Alessandro Robecchi “Di rabbia e di vento”
Sellerio euro 15 (in realtà, scontato a 12,75 euro)
[A: 28/03/2017 – I: 30/11/2019 – T:
01/12/2019] &&&
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[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 407; anno:
2016]
Due anni e mezzo sono passato dalla lettura della
precedente puntata delle “straordinarie avventure” di Carlo Monterossi, ed io,
come il nostro eroe, sto aspettando di sapere dove è andata a finire Maria, con
la quale sembrava essere nata una promettente storia. Poiché forse anche il
nostro Alessandro non ha le idee chiarissime, ci riserva una nuova puntata che
solo per affetto posso considerare sufficiente. Non viene (o non sono stato
capace io) chiarito il mistero del titolo, che i primi avevano sempre riferimenti
canori. Io qui non lo ho trovati (se non molto lontanamente, con un titolo
quasi simili in “Of rage and war” del Savatage del 1989, ma penso c’entri
poco), se non il vento che continua a soffiare a Milano (forse memore del
dylaniano “Blowin’ in the wind”) e della rabbia che i maggiori protagonisti
della vicenda covano verso le assurdità che loro e noi stiamo vivendo. Robecchi
cerca di incanalare il racconto sui binari noti delle prime due puntate, ma non
riesce a trovare il modo di far scattare la vicenda verso un qualche punto di
maggior interesse. Certo, si approfondiscono, almeno un poco, i caratteri
maggiori. E se è vero che Monterossi rimane un punto fermo, non è più solo lui
al centro, anche se il finale sarà tutto suo. Cerca sempre di sganciarsi dalla
“televisione fabbrica di merda”, ma questa parte rimane un po’ sullo sfondo,
senza neanche trovare sbocchi plausibili. A parte il cenno alla vicenda della
matura signora appassionata di lap dance e del suo geloso marito, ma è solo uno
svolazzo. Lui è certo uno dei motori dell’azione, con le costanti del whisky
(rigidamente Oban di 14 anni) e delle citazioni di Bob Dylan, che però prendono
meno. Esce meglio fuori il poliziotto Ghezzi, quello che aveva iniziato un po’
caricaturato “alla Catarella”, con i suoi fantasiosi travestimenti. Qui è vero
che inizia vestito da frate, ma si imbatte in cattivi che lo maltrattano, gli
rubano la pistola, e lui seguirà le azioni un po’ convalescente (accudito dalla
meravigliosa macchietta della moglie Rosa), un po’ intraprendendo iniziative di
massa, collaborando cioè con Monterossi e con il trova tutto Oscar. Tra le
pieghe della polizia esce poi fuori anche un altro poliziotto, il
sovraintendente Carella (qui, Robecchi tributa un sentito omaggio al re del
“police procedural”, l’italo americano Salvatore Lombino in arte Ed McBain ed
al suo personaggio principale delle storie dell’87° distretto, Steve Carella).
Un poliziotto all’opposto di Ghezzi, ordinato, metodico, ma altrettanto
determinato nel raggiungere gli stessi obiettivi dei nostri, pur sempre
all’interno del solco giudiziale tracciato. Non può mancare la comparsa, qua e
là, dell’esimia moldava Katrina, colf e cuciniera di Carlo, ma sono quei
personaggi di sfondo, che servono a dare il senso della continuità al racconto.
La storia principale si innesca quando una escort, che Carlo incontra per caso,
e con la quale scambia una serata di chiacchiere di buon livello, viene trovata
uccisa. Anzi, torturata e uccisa. Con la stessa arma che aveva freddato poco
prima un concessionario di auto di lusso, dove l’assassino, fuggendo aveva
travolto Ghezzi vestito da frate. Ecco che Robecchi riesce a far convergere i
nostri due eroi, che si imbattano nei due omicidi, e che però non sono
disgiunti. Ma dov’è il nesso? La polizia ed Oscar scavano, trovando fuori una
serie di misteri. L’escort Anna non esisteva fino a 4 anni prima. Il primo
morto pareva implicato, sette-otto anni prima, nel rapimento con forte riscatto
di un giovane rampollo. Ma gli autori del sequestro pare abbiano fatto una
brutta fine. Uno sconta l’ergastolo in Serbia per altri reati. Il secondo,
Enrico, risulta morto in una rapina in Austria. Ma i nostri eroi, uniti e
disgiunti, cominciano con lo scoprire che Anna aveva una seconda vita come
Anita, e poi una terza come Angela. Una donna colta, laureata in lettere, che
era stata la donna del bandito Enrico. Ma Enrico è veramente morto? Cosa celano
i ritagli giornalistici in tedesco? E c’era veramente un terzo uomo, come si
sospettava? Dove sono finiti poi i 3 milioni di euro del riscatto? Tutto lascia
supporre che li abbia Anna dalle tre vite. Che aspetta il ritorno di Enrico.
