Clive Cussler & Graham Brown “Il
segreto di Osiride” TEA euro 9,90 (in realtà, scontato a 8,40 euro)
[A: 19/02/2018 – I: 01/12/2019 – T: 05/12/2019] - && e ¾
[tit. or.: The Pharaoh’s Secret; ling. or.: inglese; pagine: 382; anno 2015]
NUMA13
Per i soliti algoritmi che non vi rivelo, dovevo
intraprendere la lettura di un Cussler comperato in Canada, ma, avendone uno
dello stesso filone ho “dovuto” leggere prima questo. Perché, come sapete,
ormai i filoni della premiata ditta “Cussler&co” sono innumerevoli (cioè
ben 5) con altrettanto elevata produzione di libri (a me risultano ad ora
usciti in America 85). A parte il filone “Isaac Bell” che sembra essere a sé
stante, gli altri quattro godono spesso di commistioni ed inquinamenti vari. In
un primo tempo, mescolanze che derivavano solo da piccoli cammei alla
Hitchcock, dove ad un certo punto compariva un essere solitario, che dava una
mano marginale a qualcuno, e quando gli chiedevano chi fosse, diceva
laconicamente “Cussler”. Ora, le commistioni sono a livelli dei personaggi, a
parte, come ovvio, i due filoni cosiddetti storici, cioè il principale “Dirk
Pitt” ed il subordinato “NUMA files”, entrambi per il fatto che è presente la
NUMA, agenzia di ricerche marittime, ma in pratica long manus del potere
americano per risolvere problemi spesso ambientali. Qui, il filone subordinato,
vede protagonisti Kurt Austin e Joe Zavala, che ricalcano, in piccolo, le
presenze iniziali di Dirk Pitt e Al Giordino. Il cammeo è l’entrata in scena ad
un certo punto di Juan Cabrillo, il capitano della Oregon, il terzo filone di
Cussler, che, visto la vicenda si sviluppa in gran parte in Egitto, compare alla
ricerca di qualcosa, saluta Kurt, lo salva da un’impasse e si eclissa. Con un
piccolo mistero di date: Juan fa riferimento ad alcune vicende, che sono
presenti nel romanzo “La vendetta dell’Imperatore” che risulta pubblicato
posteriormente a questo. Altro elemento distintivo, è il marchio ambiente –
politica di questo filone, che qui non si smentisce, anche si mescola con
tematiche relative alle “Primavere Arabe”, e ad una serie di tentativi
finanziari – terroristici di sovvertire lo status quo. In ogni caso, l’avvio è
“standard Cussler”: un mistero del passato con un rimbalzo nel medio periodo
che consente di avviare la vicenda attuale. Il fulcro della vicenda è una
misteriosa sostanza di cui i sacerdoti di Osiride avevano il segreto possesso,
che induceva una morte apparente, unita ad un antidoto che, somministrato in
tempi utili, riportava in vita i morenti. Segreti che uno dei sapienti di
Napoleone durante la campagna d’Egitto pare avesse riscoperto, per poi,
coinvolto nella battaglia di Abukir, non riesce a portare in patria. Qui c’è
l’unico elemento fantasioso che del sapiente Etienne D’Campion non ho trovato
traccia nell’elenco del circa 130 personaggi di vario genere che seguirono
Napoleone in Egitto. Ovvio che questo “segreto” venga riscoperto da un cattivo
moderno, tal Shakir. Il quale, unendo questo ad una serie di operazioni
idrauliche sotto il Sahara, tenta di sovvertire quanto sta avvenendo nel
momento arabo, a seguite delle cosiddette “Primavere”. Shakir è finanziato da
tutta una serie di personaggi politici dei vecchi regimi arabi, nonché da un
italiano, perfino onorevole, che sembra essere messo ad esempio del malaffare
italico in quel di Libia. E non indaghiamo oltre in questa direzione. L’idea
del cattivo è di utilizzare le canalizzazioni sotterranee sahariane per ridurre
se non annullare le forniture idriche dei paesi dal Marocco all’Egitto. Creando
malcontento, sommosse, ed altre cattiverie. Unite a queste, Shakir ipotizza
attacchi con quella specie di “nebbia mortale” di derivazione faraonica, di cui
ha scoperto il segreto e modificato l’antidoto per adattarlo ad un uso sul
corpo umano, in tempi più rapidi degli antichi egizi. L’idea dei cattivi è di
effettuare un attacco con la nebbia, in qualche posto occidentale, assetare gli
arabi, e quindi presentarsi, con la vecchia guardia araba e sostenitori
occidentali, come salvatori delle patrie, e riprendere il potere perduto.
