Danielle Steel “L’eredità segreta” Pickwick
s.p. (prestito di Alessandra)
[A: 19/11/2017 – I: 29/12/2019 – T: 31/12/2019]
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[tit. or.: Property of a Noblewoman;
ling. or.: inglese; pagine: 334; anno 2016]
Volevo leggere prima o poi un romanzo
“sciacqua-cervello” di Danielle Steel, una campionessa di incassi e di
best-seller di quella branca di letteratura popolare definita “rosa”. Ora,
anche se personalmente sono abbastanza restio a suddividere letteratura in
“generi”, che penso chi scriva abbai voglia di scrivere “tout-court”, non c’è
dubbio che, almeno per quanto se ne legge, i romanzi della Steel siano tutti
sulla falsariga di “buoni sentimenti e lieto fine”. Anche questo, per ora prima
e credo unico romanzo che ne leggo, ha un andamento simile, tanto che se ne
prevede la prosecuzione e la fine sin dalle prime pagine. La scrittrice è
tentata, ogni tanto, di mettere qualche bastone tra le ruote, di farci vedere
possibili sviluppi, non così felici come quelli che emergono dalle pagine. Però
ben presto se ne pente, torna sul solco ben tracciato dei buoni sentimenti,
straccia tutte le varianti che renderebbero complicati e/o problematici i
rapporti, e continua, con il vento in poppa verso l’approdo sicuro della
scontata fine. L’inizio sembra procedere abbastanza anonimamente. C’è una
cassetta di sicurezza alla Metropolitan Bank di New York, la cui proprietaria
muore senza aver lasciato disposizioni. Così che Jane Willoughby, tirocinante
presso il tribunale e Phillip Lawton, esperto d’arte e gioielli della casa
d’aste Christie’s, entrano in contatto per dirimere l’entità e l’evoluzione
della successione ereditaria. Ovvio che rimangono basiti dalla scoperta non
solo di lettere e foto, ma di gioielli con pietre spettacolari incastonate in
sorprendenti montature. Jane, che si sta lasciando da un torsolo innominabile,
è affascinata dalla personalità di questa Marguerite Pearson. Ne comincia a
leggere le lettere ed a tentare di decifrare le foto. Phillip ancor di più che
Pearson è un nome di famiglia, e che la sessantenne madre sembra attratta
irresistibilmente dalle foto che il figlio le mostra. Diciamo anche che Phillip
non ha legami stabili, essendo il suo grande amore una barca, e non trovando
nessuna donna che condivida la sua passione. Diciamo pure che Jane lascia il
torsolo, si trova a frequentare Phillip, e scopriamo che è una discreta velista
anche lei amante del mare e dei suoi silenzi. I due si improvvisano
investigatori del cuore, e seguono le tracce di Marguerite, sposata con un
conte italiano facoltoso con villa in Campania. Scoprono che Marguerite è
giustamente americana, fuggente dagli States poco prima della Guerra. Andando a
Parigi per valutazioni dei gioielli da Cartier, non solo Phillip e Jane si trovano
innamorati, ma decidono di seguire le tracce di Marguerite prima a Roma, dove
si era rifugiata all’inizio della fuga, e poi a Napoli, in quel castello del
marito di cui si favoleggiava nelle lettere. Castello rilevato da un nobile ma
spiantato napoletano, che tuttavia conserva il rispetto verso quella coppia
fugacemente transitata laggiù. Avrete già capito che c’è un legame forte tra la
madre di Phillip e la scomparsa Marguerite. Legame le cui tracce legali sarà
l’avvocato Jane a trovare, a rendere visibili e plausibili. Così che la signora
Lawton diventerà di colpo molto benestante, potrà permettersi di girare il
mondo sulle tracce di Marguerite, finendo anche lei nel castello napoletano e cadendo
con molta accondiscendenza tra le braccia dell’italiano. Così come cadranno in
un letto d’amore i nostri eroi, Phillip e Jane. Lui riavendo i posti di esperto
d’arte che aveva dovuto abbandonare, lei finalmente seguendo il suo istinto di
avvocato delle cause perse e dell’infanzia in difficoltà. Nonché con delle passate
rilassanti sulla loro barca. Come detto c’erano molti punti in cui il racconto
poteva svoltare verso una realtà meno dorata. Poteva Jane rimanere con il
torsolo. Poteva l’eredità appartenere ad altri. Poteva il nobile napoletano
mirare solo al denaro. Insomma, c’erano molte strade che avrebbero deviato il
romanzo verso lidi meno tranquilli. Quei lidi che sin dalle prime pagine,
quando appaiono in diversi contesti Phillip e Jane, uno si diceva: ecco che
questi due finiranno a letto insieme. E così è, senza sorprese, senza sussulti,
così come vuole un libro che impegna gli occhi e poco altri. La scrittrice
sarebbe anche tentata di inviarci un messaggio criptico, visto che qui si parla
di eredità, benché segreta. Marguerite lascia sì dei beni materiali, ma
l’eredità che lascia a Phillip, alla madre di lui, a Jane, al napoletano, è
l’eredità del cuore. Marguerite ha molto amato e molto sofferto. I protagonisti
del romanzo devono imparare a non soffrire e molto amare. Insomma, una lettura
proprio da vacanze natalizie, senza possibili, per ora, riedizioni in altri
scritti.
Savi Sharma “This is not your story”
Westland euro 2,50
[A: 19/01/2020 – I: 19/01/2020 – T: 19/01/2020]
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e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 218; anno 2017]
Sono all’aeroporto di Delhi, aspettando di
imbarcarmi nel volo di ritorno verso Roma, via Doha, dopo 16 intensi giorni in
giro per il Rajasthan. Ho finito i libri portati dall’Italia, e cerco qualcosa
da leggere in aereo, possibilmente di indiano, possibilmente che tocchi le zone
appena viste. Un mio vezzo, quando sono in viaggio, di tornare con un libro
(strano, un libro, eh?) locale. Dopo lunghe ricerche sugli scaffali, pesco
questo abbastanza agile libro, scritto da una donna, Savi Sharma. Lei ha 25
anni ed è nativa del Gujarat, lo stato giusto al di sotto del Rajasthan verso
l’Oceano Indiano. Ma quello che mi ha convinto è la prima pagina, dove si vede
il protagonista cominciare a raccontare la sua storia dalla sua città natale,
Jaipur. Beh, preso, letto e finito prima di arrivare a Roma, che è scritto in
un inglese facile, e la storia non ha picchi complicati di lettura. Questo però
è il massimo di bene che si può dire del libro, che alla fine risulta essere
poco più di un Harmony in salsa Masala. Non devo dire che sia irritante, né che
sia scritto in maniera andante. Ha anche qualche appiglio con la realtà
indiana, almeno quella della borghesia agiata, che alla fine non ha pochi
elementi di conflitto, che non entra nelle grandi problematiche tra indù, mussulmani
e sikh. O che deve tener conto dell’enorme massa di povertà che permea questo
subcontinente. Ciò detto, tuttavia, non possiamo che plaudire nuove leve che si
affacciano alla scrittura, ovunque esse siano. Benché giovane come detto, Savi
ha già abbastanza in mano alcuni canoni di scrittura, tanto che riesce, e senza
troppa difficoltà, ad imbastire una storia con quattro personaggi, usandone tre
come voci narranti. Due direttamente, ed una attraverso un doloroso diario. La
storia segue le vicende di 4 giovani: Shaurya, Miraya, Anubhav e Kasturi.
