domenica 17 maggio 2020

Donne alte, donne basse - 17 maggio 2020


Danielle Steel “L’eredità segreta” Pickwick s.p. (prestito di Alessandra)
[A: 19/11/2017 – I: 29/12/2019 – T: 31/12/2019] - &&  
[tit. or.: Property of a Noblewoman; ling. or.: inglese; pagine: 334; anno 2016]
Volevo leggere prima o poi un romanzo “sciacqua-cervello” di Danielle Steel, una campionessa di incassi e di best-seller di quella branca di letteratura popolare definita “rosa”. Ora, anche se personalmente sono abbastanza restio a suddividere letteratura in “generi”, che penso chi scriva abbai voglia di scrivere “tout-court”, non c’è dubbio che, almeno per quanto se ne legge, i romanzi della Steel siano tutti sulla falsariga di “buoni sentimenti e lieto fine”. Anche questo, per ora prima e credo unico romanzo che ne leggo, ha un andamento simile, tanto che se ne prevede la prosecuzione e la fine sin dalle prime pagine. La scrittrice è tentata, ogni tanto, di mettere qualche bastone tra le ruote, di farci vedere possibili sviluppi, non così felici come quelli che emergono dalle pagine. Però ben presto se ne pente, torna sul solco ben tracciato dei buoni sentimenti, straccia tutte le varianti che renderebbero complicati e/o problematici i rapporti, e continua, con il vento in poppa verso l’approdo sicuro della scontata fine. L’inizio sembra procedere abbastanza anonimamente. C’è una cassetta di sicurezza alla Metropolitan Bank di New York, la cui proprietaria muore senza aver lasciato disposizioni. Così che Jane Willoughby, tirocinante presso il tribunale e Phillip Lawton, esperto d’arte e gioielli della casa d’aste Christie’s, entrano in contatto per dirimere l’entità e l’evoluzione della successione ereditaria. Ovvio che rimangono basiti dalla scoperta non solo di lettere e foto, ma di gioielli con pietre spettacolari incastonate in sorprendenti montature. Jane, che si sta lasciando da un torsolo innominabile, è affascinata dalla personalità di questa Marguerite Pearson. Ne comincia a leggere le lettere ed a tentare di decifrare le foto. Phillip ancor di più che Pearson è un nome di famiglia, e che la sessantenne madre sembra attratta irresistibilmente dalle foto che il figlio le mostra. Diciamo anche che Phillip non ha legami stabili, essendo il suo grande amore una barca, e non trovando nessuna donna che condivida la sua passione. Diciamo pure che Jane lascia il torsolo, si trova a frequentare Phillip, e scopriamo che è una discreta velista anche lei amante del mare e dei suoi silenzi. I due si improvvisano investigatori del cuore, e seguono le tracce di Marguerite, sposata con un conte italiano facoltoso con villa in Campania. Scoprono che Marguerite è giustamente americana, fuggente dagli States poco prima della Guerra. Andando a Parigi per valutazioni dei gioielli da Cartier, non solo Phillip e Jane si trovano innamorati, ma decidono di seguire le tracce di Marguerite prima a Roma, dove si era rifugiata all’inizio della fuga, e poi a Napoli, in quel castello del marito di cui si favoleggiava nelle lettere. Castello rilevato da un nobile ma spiantato napoletano, che tuttavia conserva il rispetto verso quella coppia fugacemente transitata laggiù. Avrete già capito che c’è un legame forte tra la madre di Phillip e la scomparsa Marguerite. Legame le cui tracce legali sarà l’avvocato Jane a trovare, a rendere visibili e plausibili. Così che la signora Lawton diventerà di colpo molto benestante, potrà permettersi di girare il mondo sulle tracce di Marguerite, finendo anche lei nel castello napoletano e cadendo con molta accondiscendenza tra le braccia dell’italiano. Così come cadranno in un letto d’amore i nostri eroi, Phillip e Jane. Lui riavendo i posti di esperto d’arte che aveva dovuto abbandonare, lei finalmente seguendo il suo istinto di avvocato delle cause perse e dell’infanzia in difficoltà. Nonché con delle passate rilassanti sulla loro barca. Come detto c’erano molti punti in cui il racconto poteva svoltare verso una realtà meno dorata. Poteva Jane rimanere con il torsolo. Poteva l’eredità appartenere ad altri. Poteva il nobile napoletano mirare solo al denaro. Insomma, c’erano molte strade che avrebbero deviato il romanzo verso lidi meno tranquilli. Quei lidi che sin dalle prime pagine, quando appaiono in diversi contesti Phillip e Jane, uno si diceva: ecco che questi due finiranno a letto insieme. E così è, senza sorprese, senza sussulti, così come vuole un libro che impegna gli occhi e poco altri. La scrittrice sarebbe anche tentata di inviarci un messaggio criptico, visto che qui si parla di eredità, benché segreta. Marguerite lascia sì dei beni materiali, ma l’eredità che lascia a Phillip, alla madre di lui, a Jane, al napoletano, è l’eredità del cuore. Marguerite ha molto amato e molto sofferto. I protagonisti del romanzo devono imparare a non soffrire e molto amare. Insomma, una lettura proprio da vacanze natalizie, senza possibili, per ora, riedizioni in altri scritti.
