domenica 5 aprile 2020

Le B di De Giovanni - 05 aprile 2020


Maurizio De Giovanni “Il purgatorio dell’angelo – Confessioni per il commissario Ricciardi” Einaudi s.p. (Natalino di Otto&Silvio)
[A: 25/12/2018 – I: 23/05/2019 – T: 25/05/2019] - &&& -
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 314; anno 2017]
Eccoci al penultimo libro della serie da me tanto amato, quella che mi fece conoscere De Giovanni, ai tempi, antichi assai, che uscirono le sue prime prove per Fandango. Ora lo scrittore scrive e tanto e tante storie, ma io sempre al mio commissario Luigi Alfredo Ricciardi, barone di Malomonte, sono legato. Ritengo infatti le idee che fecero nascere tutta la serie di una sopraffina intelligenza letteraria. Ora, come ogni buon scrittore sa, ci sono due strade davanti: portare sempre e comunque nuovi sassolini alla vicenda di Ricciardi (cosa che tutti, più o meno, i grandi scrittori gialli hanno fatto) o trovare il modo di far terminare la serie, senza tuttavia scontentare il lettore. De Giovanni ha confessato che il prossimo sarà l’ultimo episodio, e vedremo. Per ora, prima di quello che spero sia il paradiso e non l’inferno, siamo al purgatorio. In un romanzo che contiene le premesse già tutte nel titolo: purgatorio, angelo e confessioni. Le prime due parole sono legate alla vicenda principale, la morte violenta di Don Angelo, che ha attraversato tutta la sua vita in attesa di una redenzione che mai non ha avuto. Perché, come si scopre ad un certo punto, lui ed il suo amico Mario, da ragazzi, avevano fatto uno scherzo ad un professore a loro odioso con del tartaro emetico, una sostanza di facile reperibilità, che induce vomito. Peccato che, per una serie di circostanze fortuite, il professore ne morì. Angelo, sconvolto, decise di farsi prete per espiare il suo peccato. Adoperandosi verso i bisognosi, ascoltando ed aiutando i nobili napoletani, usando le sue arti e la sua intelligenza per aiutare i giovani allo studio. Mario, divenuto commerciante, mena anche lui una vita proba, ma entrambi non confessano (eccolo il terzo termine dell’equazione) a nessuno i loro peccati. Qualcuno, e non vi dico né chi né come, alla fine, capirà tutta la trama, e dovrà ascoltarne le confessioni. Ma ascoltare non è assolvere, che per quello ci vuole una dose infinita di carità cristiana. Tuttavia, parlando, girando e scavando Ricciardi con il fido Maione arriverà allo svelamento della trama, ed alla comprensione della frase di Don Angelo in punto di morte. Che, ricordo per i non adusi ai libri di De Giovanni, questo è il purgatorio di Ricciardi: arrivare nei pressi dei morti di morte violenta e sentirne le ultime parole. In questo caso, e qui termina questa parte, era: “Io confesso, ti confesso…”. Ma altri purgatori ed altre confessioni, anche senza angeli, attraversano lo scritto. Nella storia parallela alla principale (c’è sempre una sotto storia nei romanzi del nostro) vediamo il brigadiere Maione alle prese con una banda che mette a segno colpi in gioiellerie ed affini, senza mai essere presa. Maione si prodiga, aiutata dal giovane appuntato da poco entrato in commissariato. Tuttavia, nulla viene scoperto, anzi le rapine diventa a volte più audaci. Maione da un lato è sconcertato, dall’altro sviluppa verso l’appuntato un affetto che non ricordava più dai tempi del figlio Luca. Ricordo ai più che appunto il figlio era entrato anche lui in polizia e morto di morte violenta prima del primo libro della serie. Ricciardi, usando le sue capacità di “sentire i morti”, aveva poi aiutato Maione a ricostruire i fatti, facendo comprendere a Maione la bravura e l’altruismo del figlio. Ma una morte rimane sempre una mancanza, ed in tutto questo tempo Maione, pur provando, non era riuscito a percorrere sino in fondo