Shaurya è un ragazzo che vuole seguire la carriera di sua scelta, cioè fare il
regista a Mumbai, la patria del Bollywood, ma anche di tutte le maggiori
produzioni indiane, ma è costretto a fare un dottorato di contabilità dai suoi
genitori, contrari alla sua scelta. Per molta parte del libro, dilaniato tra
l’obbedienza filiale e le aspettative personali, Shaurya è realmente confuso,
tanto che spesso sembra un pesce fuor d’acqua, un ragazzo senza spina dorsale.
Miraya è una talentuosa designer d'interni che ha avuto una brutta esperienza
con l'amore. Tradita e depressa Miraya trova conforto in compagnia di sua cugina
Kasturi, la quale sta laureandosi in un MBA, e adora empaticamente i suoi amici
e farà tutto il possibile perché ognuno segua la sua strada, raggiunga il proprio
scopo nella vita. Anubhav è un imprenditore di successo, spostatosi dalla
nativa Jaipur nell’operosa Bangalore, dove ha tutto il successo che vuole. I
destini dei quattro trovano uno strano modo di incontrarsi. Anubhav, in
partenza per Bangalore, incontra alla stazione un indeciso Shaurya che non sa
decidersi di prendere il treno per Mumbai, nonostante gli incoraggiamenti di Anubhav
stesso. Shaurya non parte, e si getta, anche se malvolentieri, nello studio,
dove viene aiutato da Kasturi nei momenti difficili, incrociando così la strada
di Miraya. Mentre c’è l’altalena di Shaurya tra i suoi due poli, quattro anni
dopo, pieno di successo a Bangalore, Anubhav ha un colpo fatale. I genitori,
che non vede da 4 anni, per fargli una sorpresa, vengono in macchina a
trovarlo, ma da Jaipur a Bangalore sono circa 2000 chilometri, ed alla fine,
arrivati stanchi in città, il padre perde il controllo dell’auto, ha un
incidente ed entrambi i genitori muoiono. Ciò manda nel pallone Anubhav che si
incolpa della loro morte, manda a pallino tutte le sue imprese, e povero in
canna si ritrova a fare quasi il mendicante a Jaipur. Dove incontra Shaurya,
che lo accoglie, lo consola, gli presenta la sua cerchia. Sarà soprattutto
l’empatica Miraya che, benché sappiamo dei suoi problemi d’amore attraverso il
suo diario, che farà in modo che Anubhav abbia di nuovo voglia di vivere. La
rinascita del giovane coincide anche con la decisione di Shaurya di affrontare
i suoi demoni, e, sorretto dall’amore di Kasturi, abbandonare tutto e
trasferirsi a Mumbai. Il finale sarà tre anni dopo i fatti, con Shaurya che
torna a Jaipur e… Sarà riuscita Miraya ad aprirsi ad Anubhav ed affrontare di
nuovo l’amore? Kasturi aspetterà ancora Shaurya? Beh, se volete ve lo dico, ma
in privato. Comunque, chi vuole fare un piccolo corso di “simple english” può
agevolmente usare questo libretto come base. E poco di più.
“There is a cost for everything you want
in life. A cost for making your life better, a cost for not making your life
better. And it’s you who will have to pay for it. So, decide carefully what you
want.” (24) [C'è un costo per tutto ciò che vuoi nella vita. Un costo per migliorare
la tua vita, un costo per non migliorarla. E sei tu che dovrai pagare per
questo. Quindi, decidi con attenzione cosa vuoi realmente.]
Sally Rooney “Conversations with Friends”
Faber&Faber euro 10
[A: 22/08/2019 – I: 26/02/2020 – T: 04/03/2020]
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e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 321; anno 2017]
Eccoci ad un altro libro scaturito da uno dei
miei tanti viaggi. Il bel giro dello scorso anno, il periplo irlandese, dieci
giorni di macchina, visite, campagne, mare. E tanto inglese. Alla fine, anche
con questo libro di una delle voci nuove del panorama locale, l’under 30 Sally.
Un’autrice che nasce da dibattiti pubblici, e che proprio nella parola genera
la sua forza. Perché queste conversazioni sembrano proprio un flusso di
dibattiti, una schermaglia di parole, di affondi verbali e di tentativi di
soggiogare, sorprendere l’altro con la forza del testo. Usando anche, dato che
Sally è giovane, anche i diversi modi di comunicare attuali: e-mail, sms, WhatsApp
e quant’altro esce dalla bocca e dalle dita dei giovani. Ma se questa è la
forza del libro, la materia e le conseguenze delle azioni dei protagonisti mi
hanno lasciato alquanto perplesso. Così come nel da poco tramato “Questa non è
la tua storia”, questo “Parlarne tra amici” (cito i titoli italiani se qualcuno
volesse leggerne, soprattutto il secondo però), abbiamo quattro personaggi che
si aggirano per le 300 pagine del romanzo. Qui però sono descritti, narrati,
voltati e rivoltati dalla penna (e dalle tastiere) della protagonista, Frances.
Tanto per fissarceli in mente, Frances è una ventenne studentessa
universitaria, poetessa e conosciuta nell’ambito cittadino (siamo a Dublino,
amici), per i suoi “speak poetry”. Squattrinata, sempre alla ricerca dei soldi
che il padre dovrebbe darle, ma non lo fa quasi mai. Tanto che abita nella casa
dello zio, che spesso mangia solo se qualcuno le regala riso e pollo. Da poco
uscita da una relazione lesbica con Bobbi. Anche lei ventenne, studentessa,
femminista e sicura di sé. Spesso alticcia, e, al contrario di Frances, senza
troppi problemi economici. Le due si incontrano con una coppia più grande
(trentenni!): la fotografa Melissa e l’attore Nick. Tutto il testo gravita
intorno alle interrelazioni tra loro quattro. Frances, vedendo Nick, se ne
innamora e fa di tutto per andarci a letto. Nick resiste per un po’, ma il
matrimonio con Melissa è sempre sull’orlo di qualche cosa (e la fotografa gira
spesso per l’Europa). Così che i due hanno la loro storia, senza mai chiedersi,
o almeno senza che Frances se lo chieda, dove andrà a parare. Quello che le
basta sono i bellissimi momenti di sesso. Ma… e già c’è un ma. Nick non ha
intenzione alcuna di lasciarsi con Melissa, anche se la fotografa ha avuto
altre storie. Frances per esorcizzare la sua solitudine scrive un lungo
racconto dove c’è tutta la storia di Bobbi com’era quando erano insieme. Ma non
lo dice a Bobbi, e quando Melissa, per ripicca avendo saputo di lei e Nick, lo
fa leggere all’amica, la rottura è inevitabile. Verso i tre quarti del romanzo,
c’è l’inevitabile scena del male che si insinua nel testo. Frances soffre di
endometriosi, ma tiene la malattia per sé. Però la malattia la costringe a
confrontarsi con le proprie scelte. Dapprima fa la pace con Bobbi, ritornano
quasi ad essere una coppia, anche se non legate dal sesso come prima. E poi si
interroga su sé stessa e su Nick. Quale sarà la sua scelta? E quale quella di
Nick? Lasciamo a voi lettori la scoperta. Quella che emerge nello scritto di questa
dotata under 30 è il mondo giovanile: l’amore multiplo, la sessualità non
definita, tra etero e bi, ma soprattutto le feste, l’alcol, i ritrovi con le
persone più grandi, laddove un trentenne sembra già essere una diversa generazione,
il femminismo e l’antiborghesia, la fermezza pubblica e la scompostezza
privata. È doloroso ma veritiero vedere Frances grattarsi a sangue nel chiuso
del suo bagno. Mentre Nick, l’anziano (!) quando perde la bussola, va in una
clinica psichiatrica per riordinare le idee. Alla fine, com’è stato osservato,
non c’è una vera trama, non ci sono paesaggi descritti, se non la vacanza nel
sud della Francia ad Ètables, dove Bobbi e Frances arrivano in volo, ma sempre
usando solo voli low-cost e generalmente notturni (millennial a go-go). Ci sono
case, ci sono persone, ma soprattutto ci sono parole. Lunghi duelli verbali,
dove soprattutto Frances cerca di mantenere il controllo su tutto. Usando
spesso mail e WhatsApp, così che si può leggere lo scritto prima di “donarlo”
all’altro. Quello che mi risulta poco chiaro è lo scopo di tutto ciò (“o”
stretta). Se Nick non vuole lasciare Melissa, che senso ha, oltre il sesso, la
storia tra lui e Frances? Perché iniziarla? O meglio, ci può stare una scopata,
ma poi basta. Oppure ci si deve per forza fare un giro di pippe mentali su
com’è stato, perché si è fatto, cos’ha detto lei di lui con l’altro. Sarà
questa la forza della giovinezza, ma è anche la debolezza di un testo, che,
come in Melissa, risulta in una bella fotografia, ma non è Newton, magari è una
foto di un quadro di Hopper. E tanto per rimanere sull’allegro, bella ma
veramente triste la citazione finale della poesia di Yeats “Lake Isle of
Innisfree”. Personalmente, ricordo solo che la madre di Frances vive a Ballina,
dove lei ogni tanto si reca. E della County Mayo ho un bel ricordo.