Savi Sharma “This is not your story” Westland euro 2,50
[A: 19/01/2020 – I: 19/01/2020 – T: 19/01/2020] - & e ½   
[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 218; anno 2017]
Sono all’aeroporto di Delhi, aspettando di imbarcarmi nel volo di ritorno verso Roma, via Doha, dopo 16 intensi giorni in giro per il Rajasthan. Ho finito i libri portati dall’Italia, e cerco qualcosa da leggere in aereo, possibilmente di indiano, possibilmente che tocchi le zone appena viste. Un mio vezzo, quando sono in viaggio, di tornare con un libro (strano, un libro, eh?) locale. Dopo lunghe ricerche sugli scaffali, pesco questo abbastanza agile libro, scritto da una donna, Savi Sharma. Lei ha 25 anni ed è nativa del Gujarat, lo stato giusto al di sotto del Rajasthan verso l’Oceano Indiano. Ma quello che mi ha convinto è la prima pagina, dove si vede il protagonista cominciare a raccontare la sua storia dalla sua città natale, Jaipur. Beh, preso, letto e finito prima di arrivare a Roma, che è scritto in un inglese facile, e la storia non ha picchi complicati di lettura. Questo però è il massimo di bene che si può dire del libro, che alla fine risulta essere poco più di un Harmony in salsa Masala. Non devo dire che sia irritante, né che sia scritto in maniera andante. Ha anche qualche appiglio con la realtà indiana, almeno quella della borghesia agiata, che alla fine non ha pochi elementi di conflitto, che non entra nelle grandi problematiche tra indù, mussulmani e sikh. O che deve tener conto dell’enorme massa di povertà che permea questo subcontinente. Ciò detto, tuttavia, non possiamo che plaudire nuove leve che si affacciano alla scrittura, ovunque esse siano. Benché giovane come detto, Savi ha già abbastanza in mano alcuni canoni di scrittura, tanto che riesce, e senza troppa difficoltà, ad imbastire una storia con quattro personaggi, usandone tre come voci narranti. Due direttamente, ed una attraverso un doloroso diario. La storia segue le vicende di 4 giovani: Shaurya, Miraya, Anubhav e Kasturi. Shaurya è un ragazzo che vuole seguire la carriera di sua scelta, cioè fare il regista a Mumbai, la patria del Bollywood, ma anche di tutte le maggiori produzioni indiane, ma è costretto a fare un dottorato di contabilità dai suoi genitori, contrari alla sua scelta. Per molta parte del libro, dilaniato tra l’obbedienza filiale e le aspettative personali, Shaurya è realmente confuso, tanto che spesso sembra un pesce fuor d’acqua, un ragazzo senza spina dorsale. Miraya è una talentuosa designer d'interni che ha avuto una brutta esperienza con l'amore. Tradita e depressa Miraya trova conforto in compagnia di sua cugina Kasturi, la quale sta laureandosi in un MBA, e adora empaticamente i suoi amici e farà tutto il possibile perché ognuno segua la sua strada, raggiunga il proprio scopo nella vita. Anubhav è un imprenditore di successo, spostatosi dalla nativa Jaipur nell’operosa Bangalore, dove ha tutto il successo che vuole. I destini dei quattro trovano uno strano modo di incontrarsi. Anubhav, in partenza per Bangalore, incontra alla stazione un indeciso Shaurya che non sa decidersi di prendere il treno per Mumbai, nonostante gli incoraggiamenti di Anubhav stesso. Shaurya non parte, e si getta, anche se malvolentieri, nello studio, dove viene aiutato da Kasturi nei momenti difficili, incrociando così la strada di Miraya. Mentre c’è l’altalena di Shaurya tra i suoi due poli, quattro anni dopo, pieno di successo a Bangalore, Anubhav ha un colpo fatale. I genitori, che non vede da 4 anni, per fargli una sorpresa, vengono in macchina a trovarlo, ma da Jaipur a Bangalore sono circa 2000 chilometri, ed alla fine, arrivati stanchi in città, il padre perde il controllo dell’auto, ha un incidente ed entrambi i genitori muoiono. Ciò manda nel pallone Anubhav che si incolpa della loro morte, manda a pallino tutte le sue imprese, e povero in canna si ritrova a fare quasi il mendicante a Jaipur. Dove incontra Shaurya, che lo accoglie, lo consola, gli presenta la sua cerchia. Sarà soprattutto l’empatica Miraya che, benché sappiamo dei suoi problemi d’amore attraverso il suo diario, che farà in modo che Anubhav abbia di nuovo voglia di vivere. La rinascita del giovane coincide anche con la decisione di Shaurya di affrontare i suoi demoni, e, sorretto dall’amore di Kasturi, abbandonare tutto e trasferirsi a Mumbai. Il finale sarà tre anni dopo i fatti, con Shaurya che torna a Jaipur e… Sarà riuscita Miraya ad aprirsi ad Anubhav ed affrontare di nuovo l’amore? Kasturi aspetterà ancora Shaurya? Beh, se volete ve lo dico, ma in privato. Comunque, chi vuole fare un piccolo corso di “simple english” può agevolmente usare questo libretto come base. E poco di più.
“There is a cost for everything you want in life. A cost for making your life better, a cost for not making your life better. And it’s you who will have to pay for it. So, decide carefully what you want.” (24) [C'è un costo per tutto ciò che vuoi nella vita. Un costo per migliorare la tua vita, un costo per non migliorarla. E sei tu che dovrai pagare per questo. Quindi, decidi con attenzione cosa vuoi realmente.]
Sally Rooney “Conversations with Friends” Faber&Faber euro 10
[A: 22/08/2019 – I: 26/02/2020 – T: 04/03/2020] - && e ½   
[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 321; anno 2017]
Eccoci ad un altro libro scaturito da uno dei miei tanti viaggi. Il bel giro dello scorso anno, il periplo irlandese, dieci giorni di macchina, visite, campagne, mare. E tanto inglese. Alla fine, anche con questo libro di una delle voci nuove del panorama locale, l’under 30 Sally. Un’autrice che nasce da dibattiti pubblici, e che proprio nella parola genera la sua forza. Perché queste conversazioni sembrano proprio un flusso di dibattiti, una schermaglia di parole, di affondi verbali e di tentativi di soggiogare, sorprendere l’altro con la forza del testo. Usando anche, dato che Sally è giovane, anche i diversi modi di comunicare attuali: e-mail, sms, WhatsApp e quant’altro esce dalla bocca e dalle dita dei giovani. Ma se questa è la forza del libro, la materia e le conseguenze delle azioni dei protagonisti mi hanno lasciato alquanto perplesso. Così come nel da poco tramato “Questa non è la tua storia”, questo “Parlarne tra amici” (cito i titoli italiani se qualcuno volesse leggerne, soprattutto il secondo però), abbiamo quattro personaggi che si aggirano per le 300 pagine del romanzo. Qui però sono descritti, narrati, voltati e rivoltati dalla penna (e dalle tastiere) della protagonista, Frances. Tanto per fissarceli in mente, Frances è una ventenne studentessa universitaria, poetessa e conosciuta nell’ambito cittadino (siamo a Dublino, amici), per i suoi “speak poetry”. Squattrinata, sempre alla ricerca dei soldi che il padre dovrebbe darle, ma non lo fa quasi mai. Tanto che abita nella casa dello zio, che spesso mangia solo se qualcuno le regala riso e pollo. Da poco uscita da una relazione lesbica con Bobbi. Anche lei ventenne, studentessa, femminista e sicura di sé. Spesso alticcia, e, al contrario di Frances, senza troppi problemi economici. Le due si incontrano con una coppia più grande (trentenni!): la fotografa Melissa e l’attore Nick. Tutto il testo gravita intorno alle interrelazioni tra loro quattro. Frances, vedendo Nick, se ne innamora e fa di tutto per andarci a letto. Nick resiste per un po’, ma il matrimonio con Melissa è sempre sull’orlo di qualche cosa (e la fotografa gira spesso per l’Europa). Così che i due hanno la loro storia, senza mai chiedersi, o almeno senza che Frances se lo chieda, dove andrà a parare. Quello che le basta sono i bellissimi momenti di sesso. Ma… e già c’è un ma. Nick non ha intenzione alcuna di lasciarsi con Melissa, anche se la fotografa ha avuto altre storie. Frances per esorcizzare la sua solitudine scrive un lungo racconto dove c’è tutta la storia di Bobbi com’era quando erano insieme. Ma non lo dice a Bobbi, e quando Melissa, per ripicca avendo saputo di lei e Nick, lo fa leggere all’amica, la rottura è inevitabile. Verso i tre quarti del romanzo, c’è l’inevitabile scena del male che si insinua nel testo. Frances soffre di endometriosi, ma tiene la malattia per sé. Però la malattia la costringe a confrontarsi con le proprie scelte. Dapprima fa la pace con Bobbi, ritornano quasi ad essere una coppia, anche se non legate dal sesso come prima. E poi si interroga su sé stessa e su Nick. Quale sarà la sua scelta? E quale quella di Nick? Lasciamo a voi lettori la scoperta. Quella che emerge nello scritto di questa dotata under 30 è il mondo giovanile: l’amore multiplo, la sessualità non definita, tra etero e bi, ma soprattutto le feste, l’alcol, i ritrovi con le persone più grandi, laddove un trentenne sembra già essere una diversa generazione, il femminismo e l’antiborghesia, la fermezza pubblica e la scompostezza privata. È doloroso ma veritiero vedere Frances grattarsi a sangue nel chiuso del suo bagno. Mentre Nick, l’anziano (!) quando perde la bussola, va in una clinica psichiatrica per riordinare le idee. Alla fine, com’è stato osservato, non c’è una vera trama, non ci sono paesaggi descritti, se non la vacanza nel sud della Francia ad Ètables, dove Bobbi e Frances arrivano in volo, ma sempre usando solo voli low-cost e generalmente notturni (millennial a go-go). Ci sono case, ci sono persone, ma soprattutto ci sono parole. Lunghi duelli verbali, dove soprattutto Frances cerca di mantenere il controllo su tutto. Usando spesso mail e WhatsApp, così che si può leggere lo scritto prima di “donarlo” all’altro. Quello che mi risulta poco chiaro è lo scopo di tutto ciò (“o” stretta). Se Nick non vuole lasciare Melissa, che senso ha, oltre il sesso, la storia tra lui e Frances? Perché iniziarla? O meglio, ci può stare una scopata, ma poi basta. Oppure ci si deve per forza fare un giro di pippe mentali su com’è stato, perché si è fatto, cos’ha detto lei di lui con l’altro. Sarà questa la forza della giovinezza, ma è anche la debolezza di un testo, che, come in Melissa, risulta in una bella fotografia, ma non è Newton, magari è una foto di un quadro di Hopper. E tanto per rimanere sull’allegro, bella ma veramente triste la citazione finale della poesia di Yeats “Lake Isle of Innisfree”. Personalmente, ricordo solo che la madre di Frances vive a Ballina, dove lei ogni tanto si reca. E della County Mayo ho un bel ricordo.