Peccato che, per un incidente di percorso, questa nebbia si scateni
accidentalmente sopra Lampedusa. Fortunatamente Kurt e Joe sono nei pressi,
intervengono, trovano la collaborazione di una dottoressa italiana, tal Renata,
che si rivelerà poi ben addentro ai servizi segreti internazionali,
fortunatamente dalla parte dei buoni. Non credo sia particolarmente utile
seguire tutti i tempi delle battaglie e delle agnizioni che durante il corso
del romanzo i nostri ingaggiano con i cattivi. Come in tutti i romanzi di
Cussler tutto non potrà che finire bene, con i cattivi debellati, e la “nebbia
mortale” portata alla luce ed utilizzata per scopi positivi invece che
malefici. Più che le lotte, sono intriganti i piccoli intarsi e cammei
presenti. Il principale, data la non esistenza di D’Campion, è la figura
dell’ammiraglio Villeneuve, realmente esistito, fuggito da Abukir e comandante
della flotta francese nella battaglia di Trafalgar. Il ruolo di Malta come
rifugio di D’Campion, e dove i nostri troveranno le prime tracce utili per
risolvere il mistero. L’accenno alle rivolte arabe. L’accenno anche alle
ingenti risorse idriche sotto il Sahara, come sappiamo dai lavori idraulici
intrapresi a suo tempo da Gheddafi e che vidi la prima volta che fui a Tripoli
nel 2002. La scoperta, fittizia ma plausibile, dei resti di una pattuglia
militare italiana vicino al Cairo, ma nascosta nel deserto, con alcuni
automezzi utilizzabili su sabbia, all’avanguardia negli anni ’40. Il ruolo
dell’immaginario vicepresidente americano, quel James Sandecker un tempo campo
della NUMA, e che svolge un piccolo ma significativo ruolo sul suolo italiano.
Come dicevo, infine, l’altro elemento sempre presenti in queste sezioni dei
“NUMA Files” è una bella donna. Qui impersonata dalla Renata di cui sopra, che
non solo aiuta fattivamente i nostri, ma che finirà in una piccola scena
idilliaca a bordo piscina con il nostro Kurt. Al solito, non mi aspetto che
abbia un ruolo nel futuro delle storie, perché le donne di Kurt vanno e vengono
“a pioggia”. Dimenticavo, c’è anche un piccolo lavoro che effettuano i nostri
amici scienziati, i coniugi Trout, che ci regalano un paio di interessanti
capitoli nel deserto tra Tunisia e Libia, che mi ha riportato ai nostri viaggi
in loco, ed ai tanti rimpianti di come si sia malamente evoluta la situazione
libica. Nel complesso, al solito, un romanzo non difficile, con qualche
elemento storico-fantastico intrigante. Purtroppo, al solito, con una fine
molto veloce. Si passano 350 pagine ad una velocità accettabile di avvenimenti
e spiegazioni. Poi, in una trentina di pagine Cussler&co cercano di
risolvere tutto. Ma come nei precedenti romanzi, troppo velocemente. Peccato.