Aroa Moreno Durán “Cose che si portano in
viaggio” Guanda euro 16 (in realtà, scontato a 13,40 euro)
[A: 13/02/2020 – I: 04/03/2020 – T: 06/03/2020]
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[tit. or.: La Hija del comunista; ling.
or.: spagnolo; pagine: 171; anno 2017]
Ecco
un altro dei titoli “hit”, nuove entrate da leggere abbastanza in fretta,
rispetto alla forse troppo lunga lista di letture arretrate. Dovuta alle solite
nuove proposte di “Robinson”. Una lettura decisamente sopra la media, per
intensità e per tematica. Anche se il titolo italiano non rispecchia i
sentimenti espressi dall’autrice, la spagnola Aroa (bel nome di difficile
traduzione). Che, come vedete sopra, l’originale era “La figlia del comunista”.
Con un senso ben preciso, che i viaggi cui potrebbe alludere il titolo, non
sono viaggi, ma piuttosto rifugi, scappatoie, allontanamenti, voluti o forzosi.
Non conosco la storia di Aroa, e mi domando anche i sensi dei ringraziamenti
finali che alludono a frequentazioni con il mondo germanico, che non sembrano
uscire dalla biografia nota. Il testo, infatti, è sì incentro su di una
protagonista spagnola, Katia, ma anche su tutta una biografia, una vita molto
germanica. Katia è figlia di due esuli spagnoli, fuggiti dalla madre patria in
seguito alla vittoria del franchismo. Prima il padre, poi raggiunto,
ricongiuntosi con la moglie, rifugiati nella comunità degli esuli spagnoli in
Germania Est. Vediamo l’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza di Katia in un
Berlino prima solo capitale dell’Est, poi divisa dolorosamente dal ’61 in poi
dal famigerato Muro. Katia cresce divisa tra ricordi non suoi di una patria che
non ha mai visto ed un presente, fatto di tante piccole cose, di file per il
cibo, di rammendi di vecchi maglioni o di vecchi cappotti. Aroa riesce a ben
rappresentare la rottura mentale di chi, negli anni Cinquanta, viveva all’Est,
ma vedeva ancora, seppur forse in modo distorto, cosa avveniva “al di là”.
Erano i tempi in cui si poteva circolare abbastanza, così come faceva Johannes,
tedesco occidentale che capita casualmente a Berlino Est, ed altrettanto casualmente
vede Katia e ne rimane fulminato. La narrazione segue infatti una
tripartizione. La gioventù di Katia in quello strano mondo recluso fino
all’agnizione, alla scoperta di Johannes, ed alla decisione di fuggire. Senza sé,
senza ma, e senza guardarsi indietro, lasciando padre, madre, sorella, affetti,
certezze. Una dura parte centrale, in cui seguiamo le peripezie di Katia, che
con uno sconosciuto si reca prima in Cecoslovacchia. E da lì, più facilmente, ma
sempre con pericolo, attraversa clandestinamente la frontiera austriaca, e
ricongiungersi con il suo Johannes. Quindi l’ultima, dolorosa sezione dedicata
alla vita in occidente. Ai difficili rapporti con la famiglia dell’amato. Il
matrimonio, i figli, la mai completa accettazione della sua “esistenza” da
parte degli occidentali. Lei, la “spagnola” (anche se nata e cresciuta a
Berlino), la figlia del comunista, in un mondo in cui tanto per dirne una, il
padre di Johannes aveva combattuto nelle forze armate del Reich. La storia
narrata da Aroa si allunga per quasi quaranta anni, si arriva alla caduta del
Muro, alla riunificazione tedesca. Senza entrare in particolari che vi
consiglio di leggere (c’è un dolore che la scrittrice rappresenta con una bella
scrittura), Katia decide di tornare a vedere cosa sia successo alla sua
famiglia. La notizia della morte del padre. Il ritrovamento della sorella e
della madre. Ed il doloroso, lacerante confronto tra loro. Finendo con la
lettura di tutta una serie di documenti che le rivelano l’altra faccia della
sua fuga. Che tirano fuori tutte le brutture che si sono accumulate in anni e
anni. Non è certo facile la materia che Aroa decide di trattare, piena di tante
domande e di poche risposte. Cosa si aspettava Katia fuggendo? L’amore, si, una
vita diversa, si, ma poi? Cosa lasciava indietro? Cosa avrebbero subito i suoi
cari in seguito alla sua fuga? Una parte che ci fa risaltare in maniera
lampante l’apolidismo di Katia è il viaggio a sorpresa che le regala Johannes,
una volta caduti i muri, portandola per la prima volta a vedere la Spagna della
sua famiglia. Ma anche lì, Katia non ha posto. È la figlia del comunista
fuggito, ma non è spagnola, non è tedesca, forse è solo Katia. Ma anche questa
identità non è chiara, almeno per lei. Sembra una foglia che si fa trasportare
dal vento senza riuscire a metterci qualcosa di suo, ad essere non dico
positiva, ma almeno propositiva. Subisce, soffre. Lotta per uscire da una
situazione dura (almeno per una diciottenne) ma sembra non prendere mai
coscienza. Però la storia è bella, cioè avvince per le domande che pone. Come
si viveva all’Est? La storia scritta dai vincitori alla Merkel quanto si
riflette nella storia subita dai perdenti? Ah, come vorrei poterne parlare
ancora con mio padre, che tanto di quel mondo conosceva! Un ultimo accenno,
dove nel primo capitolo si parla di balli dell’Est e dell’Ovest, soprattutto
per quella musica che non conoscevo, e che fu spinta a lungo dai media dell’Est
negli anni Cinquanta. La “Lipsi Tanz”, che consiglio, a chi non conosce, di
sentirne su “YouTube”. Imperdibile.
In
giorni di quarantena, si ha anche più tempo per i miei voli mentali, quindi vi
allego una disamina completa della felicità e della Ferrante.