Aroa Moreno Durán “Cose che si portano in viaggio” Guanda euro 16 (in realtà, scontato a 13,40 euro)
[A: 13/02/2020 – I: 04/03/2020 – T: 06/03/2020] - &&& +
[tit. or.: La Hija del comunista; ling. or.: spagnolo; pagine: 171; anno 2017]
Ecco un altro dei titoli “hit”, nuove entrate da leggere abbastanza in fretta, rispetto alla forse troppo lunga lista di letture arretrate. Dovuta alle solite nuove proposte di “Robinson”. Una lettura decisamente sopra la media, per intensità e per tematica. Anche se il titolo italiano non rispecchia i sentimenti espressi dall’autrice, la spagnola Aroa (bel nome di difficile traduzione). Che, come vedete sopra, l’originale era “La figlia del comunista”. Con un senso ben preciso, che i viaggi cui potrebbe alludere il titolo, non sono viaggi, ma piuttosto rifugi, scappatoie, allontanamenti, voluti o forzosi. Non conosco la storia di Aroa, e mi domando anche i sensi dei ringraziamenti finali che alludono a frequentazioni con il mondo germanico, che non sembrano uscire dalla biografia nota. Il testo, infatti, è sì incentro su di una protagonista spagnola, Katia, ma anche su tutta una biografia, una vita molto germanica. Katia è figlia di due esuli spagnoli, fuggiti dalla madre patria in seguito alla vittoria del franchismo. Prima il padre, poi raggiunto, ricongiuntosi con la moglie, rifugiati nella comunità degli esuli spagnoli in Germania Est. Vediamo l’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza di Katia in un Berlino prima solo capitale dell’Est, poi divisa dolorosamente dal ’61 in poi dal famigerato Muro. Katia cresce divisa tra ricordi non suoi di una patria che non ha mai visto ed un presente, fatto di tante piccole cose, di file per il cibo, di rammendi di vecchi maglioni o di vecchi cappotti. Aroa riesce a ben rappresentare la rottura mentale di chi, negli anni Cinquanta, viveva all’Est, ma vedeva ancora, seppur forse in modo distorto, cosa avveniva “al di là”. Erano i tempi in cui si poteva circolare abbastanza, così come faceva Johannes, tedesco occidentale che capita casualmente a Berlino Est, ed altrettanto casualmente vede Katia e ne rimane fulminato. La narrazione segue infatti una tripartizione. La gioventù di Katia in quello strano mondo recluso fino all’agnizione, alla scoperta di Johannes, ed alla decisione di fuggire. Senza sé, senza ma, e senza guardarsi indietro, lasciando padre, madre, sorella, affetti, certezze. Una dura parte centrale, in cui seguiamo le peripezie di Katia, che con uno sconosciuto si reca prima in Cecoslovacchia. E da lì, più facilmente, ma sempre con pericolo, attraversa clandestinamente la frontiera austriaca, e ricongiungersi con il suo Johannes. Quindi l’ultima, dolorosa sezione dedicata alla vita in occidente. Ai difficili rapporti con la famiglia dell’amato. Il matrimonio, i figli, la mai completa accettazione della sua “esistenza” da parte degli occidentali. Lei, la “spagnola” (anche se nata e cresciuta a Berlino), la figlia del comunista, in un mondo in cui tanto per dirne una, il padre di Johannes aveva combattuto nelle forze armate del Reich. La storia narrata da Aroa si allunga per quasi quaranta anni, si arriva alla caduta del Muro, alla riunificazione tedesca. Senza entrare in particolari che vi consiglio di leggere (c’è un dolore che la scrittrice rappresenta con una bella scrittura), Katia decide di tornare a vedere cosa sia successo alla sua famiglia. La notizia della morte del padre. Il ritrovamento della sorella e della madre. Ed il doloroso, lacerante confronto tra loro. Finendo con la lettura di tutta una serie di documenti che le rivelano l’altra faccia della sua fuga. Che tirano fuori tutte le brutture che si sono accumulate in anni e anni. Non è certo facile la materia che Aroa decide di trattare, piena di tante domande e di poche risposte. Cosa si aspettava Katia fuggendo? L’amore, si, una vita diversa, si, ma poi? Cosa lasciava indietro? Cosa avrebbero subito i suoi cari in seguito alla sua fuga? Una parte che ci fa risaltare in maniera lampante l’apolidismo di Katia è il viaggio a sorpresa che le regala Johannes, una volta caduti i muri, portandola per la prima volta a vedere la Spagna della sua famiglia. Ma anche lì, Katia non ha posto. È la figlia del comunista fuggito, ma non è spagnola, non è tedesca, forse è solo Katia. Ma anche questa identità non è chiara, almeno per lei. Sembra una foglia che si fa trasportare dal vento senza riuscire a metterci qualcosa di suo, ad essere non dico positiva, ma almeno propositiva. Subisce, soffre. Lotta per uscire da una situazione dura (almeno per una diciottenne) ma sembra non prendere mai coscienza. Però la storia è bella, cioè avvince per le domande che pone. Come si viveva all’Est? La storia scritta dai vincitori alla Merkel quanto si riflette nella storia subita dai perdenti? Ah, come vorrei poterne parlare ancora con mio padre, che tanto di quel mondo conosceva! Un ultimo accenno, dove nel primo capitolo si parla di balli dell’Est e dell’Ovest, soprattutto per quella musica che non conoscevo, e che fu spinta a lungo dai media dell’Est negli anni Cinquanta. La “Lipsi Tanz”, che consiglio, a chi non conosce, di sentirne su “YouTube”. Imperdibile.