Clive Cussler & Graham Brown
“Nighthawk” Putnam euro 8,50
[A: 23/06/2019 – I: 06/12/2019 – T: 17/12/2019]
- &&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 437; anno 2017]
NUMA14
Cominciamo dando dei numeri: dei 74 libri a
firma Clive Cussler (nelle varie “epopee”), io ne ho letti 54. Questo, il
cinquantaquattresimo, è il primo che leggo in originale. Al solito, per la mia
mania di precisione, arrivando nella prima cittadina canadese del mio tour
dello scorso anno nei parchi nordamericani, non ho potuto resistere all’offerta
“due libri al prezzo di uno”, così ho trovato e preso due Cussler appena
usciti. In maniera casuale, entrambi della serie dei “NUMA files”, cioè delle
avventure dei due “giovanotti” subito sotto le avventure principali. Cioè, Kurt
Austin e Joe Zavala. Ingolosito anche dalla prospettiva di capire se la
scrittura della “Cussler farm” rendeva o meno il testo avventuroso così come
nelle traduzioni italiane. Devo dire che un po’ sono rimasto deluso, non dalla
storia in sé, un classico delle idee che la farm sforna a getto continuo,
quanto proprio dalla scrittura e dall’inglese. Un americano, piuttosto che
inglese, abbastanza standard, senza particolari voli linguistici. Unica
difficoltà, invero, la presenza di numerosi termini tecnici, che la traduzione
italiana (ed eventualmente qualche nota esplicativa) rendono di più agevole
comprensione. Come qui ad esempio, dove, per mia crassa ignoranza, ho faticato
a districarmi con i termini relativi a basse temperature, contenitori
criogenici, velocità di fuga e detonatori di bombe. Ad esempio, ho impiegato un
discreto tempo per capire cosa fossero “the Penning trap”, cioè le “trappole di
Penning”, che sicuramente Barbara e Carlo mi diranno essere “dispositivi per
l'immagazzinamento di particelle cariche”. Fortunatamente possiamo vivere anche
senza saperne il funzionamento. L’impianto è il solito del lato più “NUMA”
delle storie di Cussler. Un salto nel passato ed uno svolgimento nel presente.
qui, l’unica differenza è che per il passato, dove si fa un salto nel Perù al
tempo della conquista spagnola, non si parla di “instrumenti straordinari”, ma
dell’annientamento delle popolazioni locali a causa delle malattie europee cui
i locali non erano attrezzati. Nella fattispecie, il Perù fu decimato da un
feroce attacco di vaiolo. Nel presente invece, c’è una storia molto “spy” che
vede un contro l’altra armate Cina, Russia e USA. Con in mezzo “un grande
vecchio”, come direbbero ai tempi delle BR. Qualcuno che si inserisce nel
gioco, cercando di gabbare tutti quanti. La materia del contendere è di quelle
complicate. Si parla di “materia e anti-materia”, di uno strumento in grado di
catturarle (cosa che i fisici del CERN ben conoscono anche se con numeri assai
diversi), e di qualcosa in grado di mantenerli ad uno stato non attivo. Perché
se entrano in contatto producono una violenta reazione, pari a 70 volte quella
della fusione nucleare. Gli Usa realizzano una specie di navicella che ingloba
antiparticelle nel sistema solare. Quando tenta di rientrare sulla terra, la
navicella viene misteriosamente dirottata altrove. Sono russi? Sono cinesi?