Spero
i più attenti abbiano notato che questa diciassettesima trama viene pubblicata
nel diciassettesimo giorno di maggio, creando una ripetizione dell’editing che
a me intriga: “17 2020 del 17 05 2020). Per il resto, da domani si comincia a
mettere il naso fuori casa con meno “angosce”, in settimana si potrà andare
senza tema in campagna, e da giugno saremo con ogni probabilità in giro anche
più a lungo. Lo auguro a tutti di cuore, così che non più virtuale possa darvi
abbracci .
I LIBRI CHE CI AIUTANO A VIVERE FELICI di Giulia
Fiore Coltellacci con i commenti di Giovanni
MAGGIO 2020
E dopo svariati mesi di cure “rapide”, passiamo a cose più
massicce, a delle cure intensive, indicate anche in questi mesi di scarsa
mobilità, e soprattutto questa poderosa dedica alla saga “geniale”.
CURE
INTENSIVE 2
Ci sono situazioni in cui un approccio
terapeutico tradizionale si rivela insufficiente e si richiede un intervento
più prolungato e massiccio, cure intensive da ripetere a cicli.“L’AMICA GENIALE” di ELENA FERRANTE (2011-2014)
Cicli
di cure: quattro.L’amica geniale 2011
Storia del nuovo
cognome, 2012
Storia di chi fugge
e di chi resta, 2013
Storia della
bambina perduta, 2014
Principio
attivo: amicizia tra donne.Eccipienti:
rivalità, complicità, amore, odio, Napoli, vita.
Composizione
Elena
Ferrante è un caso letterario non solo per il successo indiscusso dei suoi
romanzi, capaci di stregare i lettori di tutto il mondo (in America ne vanno
pazzi), ma anche per il mistero che circonda la sua identità. Chi è Elena
Ferrante? Nessuno lo sa, nessuno l’ha mai vista e lei non ha nessuna intenzione
di svelare questo segreto. Tra la disapprovazione di chi detesta gli enigmi e
l’adorazione di quanti sono convinti che il fascino dei romanzi sia molto più
importante della vera identità dell’autore, il caso è materia per detective
consumati. Ma con quella abilità di sorprendere che è una delle sue doti
migliori, è Elena Ferrante per prima a dimostrare eccellenti doti investigative
nella quadrilogia dell’Amica geniale in cui, con l’andamento di un moderno
romanzo popolare, indaga a fondo nella natura complice e complessa del rapporto
d’amicizia tra Elena e Lila. Le conosciamo bambine, le vediamo diventare
adolescenti, giovani donne e poi adulte mature, pedinando indiscreti il loro
percorso individuale e l’evolversi del loro legame sullo sfondo del rione, di
Napoli e dell’Italia dal dopoguerra ad oggi. Una folla di personaggi secondari,
forti e potenti come fossero protagonisti, completa questo enorme quadro in cui
le frasi hanno il vigore vorticoso e colorato delle pennellate di Van Gogh e di
cui viene raccontata una storia fiume che, con un flusso di parole fitte come
gocce di pioggia battente (ma non c’è una goccia di troppo) travolge il lettore
trascinandolo, volente o nolente, fino all’ultima pagina. C’è una malia nella
scrittura della Ferrante che impedisce di lasciare il libro a metà perché si ha
la sensazione che, chiudendolo, le protagoniste rischino di rimanere
intrappolate nella storia e si teme di far loro un torto non accompagnandole
fino all’epilogo. Così il lettore finisce per divorare il libro mentre la storia
lo inghiotte in un mondo quasi prevalentemente femminile. Con una naturalezza
sorprendente, Elena Ferrante affronta le complicate sfumature (altro che
cinquanta) dell’amicizia tra donne, che dopo il rapporto madre-figlia è uno dei
più complessi da decifrare.
Fin
da piccola Lila ha un carisma che attare e allarma, incanta e spaventa, accende
e brucia, ipnotizza e scotta. Ha la potenza di una sirena, enigmatica,
incantevole e pericolosa. Ha la capacità di rendere ogni cosa seducente,
iniettando calore in ciò che è freddo, immaginando cose che non ci sono e
riuscendo a farle vedere anche agli altri, è una stella esplosa di cui ognuno
vuole afferrare un frammento, anche chi la detesta. Disubbidiente, sfrontata,
perfino cattiva, è spinta nella vita da una determinazione assoluta, sempre
alla ricerca di un modo per far funzionare la testa, una testa che non sa darsi
pace. Per dirla come Michele Solara, eternamente innamorato di lei, Lila “se la
lasci fare cambia la merda in oro”. Nel luccichio di tutto questo oro a Elena,
voce narrante della storia, caparbia e tenace fin da piccola nel suo slancio
per studiare, migliorarsi, distinguersi e lasciarsi il rione alle spalle, non
resta che inseguire l’amica, vivendo nella sua ombra e nutrendosi della sua
luce anche quando è lei a essere sotto i riflettori. Lila e Lenù sono ‘una di
due, due in una’, legate da un filo invisibile di complicità e rivalità, odio e
amore, competizione e ammirazione, dipendenza e volontà di autoaffermazione. La
continua e dolorosa competizione con Lila, amorevole e perfida, devota ed
egoista, è per Elena una sfida con sé stessa, capace di insinuarle il dubbio
che tutte le sue scelte, le sue decisioni, i suoi pensieri, le conquiste e i
successi in realtà siano merito di Lila. E così continua a vivere nell’ombra di
quell’amica che odia e ama come sé stessa e senza la quale si sente mutilata. È
così forte la natura di questo rapporto da credere che forse l’altra metà della
mela di cui parlava Platone sia propria la migliore amica. Ovviamente no, ma è
certo che senza la presenza (anche nell’assenza) dell’amica geniale, sia Lila
che Elena sarebbero due metà destinate a marcire, proprio come molti dei
personaggi che animano le strade del rione e le pagine dei quattro romanzi.
Ogni
donna sa quanto sia difficile l’amicizia tra donne. Non è un argomento scoperto
da Elena Ferrante, solo che sentirlo raccontato da lei fa tutto un altro
effetto (terapeutico). Questo, d’altra parte, è il potere taumaturgico della
letteratura.
Posologia
Si
dice sempre che l’amicizia tra uomo e donna sia impossibile. Ma perché, quella
tra donne vi sembra più facile? In entrambi i casi a complicare i rapporti sono
due patologie. Per dirla come Billy Crystal in “Harry ti presento Sally”, tra
uomo e donna il problema è la fissazione maschile a fare sesso con ogni donna
considerata attraente. A rendere difficile e spinosa l’amicizia femminile,
invece, è il complesso d’insicurezza che spinge involontariamente le donne a
fare continui confronti e paragoni, in una perenne sfida con l’altra che è una
sfida con sé stesse. In questo modo si alimenta una sorta di gelosia inconscia
e inconsapevole che non è invidia ma una forma di paura, il timore di essere
abbandonate perfino dalla propria migliore amica. Al manifestarsi dei primi
sintomi contrastanti di amore e odio verso la vostra migliore amica,
l’assunzione della quadrilogia de “L’amica geniale” vi garantisce una graduale
sensazione di sollievo mettendo in circolo la consapevolezza che il vostro è un
sintomo piuttosto comune (da tenere sotto controllo per evitare che degeneri).
