinque ex-giovani, ormai tutti oltre la cinquantina. La tenacia di Erica nello scavare nel passato, le intuizioni di Gösta da sempre rimasto legato, seppur da lontano, ad Ebba, e la prontezza di Patrik permetteranno a tutti i fili di venir riannodati. Sia quelli presenti, dove credo che nella prossima puntata ci sarà un chiarimento tra Anna e Dan. Sia quelli del passato prossimo, dove scopriremo i collegamenti di Ebba con tutta la vicenda ripercorrendo anche le sue vicende ultime, i suoi genitori adottivi, il marito, e la morte di Vincent. Sia, com’è giusto, vedremo chiarito il mistero della scomparsa di Rune, di Inez e dei tre figli di lui. Visto che poi a lungo si è parlato di Göring, che nel coro dei personaggi c’è un ebreo, che pare anche l’architetto della grande Germania Albert Speer sia passato di lì, avremo anche qualche accenno al nazismo passato e presente (e casualmente la scrittura è coeva alla strage di Utøya). Per venire allo stile ed all’impatto personale, ripeto, come detto per altri libri, che questo continuo imperversare di flash-back ed altri salti temporali non sempre mi sembra utile per trame che potrebbero essere più agili. Lo stile di Camilla inoltre, risente di un avvio un po’ diesel, come se stentasse nel decidere dove porre la su e la nostra attenzione. Fortunatamente, nella seconda metà, comincia a correre, forse anche troppo. Non sono convinto nel meccanismo legato alla sparizione, che mi sembra troppo semplice per non essere quanto meno ipotizzato anche nel 1974, pur con i mezzi non da C.S.I. di allora. Nel finale, infine, le giuste dosi di colpi di scienza, consentono una risalita a buoni livelli del romanzo. Torno infine sul ruolo motore della vicenda, la figura di Helga, ricalcata sull’esistente personaggio di Hilda Nilsson, serial killer di bebè. Hilda era appunto chiamata: la creatrice di angeli, o, in inglese, “the angel maker”, o in svedese “änglamakerskan”. Ed allora da dove esce quel “segreto degli angeli” dell’edizione italiana? Ultimamente si era un po’ perso questo vizio di alterare i titoli. Peccato ricominciare.
Ome ormai si sa, il quarto appuntamento mensile è di riposo dalle fatiche di scrittura, quindi con poche note. Ma solo il ricordo, di Lorenzo che c’ha lasciato per tornare a veleggiare verso altri mari. Prima o poi cancellerò febbraio dal calendario (anche se qualcosa di positivo c’è). 

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