il purgatorio della perdita. Ora, quando risolverà, ed in maniera inaspettata, il problema delle rapine, riuscirà ad elaborare questo lutto. Capendo anche, ed elaborando insieme a lei, anche il dolore presente e mai espresso, della moglie. A volte ci vuole un secondo lutto per recuperare tutto il precedente. Notiamo anche una terza storia, questa non “gialla”, ma di irrobustimento del personaggio, attraverso le vicende di Nelide, la nipote della tata di Ricciardi morta qualche libro fa. Nelide comincia a navigare con le proprie gambe, e sono degne di nota le sue uscite, con il commissario, con Enrica, con la gente del mercato. Un personaggio nato in sordina, ma che sta uscendo a testa alta. L’ultima confessione, la più difficile, sarà quella di Ricciardi con Enrica. Finalmente ora che siamo al quattordicesimo episodio, Ricciardi è riuscito a chiedere ad Enrica di uscire con lei, a confessare il suo amore, nato fin dal primo libro. Quello che dovrà confessare il nostro commissario per uscire anche lui dal suo purgatorio, è il suo problema con i morti. Quelle voci che lui, nel suo conscio solitario, pensano siano segni di una pazzia latente. Questo lo ha sempre bloccato: essere convinto di essere pazzo e non voler coinvolgere altri nella sua malattia. Riuscirà Ricciardi nella sua confessione? Vedremo finalmente sbocciare l’amore senza se e senza ma come io mi aspetto da ben 13 anni? Letto il libro, ne saprete qualcosa certamente. Io aspetto l’ultimo volume per vederne e capirne. Per ora, mi ripeto, questo è un libro che risale un po’ la china degli ultimi scritti ricciardiani, che si erano andati involvendo ed intorcinandosi attorno a scrittura lente, lunghe ed a volte poco utili alla trama stessa. Ora che vede il traguardo, penso che De Giovanni si senta liberato, e possa portare tutto al proprio compimento. Speriamo sia nella direzione che vorrei (ma allora perché non te le scrivi tu le storie?).
Maurizio De Giovanni “Vuoto per i bastardi di Pizzofalcone” Einaudi s.p. (Natale della sig. Laura)
[A: 25/12/2018 – I: 19/07/2019 – T: 22/07/2019] - &&+  
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 344; anno 2018]
Devo dire che, pur nella più completa leggibilità, i Bastardi di De Giovanni vanno su e giù per le scale del mio gradimento. Tra l’altro, questo è il libro che ha scatenato l’escalation di lettura. Perché, balzato improvvisamente sul desco dei libri da leggere, ha dovuto lasciare il passo ai fratelli, che, io maniaco, nei confronti dei seriali, li leggono in ordine cronologico di storia, anche se venissero pubblicati in modo strampalato. Quindi, graditissimo regalo natalizio, questo “Vuoto” ha dovuto aspettare di essere riempito dalle puntate precedenti. Peccato però, che, venuto il suo turno, si sia mostrato più vuoto che pieno (battutaccia…). La storia principale (come ricordo sempre sia presente nei romanzi seriali) ha un qualche elemento di interesse, che intriga abbastanza la sparizione della professoressa Chiara. Anche perché si intreccia ben presto con le attività losche del marito Marcello. Noi (e con noi il grande Serpico) sospettiamo fin dall’inizio che sia una storia di corna, ma, andando avanti, si palesa qualcosa di più. Che strani sono i rapporti di Chiara con lo scrittore Davide, intelligentissimo, brillantissimo, ma anche malato di SAF (sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi, una malattia autoimmune che porta spesso a trombosi). E strani sono quelli con il (quasi) malavitoso Gerardo, suo ex-allievo, che la frequenta spesso, e che, insieme ad altre circostanze concomitanti, porta i nostri Bastardi ad una delle soluzioni del problema. Gerardo mostra infatti quanto sia pelosa la carità della ditta Baffi. È vero che si regalano gratifiche natalizie ai bisognosi. Ma