Se applicati con costanza, i romanzi si rivelano una pomata dalla consistenza
corposa, utile per alleviare varie forme d’insicurezza e curare eventuali
dolori muscolari causati dall’eterna rincorsa della propria amica geniale (il
muscolo a cui ci si riferisce in particolare è il cuore). Massaggiando con
cura, è possibile attenuare quel velenosissimo senso d’inferiorità che è una
delle maggiori cause dell’infelicità femminile.
Le
lunghe vicende delle amiche geniali consentono anche di ricomporre le fratture
emotive causate dall’insoddisfazione personale. Elena, mite e docile, è
attratta dalla forza di Lila che, dominatrice e leader per natura, è a sua
volta abbagliata dalla caparbia determinazione dell’amica. Questa è la
riconferma che tutti vorremmo essere sempre come non siamo e, nonostante gli
altri ci sembrino più forti, siamo in realtà tutti ugualmente sperduti e
impreparati di fronte alla vita. L’assunzione di questo principio attivo depura
l’organismo dalle scorie ella frustrazione esistenziale.
Effetti collaterali
Vista
la difficoltà del rapporto che lega le protagoniste, alcune lettrici
(soprattutto quelle con storie pregresse di amicizie complicate) potrebbero
essere portate a convincersi che sia più salutare non avere affatto un’amica
del cuore in modo da proteggere il muscolo cardiaco da eventuali ripercussioni
negative come tachicardie, aritmie e soffi. Ma questo effetto collaterale non
dovrebbe manifestarsi se si porta a termine il ciclo di cure arrivando alla
balsamica conclusione che le cose più belle sono sempre faticose. L’amicizia
non fa eccezione.
Anche
la lettura della quadrilogia potrebbe essere faticosa: la trama è densa di
eventi concatenati che risucchiano parecchie energie a livello emotivo. Si consiglia,
pertanto, d’intraprendere l’iter curativo on ottimo stato fisico e mentale.
L’autrice stessa ha dichiarato che ‘i moltissimi fatti della vita di Lila ed
Elena mostreranno come l’una tragga forza dall’altra. Ma attenzione: non solo
nel senso di aiutarsi, ma anche nel senso di saccheggiarsi, rubarsi sentimento
e intelligenza, levarsi reciprocamente energia’. Risucchiati nella storia, noi
saccheggiamo l’intelligenza alla Ferrante mentre lei ci sottrae energie
ricaricandoci di forza interiore. Non vi rimane che restare sdraiati sul divano
a finire la quadrilogia.
Alcuni
lettori poterebbero esser contagiati dalla smania di conoscere la vera identità
di Elena Ferrante, nevrosi collettiva che causa forti cefalee e inutili
malumori. Sconsiglio pertanto di lasciarsi contagiare. In molti sono convinti
che l’unico dato certo riguardo l’identità segreta dell’autrice sia il sesso,
perché solo una donna è in grado di parlare alle donne delle donne in modo così
sincero, profondo e spietato. Un uomo sarebbe stato, forse, più indulgente.
Certo che, se fosse un uomo, bisognerebbe stringergli davvero la mano e dargli
il Nobel per la scienza perché sarebbe uno dei pochi esemplari al mondo ad aver
capito davvero qualcosa del mistero femminile. Anzi, di quel groviglio ingarbugliato
di sentimenti contrastanti che è l’amicizia tra donne. Già una donna è
complicata, ma due insieme sono un cubo di Rubik, un rompicapo che pochi
riescono a risolvere senza farsi venire crisi isteriche. Tra quei pochi c’è
Elena Ferrante, chiunque sia.
Commenti
Nonostante il finale in altalena, ritengo sia una
quadrilogia da leggere in ogni caso. Dei quattro libri, sfogliando i mei
appunti, vedo che il giudizio è andato così: 3 e ½, 4, 3 e 2 e ½. Faccio anche
notare che non ho faticato molto ad avere questi libri, frutto di doppi regali,
graditi e compleannici.
Elena Ferrante
“L’amica geniale” E/O s.p. (Regalo di compleanno 2014 in ritardo di
Rosa&Emilio)
[pubblicato il 21 settembre 2014]
Per
rimanere in un linguaggio tematico caro all’ignota autrice, eccoci a leggere il
primo libro della trilogia (o forse quadrilogia) de “L’amica geniale”. Appunto
si diceva, una scrittura “molesta”, nel senso di scomoda, tormentata, in ogni
cosa, che non lascia indifferente. Come non lascia indifferente la non
esistenza di Elena Ferrante. Perché si sa che questo è uno pseudonimo, e si sa
anche che non vuole si sappia chi si cela dietro. Quindi non è mai comparsa in
pubblico, non è presente nei talk-show televisivi (e per fortuna), non si sa
nemmeno se sia donna o uomo (anche se la sensibilità dei suoi scritti mi
farebbe escludere che ci sia dietro una mano maschile). E questi sono tutti
punti a favore. Così ne parliamo solo rispetto a quello che produce. Non
possiamo nasconderci dietro contesti vari, ma dobbiamo attenerci al testo, ed a
quello che ci suscita. Detto quindi tutto il bene possibile di chi scrive, di
come ha scelto di vivere, e del resto “esterno”, veniamo al libro, alla trama,
alle sensazioni. Un libro non facilissimo, bello sicuramente, che ci trasporta
per 300 pagine nel ventre di Napoli, nelle sue miserie, nelle sue esaltazioni.
E che ci porta nell’infanzia dell’io narrante, intorno alla seconda metà degli
anni Cinquanta, usando un approccio che ci fa presagire (anche se non lo
sapessimo) l’uscita di altri volumi. Si inizia, infatti, ai giorni nostri
quando Lila, sessantasei anni, scompare, e la sua amica e sodale di sempre
Elena detta Lena, comincia a narrare le loro storie, per farci capire chi fosse
Lila (e chi è lei stessa, Elena). Percorriamo così, in questo primo volume,
l’infanzia e la prima adolescenza delle nostre due ragazze napoletane.
L’incontrarsi alle scuole elementari, Lila figlia dello scarparo, e Lena figlia
di un usciere. La nascita di un’amicizia, narrata con un piglio che ci fa
percorrere, battito dopo battito, tutte le palpitazioni che percorrono la vita
degli adolescenti. In questa la Ferrante è senza dubbio magistrale. Dipinge e
ci fa sentire vive attrazioni e repulsioni, sfide e contro-sfide. Fin
dall’inizio cerchiamo poi di immaginare il titolo e la sua applicazione. Che
Lila è geniale ma lo è, a suo modo, anche Lena. Scrittura stratificata, dove
non solo si parla di bimbi che crescono (e già questo ben riesce), ma si parla
di una città che uscita dalla guerra stenta a ritrovar sé stessa. E se lo fa,
spesso lo fa in modi svogliati e sbagliati (quanto si sente la vicinanza della
scrittura della Ortese ne “Il mare non bagna Napoli”). Contemporaneamente, ed
intorno, si vede anche l’Italia stessa uscire dalla guerra, crescere ed
avviarsi al boom degli anni Sessanta. Ferrante riesce in una sapiente opera di
fotografia in progressione, mostrando piccoli elementi che ci fanno capire
grandi rivolgimenti. Anche volendo tralasciare i “guappi” di periferia e le
loro prime macchine, ci sono i primi trasporti pubblici verso il centro, la
discesa per via Toledo, le pizzette di Spaccanapoli, le prime televisioni che
riuniscono amici e nemici per vedere Mike Bongiorno e “Lascia o raddoppia”. Ma
anche i sogni di chi ha l’intelligenza per studiare ma non i soldi (Lila) e chi
i soldi riesce a trovarli e studia e con profitto (Lena). Pur nel divergente
parallelismo, le nostre due ragazze rimangono legate da un sentimento di fondo
più forte del resto. Anche quando Lena prenderà tutti dieci al liceo. Anche
quando Lila, dopo uno sfortunato tentativo di sfondare nella calzoleria,
deciderà di sposare, a quindici anni, Gino, il figlio del farmacista. Uno con
una posizione, lì nel Rione. E se vogliamo con i soldi (anche se non si sa
quanto “puliti”). Altrettanto bella è la descrizione corale degli altri ragazzi
del rione, con i loro sogni, le loro paure, i loro entusiasmi, le loro tante
sconfitte ma anche le rare ed entusiasmanti vittorie. Vedremo, se capiterà,
cosa avverrà dopo, quali saranno le strade che Lila, Lena e Napoli
percorreranno. E detto tutto il bene della scrittrice, della scrittura, dei
temi trattati, insomma della cosmogonia presente nel libro, devo comunque alla
fine confessare che non mi è piaciuto “alla morte”. Molte volte le situazioni
mi hanno trascinato senza coinvolgermi, le sensazioni le ho viste ma non
vissute. Ho apprezzato il punto di vista femminile da cui venivano lette le
situazioni, ma, forse, non sempre l’ho capito sino in fondo. Da come ne
parlavano amici e conoscenti mi aspettavo senza dubbio qualcosa di più
intrigante. Un bel libro, però, che continuerei a consigliare a chi volesse
leggerlo, e che sono contento mi sia stato regalato.