In giorni di quarantena, si ha anche più tempo per i miei voli mentali, quindi vi allego una disamina completa della felicità e della Ferrante.
Spero i più attenti abbiano notato che questa diciassettesima trama viene pubblicata nel diciassettesimo giorno di maggio, creando una ripetizione dell’editing che a me intriga: “17 2020 del 17 05 2020). Per il resto, da domani si comincia a mettere il naso fuori casa con meno “angosce”, in settimana si potrà andare senza tema in campagna, e da giugno saremo con ogni probabilità in giro anche più a lungo. Lo auguro a tutti di cuore, così che non più virtuale possa darvi abbracci .

I LIBRI CHE CI AIUTANO A VIVERE FELICI di Giulia Fiore Coltellacci con i commenti di Giovanni
MAGGIO 2020
E dopo svariati mesi di cure “rapide”, passiamo a cose più massicce, a delle cure intensive, indicate anche in questi mesi di scarsa mobilità, e soprattutto questa poderosa dedica alla saga “geniale”.

CURE INTENSIVE 2

Ci sono situazioni in cui un approccio terapeutico tradizionale si rivela insufficiente e si richiede un intervento più prolungato e massiccio, cure intensive da ripetere a cicli.
“L’AMICA GENIALE” di ELENA FERRANTE (2011-2014)

Cicli di cure: quattro.L’amica geniale 2011
Storia del nuovo cognome, 2012
Storia di chi fugge e di chi resta, 2013
Storia della bambina perduta, 2014
Principio attivo: amicizia tra donne.Eccipienti: rivalità, complicità, amore, odio, Napoli, vita.
Composizione
Elena Ferrante è un caso letterario non solo per il successo indiscusso dei suoi romanzi, capaci di stregare i lettori di tutto il mondo (in America ne vanno pazzi), ma anche per il mistero che circonda la sua identità. Chi è Elena Ferrante? Nessuno lo sa, nessuno l’ha mai vista e lei non ha nessuna intenzione di svelare questo segreto. Tra la disapprovazione di chi detesta gli enigmi e l’adorazione di quanti sono convinti che il fascino dei romanzi sia molto più importante della vera identità dell’autore, il caso è materia per detective consumati. Ma con quella abilità di sorprendere che è una delle sue doti migliori, è Elena Ferrante per prima a dimostrare eccellenti doti investigative nella quadrilogia dell’Amica geniale in cui, con l’andamento di un moderno romanzo popolare, indaga a fondo nella natura complice e complessa del rapporto d’amicizia tra Elena e Lila. Le conosciamo bambine, le vediamo diventare adolescenti, giovani donne e poi adulte mature, pedinando indiscreti il loro percorso individuale e l’evolversi del loro legame sullo sfondo del rione, di Napoli e dell’Italia dal dopoguerra ad oggi. Una folla di personaggi secondari, forti e potenti come fossero protagonisti, completa questo enorme quadro in cui le frasi hanno il vigore vorticoso e colorato delle pennellate di Van Gogh e di cui viene raccontata una storia fiume che, con un flusso di parole fitte come gocce di pioggia battente (ma non c’è una goccia di troppo) travolge il lettore trascinandolo, volente o nolente, fino all’ultima pagina. C’è una malia nella scrittura della Ferrante che impedisce di lasciare il libro a metà perché si ha la sensazione che, chiudendolo, le protagoniste rischino di rimanere intrappolate nella storia e si teme di far loro un torto non accompagnandole fino all’epilogo. Così il lettore finisce per divorare il libro mentre la storia lo inghiotte in un mondo quasi prevalentemente femminile. Con una naturalezza sorprendente, Elena Ferrante affronta le complicate sfumature (altro che cinquanta) dell’amicizia tra donne, che dopo il rapporto madre-figlia è uno dei più complessi da decifrare.
Fin da piccola Lila ha un carisma che attare e allarma, incanta e spaventa, accende e brucia, ipnotizza e scotta. Ha la potenza di una sirena, enigmatica, incantevole e pericolosa. Ha la capacità di rendere ogni cosa seducente, iniettando calore in ciò che è freddo, immaginando cose che non ci sono e riuscendo a farle vedere anche agli altri, è una stella esplosa di cui ognuno vuole afferrare un frammento, anche chi la detesta. Disubbidiente, sfrontata, perfino cattiva, è spinta nella vita da una determinazione assoluta, sempre alla ricerca di un modo per far funzionare la testa, una testa che non sa darsi pace. Per dirla come Michele Solara, eternamente innamorato di lei, Lila “se la lasci fare cambia la merda in oro”. Nel luccichio di tutto questo oro a Elena, voce narrante della storia, caparbia e tenace fin da piccola nel suo slancio per studiare, migliorarsi, distinguersi e lasciarsi il rione alle spalle, non resta che inseguire l’amica, vivendo nella sua ombra e nutrendosi della sua luce anche quando è lei a essere sotto i riflettori. Lila e Lenù sono ‘una di due, due in una’, legate da un filo invisibile di complicità e rivalità, odio e amore, competizione e ammirazione, dipendenza e volontà di autoaffermazione. La continua e dolorosa competizione con Lila, amorevole e perfida, devota ed egoista, è per Elena una sfida con sé stessa, capace di insinuarle il dubbio che tutte le sue scelte, le sue decisioni, i suoi pensieri, le conquiste e i successi in realtà siano merito di Lila. E così continua a vivere nell’ombra di quell’amica che odia e ama come sé stessa e senza la quale si sente mutilata. È così forte la natura di questo rapporto da credere che forse l’altra metà della mela di cui parlava Platone sia propria la migliore amica. Ovviamente no, ma è certo che senza la presenza (anche nell’assenza) dell’amica geniale, sia Lila che Elena sarebbero due metà destinate a marcire, proprio come molti dei personaggi che animano le strade del rione e le pagine dei quattro romanzi.
Ogni donna sa quanto sia difficile l’amicizia tra donne. Non è un argomento scoperto da Elena Ferrante, solo che sentirlo raccontato da lei fa tutto un altro effetto (terapeutico). Questo, d’altra parte, è il potere taumaturgico della letteratura.
Posologia
Si dice sempre che l’amicizia tra uomo e donna sia impossibile. Ma perché, quella tra donne vi sembra più facile? In entrambi i casi a complicare i rapporti sono due patologie. Per dirla come Billy Crystal in “Harry ti presento Sally”, tra uomo e donna il problema è la fissazione maschile a fare sesso con ogni donna considerata attraente. A rendere difficile e spinosa l’amicizia femminile, invece, è il complesso d’insicurezza che spinge involontariamente le donne a fare continui confronti e paragoni, in una perenne sfida con l’altra che è una sfida con sé stesse. In questo modo si alimenta una sorta di gelosia inconscia e inconsapevole che non è invidia ma una forma di paura, il timore di essere abbandonate perfino dalla propria migliore amica. Al manifestarsi dei primi sintomi contrastanti di amore e odio verso la vostra migliore amica, l’assunzione della quadrilogia de “L’amica geniale” vi garantisce una graduale sensazione di sollievo mettendo in circolo la consapevolezza che il vostro è un sintomo piuttosto comune (da tenere sotto controllo per evitare che degeneri). Se applicati con costanza, i romanzi si rivelano una pomata dalla consistenza corposa, utile per alleviare varie forme d’insicurezza e curare eventuali dolori muscolari causati dall’eterna rincorsa della propria amica geniale (il muscolo a cui ci si riferisce in particolare è il cuore). Massaggiando con cura, è possibile attenuare quel velenosissimo senso d’inferiorità che è una delle maggiori cause dell’infelicità femminile.