Che capisce che Enrico non è più il bandito bello e tenebroso della sua
infanzia. Quando poi viene trovato un nuovo morto, con la pistola che aveva
ucciso i due accanto, apparentemente suicidatosi con la pistola di Ghezzi,
tutto sembra tornare al proprio posto. Ma Ghezzi e Monterossi hanno dubbi,
hanno rabbia, ed il vento su Milano non scema mai. Sarà nel finale che il
nostro Carlo samaritano scioglierà il mistero (che però era chiaro fin da metà
libro; solo i nostri non capiscono gli strani numeri che Anna teneva segreti,
ma basta leggerli bene e sono di un ovvio lampante). Così anche questa storia
finisce. Carella ha la sua vendetta su chi ha torturato la bella Anna. Carlo
farà le sue solite buone azioni. Ghezzi torna alla sua vita di trasformista
poliziotto. Noi, invece, aspettiamo una nuova puntata, sperando che si
risollevi un po’ dai piccoli pantani cui si è andata infognando.
Alessandro Robecchi “Torto marcio” Sellerio
euro 15 (in realtà, scontato a 12,75 euro)
[A: 04/04/2017 – I: 02/12/2019 – T:
04/12/2019] &&&
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[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 415; anno:
2017]
Prima
passano anni, poi quasi neanche un giorno, e siamo già ad una nuova avventura
del buon Monterossi. Ma questa volta, e sempre più, sembra che Robecchi voglia
allargare il tiro, coinvolgendo meglio e più in profondo i contraltari della
vicenda. Perché, si, abbiamo sempre il nostro Carlo alle prese con il lasciare
o meno i suoi programmi “TV spazzatura”. Ma abbiamo ancora e meglio, Ghezzi e
Carella, i due poliziotti agli antipodi, ma che, ognuno per il proprio verso,
cerca di dare un senso ed un indirizzo alle indagini. Tuttavia, Robecchi ci
vuole parlare anche d’altro. Del clima italiano, che si va sempre più
deteriorando, dove la solidarietà ed il rispetto stanno scomparendo, e ci
rimane solo, forse, qualche scorcio di una Milano non più da bere ma da
evadere. Tanto per essere ancor di più allegri, in questa fine decennio che
allegra di certo non è (almeno dal punto di vista pubblico). Robecchi mescola
vari piani di romanzo, riuscendo, anche un po’ tirando per i capelli, a far
quadrare i cerchi prima della fine. Ci sono vari morti, uccisi con armi da
fuoco abbastanza datate, che sembrano non avere nulla in comune, se non un
sasso lasciato sul luogo del delitto. C’è il furto di un bellissimo anello alla
madre di Katia, l’agente procacciatrice d’affari di Carlo. C’è infine un morto,
sempre con il sasso, ma con una pistola moderna. Dei morti ammazzati si
dovrebbero occupare Ghezzi e Carella, ma, altro colpo alle idiosincrasie
moderne, qualcuno adombra sospetti di terrorismo, talché viene ingaggiata una
squadra speciale da Roma. Il capo dei nostri si scorna, e decide un’operazione
in copertura. Mette in ferie i nostri, lasciandoli indagare. Indagini che
avranno come campo di battaglia casa Ghezzi, con i mitici pranzetti e spuntini
della signora Rosa. Dell’anello si occupa direttamente Carlo con la sua longa
manus, il faccio-qualsiasi-cosa Oscar. Che ben presto trova traccia di
ricettatori, di possibili giri al nero. Con una facile manovra avvolgente, di
cui non vi rivelo altro, l’anello è salvo. Ma c’è un sottoprodotto alla rapina:
il ladro-truffatore si lascia sfuggire un accenno ad un detenuto morto in
carcere che aveva detto qualcosa sugli avvenimenti degli anni caldi. Perché i
primi due morti, ora rispettabili cittadini, anche carichi di soldi e di affari
vicino ai potenti della finanza e della politica, avevano partecipato ai vari
moti studenteschi degli anni di piombo. Per poi allontanarsene improvvisamene
ed immotivatamente. Ecco che i fili di Robecchi si avvicinano e si
ingarbugliano: tutti i morti hanno un sasso in comune. Tuttavia, quello della
pistola moderna all’epoca delle BR e simili aveva 12 anni, quindi sembra una
variabile strana. Altro filo unificante è, non a caso, il programma spazzatura
ideato da Carlo e dal quale, sin dal primo romanzo, cerca di allontanarsi.