Sono entrambi? Dopo una serie di ricerche cui viene coinvolto Kurt Austin (il
più vicino al punto di impatto), ricerche infruttuose, si scopre che in realtà
la navicella è allagata (cioè atterrata in un lago) nel Nord del Perù. Lì
convergono tutti: Austin e Zavala, coadiuvati da Emma, simpatica scienziata
americana, i coniugi Trout inviati dalla NUMA, i russi, i cinesi. Tutti alla corte
di uno strano personaggio autoctono, un sedicente archeologo peruviano, che
studia l’etnia dei Chachapoya, popolo delle Ande Amazzoniche. Questo per
ricollegarsi a quella introduzione sulla conquista spagnola, che altrimenti
stava lì appesa senza senso. Urco, l’archeologo, si rivela ben presto
personaggio ambiguo, e non fatichiamo a capire che c’è qualche altra cosa
dietro. Sapendo dove era finita la navicella (che a proposito, era battezzata
“Nighthawk” come il titolo del romanzo, migliore di quello che ho scoperto
essere nella traduzione italiana “Il mistero degli Inca”, dove in tutto il
libro non c’è un Inca manco a pagarlo, e tanto meno un mistero) poteva ben
recuperarla se questa era la sua intenzione. Ma Urco vuole di più, per questo
coinvolge Kurt e gli altri, e con trucchi malevoli, divide il carico di
“antimateria” esplodibile nelle casse dei tre contendenti. Casse perché in
cambio chiede soldi e tanti. Peccato, che, avendo deciso Kurt essere il più
pericoloso del lotto, e cercando di neutralizzarlo, Urco abbia la peggio. Ma
l’idea balzana, che occupa tutta l’ultima parte del libro, è capire che Urco
vorrebbe non soldi o diamanti, ma far esplodere l’antimateria nei tre maggiori
centri coinvolti, in modo da sterminare gran parte degli umani attuali, a mo’
di vendetta verso i suoi amati Chachapoya. E di conseguenza seguire Kurt ed i
suoi nelle vicende di alterne fortune tese a neutralizzare questa idea di
strage. Non vi dico allora chi siano gli altri buoni e gli altri cattivi, né
come i nostri riescano nel loro intento. Perché è ovvio che riescano, visto che
stiamo qui a parlarne e non siamo stati “vaporizzati” dalle esplosioni
previste. Sottolineo soltanto che, come spesso accade in Cussler, dopo un
andamento coerente con la narrazione, la fine si affretta a grandi passi, e gli
ultimi passi vengono più accennati che descritti, lasciando un po’ di amaro in
bocca a chi avrebbe voluto vedere svelati tutti i come ed i perché ed i “in che
modo”. E così via. Ribadisco che la “Cussler farm” continua a produrre romanzi
con un andamento così stereotipato da essere riconoscibile, e che quindi ci
consente di sentirci sempre rassicurati. Soltanto che, noi lettori di lunga
data, dopo un po’ di domandiamo, come mai, rispetto ad una serialità che si
evolve e si mantiene coerente nelle avventure di Dirk Pitt e famiglia, qui,
ogni volta, si ricomincia da capo. Avevamo infatti lasciato Kurt nell’episodio
precedente in un finale con la bella Renata. Qui, la bella, che sembrava
destinata a futuri promettenti, scompare. In compensa compare l’altrettanto
simpatica Emma. Che anche qui ha un finale di interesse non solo scientifico.
Cosa succederà nella prossima puntata? Speriamo in un miglioramento, che questa
puntata non è stata particolarmente brillante.
“Pacifism in a violent world is another term for suicide.” [Pacifismo
in un mondo violento è sinonimo di suicidio.] (323)
Clive Cussler & Graham Brown “The Rising Sea” Putnam euro 8,50
[A: 23/06/2019 – I: 26/01/2020 – T: 01/02/2020] - && e ¾
[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 486; anno 2018]
NUMA15
In effetti, come auspicavo al termine della
precedente trama, questa risale leggermente, anche se rimane al di sotto delle
avventure “classiche” di Dirk Pitt. Restano le considerazioni generali sulla
lingua (americano piuttosto che inglese) e sul generale svolgimento della
trama. Salto nel passato e poi immersione in un presente un po’ confuso (e
quasi troppo avanzato). L’azione comincia nel 1573, in Giappone dove si sfidano
a duello il samurai Yoshiro Shimezu che
impugna la katana Honjo Masamune e lo shogun tiranno Kasimoto che impugna la
Lama Cremisi Muramasa. Masamune e Muramasa erano il mastro spadaccino ed il suo
miglior allievo, che avevano creato le due katana invincibili, Honjo e Lama