Le lunghe vicende delle amiche geniali consentono anche di ricomporre le fratture emotive causate dall’insoddisfazione personale. Elena, mite e docile, è attratta dalla forza di Lila che, dominatrice e leader per natura, è a sua volta abbagliata dalla caparbia determinazione dell’amica. Questa è la riconferma che tutti vorremmo essere sempre come non siamo e, nonostante gli altri ci sembrino più forti, siamo in realtà tutti ugualmente sperduti e impreparati di fronte alla vita. L’assunzione di questo principio attivo depura l’organismo dalle scorie ella frustrazione esistenziale.
Effetti collaterali
Vista la difficoltà del rapporto che lega le protagoniste, alcune lettrici (soprattutto quelle con storie pregresse di amicizie complicate) potrebbero essere portate a convincersi che sia più salutare non avere affatto un’amica del cuore in modo da proteggere il muscolo cardiaco da eventuali ripercussioni negative come tachicardie, aritmie e soffi. Ma questo effetto collaterale non dovrebbe manifestarsi se si porta a termine il ciclo di cure arrivando alla balsamica conclusione che le cose più belle sono sempre faticose. L’amicizia non fa eccezione.
Anche la lettura della quadrilogia potrebbe essere faticosa: la trama è densa di eventi concatenati che risucchiano parecchie energie a livello emotivo. Si consiglia, pertanto, d’intraprendere l’iter curativo on ottimo stato fisico e mentale. L’autrice stessa ha dichiarato che ‘i moltissimi fatti della vita di Lila ed Elena mostreranno come l’una tragga forza dall’altra. Ma attenzione: non solo nel senso di aiutarsi, ma anche nel senso di saccheggiarsi, rubarsi sentimento e intelligenza, levarsi reciprocamente energia’. Risucchiati nella storia, noi saccheggiamo l’intelligenza alla Ferrante mentre lei ci sottrae energie ricaricandoci di forza interiore. Non vi rimane che restare sdraiati sul divano a finire la quadrilogia.
Alcuni lettori poterebbero esser contagiati dalla smania di conoscere la vera identità di Elena Ferrante, nevrosi collettiva che causa forti cefalee e inutili malumori. Sconsiglio pertanto di lasciarsi contagiare. In molti sono convinti che l’unico dato certo riguardo l’identità segreta dell’autrice sia il sesso, perché solo una donna è in grado di parlare alle donne delle donne in modo così sincero, profondo e spietato. Un uomo sarebbe stato, forse, più indulgente. Certo che, se fosse un uomo, bisognerebbe stringergli davvero la mano e dargli il Nobel per la scienza perché sarebbe uno dei pochi esemplari al mondo ad aver capito davvero qualcosa del mistero femminile. Anzi, di quel groviglio ingarbugliato di sentimenti contrastanti che è l’amicizia tra donne. Già una donna è complicata, ma due insieme sono un cubo di Rubik, un rompicapo che pochi riescono a risolvere senza farsi venire crisi isteriche. Tra quei pochi c’è Elena Ferrante, chiunque sia.

Commenti

Nonostante il finale in altalena, ritengo sia una quadrilogia da leggere in ogni caso. Dei quattro libri, sfogliando i mei appunti, vedo che il giudizio è andato così: 3 e ½, 4, 3 e 2 e ½. Faccio anche notare che non ho faticato molto ad avere questi libri, frutto di doppi regali, graditi e compleannici.
Elena Ferrante “L’amica geniale” E/O s.p. (Regalo di compleanno 2014 in ritardo di Rosa&Emilio)
[pubblicato il 21 settembre 2014]
Per rimanere in un linguaggio tematico caro all’ignota autrice, eccoci a leggere il primo libro della trilogia (o forse quadrilogia) de “L’amica geniale”. Appunto si diceva, una scrittura “molesta”, nel senso di scomoda, tormentata, in ogni cosa, che non lascia indifferente. Come non lascia indifferente la non esistenza di Elena Ferrante. Perché si sa che questo è uno pseudonimo, e si sa anche che non vuole si sappia chi si cela dietro. Quindi non è mai comparsa in pubblico, non è presente nei talk-show televisivi (e per fortuna), non si sa nemmeno se sia donna o uomo (anche se la sensibilità dei suoi scritti mi farebbe escludere che ci sia dietro una mano maschile). E questi sono tutti punti a favore. Così ne parliamo solo rispetto a quello che produce. Non possiamo nasconderci dietro contesti vari, ma dobbiamo attenerci al testo, ed a quello che ci suscita. Detto quindi tutto il bene possibile di chi scrive, di come ha scelto di vivere, e del resto “esterno”, veniamo al libro, alla trama, alle sensazioni. Un libro non facilissimo, bello sicuramente, che ci trasporta per 300 pagine nel ventre di Napoli, nelle sue miserie, nelle sue esaltazioni. E che ci porta nell’infanzia dell’io narrante, intorno alla seconda metà degli anni Cinquanta, usando un approccio che ci fa presagire (anche se non lo sapessimo) l’uscita di altri volumi. Si inizia, infatti, ai giorni nostri quando Lila, sessantasei anni, scompare, e la sua amica e sodale di sempre Elena detta Lena, comincia a narrare le loro storie, per farci capire chi fosse Lila (e chi è lei stessa, Elena). Percorriamo così, in questo primo volume, l’infanzia e la prima adolescenza delle nostre due ragazze napoletane. L’incontrarsi alle scuole elementari, Lila figlia dello scarparo, e Lena figlia di un usciere. La nascita di un’amicizia, narrata con un piglio che ci fa percorrere, battito dopo battito, tutte le palpitazioni che percorrono la vita degli adolescenti. In questa la Ferrante è senza dubbio magistrale. Dipinge e ci fa sentire vive attrazioni e repulsioni, sfide e contro-sfide. Fin dall’inizio cerchiamo poi di immaginare il titolo e la sua applicazione. Che Lila è geniale ma lo è, a suo modo, anche Lena. Scrittura stratificata, dove non solo si parla di bimbi che crescono (e già questo ben riesce), ma si parla di una città che uscita dalla guerra stenta a ritrovar sé stessa. E se lo fa, spesso lo fa in modi svogliati e sbagliati (quanto si sente la vicinanza della scrittura della Ortese ne “Il mare non bagna Napoli”). Contemporaneamente, ed intorno, si vede anche l’Italia stessa uscire dalla guerra, crescere ed avviarsi al boom degli anni Sessanta. Ferrante riesce in una sapiente opera di fotografia in progressione, mostrando piccoli elementi che ci fanno capire grandi rivolgimenti. Anche volendo tralasciare i “guappi” di periferia e le loro prime macchine, ci sono i primi trasporti pubblici verso il centro, la discesa per via Toledo, le pizzette di Spaccanapoli, le prime televisioni che riuniscono amici e nemici per vedere Mike Bongiorno e “Lascia o raddoppia”. Ma anche i sogni di chi ha l’intelligenza per studiare ma non i soldi (Lila) e chi i soldi riesce a trovarli e studia e con profitto (Lena). Pur nel divergente parallelismo, le nostre due ragazze rimangono legate da un sentimento di fondo più forte del resto. Anche quando Lena prenderà tutti dieci al liceo. Anche quando Lila, dopo uno sfortunato tentativo di sfondare nella calzoleria, deciderà di sposare, a quindici anni, Gino, il figlio del farmacista. Uno con una posizione, lì nel Rione. E se vogliamo con i soldi (anche se non si sa quanto “puliti”). Altrettanto bella è la descrizione corale degli altri ragazzi del rione, con i loro sogni, le loro paure, i loro entusiasmi, le loro tante sconfitte ma anche le rare ed entusiasmanti vittorie. Vedremo, se capiterà, cosa avverrà dopo, quali saranno le strade che Lila, Lena e Napoli percorreranno. E detto tutto il bene della scrittrice, della scrittura, dei temi trattati, insomma della cosmogonia presente nel libro, devo comunque alla fine confessare che non mi è piaciuto “alla morte”. Molte volte le situazioni mi hanno trascinato senza coinvolgermi, le sensazioni le ho viste ma non vissute. Ho apprezzato il punto di vista femminile da cui venivano lette le situazioni, ma, forse, non sempre l’ho capito sino in fondo. Da come ne parlavano amici e conoscenti mi aspettavo senza dubbio qualcosa di più intrigante. Un bel libro, però, che continuerei a consigliare a chi volesse leggerlo, e che sono contento mi sia stato regalato.