Intanto la mitica Flora, la conduttrice dalla lacrima facile, convince Carlo a
coinvolgere i parenti dei morti in varie puntate televisive. Solo la moglie
altera e nobile dell’ultimo morto, dal nome aulico di Isabella De Nardi Contini
si rifiuta ostinatamente, e Carlo riesce solo ad instaurare un bel rapporto di
probabile amicizia con lei. Sono spiriti quasi affini, anche se Isabella è
troppo presa dai suoi Nietzsche ed altri filosofi, mentre Carlo continua
pervicacemente con il suo Bob Dylan. Visto che non ci facciamo mancare nulla,
seguiamo in sottofondo le vicissitudini di tal Francesco, che capiamo abbia
qualche legame con la vicenda. Ma che soprattutto serve a Robecchi per parlarci
di case occupate (e non da Casa Pound ma da collettivi studenteschi), di
piccoli giri di cannabis, di gestione delle case da parte della mafia
calabrese, delle lotte possibili e future tra la stessa mafia ed immigrati
islamici di profilo poco chiaro. Il tutto in un super condominio fatiscente, di
cui seguiamo alcune vicende umane toccanti. Dove Ghezzi darà prova ancora una
volta delle sue doti di mascheramenti e pedinamenti. Alla fine, saranno Ghezzi
e Carella, con la spinta delle soffiate di Carlo, a trovare il bandolo finale
della vicenda dei sassi, che non servivano per dire “mettiamoci una pietra
sopra”, ma “ricordiamoci di quando si spaccavano le vetrine”. Ma come dice il
titolo, più che torto marcio, che nessuno ha veramente sbagliato molto, sarà
una vicenda marcia, dove l’amaro in bocca rimarrà e non poco. Per le vicende
degli anni studenteschi (anche mie, anche nostre) che non ho mai digerito. Per
gli indigenti che non hanno casa. Per chi non avrà mai giustizia, e per chi la
giustizia non toccherà mai. Anche Ghezzi sarà travolto da questi torti, e
speriamo che se ne risollevi. Io, ne approfitto solo per una piccola chicca, su
tutta la parte del ricettatore, avido di soldi, ma alla fine disponibile anche
a compromessi onorevoli. Un cammeo dell’orefice, signor Venanzi.
Alessandro Robecchi “Follia maggiore”
Sellerio euro 15
[A: 26/03/2018 – I: 13/12/2019 – T: 15/12/2019]
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e ¾
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 390; anno:
2018]
Come
spesso accade nei romanzi seriali, ad un certo punto la trama comincia a
traballare un poco. Come se venissero meno gli spunti fondanti della serie
stessa, e non si trovasse ancora nuovi ed altrettanto coinvolgenti momenti
espressivi. Succede così anche in questo quinto capitolo delle avventure di
Carlo Monterossi e soci. Cade abbastanza il lato “televisione di merda”, che il
nostro si allontana da Flora De Pisis & co, anche se rimane la presenza di
Bianca, che sembra aver un suo possibile posto nelle storie, nella televisione
ed anche nel letto di Carlo. Aumenta leggermente il lato giallo, visto che c’è
una persona che muore, e che i nostri poliziotti Ghezzi e Carella sono sul
pezzo, con ampia voglia di riuscire anche se con risultati non sempre
all’altezza. C’è invece tutta una storia trasversale, legata a Monterossi ed al
suo amico e sodale Oscar, che ovviamente (altrimenti come si reggerebbe tutto
il romanzo) si collega alla precedente. Tuttavia, il collegamento è talmente
casuale che non solo risulta improbabile in un mondo reale, ma che si vede
essere inserito a forza. Anche se, e Robecchi non è certo l’ultimo arrivato
nella scrittura, pian piano l’intreccio si fa più consistente, almeno
nell’interesse delle storie che vengono da lontano. Ma facciamo un piccolo
punto o riassunto. Per chi non mi avesse seguito sin qui, ricordo che le storie
di Robecchi partono dalle avventure tra ironia, sarcasmo e polizia di Carlo
Monterossi, star di programmi televisivi, che però vuole (e riesce ad)
abbandonare. Monterossi è anche un discreto melomane, in particolare devoto
anima e core a Bob Dylan (e le citazioni delle canzoni del Nobel, sono sempre
calzanti). Carlo è legato al suo strano amico Oscar, uno che riesce a sapere
molte cose attraverso suoi canali che noi (ancora) non conosciamo. Il circo
“Monterossi” era stato allietato all’inizio dalla presenza di Ghezzi, un
Catarella intelligente. Purtroppo, il poliziotto Ghezzi, a contatto con la
realtà, ed entrando sempre più verso il centro della scena, perde la sua
giocosità, ed acquista profondità e cupezza. Sembra quasi la parabola del PD!