poi, Marcello e la sua insopportabile segretaria circuiscono i beneficiati, chiedendo loro di “vendere” figli under 15. Nominalmente per affidarli a strutture del Nord (istituti, famiglie affidatarie). Realmente per farli diventare oggetti di compravendite internazionali. Che è l’unico modo per il nostro bel tomo di risanare le casse aziendali, e potersi permettere la bella vita (una casa a Monte di Dio, il circolo nautico, la barchetta di 15 metri…). Sulla barca, poi, il nostro Marco, seguendo un ragionamento strampalato dei suoi, rinviene anche un foulard insanguinato. Allora abbiamo, Chiara preoccupata, ed inviante strani messaggi alla sua collega insegnante. Chiara che, con Davide, ha estratto le giuste informazioni sulla sua vita precedente. Chiara che affronta Marcello, forse ubriaca, forse no. I due che fanno un giro in barca, e dopo di che Chiara scompare. L’indagine dei Bastardi non potrà portare all’incriminazione di Baffi per omicidio (le prove sono troppo circostanziali per essere sostenibili in dibattimento, cioè la signora Chiara potrebbe, nonostante tutto, essersi allontanata volontariamente). Ma porterà all’incriminazione di Marcello per quelle vendite di minori per turpi fini. Incriminazione che lo porterà per lungo tempo in cella, magari buttando anche la chiave. Fortunatamente, noi lettori, a parte la giustizia, sapremo come sono andati i fatti (grazie alla sindrome di Van Dine che ogni tanto fa rinsavire gli scrittori un po’ fuori delle regole). Ma ovviamente, a noi “de giovanniani” della prima ora, interessa tutto il contorno delle vicende dei Bastardi. Che però, questa volta sono anch’esse sul lato “vuoto”. Con l’unica eccezione dell’inserimento di un nuovo elemento. Che Pisanelli ha avuto una crisi emorragica, salvato solo dal pronto intervento di Aragona. Viene così inserita dal commissariato di Torino, il vice Elsa Martini. Anche lei con problemi (ha sparato ad un pedofilo uccidendolo) e con un a figlia al seguito. In questo primo episodio che la vede co-protagonista, fa un po’ fatica ad adottare i metodi di squadra dei Bastardi, che come tutti sanno una squadra non è che si improvvisa su due piedi. Però, aiutata dalla simpatia della figlia Vittoria, dall’empatia di Ottavia, e mi sa mi sa, da qualche propensione del Cinese, sta già per trovare una sua collocazione. Senza molto sugo Alex, che dopo un furioso litigio fa di nuovo la pace con Rosaria. Ed altrettanto per Hulk, combattuto tra la piccola Giorgia, la moglie Giorgia e la dottoressa Susy verso cui sta nascendo qualcosa. Detto di Pisanelli, che sta in ospedale, e che vede allontanarsi per sempre la possibilità di arrestare il colpevole dei “suicidi”, rimangono Marco e Lojacono. E forse anche Laura. Quest’ultima è dilaniata dai sentimenti che prova per il Cinese (e che questi prova per lei), la voglia di indipendenza e l’assedio da parte di Buffardi, il PM mediatico che, seppur odioso, si sta innamorando di lei. Il Cinese deve tenere a bada la figlia Marinella, che, diciottenne, sta cercando una sua strada amorosa (ma non molto bella, per ora). E deve parare i colpi del passato siciliano che sembra pronto ad uscire sempre fuori. Infine, Marco, con la sua aria svagata ed “altra”, mostra qui molta umanità, pur nell’immaturità. Un forte senso di attaccamento al Presidente, ed un andamento “up and down” verso Irina. Mi sa che vedremo presto dei nuovi sviluppi. Intanto, anche qui segnalo il capitolo 44 a pagina 279 perché, se nell’intenzione dell’autore serve a spiegare il titolo ed i colori del vuoto, in realtà andrebbe soppresso per la sua inutilità. Spero che De Giovanni si convinca, o qualcuno lo convinca, che a volte le sue digressioni non sono particolarmente utili. Esercizi di stile, ma non a livello di Queneau.