Elena Ferrante “Storia del nuovo cognome” E/O s.p. (regalo di Rosa&Emilio)
[pubblicato il 29 novembre 2015]
E siamo al secondo volume della tetralogia di Elena Ferrante (su cui non ritorno) dedicato all’amicizia. Chi mi legge assiduamente sa che del primo volume (sempre regalo di Rosa & Emilio che spero ora mi regalino anche gli altri), letto lo scorso anno, ho apprezzato la scrittura, potente e fluida, ma il libro in sé non mi aveva convinto del tutto. Qui siamo senz’altro in ripresa. Sarà forse che le protagoniste crescono e le loro storie mi avvincono più delle vicende infantili (cioè dell’infanzia) narrate nel primo. Sarà che esce di più la personalità della scrittrice, dell’io narrante, questa Elena Greco che cerca, attraverso lo studio di uscir fuori dal mondo chiuso e gretto del rione di Napoli che ne ha visto i natali (uscire per poi apprezzare il buono che comunque quel mondo le ha dato). Sarà anche che Lila, l’amica geniale (che non mi sta per ora proprio simpatica) è a volte più sullo sfondo, anzi talvolta viene lasciata da parte per pagine e pagine. Pur se la sua presenza, ed il rapporto simbiotico palesemente nascosto tra Lila e Lenù è sempre vivo e sempre fa da filo rosso della storia. Se devo fare solo una prima critica personale, mi trovo in difficoltà con tutti i personaggi che girano introno alle pagine. Certo, alla fine delle quasi 550 di questo libro, molti hanno ormai una loro caratteristica, una loro presenza, anche se tuttora, dopo due libri, continuo a confondere Antonio ed Alfonso. Ed anche se c’è una specie di indice dei personaggi all’inizio del volume, riesco sempre a mescolare i parenti tra di loro. Anzi mi sfugge spesso chi è parente a chi. Comunque, si terminò il primo volume con il matrimonio di Lila che poco aveva convinto Lenù. In tutto questo secondo volume assistiamo alle due parabole di vita che coinvolgono le due amiche, tra discese ardite e le risalite (come diceva Lucio). Lenù come detto studia, anche se all’inizio con fatica. E ribadisco che vede lo studio solo come mezzo di uscita dalla vita che sta vivendo, anche se non focalizza uscita per dove e da dove. Si illude di voler bene ad Alfonso (o era Antonio?) ma è fumo. Per 2/3 invece parla del suo trasporto verso Nino, che nel primo l’aveva baciata. Che ora è universitario, che fa grandi discorsi politici (siamo comunque nei primi anni ’60). Nino che ritrova in vacanza ad Ischia, che lei cerca in tutti i modi di conquistare. Ma Nino non se la fila de pezza, perché invece è preso, e da sempre da Lila. Delusione tremenda, tanto che Lenù si concede addirittura al maturo padre di Nino per perdere la verginità. Poi però passa la maturità con buoni voti, tanto che partecipa al concorso e vince una borsa di studio per la Normale di Pisa. L’ultimo terzo del libro è quindi narrato un po’ su ricordi, e molto su quanto poi apprenderà al ritorno dalla città degli studi. A Pisa, fa vita libera, finalmente lontano dalla madre oppressiva. E soprattutto dalla presenza di Lila che ogni volta la tarpa. Così che riesce anche a scrivere un corto libro (137 pagine, dice) trasponendo le vicende della sua pur breve vita. Ed il suo ultimo amore, tal Pietro di Genova, dai buoni natali e dai buoni contatti, riesce a farlo pubblicare. Dall’altra parte vediamo la parabola inversa di Lila, che si accorge ben presto di non amare Stefano, di aver pensato di sposarlo per raggiungere una agiatezza economica che le consenta di uscire dal suo mondo chiuso e gretto (quello che Lenù vuole ottenere con lo studio). Ma non è la “sua” vita quella di bottegaia di salumeria, o anche di padrona di negozio di scarpe. E non riesce a far figli con Stefano. E sono proprio le vicende dei negozi che complicano tutto (ed i soldi a quello legati). Con il suo modo “strampalato” di vedere le cose, che solo Lenù riesce a decrittare, si inimica Pina, poi Carmen, litiga sempre di più con i Solara (i mafiosi del rione), e soprattutto si avvia verso la rottura con Ada. Come detto, ovvio, ha delle uscite geniali. Il primo modello di scarpe, l’arredo del negozio. Ma è un giullare, capace di singole imprese mirabili ma a cui manca la continuità. E quando ad Ischia ritrova Nino, un’altra persona capace di risvegliare il suo lato geniale, si dà fino in fondo all’amore proibito. Pur sapendo che Lenù è presa da Nino, lo vuole per sé, lo prende. E tornata a Napoli continua ad averlo come amante. Tanto che finalmente rimane incinta. Ma quando decide di fuggire con Nino, la quotidiana convivenza sopravvivrà solo 23 giorni. Troppo forte il suo carattere. Per chiunque. Ed anche Nino si perde e fugge. Lila torna per un po’ con Stefano. Partorisce Rinuccio, il figlio di Nino. Cerca di sopravvivere. Ma intanto il marito si era già allontanato, instaurando una tresca stabile con Ada. Allora si, che Lila e Rinuccio fuggono, rifugiandosi dall’amico Enzo, in un rapporto di convivenza e di amicizia senza sesso. Anche se Enzo è da sempre innamorato di Lila. Il libro si chiude con un dibattito in una libreria di Milano per la presentazione del libro di Lenù. E sull’intervento, più o meno critico, che fa uno spettatore. Che guarda caso è proprio lo scomparso Nino. Mi accorgo, rileggendo, che ho narrato la storia a modo mio. Saltando molte parti. Ma questo è il mio modo di tramare. Non è detto che si debba fare un riassunto del libro. Io tiro fuori quelle bolle che le parole mi hanno fatto scaturire. Saltando, tralasciando, fissandomi magari su elementi marginali, che a me hanno comunicato qualcosa. Ed alla fine, sono comunque contento di aver avuto questo regalo che mi ha forzato a leggere questo secondo libro. E mi ha incuriosito di sapere cosa succede negli altri.