Nelle ultime puntate, quasi a farne da contraltare, entra l’altro commissario
(pardon vicequestore) Carella, molto più sul pezzo, tanto che lavora solo senza
una sua vita privata. Robecchi, da buona vecchia firma di “Cuore” aveva anche
iniziato con molta ironia, che però si è andata perdendo, ed ora ci sono anche
momenti ilari, ma con un’andatura poco allegra. L’ossatura del romanzo si
impernia sulla figura di Umberto, facoltoso ed anche più anziano. All’inizio,
Carlo e Oscar lo ricercano su indicazione del figlio, ma Umberto non era
scomparso, solo che “carico d’anni” aveva deciso di fare cose che non aveva
fatto in una vita tuta dedita all’accumulo di denaro (e tanto). Ritrovatolo, si
trovano coinvolti nella seconda fase. Una signora cinquantenne, Giulia, muore
durante (sembra) uno scippo. Morte su cui indagano Ghezzi e Carella. Ma Giulia
era stata, circa venticinque anni prima, un grande amore di Umberto. Questo
l’improbabile legame tra le due coppie al lavoro. Tutta una parte del romanzo
viene dedicata da Robecchi al racconto del modo disinibito e libero da
condizionamenti, ma realmente profondo, di rapportarsi tra Umberto e Giulia. Un
amore che non poteva avere sbocchi (per una serie di ragioni che non stiamo qui
ad indagare, se no che vi andate a leggere?). Quindi ci si lascia, ma Umberto
avrà sempre Giulia nel cuore. Tanto che una delle follie del libro (la
maggiore?) è quel vangare e rivangare sui rimpianti, sul non averne, sui
rimorsi e sulla differenza tra le due entità. Quindi Carlo e Oscar, per
Umberto, approfondiscono cosa sia stata per questi venticinque anni, la vita di
Giulia, con la nascita anche della bella Sofia, ora promettente soprano (questa
è la parte “in maggiore” come un buon andante rossiniano). Tralascio
volutamente di addentrarmi nelle trame parallele di Umberto e Giulia, di
Umberto che fa da Pigmalione a Sofia, ed anche di casa Ghezzi, o di Bianca e
Carla, o di Katrina e la Madonna di Medjugorje. È chiaro fin da subito che
Umberto è incazzato nero della morte di Giulia, e farà di tutto per risolvere,
a suo modo, la faccenda. Vedremo solo che sarà Oscar a trovare il bandolo di
una matassa che collega mafiosetti, protezioni di negozi, usura, poliziotti
corrotti ed altre amenità “fuori legge”. Sarà sempre Oscar a fornire a Ghezzi i
contorni di un puzzle che il nostro poliziotto porterà a compimento. Anche se…
Vedremo in futuro, se e come evolverà questo rapporto tra Oscar e Ghezzi, che
il poliziotto è ben stufo dell’andamento politico e poco risolutivo della
burocrazia statale. Vedremo in qualche prossimo romanzo se Carlo e Bianca
avranno un seguito. Per ora segnaliamo la sempre gradevole presenza di una
Milano non scontato, la scorrevole prosa di Robecchi ed il piacere, comunque,
di averne letto, di leggerne e di poterne continuare ad usufruire in futuro.
Alessandro Robecchi “I tempi nuovi”
Sellerio euro 15 (in realtà, scontato a 10 euro)
[A: 25/03/2019 – I: 21/12/2019 – T:
23/12/2019] &&&
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[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 428; anno:
2019]
Ed
eccoci al sesto titolo della saga di Carlo Monterossi e della Milano di
Alessandro Robecchi. Come tutti i serial, un po’ si ripete, e cala di
intensità. Come tutti i serial ben riusciti, l’autore riesce trovare qualche
nuova buona idea per non rimanere nel solco del già detto e già visto. Certo,
cambia poco il nostro protagonista, sempre con una indovinata citazione di Bob
Dylan, che dovrebbe aver scritto di tutto, quasi una Bibbia in musica, perché
si trova sempre un giusto riferimento a quanto accade (o forse è il
contrario?). Carlo continua a non essere soddisfatto della sua creatura, quel
“Crazy Love” dedito a punte di ascolto fenomenali in quanto esempio di punta di
tv spazzatura. Continua a cercare di uscirne, tutte le colte ritirato dentro
dal suo agente, da circostanze esterne ineluttabili, ed anche dalla bella
Bianca, con la quale sembra poter instaurare un rapporto un filo più serio
delle “scopate e via” delle precedenti puntate. Vedremo se Carlo e Alessandro
avranno il coraggio di far seguire questo filone le sue scie naturali. Così
come hanno fatto con gli altri personaggi. Il poliziotto Ghezzi, benché saturo
di burocrazia, decide comunque di rimanere in polizia, continuando a lavorare
con il tenebroso Carella. Ma favorendo l’uscita dalla polizia di Agatina
Cirielli, delusa dalla lentezza amministrativa, e convolante in una bella
impresa di un’agenzia investigativa con il mai troppo chiaro amico di Carlo,
Oscar. In questo quadro generale, con tutte le teste di lungo corso al loro
posto (senza dimenticare l’ombra angelica di custode della casa della bella
Katrina, né l’irruzione sulla scena di Rosa, la moglie di Ghezzi), comincia a
svilupparsi una nuova avventura. Che, come sovente nella scrittura di Robecchi,
parte su binari paralleli, destinati tuttavia ad incontrarsi ben presto. Da una
parte c’è un bravo ragazzo, Filippo, tutto casa – fidanzata – università,
qualche lavoretto per arrotondare le entrate e magari finanziare un viaggetto
con gli amici, trovato morto nella sua auto, le mani legate al volante, un foro
sulla tempia, i pantaloni abbassati come a valle di un rapporto clandestino.