Maurizio De Giovanni “Il pianto dell’alba – Ultima ombra per il commissario Ricciardi” Einaudi s.p. (Regalo de “I Floridi” - Mario, Ines e la signora Laura)
[A: 07/05/2019 – I: 01/02/2020 – T: 04/02/2020] - &&& ---
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 263; anno 2019]
Questo sembrerebbe (dovrebbe essere) l’ultimo capitolo delle storie del commissario Luigi Alfredo Ricciardi barone di Malomonte. Lo dice la pubblicità, lo dice l’autore. Ma il finale chiude ma non sigilla le storie. Vedremo, che non sono convintissimo. Intanto, De Giovanni è senza dubbio nel presentare una passerella finale, in una storia duplice, come spesso nelle ultime avventure di Ricciardi. La parte pubblica, poliziesca e la parte privata, romantica. Facendole anche intrecciare un po’, anche se la parte poliziesca non ha misteri da risolvere questa volta, ma dove solo bisogna fare attenzione a non fare passi falsi. Diceva passerella, come nelle commedie ben orchestrate, dove nel finale gli attori, chi più chi meno, fanno un salto sul palco a salutare l’incito pubblico. Anche nella parte poliziesca, dove il morto questa volta è il maggiore Von Brauchitsch, per un periodo corteggiatore della sua amata Enrica, ed ora accompagnantesi con Livia. La scena è costruita dai servizi segreti italiani, cercando da un lato di far cadere i sospetti su Livia, dall’altra per sbarazzarsi di un tedesco legato alle SA piuttosto che alle SS. Ricordiamo che siamo nel 1934, e per la precisione nel giugno di quell’anno, alla vigilia di quella che è nota come la “Notte dei lunghi coltelli”, dove le SS sterminarono i vertici delle SA. La scena però non dà i frutti sperati, che Ricciardi arriva sul luogo della messa in scena prima dei servizi segreti, e visto che non sente le ultime parole del morto capisce che non è stato ucciso lì. Da qui si dipana la parte poliziesca che appunto è scoperta, sappiamo chi ha fatto cosa, sappiamo che Livia ne è estranea, ma come tutte le trame complesse ci aspettiamo difficoltà, ritorsioni, momenti di difficoltà. L’abilità di Ricciardi è tuttavia di muoversi nelle pieghe del potere, senza mai pestare i piedi a nessuno, ma facendo capire che la sua inchiesta non ufficiale andrà avanti. Ed alla fine la trama sarà sventata, i servizi deviati messi a tacere, la bella Livia scagionata, ma scornata. Tanto che farà meglio a tornare in quel di Roma, lasciando libero l’orizzonte ai nostri buoni personaggi. Che sul fronte poliziesco si muovono all’unisono con Ricciardi: il brigadiere Maione, con le sue pedine nascoste, non ultimo il trans Bambinella (sempre uno dei personaggi minori meglio riusciti) ed il dottor Modo, che con i suoi agganci riesce a scoprire dove viene segregata Livia, fornendo altri elementi a Ricciardi per sventare il complotto. In parallelo, va avanti la scena privata, che Enrica ed il nostro commissario si sono sposati, lui confessandole il proprio segreto di “divinazione” sulle scene delle morti violente. Non solo, ma Enrica è incinta, e viene accudita da quella che è diventata una presenza silente ma importante nelle ultime puntate. Nelide, brutta ma di cervello fino, tanto che sospettiamo una sua tresca con il bel verduraio, e che riesce a farci fare un saluto anche alla vecchia tata Rosa. Morta, sì, ma capace di venire ancora in sogno alla nuova fantesca. Il cruccio privato di Ricciardi è se la nascita porti un maschio, che avrebbe la disgrazia del suo “dono”, o una femmina, che ne sarebbe esente. Come spesso nelle ultime prove, De Giovanni non ha mai intenzione di farci approdare ad un lieto fine completo. E la fine scioglierà il mistero della nascita, ma farà nascere altri dolori. O ne farà prevedere la possibilità. Tanto che, appunto, mi domando: una serie finisce con un punto fermo, con un’asserzione definitiva. Benché ce ne siano molte di assertività, rimane sempre uno spiraglio dove, se De Giovanni ne avrà l’intenzione potrà inserire un cuneo. Anche perché la situazione italiana dal 1934 andrà peggiorando, ed anche le forze di polizia non avranno più la libertà (seppur l’hanno avuta) fino ad ora concessa. Io, per mettere veramente un punto finale, avrei fato dimettere Ricciardi dalla polizia (tanto è ricco di suo e non ha bisogno dello stipendio statale), e lo avrei fatto tornare in quel di Fortino. Di certo sarebbe difficile da lì seguitare a fare il commissario. Certo, l’atmosfera da ultimo atto è accentuata dal cambiamento nell’atteggiamento di Ricciardi, per la prima volta, dopo dieci episodi in cui è sempre cupo, si permette di sorridere e di guardare con speranza ad un possibile futuro. Fortunatamente, il clima di ottimismo prende anche la penna dell’autore che lascia tutti gli arzigogoli delle ultime puntate, tutti i rimandi e le costruzioni complicate, per lanciarsi in una prosa più sobria, più aderente ad un clima mutato. Come detto, non sono così convinto che non ci possa essere un seguito a tutto ciò. Per ora, lasciamo il commissario e tutta la banda, in una Napoli meno fosca del solito, più solare. Anche se sul Vesuvio delle nubi ci sono. E dedichiamoci alle altre prove di De Giovanni, che tanta carne ha messo a fuoco in tutti questi anni.