Elena Ferrante “Storia di chi fugge e di chi resta” E/O s.p. (Regalo di Natale di Bene&Fra)
[pubblicato il 23 settembre 2018]
Concludevo la lettura e la trama del secondo libro della geniale amicizia di Elena Ferrante con il voto di poter leggere gli altri volumi sperando di averne in regalo da chi mi aveva omaggiato con i primi due. Per ironia della sorte o del caso, i due ultimi (ultimi?) volumi mi sono stati invece sempre regalati da una coppia, passando da Rosemilio a Benefra. Ma non di questo voglio parlare, ma solo ricordare di passaggio. Vorrei invece andare subito al libro e nel libro. Di quelli ad ora letti, devo dire che è quello che meno mi è piaciuto, quello con cui meno sono entrato in sintonia. Anzi, la parte finale l’ho trovata dura da leggere, non riuscivo a progredire, laddove la trama ed il testo si andavano infilando in cul de sac prevedibile e scontato. L’altro dato che emerge da questo terzo libro è lo spostamento sempre più accentuato dell’attenzione da Lila a Lenù. Sebbene non sappia dirvi se sia un bene o un male, è da constatare e sottolineare. Lenù ormai ha la maggior parte della vita lontana da Napoli, ed i suoi rapporti con la città e con l’amica sono sempre più telefonici e distanti. Abbiamo così le loro due storie che proseguono, a volte si intrecciano, ma come i binari forse si incontreranno solo all’infinito (vedremo nel prossimo volume). Quindi a Napoli abbiamo Lila che continua a vivere con Enzo e Rinuccio in quel di San Giovanni a Teduccio, in quelli che saranno gli anni Settanta (e quindi con le protagoniste che si avviano ai trenta anni essendo nate, come sappiamo, nel 1944). Lila lavora in fabbrica, sopporta angherie varie. Enzo fa lavori oscuri e studia la sera su libri di programmazione, capendo, intuitivamente, quale sarà il prossimo futuro. Lila fa uscire la sua coscienza politica con le prime lotte in fabbrica, e lì la nostra autrice ha buon gioco nel descrivere il clima italiano e napoletano di quegli anni. Studenti velleitari a volantinare davanti alle fabbriche, operai che non capiscono che cosa si vuole da loro, padroni e fascisti alleati a reprimere, con la forza, tutte le manifestazioni del dissenso. Lila si ribella, Lenù l’aiuta pubblicando un articolo sulla fabbrica, Lila viene licenziata, anche perché sono sempre i cattivi Solara che hanno in mano la fabbrica. Lenù che con i suoi contatti derivanti dallo sposo (su cui si tornerà) procura un nuovo posto di lavoro a Enzo e Lila, nel centro informatico che la IBM inaugura a Bagnoli (e la storia dell’informatica di allora di intreccia con la mia storia, che alla fine degli anni ’70 anche io entrai in quel mondo, pensando durasse poco, e ne sono uscito solo 35 anni dopo). Enzo e Lila che, forse, cominciano ad avere una “loro” storia d’amore, ma lì, in IBM, Enzo guadagna più di Lila (solita disparità uomo-donna) tanto che alla fine Lila accetta il ruolo di capo informatico nella nuova industria messa in piedi proprio da Michele Solara, il cattivo, mafioso ed antipatico, che dal primo libro la insidia. Lila dice che sarà lei ad usare Michele, mentre Lenù sostiene il contrario. Vedremo. In parallelo, ma sempre più in primo piano, seguiamo invece la storia di Elena Greco. L’avevamo lasciata all’uscita del suo libro ed all’incontro con il mai sopito amore di Nino Serratore. Ma Lenù procede, anche se non a grandi passi. Sposa, ma solo civilmente, Pietro Airota, alla cui famiglia si è appoggiata per allontanarsi da Napoli ed avere una sua indipendenza. Aiuta Lila nelle lotte sindacali, inimicandosi l’ala estrema dei movimenti napoletani, esemplificata da Pasquale Peluso (il primo che si innamorò di Lenù) e da Nadia Galiani (la figlia della professoressa). Ma la vita di famiglia la prende oltre misura. Fa due figlie, Dede ed Elsa. Si inimica la sorellina Elisa che si fidanza con l’orrido Marcello Solara (si quello dei camorristi). Vede passare da Firenze Pasquale e Nadia, avviati (noi lo sappiamo, loro no), alla lotta armata. Elena prova a continuare a scrivere, ma non ci riesce più. Trova un aiuto, parziale e laterale, da Mariarosa, la sorella di Pietro, diventata super-femminista. Per tutto il libro assistiamo alla caduta verso lo sfacelo della vita di Elena, ce ne accorgiamo noi, forse anche gli amici, ma lei no. Sarà il ritorno alla ribalta di Nino che provocherà una svolta. Nino che ha fatto un figlio (Rinuccio) con Lila, Nino che ha fatto un figlio (Mirko) con Silvia di Milano, Nino che ha sposato Eleonora ed ha fatto un figlio (Albertino) con lei. Nino che le professa il suo immutato amore sin dai tempi di Ischia (ma perché non lo fece allora? Perché si mise con Lila?). Ed Elena cade con tutte e due i piedi nel trappolone amoroso. Certo, questo gli dà la spinta di riprendere la scrittura, che la quotidianità e la poca verve di Pietro le avevano spento. Il libro finisce con la fuga d’amore di Elena e Nino, che abbandonano i rispettivi figli per una settimana a Montpellier. Finisce anche con Lila che questa volta prende lei a male parole Elena, così come questa aveva fatto all’epoca del matrimonio dell’amica. Trovo che il libro (non la scrittura) si stia troppo scentrando. Come parlare a nuora perché suocera intenda. Proclamare tutto l’interesse per l’amica geniale, e passare quasi mille pagine a parlare di sé. Vedremo nel quarto libro come tutto ciò andrà verso il suo fine. Sono stato contento, andando in giro per il mondo di vedere i libri della Ferrante in molte librerie, soprattutto anglosassoni. Sono contento del successo di una scrittura che non può che portare lo straniero ignaro a cercare di capire meglio Napoli ed il nostro tormentato Sud. Tuttavia, questa svolta non mi è piaciuta, penso che questo sia il meno belli dei tre libri che ho letto. Troppa carne al fuoco, perché si passa anche dall’analisi della sola Napoli ad un voler mescolare tutto, nel calderone dell’avanzare dei giorni e degli anni: economia, politica, carriera universitaria, nascita dell’informatica, terrorismo. Un romanzo non è (sempre) un calderone che contiene tutto. Basta alla sua esistenza che contenga anche una sola idea che ci coinvolga, che ci faccia pensare. Vorrei sempre leggere un libro, non una sintesi wikipediana del mondo. Vedremo, vedremo, vedremo.