Una morte incomprensibile, che fa sbattere la testa al muro ai nostri Ghezzi
& Carella. Dall’altra l’irruzione in scena di Gloria Grechi, impiegata
anonima, ma donna affascinante, che si rivolge a Oscar e Agatina per ritrovare
il marito scomparso, offrendo ricompense che sembrano (e sono) assolutamente al
di fuori delle normali entrate di una coppia normale. A parte le storie
collaterali, ma su una torneremo, che sono il sale della scrittura di Robecchi,
il centro di queste due storie si unifica ben presto. Scopriamo l’esistenza di
una banca della mafia, dedita alla ripulitura di denaro sporco. Una
organizzazione ben congeniata raccoglie gli incassi in nero di commercianti,
spacciatori, gestori di case da gioco e di agenzie di scommesse clandestine, li
fa recapitare da ignari fattorini, dietro compensi superiori alla media, in una
serie di basi logistiche. In cambio di una congrua percentuale, riporta ai
fornitori del denaro sporco, una serie di transazioni legali, così che ognuno
ha la sua parte di convenienza, di certo fuori dai canali legali. Qual è allora
il legame? Filippo era uno degli ignari corrieri che per motivi che scoprirete
leggendo finisce deragliando dalla strada maestra. Gloria ed il marito, dopo
aver scoperto il trucco del denaro riciclato, stavano cercando di rubare ai
ladri, quando il marito, non sappiamo ancora per quale motivo, scompare.
Quindi, gli sforzi degli investigatori pubblici e di quelli privati
convergeranno, per trovare il modo di risolvere tutti i misteri. Robecchi ci
serva qualche bel colpo a sorpresa nel finale, che risolleva un po’ tutto
l’andamento. Non vi dico i colpi, né vi dico di Carlo e Bianca. Questo lo
leggete. Quello che accenno è uno dei filoni interni. Una nipote di Ghezzi
viene bullizzata da un compagno di scuola per alcune foto leggermente osé. Compagno
ovviamente figlio di un illustre professore, che scrive sul “Corriere” ed altre
amenità di rango. Carlo ha l’opportunità, con l’aiuto di Rosa, di smascherare
il bullo ed il professore sepolcro imbiancato. All’interno della trasmissione
che pur tuttavia non ama. Ma riuscirà a sfondare le porte di una televisione
blindata, più vicina a Bruno Vespa che a Fabio Fazio? Riusciranno i nostri a
portare alla luce questi “tempi nuovi” di cui tanto si parla, anche nel titolo?
Vi lascio all’amena lettura di Robecchi, sperando tuttavia che ritorni anche
alle battute sagaci di cui ci ha abituato nei copioni da lui scritti per
Crozza. Qui si sta scivolando un po’. Aspettiamo fiduciosi.
Terza
domenica d’aprile, quindi vi sorbite una bella cura di felicità con uno dei più
lunghi rimedi seriali (e non pandemici).
Purtroppo,
anche Lucho ci ha lasciato, in questi mesi in cui, ed è ovvio, siamo molto
attenti a chi non c’è più vicino per lottare. Ci sono anche lutti più privati,
ma quelli li conosciamo e li teniamo per noi, modestamente. Pasqua è passata, e
noi ci avviamo verso un 25 aprile anch’esso di mestizia. Speriamo di vedere una
luce in fondo, in fondo, che ci permetta di illuminare i miei abbracci a tutti
voi e il mio grandissimo affetto
I LIBRI CHE CI AIUTANO A VIVERE FELICI di Giulia Fiore Coltellacci con i commenti di
Giovanni
APRILE 2020
E dopo svariati mesi di cure “rapide”, passiamo a cose più
massicce, a delle cure intensive, indicate anche in questi mesi di scarsa
mobilità.
CURE
INTENSIVE 1
Ci sono situazioni in cui un approccio terapeutico tradizionale si rivela insufficiente e si richiede un intervento più prolungato e massiccio, cure intensive da ripetere a cicli.
IL TRONO DI SPADE di GEORGE R. R.
MARTIN (1996-2011 per ora)
Cicli di cure: in fieri. Nonostante il titolo sarebbe
Cronache del ghiaccio e del fuoco, la saga è ormai comunemente nota come Il
trono di spade. A seconda dell’edizione (deluxe o economica) potete trovare i
vari episodi raggruppati in un unico volume oppure divisi in più libri per una
cura diluita e più leggera. Attenzione a non fare confusione con i titoli, la
prescrizione resta la stessa così come l’azione del farmaco.
Principio attivo: fantasy.
Eccipienti: potere, guerra, sangue, sesso, vendetta,
tradimento.
Composizione
Per ragioni di spazio, tempo e complessità è quasi
impossibile raccontare la trama dell’opera monumentale di George R. R. Martin.