Cremisi, utilizzando un metallo che rimane sconosciuto per secoli. In genere,
dato un incipit nel passato, le storie della Cussler’s farm si svolgono in un
presente che vi si aggancia in qualche modo. Qui, prima di capirci qualcosa
passeranno centinaia di pagine. Perché, saltando nel presente, veniamo immersi
(sembra la parola giusta) in un dibattito che anche fuori dalla finzione ci
tocca da vicino. I livelli del mare stanno salendo, si sa. Ma il motivo? Sarà
solo riscaldamento globale e scioglimento dei ghiacciai, come sostiene Greta
(la nostra attivista svedese, non esiste nessuna Greta nel libro) oppure c'è
un'altra ragione? Austin e la NUMA, analizzando i dati in loro possesso, scoprono
che la ragione deve essere altra. Le ricerche dei nostri ci portano alla
scoperta di una strana operazione sottomarina che il governo cinese sta
finanziando al largo del Mar Cinese Orientale. Un faccendiere sino-giapponese
Walter Han ha creato un impero tecnologico, costruendo robot dall’aspetto umano
per lavorare sotto il livello del mare, ed estrarre un metallo prezioso
chiamato "adamantio dorato", un materiale diverso da qualsiasi altra
cosa conosciuta dall'umanità. In sostanza, il metallo ha alcune proprietà
indistruttibili, quasi come il “vibranio”. Qui Cussler tributa un omaggio alla
Marvel Comics, che per la serie “Pantera Nera” aveva immaginato l’esistenza di
questi due metalli fittizi. Ed è qui che si collega il tutto con l’incipit, che
ovviamente le katana di partenza erano forgiate in adamantio. Il processo di
estrazione del prezioso minerale è tale che (qui la storia è un po’ confusa)
venga rilasciata una enorme quantità d’acqua (forse sepolta nelle caverne
sotterranee, un po’ come il ghiaccio sotto il Sahara che aveva trovato il buon
Gheddafi per alimentare Tripoli d’acqua corrente). Ma questo non è il solo
problema che Austin e Zavala, nonché tutta la squadra della NUMA devono
affrontare. Perché c’è tutta la cospirazione messa in piedi da Han, che
coinvolge corrotti cinesi e corruttibili giapponesi. Tra i primi ci sono i capi
della Robotics, con a capo Wen Li. Tra i secondi, c’è la sua squadra di difesa,
comandata Oni, un killer talmente crudele da essere cacciato persino dalla
Yakuza, abile nel maneggiare la Honjo. E i cattivi di supporto al soldo di
Hidekai Kashimora, al cui soldo lavoro il gigante Sento, specializzato in
combattimenti all’ultimo sangue. Nelle due schiere ci sono anche i buoni: il
cinese generale Zhang (cha abbiamo anche incontrato nel precedente libro) ed il
poliziotto giapponese Nagano. Tra i vari contendenti, tanto per creare un po’
di confusione, ci sono anche degli “alternativi”, una setta contraria alla
tecnologia elettronica, devota al Maestro Kenzo Fujihara, un geologo che darà
informazioni fondamentali a Kurt. E la sua guardia del corpo, l’affascinante
Akiko, tra l’altro espertissima di automobili, cosa che coinvolgerà molto
personalmente Zavala. Nella squadra della NUMA che lavora sul campo ci sono
ovviamente i coniugi Trout, che, in difficoltà in una Shangai tecnologica,
chiedono e ottengono aiuto da una reporter della INN (India Network News)
Melanie Anderson. Mentre a Washington lavorano I due maghi della tecnologia
della NUMA, Hiram Yaeger, il genio progettatore e realizzatore di Max, un
computer dotato di umorismo e la brillante Priya Kashmir, immobilizzata su di
una sedia a rotelle, ma questa è la sua unica restrizione, che porterà a
termine collegamenti informatici e di notizie da far impallidire anche Max.
come nelle ultime prove della coppia Cussler/Brown l’azione è molta, come i
colpi di scena. Purtroppo, come spesso nelle ultime prove, lo scioglimento
finale è più rapido del tollerabile, e sebbene tutto vada al proprio posto,
molte delle ultime fasi sono quasi accennate o riportate come piccole note a
margine. Infine, notiamo che anche qui, Emma, la bella della puntata
precedente, sparisce. E dobbiamo anche sottolineare che questa volta non c’è
nessun’altra bella donzella che si affianca alla squadra vincente. Insomma, una
prova ecologicamente sostenibile, ma poco avvincente. Scorre via, e l’unico
segno che lascia è la preoccupazione dell’innalzamento dei mari per il
riscaldamento globale. Problema che alla fine rimane (e che ben ci tocca).