“Ebbi la certezza che gli volevo bene, era una persona che sapeva il suo valore e tuttavia, se necessario, si dimenticava di sé con naturalezza.” (83)
Elena Ferrante “Storia della bambina perduta” E/O s.p. (Regalo di Bene&Fra)
[pubblicato il 23 settembre 2018]
E con questo quarto volume si chiude la grande “saga” di Elena Ferrante intitolata “L’amica geniale”. Per i maniaci della precisione riporto in fondo l’elenco completo delle “puntate” così come risulta dallo scritto stesso dell’autrice. Intanto, riprendo, ribadisco ed approfondisco il giudizio, che questo libro mi è piaciuto ancora meno del precedente. Sarà che finalmente esce allo scoperto (ma lo dirà solo a pagina 438, e io non vi dico cosa dirà), sarà che abbraccia un arco di tempo lungo, troppo lungo, sarà che questo è il tempo (anche) mio, ma la lettura che ne dà Greco/Ferrante è troppo poco incisiva. Non che io abbia desiderato un libro politico, non è questo il luogo, ma se si danno pennellate sulla vita che ci ha visto presenti ed attivi, avrei bisogno di qualche scatto in più. Scatto morale, scatto politico. Invece, continuando l’equilibrismo tra pubblico e privato, non si dà luce né all’uno né all’altro. Continuiamo così a seguire le vicende delle due amiche. Come sappiamo Elena lascia il marito per Nino, che però non lascia la moglie. Nino è sempre stato un personaggio a me antipatico. E qui, pagina dopo pagina, scopriamo fino a che punto lo è. Non lascia la moglie, con cui fa un altro figlio. Fa una figlia con Lenù, che verrà chiamata Imma. Continua a tradirla senza che lei se ne accorga. Ci impiegherà una vita, ma alla fine lo caccia via. E di Nino seguiamo tutta la parabola personale e politica: barricadero in gioventù, poi comunista ma moderato, negli anni ’80 socialista ed onorevole, quindi travolto da “Mani pulite” (ma che la Ferrante non cita mai con il suo nome), poi riciclato in qualcosa tipo “Forza Italia” o giù di lì. Insopportabile. Soprattutto, nell’atteggiamento verso le donne. Non se ne lascia scappare una. E Lenù, occhi foderati d’amore, faticherà una vita a capirlo. Lenù che scrive di meno, affogata tra la cura di Dede, di Elsa, di Imma. Che è tornata a Napoli. Che ha ripreso le vecchie ragnatele di rapporti. Che si ritrova con Lila. Lila fa anche lei una carriera folgorante, ma nel ramo informatico. Si mette in proprio con Enzo, sfrutta per prima le molte possibilità dell’elettronica, continua a fare sgarbi ai Solara, a tutti e due i fratelli camorristi, ed alla fine con Enzo fa anche una figlia Tina. Qui la Ferrante mette il pezzo forte di questo ultimo libro: non si sa come, né forse esattamente perché, durante un momento convulso della vita di Lila, Lenù, Nino e le figlie, scompare Tina. E non sarà più ritrovata. Ormai la strada è in discesa, ed il libro non farà altro che percorrerla tutta, attorcigliandosi intorno ai rimpianti di cosa poteva essere e non è stato. Ma se Lila si “liquefà” intorno a questo avvenimento, non ne uscirà più (e con ragione), andando sempre più alla deriva, con mestizia, a volte, ed a volte con cattiveria. Sino alla conclusione che conosciamo sin dal primo libro. Perché è quella conclusione che ci viene presentata nel prologo, e che ora ci si ripresenta. Senza soluzioni, che la vita non sempre chiarisce tutto (non siamo certo in un romanzo giallo). D’altra parte, invece, abbiamo Lenù, che si rimette a camminare con le proprie gambe, che non dipende (cerca di non dipendere) né da Pietro né da Nino. Ma trascura le figlie, che ben presto crescono ed avranno voglia di vedere altro nel mondo. In questo aiutate più da Pietro che da altri. Elena, in questo crescere tormentato, (ri-)scopre l’amore per la madre Immacolata e la assiste nella sofferenza e nel trapasso. Elena continua a combattere per continuare a scrivere, per essere sé stessa, anche se la colpa di non seguire le figlie da vicino la spezza interiormente. Ma lei ha bisogno di scrivere, di viaggiare, di girare l’Europa, e tanto altro. Ha bisogno di tempo per continuare a scoprire sé stessa, per continuare a sentirsi o ad essere indipendente. Lina e Lenù vivono l’approssimarsi della vecchiaia, della morte, in parallelo, vicine ma ognuna per proprio conto. Lila affoga le sue angosce nel tentativo di scoprire i misteri di Napoli, leggendone e scrivendone, ma solo per sé stessa. Ma quando Elena le chiede di ripensare a questi cinquanta, e poi sessanta anni, e poi quanti altri ancora, ecco che Lila esce fuori con una delle sue frasi che vanno dritte al cuore, al cuore dell’amica e dei problemi: “Stai invecchiando come si deve … hai smesso di essere figlia, sei diventata veramente madre.” Poi le figlie di Elena vanno a vivere all’estero, Elena scrive un’ultima storia sulla sua amicizia con l’amica. Con la speranza che Lila possa finalmente vivere una vita sua, secondo i suoi canoni, che i legacci della vita le avevano impedito di seguire. Speranza vera? Speranza folle? Speranza di due amiche che forse sono entrambi geniali, almeno in alcuni ambiti. Perché come sappiamo, è difficile, forse impossibile, essere geniali, essere intelligenti “a tutto tondo”. Ci saranno sempre per ognuno delle zone d’ombra. Ci sarà sempre qualche pagina di troppo scritta dalla Ferrante per questa storia, che, finalmente, dopo più di 1500 pagine giunge al suo termine. Come ho più volte ripetuto, la scrittrice è potente, è da leggere, è da seguire. Ma solo il secondo di questi quattro libri mi ha coinvolto e convinto. Il resto l’ho letto, e lo rileggerei se non lo avessi fatto. Ma lasciandomi tutte le perplessità del caso. Troppo lontano dalle mie sensazioni il primo libro sull’infanzia, troppo privo delle mie sensazioni questo che dovrebbe parlare degli avvenimenti a me contemporanei. Comunque, sono anche contento che questi libri mi siano stati regalati. Che un pensiero è trapelato tra tutte queste ombre e tutte queste luci. Un pensiero che è mio, e lì rimarrà. Buona fortuna, Ferrante, che in tutto il mondo ormai c’è la “Ferrante fever”.
“Quando la testa mi dice: è meglio che fai in questo modo, lo faccio e non ci penso più. Se ci torni sopra fai solo guai.” (233)
“Ogni rapporto intenso tra esseri umani è pieno di tagliole e se si vuole che duri bisogna imparare a schivarle.” (429)
Indice completo dell’opera “L’amica geniale” (1630 pagine, come da indicazione di Elena Ferrante stessa in coda all’ultimo romanzo)
PROLOGO                Cancellare le tracce
INFANZIA               Storia di don Achille
ADOLESCENZA         Storia delle scarpe
GIOVINEZZA            Storia del nuovo cognome
TEMPO DI MEZZO     Storia di chi fugge e di chi resta
MATURITÀ               Storia della bambina perduta
VECCHIAIA              Storia del cattivo sangue
EPILOGO                 Restituzione

Finalino

Come immaginavo, la punta per me più coinvolgente è stata l’adolescenza, visto che non si riesce a diventare adulti. Ma, ripeto, dei libri senz’altro da leggere.

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