Ci viene in aiuto il titolo del primo romanzo, Games of Thrones, in originale,
e Il trono di spade nella versione italiana: si tratta di un gioco di
ingarbugliate lotte di potere per sedere sul Trono di Spade. Questa saga
s’inserisce di diritto nella tradizione della migliore letteratura fantasy di
cui, però, ha sovvertito alcune regole con riusciti azzardi che gli hanno
permesso di conquistare, anzi di sottomettere, un pubblico più ampio rispetto
ai soli cultori del genere. Non mancano gli elementi tipici del fantasy, come
le creature fantastiche e le atmosfere da Medioevo immaginario, ma sono
inseriti in un contesto molto realistico dove la cruda descrizione di un
circolo vizioso fatto di vittime, vendette, odio, alleanze, tradimenti, guerra,
sangue, battaglie e sesso trasforma la saga in una sorta di epopea storica per la
conquista del potere, che è tutto fuorché un’invenzione della fantasia. Al
gioco del trono o si vince o si muore: la lotta per la poltrona è sempre stata
all’ultimo sangue e sempre lo sarà. Cambiano le epoche e le modalità della
partita, ma la battaglia per non cedere la poltrona nella stanza dei bottoni
non cambia mai. A rendere originale la saga è anche la scelta dell’autore di
non eccedere nella meticolosa descrizione dei luoghi o delle situazioni,
indugiando in lunghe digressioni il cui effetto collaterale sarebbe la
produzione di abbondanti quantità di latte dalle ginocchia e la sua conseguente
trasformazione in mozzarelle fresche, che è tra le prime cause di libri
abbandonati a metà nonché fonte di dolori alle suddette ginocchia, per non
parlare di qualche cos’altro che si rompe irrimediabilmente. Con Il trono di
spade questo non succede, perché la concentrazione dell’autore si focalizza
soprattutto sui personaggi, che, realistici in modo fantastico, sono l’altro
grande punto di forza. Bandita la tradizionale distinzione tra buoni e cattivi,
hanno tutti le loro zone d’ombra, le loro debolezze e le loro colpe. Nessuno è
buono in assoluto e tutti sono drammaticamente umani. Ma George R. R. Martin
osa ancora di più. Per avviluppare senza scampo in una trama crudele e sensuale
di amori, incesti, mutilazioni, vendette, tradimenti, lotte, massacri e sangue,
sangue, sangue, ha scelto di affidare ogni capitolo al punto di vista di un
personaggio, una tecnica narrativa dinamica che permette al lettore di vedere
le cose da differenti angolazioni, calandosi nei panni di tutti i protagonisti,
anche di quelli negativi, seguendone il filo dei pensieri e sviluppando
empatia. Ma attenzione a non simpatizzare troppo né ad affezionarsi
eccessivamente perché, e questa è l’altra novità, l’autore è spietato e non ci pensa
due volte a sacrificare un personaggio ai fini della storia. Non si fa scrupoli
a spezzare il cuore del lettore, lasciandolo orfano e pieno di dolore. George
R. R. Martin è perfido. O coraggioso, proprio come i suoi protagonisti. E per
quanto sia cattivo e perverso, il lettore non può che continuare a pendere
dalla sua penna in attesa di nuovi episodi.
Posologia
Visto l’argomento, la prima ragione per un ciclo di
cure a base de Il trono di spade è per contrastare i sintomi di claustrofobia
da realtà e conseguente bisogno di evasione. Mi sento, però, di prescrivere
questa fantasy-terapia intensiva soprattutto per la sua efficacia nel
soddisfare un’altra necessità troppo spesso sottovalutata: il bisogno di essere
sorpresi. Non mi riferisco solo alla sorpresa provocata dai continui colpi di
scena che movimentano la trama tenendo sempre la noia a distanza di sicurezza,
ma soprattutto alla sorpresa intesa come possibilità di essere sbalorditi nello
scoprirsi incantati da una lettura che mai si sarebbe creduto potesse piacere.
Ovviamente non mi rivolgo agli amanti del genere, che avranno già divorato
tutta la saga probabilmente anche più di una volta, ma ai detrattori delle
storie di fantasia, agli allergici cronici al fantasy e agli intolleranti
nauseati dai fenomeni letterari di successo. In caso foste tra questi, vi
consiglio di fare un test provando a leggere il primo romanzo. Chiunque si sia
mai sottoposto alle prove allergiche sa bene che raramente si arriva a capire
la vera causa scatenante le allergie, che come vengono, così se ne vanno via
inspiegabilmente. Così voi, leggendo Il trono di spade, potreste scoprire che
quello per il fantasy è un rifiuto psicosomatico e quindi facilmente
superabile. Sono quasi certa che questi romanzi saranno una sorpresa e, dato
che ormai non ci si meraviglia quasi più di niente, scoprire di poter essere
stupiti da un libro e da sé stessi è fantastico oltre che un sintomo di buona
salute.