Clive Cussler & Justin Scott “Fuga” TEA
euro 9,90 (in realtà, scontato a 8,42 euro)
[A: 20/11/2017 – I: 06/05/2020 – T: 08/05/2020] - && +
[tit. or.: The Race; ling. or.: inglese; pagine: 367; anno 2011]
ISAAC
BELL04
Comincio
questa ennesima trama di uno degli autori più presenti nella mia biblioteca, e
da me molto amato in alcune (non tutte) sue storie, con un grosso rimpianto.
Meno di un mese dopo la lettura del precedente libro, cioè poco più di due mesi
fa, a poco meno di 89 anni, Clive Eric Cussler ci ha lasciato. E ci lascerà un
vuoto, in parte colmato dagli altri, e non pochi, libri presenti nelle mie
librerie e non ancora letti, e dagli altri non ancora acquistati. Ma poi?
Certo, la sua “work factory” continuerà a scrivere, come credo farà in prima
persona il figlio Dirk. Sarà la stessa sensazione? Si riuscirà a mantenere la
tensione narrativa presente nei quasi 80 libri scritti durante la sua lunga
carriera? Domande cui rispondiamo al solito come Lucio, “lo scopriremo solo
vivendo”. Allora, dopo questo mini-coccodrillo, veniamo al libro appena letta,
che appartiene all’ultima delle serie di avventura iniziate dal nostro. Questo
è solo il quarto libro uscito (anche se in America siamo già all’undicesimo
titolo), laddove si palesano maggiormente i pregi ed i difetti della serie.
Che, dico subito, rispetto a quelle ambientate in mare, o nelle sue vicinanze,
è meno avvincente, più macchinosa, ed a volte più scontata. Dal punto di vista
della sequenza delle avventure (anche se l’ultima di Bell l’ho letta quattro
anni fa), mi sembra che ci siano due costanti: la ripresa cronologica delle
avventure e l’utilizzo di una nuova tecnologia. Dopo la spia che agiva nel
1908, ora l’avventura di sposta un anno dopo, al 1909. E questa volta parliamo
di aerei, delle prime macchine volanti che solcano i cieli. Con la scoperta di
nuove possibilità e la spinta verso idee ed applicazioni innovative. Come
spesso in America, questo si risolve in un “contest”, in una tenzone che serve
a pubblicizzare il nuovo. Vediamo quindi che, per lanciare aeroplani e simili
oggetti, un magnate della carta stampata si inventa una corsa, utilizzando
aerei, da New York a San Francisco. Piccola parentesi: in realtà, se vedete
sopra, il titolo originale è “The Race”, cioè la corsa, e non si capisce bene
come nasca l’anodino titolo italiano “Fuga”. Forse riferito ad uno dei
personaggi del libro, che fugge e sfugge per tutto il romanzo. Ma il nodo
centrale è l’altro, che però se intitoli “corsa” un romanzo d’avventura forse
attiri meno se fai intravedere fughe ed altri inseguimenti. Quindi, il nucleo
centrale è la corsa degli aerei, che costituisce il lato avventuroso. Come
nelle precedenti avventure, il romanzo si riempie di dati ed informazioni sulle
prime macchine volanti. Si parla di biplani, come i primi aeroplani a partire
dal Flyer dei fratelli Wright, e del primo monoplano che era più pesante per
una serie di zavorramenti, ma più resistente e più agile, come quello del
rumeno Traian Vuia che si alzò da terra nel 1906. Si fanno cenni anche alle
invenzioni italiane, dove ricordiamo che il primo velivolo fu costruito da
Aristide Faccioli nel 1908 (ma era, stranamente, un triplano). Poiché
l’enciclopedico Cussler è sempre ben ferrato sugli argomenti di cui si tratta,
ci sono anche lunghi excursus sui motori (rotativi, radiali, e altro) ma
soprattutto sugli alettoni che consentivano agli aeroplani di seconda
generazione di essere più maneggevoli. L’altra parte della storia è quella
“thriller” direi, che vede coinvolto in prima persona il protagonista della
serie: il detective Isaac Bell. Agente di una grande agenzia investigativa (un
po’ sulla falsariga della celebre “Pinkerton”) viene ingaggiato per proteggere
l’unica concorrente donna della corsa. In quanto, più che per il fatto di
essere donna, per essere stata la moglie di tal Henry Frost, un malfattore
incallito, benché ora ricchissimo. Frost prima tenta di uccidere tal Marco