Elena Ferrante “Storia
del nuovo cognome” E/O s.p. (regalo di Rosa&Emilio)
[pubblicato il 29 novembre 2015]
E
siamo al secondo volume della tetralogia di Elena Ferrante (su cui non ritorno)
dedicato all’amicizia. Chi mi legge assiduamente sa che del primo volume
(sempre regalo di Rosa & Emilio che spero ora mi regalino anche gli altri),
letto lo scorso anno, ho apprezzato la scrittura, potente e fluida, ma il libro
in sé non mi aveva convinto del tutto. Qui siamo senz’altro in ripresa. Sarà
forse che le protagoniste crescono e le loro storie mi avvincono più delle
vicende infantili (cioè dell’infanzia) narrate nel primo. Sarà che esce di più
la personalità della scrittrice, dell’io narrante, questa Elena Greco che
cerca, attraverso lo studio di uscir fuori dal mondo chiuso e gretto del rione
di Napoli che ne ha visto i natali (uscire per poi apprezzare il buono che
comunque quel mondo le ha dato). Sarà anche che Lila, l’amica geniale (che non
mi sta per ora proprio simpatica) è a volte più sullo sfondo, anzi talvolta
viene lasciata da parte per pagine e pagine. Pur se la sua presenza, ed il
rapporto simbiotico palesemente nascosto tra Lila e Lenù è sempre vivo e sempre
fa da filo rosso della storia. Se devo fare solo una prima critica personale,
mi trovo in difficoltà con tutti i personaggi che girano introno alle pagine.
Certo, alla fine delle quasi 550 di questo libro, molti hanno ormai una loro
caratteristica, una loro presenza, anche se tuttora, dopo due libri, continuo a
confondere Antonio ed Alfonso. Ed anche se c’è una specie di indice dei
personaggi all’inizio del volume, riesco sempre a mescolare i parenti tra di
loro. Anzi mi sfugge spesso chi è parente a chi. Comunque, si terminò il primo
volume con il matrimonio di Lila che poco aveva convinto Lenù. In tutto questo
secondo volume assistiamo alle due parabole di vita che coinvolgono le due
amiche, tra discese ardite e le risalite (come diceva Lucio). Lenù come detto studia,
anche se all’inizio con fatica. E ribadisco che vede lo studio solo come mezzo
di uscita dalla vita che sta vivendo, anche se non focalizza uscita per dove e
da dove. Si illude di voler bene ad Alfonso (o era Antonio?) ma è fumo. Per 2/3
invece parla del suo trasporto verso Nino, che nel primo l’aveva baciata. Che
ora è universitario, che fa grandi discorsi politici (siamo comunque nei primi
anni ’60). Nino che ritrova in vacanza ad Ischia, che lei cerca in tutti i modi
di conquistare. Ma Nino non se la fila de pezza, perché invece è preso, e da
sempre da Lila. Delusione tremenda, tanto che Lenù si concede addirittura al
maturo padre di Nino per perdere la verginità. Poi però passa la maturità con
buoni voti, tanto che partecipa al concorso e vince una borsa di studio per la
Normale di Pisa. L’ultimo terzo del libro è quindi narrato un po’ su ricordi, e
molto su quanto poi apprenderà al ritorno dalla città degli studi. A Pisa, fa
vita libera, finalmente lontano dalla madre oppressiva. E soprattutto dalla
presenza di Lila che ogni volta la tarpa. Così che riesce anche a scrivere un
corto libro (137 pagine, dice) trasponendo le vicende della sua pur breve vita.
Ed il suo ultimo amore, tal Pietro di Genova, dai buoni natali e dai buoni
contatti, riesce a farlo pubblicare. Dall’altra parte vediamo la parabola
inversa di Lila, che si accorge ben presto di non amare Stefano, di aver
pensato di sposarlo per raggiungere una agiatezza economica che le consenta di
uscire dal suo mondo chiuso e gretto (quello che Lenù vuole ottenere con lo
studio). Ma non è la “sua” vita quella di bottegaia di salumeria, o anche di
padrona di negozio di scarpe. E non riesce a far figli con Stefano. E sono
proprio le vicende dei negozi che complicano tutto (ed i soldi a quello legati).
Con il suo modo “strampalato” di vedere le cose, che solo Lenù riesce a
decrittare, si inimica Pina, poi Carmen, litiga sempre di più con i Solara (i
mafiosi del rione), e soprattutto si avvia verso la rottura con Ada. Come
detto, ovvio, ha delle uscite geniali. Il primo modello di scarpe, l’arredo del
negozio. Ma è un giullare, capace di singole imprese mirabili ma a cui manca la
continuità. E quando ad Ischia ritrova Nino, un’altra persona capace di
risvegliare il suo lato geniale, si dà fino in fondo all’amore proibito. Pur
sapendo che Lenù è presa da Nino, lo vuole per sé, lo prende. E tornata a
Napoli continua ad averlo come amante. Tanto che finalmente rimane incinta. Ma
quando decide di fuggire con Nino, la quotidiana convivenza sopravvivrà solo 23
giorni. Troppo forte il suo carattere. Per chiunque. Ed anche Nino si perde e
fugge. Lila torna per un po’ con Stefano. Partorisce Rinuccio, il figlio di
Nino. Cerca di sopravvivere. Ma intanto il marito si era già allontanato,
instaurando una tresca stabile con Ada. Allora si, che Lila e Rinuccio fuggono,
rifugiandosi dall’amico Enzo, in un rapporto di convivenza e di amicizia senza
sesso. Anche se Enzo è da sempre innamorato di Lila. Il libro si chiude con un
dibattito in una libreria di Milano per la presentazione del libro di Lenù. E
sull’intervento, più o meno critico, che fa uno spettatore. Che guarda caso è
proprio lo scomparso Nino. Mi accorgo, rileggendo, che ho narrato la storia a
modo mio. Saltando molte parti. Ma questo è il mio modo di tramare. Non è detto
che si debba fare un riassunto del libro. Io tiro fuori quelle bolle che le
parole mi hanno fatto scaturire. Saltando, tralasciando, fissandomi magari su
elementi marginali, che a me hanno comunicato qualcosa. Ed alla fine, sono
comunque contento di aver avuto questo regalo che mi ha forzato a leggere
questo secondo libro. E mi ha incuriosito di sapere cosa succede negli altri.