Effetti collaterali
Fate attenzione perché Il trono di spade è un virus
potente il cui contagio è rapido e immediato. Possono bastare poche pagine per
venire risucchiati nel vortice della trama. Il primo sintomo di contagio è
stato individuato nella tentazione di voler scomparire dalla faccia della terra
per tutta la durata della lettura (piuttosto lunga), staccando telefoni,
spegnendo computer, interrompendo ogni forma di comunicazione con il mondo
esterno, arrivando a fingersi malati per evitare impegni e appuntamenti che
distrarrebbero dai libri.
Vera e propria pandemia a livello mondiale, la saga è
diventata un’esperienza collettiva, un fenomeno sociale oltre che culturale (e
virale), accendendo dibattiti e stimolando discussioni, senza contare tutto il
merchandising. Il secondo sintomo del contagio potrebbe essere la brama di
condividere la vostra nuova passione-ossessione, possibilmente contagiando chi
ne è ancora immune. Nei casi più gravi potrebbe seguire l’ingresso in un mondo
extra-metaletterario, fatto di giochi di ruolo, convention a tema e
travestimenti vari. Se da allergici-scettici che eravate all’inizio, vi
ritrovate mascherati da Tyrion o Arya a un raduno di fan, sappiate che siete
guariti e malati nello stesso tempo: sorprendente!
Terapia televisiva sostitutiva
La fortuna serie televisiva è da intendersi come
parte integrante della cura, un episodio a settimana se riuscite a sopportare
la suspense, o tutta di fila se rischiate di essere divorati dalla tensione e
dalla curiosità. I punti forti della serie sono gli stessi della saga (d’altra
parte l’autore è anche uno sceneggiatore e nei romanzi combina perfettamente la
tecnica cinematografica con quella narrativa): i personaggi (eccellente la
scelta degli attori), le atmosfere, i continui colpi di scena, i finali che
lasciano con il fiato sospeso e le scene cruente di sesso e violenza
contraddistinguono un racconto duro e appassionante.Avvertenza: può dare dipendenza, e proprio come i
romanzi, può causare la voglia, difficile da gestire, di commentare e
analizzare ogni singolo episodio nei minimi dettagli. E questo potrebbe compromettere
il normale svolgimento delle vostre attività.
Ho trovato gradevole il primo (ed unico) libro che ho letto.
Ma ancor di più la serie televisive che, grazie a mio fratello, ho potuto
vedere integralmente. Sino all’ultima puntata che parla di avvenimenti che l’autore
ancora non ha descritto in uno dei suoi libri delle cronache di fuoco e di ghiaccio.
George R.R. Martin
“Il trono di Spade” Mondadori euro 12
[pubblicato il 27 gennaio 2019]
Ci
sono voluti più di 20 anni per arrivare a leggere in maniera critica ed
analitica il primo libro de “Il Gioco dei Troni”, così come appunto nel 1996
l’immaginifico George Raymond Richard Martin decideva di chiamare l’inizio di
una delle saghe più lette, più viste e più amate. Purtroppo, oltre a scontrarci
con i titoli italiani (ma ormai “Il trono di spade” è diventato un marchio), ci
si imbatte anche nella pervicacia delle edizioni, dove i cinque romanzi di
Martin dedicati alle “Cronache del ghiaccio e del fuoco” vengono spezzettati in
circa una dozzina di volumi. Per cui questo, in realtà, è metà del primo libro
della serie, dove appunto “A Game of Thrones” viene diviso in questo e nel
successivo “Il grande inverno”. Comunque, dopo averne letto qualcosa quando
fantasy e fantascienza erano più presenti nel mio orizzonte letterario, e dopo
averne parlato con gli appassionati, e dopo aver visto almeno la Croazia e la
Scozia, due dei luoghi must dove è stata girata la serie TV (manca la Nuova
Zelanda, un po’ lontana forse), non potevo esimermi di includere anche questo
esempio, ormai classico, di letteratura. Sicuramente la scrittura è di buon
livello (anche se qualcuno si è lamentato delle traduzioni mondadoriane non
sempre accurate), ed accompagna una saga che ha il sapore di un classico, pur
essendo farcita di elementi nuovi ed interessanti. Martin ambienta la sua
epopea in un mondo altro, forse futuro, ma di sicuro regredito ad un Medioevo
europeo di stampo classico. Tornei di cavalieri, strutture feudali ed altro ne
sono un chiaro esempio. Su questo si innestano tre elementi “diversi”: il lato
fantasy, rappresentato da animali fantastici (i meta-lupi), uova di drago
dormienti per millenni, e zombie (o simili creature) che vengono a minare i
fragili equilibri del mondo conosciuto; il lato “guerresco”, con una struttura
che sembra ricalcare la Guerra dei Cento Anni di britannica memoria, con
alleanze, tradimenti ed altre tipologie ben presenti in Europa negli anni bui;
il lato “osé”, che c’è sesso, normale e straordinario, etero ed omo, incestuoso