Celere, intrallazzatore italiano forse anche lui truffatore, e forse amante
della bella Josephine. Non riuscendoci, da quel punto in poi tenta ad ogni piè
sospinto di portare a compimento la sua opera. Bell ed i suoi uomini
riusciranno ovviamente a sventare tutte le possibili malefatte, dove
riconosciamo una bella inventiva a Justin Scott, il co-autore, nell’inventare
situazioni complicate e spesso quasi irrisolvibili, se non ci fosse appunto il
nostro Isaac. La corsa sarà, com’è ovvio, funestata da molte disavventure,
anche se, dal punto di vista del ritmo, mentre la prima parte si dilunga molto,
nel muoversi da New York a Chicago, la parte centrale e finale è un po’ troppo
veloce, sbilanciando la durata della corsa. Com’è costume di Cussler ci saranno
anche altre avventure laterali, la solita buona storia tra Archie il secondo di
Isaac, e la sua bella, una storia d’amore tra un capace meccanico e la figlia
di un altro italiano pioniere dell’aviazione e misteriosamente morto. Nonché
una serie di avventure di meccanici e motori, tanto da riempire le quasi
quattrocento pagine. Non mancherà l’inizio della passione dello stesso Bell per
il volo ed il suo sempre presente amore per la bella Marion, anche se
quest’ultima compare poco. Alla fine, tutto si risolve come sperato, i cattivi,
da ogni parte provengano, pagheranno le loro cattiverie. Rimangono inespresse
alcune delle vicende, come il possibile ma non dichiarato amore di Josephine
per il magnate, ma sono rivoli del fiume principale. Che si conclude, seppure
velocemente, preludendo, com’è ovvio, ad altre avventure. Un racconto
abbastanza agile ma non all’altezza di altre prove della factory. Se ne
riparlerà.
Visto
che sarebbe meglio non guardarsi allo specchio, dedichiamo l’allegato di oggi
alla dismorfofobia. Un premio a chi la conosce (io confesso, mai sentita).
In
questa giornata dedicata alle mamme, più che a loro rivolgo un pensiero ed un
augurio ai loro frutti, ovviamente quelli nati in questo periodo: auguri
speciali allora a Cettina, Luana, Sara, Pietro, Angelo, Nicoletta “Dromy”
(ricordo solo i fortunati dal 4 al 16 maggio, per ragioni che qualcuno sa ed io
non dico). Per il resto dobbiamo solo aspettare, e qualcun altro sa cosa.
Allora, un immenso pensiero a tutti.
CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i
“bugiardini” di Giovanni
MAGGIO 2020
Ancora qui, coronavirusisolati.
Una riflessione minima che lo sappiamo, l’unica cosa che ci restituisce ora uno
specchio, è un’immagine un po’ ingrossata…
SPECCHIO, MALATTIA DELLO
Sergio
Atzeni “Il figlio di Bakunin”
Il nome scientifico è
dismorfofobia. Chi ne è affetto ha il terrore di vedere la sua immagine
restituita su una superficie lucida, eppure, ne ha l’ossessione e tende
continuamente a controllarsi. È un forte disturbo della personalità e
dell’autostima. Si prova un fastidio del proprio corpo o di una sua parte: è
una nausea e ribrezzo di sé stessi che può assumere forme gravi, spingere nelle
spelonche della misantropia e dell’ipocondria e dentro stati di depressione
difficilissimi da medicare. In casi come questo, sarà inutile cercare di
ricondurre i malcapitati all’oggettività e alla ragione. Meglio allora una
lettura straniante, ma che vada al cuore del problema. “Il figlio di Bakunin” è
il viaggio giusto da intraprendere. In poco più di cento pagine, si può
imparare che gli specchi più grandi e ai quali nessuno può sfuggire sono le
voci della gente. La questione di fondo è l’ansia di sapere come si è percepiti
dagli altri o di come ci si percepisce per primi. Nel romanzo di Sergio Atzeni,
Tulio Saba è raccontato da una ridda di testimonianze. C’è chi lo ricorda un arruffapopoli,
chi un gagà con la faccia di attore francese, chi lo chiama il figlio di
Bakunin, perché suo padre era anarchico, chi il minatore o il figlio del
calzolaio. È così che si producono leggende. La realtà è solo un filo di
schiuma in cima a un’onda di dicerie. Se lo si comprende, non si avrà più paura
di questo infinito gioco di riflessi.