Elena Ferrante “Storia
di chi fugge e di chi resta” E/O s.p. (Regalo di Natale di Bene&Fra)
[pubblicato il 23 settembre 2018]
Concludevo
la lettura e la trama del secondo libro della geniale amicizia di Elena
Ferrante con il voto di poter leggere gli altri volumi sperando di averne in
regalo da chi mi aveva omaggiato con i primi due. Per ironia della sorte o del
caso, i due ultimi (ultimi?) volumi mi sono stati invece sempre regalati da una
coppia, passando da Rosemilio a Benefra. Ma non di questo voglio parlare, ma
solo ricordare di passaggio. Vorrei invece andare subito al libro e nel libro.
Di quelli ad ora letti, devo dire che è quello che meno mi è piaciuto, quello
con cui meno sono entrato in sintonia. Anzi, la parte finale l’ho trovata dura
da leggere, non riuscivo a progredire, laddove la trama ed il testo si andavano
infilando in cul de sac prevedibile e scontato. L’altro dato che emerge da
questo terzo libro è lo spostamento sempre più accentuato dell’attenzione da
Lila a Lenù. Sebbene non sappia dirvi se sia un bene o un male, è da constatare
e sottolineare. Lenù ormai ha la maggior parte della vita lontana da Napoli, ed
i suoi rapporti con la città e con l’amica sono sempre più telefonici e
distanti. Abbiamo così le loro due storie che proseguono, a volte si
intrecciano, ma come i binari forse si incontreranno solo all’infinito (vedremo
nel prossimo volume). Quindi a Napoli abbiamo Lila che continua a vivere con
Enzo e Rinuccio in quel di San Giovanni a Teduccio, in quelli che saranno gli
anni Settanta (e quindi con le protagoniste che si avviano ai trenta anni
essendo nate, come sappiamo, nel 1944). Lila lavora in fabbrica, sopporta
angherie varie. Enzo fa lavori oscuri e studia la sera su libri di
programmazione, capendo, intuitivamente, quale sarà il prossimo futuro. Lila fa
uscire la sua coscienza politica con le prime lotte in fabbrica, e lì la nostra
autrice ha buon gioco nel descrivere il clima italiano e napoletano di quegli
anni. Studenti velleitari a volantinare davanti alle fabbriche, operai che non
capiscono che cosa si vuole da loro, padroni e fascisti alleati a reprimere,
con la forza, tutte le manifestazioni del dissenso. Lila si ribella, Lenù
l’aiuta pubblicando un articolo sulla fabbrica, Lila viene licenziata, anche
perché sono sempre i cattivi Solara che hanno in mano la fabbrica. Lenù che con
i suoi contatti derivanti dallo sposo (su cui si tornerà) procura un nuovo
posto di lavoro a Enzo e Lila, nel centro informatico che la IBM inaugura a
Bagnoli (e la storia dell’informatica di allora di intreccia con la mia storia,
che alla fine degli anni ’70 anche io entrai in quel mondo, pensando durasse
poco, e ne sono uscito solo 35 anni dopo). Enzo e Lila che, forse, cominciano
ad avere una “loro” storia d’amore, ma lì, in IBM, Enzo guadagna più di Lila
(solita disparità uomo-donna) tanto che alla fine Lila accetta il ruolo di capo
informatico nella nuova industria messa in piedi proprio da Michele Solara, il
cattivo, mafioso ed antipatico, che dal primo libro la insidia. Lila dice che
sarà lei ad usare Michele, mentre Lenù sostiene il contrario. Vedremo. In
parallelo, ma sempre più in primo piano, seguiamo invece la storia di Elena
Greco. L’avevamo lasciata all’uscita del suo libro ed all’incontro con il mai
sopito amore di Nino Serratore. Ma Lenù procede, anche se non a grandi passi.
Sposa, ma solo civilmente, Pietro Airota, alla cui famiglia si è appoggiata per
allontanarsi da Napoli ed avere una sua indipendenza. Aiuta Lila nelle lotte
sindacali, inimicandosi l’ala estrema dei movimenti napoletani, esemplificata
da Pasquale Peluso (il primo che si innamorò di Lenù) e da Nadia Galiani (la figlia
della professoressa). Ma la vita di famiglia la prende oltre misura. Fa due
figlie, Dede ed Elsa. Si inimica la sorellina Elisa che si fidanza con l’orrido
Marcello Solara (si quello dei camorristi). Vede passare da Firenze Pasquale e
Nadia, avviati (noi lo sappiamo, loro no), alla lotta armata. Elena prova a
continuare a scrivere, ma non ci riesce più. Trova un aiuto, parziale e
laterale, da Mariarosa, la sorella di Pietro, diventata super-femminista. Per
tutto il libro assistiamo alla caduta verso lo sfacelo della vita di Elena, ce
ne accorgiamo noi, forse anche gli amici, ma lei no. Sarà il ritorno alla
ribalta di Nino che provocherà una svolta. Nino che ha fatto un figlio
(Rinuccio) con Lila, Nino che ha fatto un figlio (Mirko) con Silvia di Milano,
Nino che ha sposato Eleonora ed ha fatto un figlio (Albertino) con lei. Nino
che le professa il suo immutato amore sin dai tempi di Ischia (ma perché non lo
fece allora? Perché si mise con Lila?). Ed Elena cade con tutte e due i piedi
nel trappolone amoroso. Certo, questo gli dà la spinta di riprendere la
scrittura, che la quotidianità e la poca verve di Pietro le avevano spento. Il
libro finisce con la fuga d’amore di Elena e Nino, che abbandonano i rispettivi
figli per una settimana a Montpellier. Finisce anche con Lila che questa volta
prende lei a male parole Elena, così come questa aveva fatto all’epoca del
matrimonio dell’amica. Trovo che il libro (non la scrittura) si stia troppo
scentrando. Come parlare a nuora perché suocera intenda. Proclamare tutto
l’interesse per l’amica geniale, e passare quasi mille pagine a parlare di sé.
Vedremo nel quarto libro come tutto ciò andrà verso il suo fine. Sono stato
contento, andando in giro per il mondo di vedere i libri della Ferrante in
molte librerie, soprattutto anglosassoni. Sono contento del successo di una
scrittura che non può che portare lo straniero ignaro a cercare di capire
meglio Napoli ed il nostro tormentato Sud. Tuttavia, questa svolta non mi è
piaciuta, penso che questo sia il meno belli dei tre libri che ho letto. Troppa
carne al fuoco, perché si passa anche dall’analisi della sola Napoli ad un
voler mescolare tutto, nel calderone dell’avanzare dei giorni e degli anni:
economia, politica, carriera universitaria, nascita dell’informatica, terrorismo.
Un romanzo non è (sempre) un calderone che contiene tutto. Basta alla sua
esistenza che contenga anche una sola idea che ci coinvolga, che ci faccia
pensare. Vorrei sempre leggere un libro, non una sintesi wikipediana del mondo.
Vedremo, vedremo, vedremo.