Maurizio De Giovanni “Nozze per i bastardi di Pizzofalcone” Einaudi s.p. (Natale della sig. Laura)
[A: 25/12/2019 – I: 31/03/2020 – T: 01/04/2020] - &&& ---  
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 261; anno 2019]
Ed eccoci anche all’ultimo capitolo per ora pubblicato della fortunata serie dei “Bastardi di Pizzofalcone”. Forse sospinto anche dal successo televisivo, la narrazione si fa più sciolta, anche se De Giovanni non rinuncia ad alcuni suoi vezzi che sia appesantiscono la narrazione sia, se ben letti, anticipano anche troppo di quello che succederà. Al solito, e mi ripeto, nelle narrazioni come questa di “police procedural”, si va di pari passo tra il giallo, la sua analisi e la storia dei vari personaggi. E seppur globalmente il romanzo ha una sua tenuta la parte di sicuro meno avvincente è proprio il giallo. Intanto, ed anche qui seguendo le direttive di molti suoi ultimi scritti, l’autore cerca un leitmotiv di cesura del libro, trovandolo in quello che poi ne diventa il titolo: Nozze. Di cui si parla nel giallo e di cui, a vario titolo, si parla nelle differenti storie. Per tornare al giallo, infatti, abbiamo Francesca che la mattina delle nozze con Giovanni viene trovata morta e nuda in una grotta prospicente il mare, con il vestito delle nozze che galleggia sull’acqua. L’iniziale complicazione delle indagini è dovuta al fatto che Giovanni è figlio di un boss della malavita napoletana. Ma è fumo negli occhi, che il ragazzo si è affrancato dalla famiglia con il beneplacito del padre. Siccome poi Francesca pare non avesse nemici o altro, le indagini di noi lettori si puntano su tre possibili personaggi: Giovanni, il futuro marito, Achille, il cugino vissuto da sempre con la famiglia di Francy, e Cecilia, l’amica di Achille nonché moglie di Giovanni. L’autore, tra l’altro, a metà libro mette un indizio che non può certo sfuggire ai più, ma che i nostri poliziotti, ed in particolare Lojacono il cinese, si lasciano alle spalle. Francesca è anche incinta e non di Giovanni. Allora è proprio Giovanni per vendicarsi di una ignota gravidanza? O forse Achille, il più indicato ad essere il padre, per evitare che Francesca vada con altri? O Cecilia, per punire il possibile fedifrago Achille nonché la sua forse non tanto cara amica? La storia si dipana, e l’autore ci conduce verse le tre possibili soluzioni di cui sopra, facendo in modo che prima siano possibili, per poi smontarle, ed arrivare alla soluzione, grazie anche all’intuito del poliziotto a me più simpatico, la bella ed omosessuale Alex. Ma il filo conduttore delle nozze si avviluppa anche intorno ai personaggi di Pizzofalcone. Continua la storia tra Lojacono e il PM Laura Piras, dove Laura comincia anche ad avere un buon rapporto con la figlia di lui, e con l’ispettore, seppur tra molte reticenze, sembra possibile la storia si approfondisca. Anche se c’è sempre il responsabile antimafia Buffardi che non solo irrompe malamente nel giallo (ma ne viene subito emarginato), ma continua ad avere mire sulla Piras. Mentre cominciamo a sospettare che la nuova arrivata, il vicecommissario Elsa Martini abbia avuto una qualche storia proprio con lui, forse avendone una figlia, la super simpatica Vittoria. E sempre di nozze parla