Bugiardino
Ho l’impressione che questa voce
di libri curativi sia stata inserita sotto la spinta di Fabio Stassi, il
curatore italiano. Che non ha la verve (per non dire altro) di tutti i lemmi
inseriti nelle seicento pagine del libro. Comunque, Atzeni l’ho letto, e di lui
anche a voi ricordo il bellissimo “Passavamo sulla terra leggeri”. Qui, invece,
torniamo su un libro letto dieci anni fa.
Sergio Atzeni “Il figlio di Bakunin”
Sellerio 8 (in realtà, scontato euro 4)
[tramato
il 4 aprile 2010]
Un
po’ alla Enzserberger di Buenaventura Durruti, ma (forse) Tullio Saba è solo
fantasia. La coralità è tuttavia ben orchestrata, e ci dispiace che Sergio non
sia più tra noi ad affabularci con le sue leggende sarde. Infatti, per tornare
al testo, l’autore immagina di fare un’inchiesta intervistando tutte le persone
(o molte delle persone) che hanno conosciuto o hanno vissuto ed agito durante
la vita del nominato Tullio Saba. Ne esce fuori un ritratto in controluce, dove
ognuno dice qualcosa, ma soprattutto di sé nei confronti di Tullio. E se alla fine
qualcosa sappiamo di lui, si vengono anche a sapere molte notizie
contraddittorie. Perché chi gli voleva bene, lo ammirava, ne esalta i caratteri
positivi. Altri invece tendono a tirarne fuori il peggio. Alcune notizie certe,
di sicuro escono. Come il fatto che il padre era un anarchico convinto, tanto
che Tullio, il figlio, viene da tutti chiamato “il figlio di Bakunìn” (con
l’accento sulla i). Ma se poi sia stato un capopopolo, uno sciupafemmine, un
amante dei soldi e della bella vita, una persona generosa e dedita al bene, se
sia morto in povertà a Cagliari o sia fuggito in Sud America… Chissà se
riusciremo mai a saperlo. Ed in fondo, è importante saperlo? Tanto quello che
Atzeni ci vuole mostrare (e ci riesce con maestria) è l’avanzare del tempo nei
campi barbaricini, prima attraverso gli ultimi anni del fascismo, poi nel
faticoso dopoguerra. Con la colonizzazione del continente verso un popolo fiero
delle proprie tradizioni. E bene fa l’introduzione editoriale ad accostare
questo spaccato con lo spaccato siciliano da cui nasce la casa editrice che ce
lo propone (Sellerio, ovviamente). Il testo come detto è agile. Riprende quella
scrittura sulla vita dell’anarchico Durruti, condendola con la filosofia
cinematografica del Kurosawa di Rashomon. Direi che merita ampiamente di essere
letto.
“sui fatti si deposita il velo della memoria, che lentamente distorce,
trasforma, infavola il narrare dei protagonisti, non meno che i resoconti degli
storici” (153)
Conclusioni
Per altre vie sappiamo che il
disturbo si accompagna ad una visione distorta che si ha del proprio aspetto
esteriore, causata da un'eccessiva preoccupazione della propria immagine
corporea. Cosa centri Bakunin è un mistero, che spiego solo con quanto detto
sopra. Ne approfitto però per citare un libro che vale la pena di leggere.
Nessun commento:
Posta un commento