perfino, tanto per solleticare il lettore di quando in quando a non distrarsi
dalle vicende. Che sono poi vicende corali, che si svolgono in un mondo diviso
tra due grandi continenti: Westeros (riportato in italiano come “Il grande
Nord”), luogo freddo e dove è difficile vivere, dove arrivano stagioni senza
cadenze e durate predeterminate, diviso in Sette Regni, che rispondono ad un
unico re, ed Essos (“Il libero Sud”), dove scorrazzano popoli nomadi e sorgono
e prosperano città libere. Tra l’altro, all’estremo Nord c’è una Barriera, un
gigantesco muro di ghiaccio, mutuato dal Vallo d’Adriano in Inghilterra,
controllato dalla confraternita dei Guardiani della Notte, per tener fuori dal
mondo civile i Bruti e gli Esterni. Non ho molta intenzione di addentrarmi nei
meandri del primo volume, che, pur tipicizzanti, andrebbero corredati da tutti
i restanti altri undici tomi italici, cosa che per il momento non è nelle mie
intenzioni. Per chi si incuriosisce, vorrei invece delineare quanto succede prima
dell’inizio della saga. Infatti, quindici anni prima del primo romanzo, i Sette
Regni sono sconvolti da una prima Guerra Civile. Il figlio del Re Folle, Aerys
II Targaryen, Rhaegar, rapisce Lyanna Stark, a scopi sessualmente
comprensibili, suscitando, com’è ovvio, le ire del promesso sposo di Lyanna,
Robert Baratheon. Ma quando la famiglia Stark ne chiede la liberazione, il Re
Folle uccide i capi della famiglia. Eddard Stark, capo del più grande regno del
Nord, “Grande Inverno”, si unisce a Robert e Jon Arryn, dichiarando guerra ai
Targaryen. Nel gioco delle alleanze, Eddard e Jon sposano le sorelle Tully,
Catelyn e Lysa, rinsaldando i legami tra loro. Il culmine della contesa si avrà
nella famosa “Battaglia del tridente”, dove Robert uccide Rhaegar (che aveva
già fatto fuori Lyanna), e Jaime Lannister, di una casata un tempo fedele ai
Targaryen, li tradisce, uccide a tradimento il Re Folle, concedendo a Robert di
farsi nominare Re dei Sette Regni, suggellando l’accordo tra le famiglie con il
matrimonio tra lo stesso Robert e Cersei Lannister, la sorella gemella di
Jaime. Pur essendo sconfitti, i due ultimi Targaryen, il giovane Viserys e la
neonata Daenerys si salvano fuggendo al di là del Mare Stretto, verso i regni
del Sud. Avete già capito quanto e come si possa sviluppare la trama. L’ultima
invenzione di Martin, molto efficace dal punto di vista narrativo, è permettere
ad ogni personaggio di narrare in prima persona una sequenza di avvenimenti,
così che ogni capito è esposto dal Punto di Vista di uno di questi. In questo
inizio, ne parlano Eddard Stark e la moglie Catelyn Tully, il primo perché il
re Robert lo vuole come suo secondo, essendo improvvisamente morto il terzo
sodale, Jon Arryn, la seconda perché cerca di capire chi ha attentato la vita
del suo secondogenito, Bran. Poi abbiamo tre dei figli Stark: Bran, dalla cui
voce capiamo come siano stati Jaime e Cersei a cercare di ucciderlo, avendone
lui scoperto le tresche amorose, Sansa, la quattordicenne figlia maggiore degli
Stark, promessa sposa al figlio di Robert, e Arya, la minore degli Stark,
dodicenne irrequieta, più dedita a cercare di imparare la scherma che a giocare
alle bambole. C’è poi Jon Snow, il figlio bastardo di Eddard, di cui non si
consce la madre, e che entra, per sfuggire alle ire della famiglia, nei
Guardiani della Notte. Altre due voci sono poi importanti: Daenerys, ormai
anche lei quindicenne, che va in sposa con il re dei Dothraki, Drogo, cercando
di portarlo sul sentiero di guerra contro i Sette Regni, e Tyrion Lannister, il
cadetto della famiglia, chiamato il Folletto (in inglese “Imp” che propriamente
sarebbe “Diavoletto”), per le capacità verbali, le intemperie sessuali, nonché
il fatto che è affatto da nanismo (inoltre ha gli occhi di due colori
diversi!). Non so esattamente come si è andata sviluppando l’intera saga, ma da
questo primo assaggio, direi che quattro sono i personaggi che più mi vengono
in mente ed in simpatia: Bran e Arya Stark, Jon Snow e Tyrion il Folletto.
Concludo ribadendo la poca voglia, attuale, di seguirne le vicende letterarie,
ma l’idea, quando se ne ha tempo, di vederne i vecchi episodi della Serie TV
(di cui ho visto il primo che ritengo in ogni caso ben fatto).
“Le storie … non sono mie. … Le storie
esistono prima di me e dopo di me.” (252)
Finalino
Non so a cosa possa servire, ma sicuramente seguire le otto
stagioni del Trono può essere utile a passare del tempo. Inoltre, a posteriori,
come dice la chiusa della trama, avevo visto bene su chi puntare dei miei
affetti.
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