Rosaria, l’amore corrisposto di Alex, anche se quest’ultima non ha ancora superato tutte le barriere. Ha fatto outing con alcuni colleghi, ma non riesce a farlo con la famiglia. La macchietta Aragona questa volta ha meno spazio, anche perché si deve leccare le ferite della lite con il padre che gli ha tagliato i viveri, per cui andrà a vivere con il convalescente Pisanelli. Non prima di aver litigato con Irina, che gli parlava appunto di nozze, ed avendo alcuni incontri – scontri nella nuova casa con Nadia, l’infermiera del malato. Ci sono sempre le nozze in pericolo, quelle di “Hulk” Romano che deve tornare a vivere con la moglie Giorgia se vuole l’affido della piccola che ha salvato qualche libro fa, ma che ha una nuova storia d’amore con la giovane dottoressa che ha ripreso per i capelli la vita della bambina. Non ultima la storia delle nozze in crisi di Ottavia, che non ama più il marito, ma che con lui gestisce (e lo deve fare per forza) la vita del loro figlio autistico, mentre ha un’apertura di cuore, ben corrisposta, con il commissario capo Palma. Credo proprio che dovremmo aspettare il prossimo capitolo della serie per capire come devono evolversi queste improbabili nozze. Aspettandoci qualche cattiveria da parte di De Giovanni, come ben sappiamo da tutti i bastoni che ha messe tra le ruote delle storie d’amore dei romanzi del commissario Ricciardi. Devo però dire, al fine, che l’ingegnosità della scoperta delle modalità dell’assassinio riscatta molto delle cadute di tono di alcune parti del romanzo. Una buona lettura da reclusione da coronavirus.
“Ma davvero pensi che un uomo che ha la fortuna di avere una come te possa anche solo guardare un’altra?” (88)
“Tra le persone giuste e in un’età consapevole, il matrimonio può essere la più bella stagione della vita.” (89)
Siamo ad aprile, e non si fanno scherzi da pesci, ma riporto le letture del primo mese di questo anno doppio, bisestile e sino ad ora, neanche tanto fortunato. Un gennaio cominciato bene con un bel viaggio indiano, e quindi con poche letture (che si aveva altro da fare). Illuminate da uno splendido Terzani e da un interessante Pamuk. Con anche letture a me assolutamente poco congeniali: la storia indiana di Savi Sharma (scontata), la storia noir di Camilla Läckberg (non coinvolgente), i racconti di David Foster Wallace (che continua a lasciarmi perplesso).

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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Giuseppe Munforte
Il fruscio dell’erba selvaggia
Neri Pozza
s.p.
2
2
Stefano Di Marino
La torre degli Scarlatti
Mondadori
5,90
2
3
Zygmunt Bauman
Vite di scarto
Laterza
9
3
4
Savi Sharma
This is not your story
Westland
2,50
1
5
Tiziano Terzani
Buonanotte, signor Lenin
TEA
10
4
6
Camilla Läckberg
Donne che non perdonano
Corriere ProfondoNero
7,90
1
7
Orhan Pamuk
Istanbul
Repubblica Duemila
9,90
4
8
David Foster Wallace
La ragazza dai capelli strani
Repubblica Duemila
9,90
1

Una mesta Domenica delle Palme, con molta domenica e poche palme. Ancora qui, reclusi sebbene non rinchiusi. A leggere e scrivere, aspettando di poter riprendere un ritmo più consono alla vita di tutti. Vedersi, viaggiare, incontrarsi, abbracciarsi.

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