“Ebbi la certezza che gli volevo bene, era
una persona che sapeva il suo valore e tuttavia, se necessario, si dimenticava
di sé con naturalezza.” (83)
Elena Ferrante “Storia
della bambina perduta” E/O s.p. (Regalo di Bene&Fra)
[pubblicato il 23 settembre 2018]
E
con questo quarto volume si chiude la grande “saga” di Elena Ferrante
intitolata “L’amica geniale”. Per i maniaci della precisione riporto in fondo
l’elenco completo delle “puntate” così come risulta dallo scritto stesso
dell’autrice. Intanto, riprendo, ribadisco ed approfondisco il giudizio, che
questo libro mi è piaciuto ancora meno del precedente. Sarà che finalmente esce
allo scoperto (ma lo dirà solo a pagina 438, e io non vi dico cosa dirà), sarà
che abbraccia un arco di tempo lungo, troppo lungo, sarà che questo è il tempo
(anche) mio, ma la lettura che ne dà Greco/Ferrante è troppo poco incisiva. Non
che io abbia desiderato un libro politico, non è questo il luogo, ma se si
danno pennellate sulla vita che ci ha visto presenti ed attivi, avrei bisogno
di qualche scatto in più. Scatto morale, scatto politico. Invece, continuando
l’equilibrismo tra pubblico e privato, non si dà luce né all’uno né all’altro.
Continuiamo così a seguire le vicende delle due amiche. Come sappiamo Elena
lascia il marito per Nino, che però non lascia la moglie. Nino è sempre stato
un personaggio a me antipatico. E qui, pagina dopo pagina, scopriamo fino a che
punto lo è. Non lascia la moglie, con cui fa un altro figlio. Fa una figlia con
Lenù, che verrà chiamata Imma. Continua a tradirla senza che lei se ne accorga.
Ci impiegherà una vita, ma alla fine lo caccia via. E di Nino seguiamo tutta la
parabola personale e politica: barricadero in gioventù, poi comunista ma
moderato, negli anni ’80 socialista ed onorevole, quindi travolto da “Mani
pulite” (ma che la Ferrante non cita mai con il suo nome), poi riciclato in
qualcosa tipo “Forza Italia” o giù di lì. Insopportabile. Soprattutto,
nell’atteggiamento verso le donne. Non se ne lascia scappare una. E Lenù, occhi
foderati d’amore, faticherà una vita a capirlo. Lenù che scrive di meno,
affogata tra la cura di Dede, di Elsa, di Imma. Che è tornata a Napoli. Che ha
ripreso le vecchie ragnatele di rapporti. Che si ritrova con Lila. Lila fa
anche lei una carriera folgorante, ma nel ramo informatico. Si mette in proprio
con Enzo, sfrutta per prima le molte possibilità dell’elettronica, continua a
fare sgarbi ai Solara, a tutti e due i fratelli camorristi, ed alla fine con
Enzo fa anche una figlia Tina. Qui la Ferrante mette il pezzo forte di questo
ultimo libro: non si sa come, né forse esattamente perché, durante un momento
convulso della vita di Lila, Lenù, Nino e le figlie, scompare Tina. E non sarà
più ritrovata. Ormai la strada è in discesa, ed il libro non farà altro che
percorrerla tutta, attorcigliandosi intorno ai rimpianti di cosa poteva essere
e non è stato. Ma se Lila si “liquefà” intorno a questo avvenimento, non ne
uscirà più (e con ragione), andando sempre più alla deriva, con mestizia, a
volte, ed a volte con cattiveria. Sino alla conclusione che conosciamo sin dal
primo libro. Perché è quella conclusione che ci viene presentata nel prologo, e
che ora ci si ripresenta. Senza soluzioni, che la vita non sempre chiarisce
tutto (non siamo certo in un romanzo giallo). D’altra parte, invece, abbiamo
Lenù, che si rimette a camminare con le proprie gambe, che non dipende (cerca
di non dipendere) né da Pietro né da Nino. Ma trascura le figlie, che ben
presto crescono ed avranno voglia di vedere altro nel mondo. In questo aiutate
più da Pietro che da altri. Elena, in questo crescere tormentato, (ri-)scopre
l’amore per la madre Immacolata e la assiste nella sofferenza e nel trapasso.
Elena continua a combattere per continuare a scrivere, per essere sé stessa,
anche se la colpa di non seguire le figlie da vicino la spezza interiormente.
Ma lei ha bisogno di scrivere, di viaggiare, di girare l’Europa, e tanto altro.
Ha bisogno di tempo per continuare a scoprire sé stessa, per continuare a
sentirsi o ad essere indipendente. Lina e Lenù vivono l’approssimarsi della
vecchiaia, della morte, in parallelo, vicine ma ognuna per proprio conto. Lila
affoga le sue angosce nel tentativo di scoprire i misteri di Napoli, leggendone
e scrivendone, ma solo per sé stessa. Ma quando Elena le chiede di ripensare a
questi cinquanta, e poi sessanta anni, e poi quanti altri ancora, ecco che Lila
esce fuori con una delle sue frasi che vanno dritte al cuore, al cuore
dell’amica e dei problemi: “Stai invecchiando come si deve … hai smesso di
essere figlia, sei diventata veramente madre.” Poi le figlie di Elena vanno a
vivere all’estero, Elena scrive un’ultima storia sulla sua amicizia con l’amica.
Con la speranza che Lila possa finalmente vivere una vita sua, secondo i suoi
canoni, che i legacci della vita le avevano impedito di seguire. Speranza vera?
Speranza folle? Speranza di due amiche che forse sono entrambi geniali, almeno
in alcuni ambiti. Perché come sappiamo, è difficile, forse impossibile, essere
geniali, essere intelligenti “a tutto tondo”. Ci saranno sempre per ognuno
delle zone d’ombra. Ci sarà sempre qualche pagina di troppo scritta dalla
Ferrante per questa storia, che, finalmente, dopo più di 1500 pagine giunge al
suo termine. Come ho più volte ripetuto, la scrittrice è potente, è da leggere,
è da seguire. Ma solo il secondo di questi quattro libri mi ha coinvolto e
convinto. Il resto l’ho letto, e lo rileggerei se non lo avessi fatto. Ma
lasciandomi tutte le perplessità del caso. Troppo lontano dalle mie sensazioni
il primo libro sull’infanzia, troppo privo delle mie sensazioni questo che
dovrebbe parlare degli avvenimenti a me contemporanei. Comunque, sono anche
contento che questi libri mi siano stati regalati. Che un pensiero è trapelato
tra tutte queste ombre e tutte queste luci. Un pensiero che è mio, e lì
rimarrà. Buona fortuna, Ferrante, che in tutto il mondo ormai c’è la “Ferrante
fever”.
“Quando la testa mi
dice: è meglio che fai in questo modo, lo faccio e non ci penso più. Se ci
torni sopra fai solo guai.” (233)
“Ogni rapporto intenso
tra esseri umani è pieno di tagliole e se si vuole che duri bisogna imparare a
schivarle.” (429)
Indice completo dell’opera “L’amica geniale”
(1630 pagine, come da indicazione di Elena Ferrante stessa in coda all’ultimo
romanzo)
PROLOGO Cancellare
le tracce
INFANZIA Storia
di don Achille
ADOLESCENZA Storia
delle scarpe
GIOVINEZZA Storia
del nuovo cognome
TEMPO DI MEZZO Storia di chi fugge e di chi resta
MATURITÀ Storia
della bambina perduta
VECCHIAIA Storia
del cattivo sangue
EPILOGO Restituzione
Finalino
Come immaginavo, la punta per me più coinvolgente è stata l’adolescenza,
visto che non si riesce a diventare adulti. Ma, ripeto, dei libri senz’altro da
leggere.
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