domenica 3 maggio 2020

Maggio si tinge di giallo - 03 maggio 2020


Stefano Di Marino “La torre degli Scarlatti” Mondadori euro 5,90
[A: 11/09/2017 – I: 09/01/2020 – T: 12/01/2020] && e ½ 
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 271; anno: 2017]
Come forse qualcuno ricorderà, non avevo certo avuto un particolare moto di gradimento verso il primo romanzo di Di Marino dedicato all’investigatore dell’occulto Sebastiano “Bas” Salieri. Perché, come spero ricorderete, mi era sembrato un po’ confusionario, poco esplicativo, ed alla fine non particolarmente riuscito. Ora, dato che sono inguaribile nel fare gli stessi errori, visto un nuovo giallo dell’autore, ho deciso di leggerlo. Fortunatamente il risultato è stato migliore del precedente, anche se non mi è sembrato ben riuscito. Che i misteri a volte sono rimasti tali. Che alcuni personaggi andrebbero meglio delineati, e magari non lasciati a sopire in sottofondo. Mi riferisco in particolare alla segretaria di Bas, la bella Zairah, che non è il caso di lasciare sempre sullo sfondo di Amsterdam. Anche se qui, Bas potrebbe sviluppare un’utile conoscenza con Patrizia, la figlia del suo amico commissario. Che sembra carina e ben competente in materia di truffe su beni culturali. Facendo un passo di lato, sebbene la scrittura scorra con facilità, e non è un caso che Di Marino autore ben prolifico è, con la sua lunga serie di scritti su “Segretissimo”, alla fine, la trama da una parte è troppo scoperta, e dall’altra non troppo esplicativa (a questo punto io cito sempre la lista del bravo scrittore di gialli S. S. Van Dine). Per chi, come molti credo, non avesse letto il primo romanzo, ricordo appunto che il personaggio centrale è Bas Salieri, ufficialmente mago e illusionista, ed informalmente nemico di chi si approfitta della superstizione della gente. Quasi un detective alla Dylan Dog, ma anche esperto di storia e di esoterismo vario. Qui viene coinvolto in una trama che sembra partire da problematiche di eredità e che si intreccia a culti strani in terre etrusche. Così Bas si sposta dalla sua base olandese verso la campagna toscana tra Volterra e San Geminiano. Sulle tracce della storia della famiglia Scarlatti. In particolare, del capostipite Cosimo, dal nostro rivestito di fama negromantica, dal nome ripreso storicamente come uno dei sodali di Bernini. Ma qui poco sembra aver attinenza con legami storici precisi, che Cosimo è solo un esoterista che si pasceva delle credenze locali di discendenza etrusca, e segnatamente del culto di un non meglio precisato “Demone Blu”, braccio destro della divinità dell’oltretomba etrusco nota con il nome di Thuchulka. A quanto mi risulta, tuttavia, il nome corretto sarebbe “Demone Azzurro” come dalla tomba ritrovata in quel di Tarquinia. Comunque, Bas viene ingaggiato dal segretario dell’ultimo discendente della famiglia Scarlatti, affinché si faccia garante della corretta applicazione del testamento della famiglia. Infatti, da tempo è morto Giacomo Scarlatti che avrebbe dovuto avere in consegna il segreto di una non meglio precisata “Torre” (quella del titolo) contente misteri e gioielli etruschi. Il segreto della stessa venne però rubato a Giacomo dalla moglie Cecilia, per vendicarsi dell’accoglienza che Giacomo la costringe ad avere per sua figlia illegittima Priscilla, a scapito di Mirella e Luca, i due figli legittimi. Il testamento di Cecilia prevede che le scoperte tombaroleggianti siano svelate ai figli al compimento della maggiore età. Scopriamo che Luca, poco prima dei 21 anni, muore in uno strano incidente automobilistico. Ora alla stessa età si avvicina Mirella. E Luca stranamente ricompare. Ma sarà lui o un sosia? E che ruolo ha Livio, l’amico di Luca, squattrinato ma presente ora che si aspettano meraviglie? Ed il segretario? E la stessa Priscilla? Di Marino cerca di complicare la vicenda con tante derive verso morti misteriose, presenze, misteri comportamentali. Ma quello che noi, un po’ scanzonati vediamo è solo la presenza di tombaroli etruschi che depredano le tombe, di vecchie ruggini mai sopite, proprio per la morte di uno di questi forse per mano di Giacomo. Della presenza di Nicola, fratello del morto, anche lui in cerca di vendette e soddisfazioni. In tutto ciò compare inopinatamente il vicequestore Panitta, conosciuto nella precedente indagine, in pseudo vacanza, accompagnato dalla moglie e dalla nipote Patrizia, ufficiale dei carabinieri del nucleo tutela del patrimonio, sotto copertura e in caccia di ladri di antichi manufatti. Dopo qualche schermaglia, Bas e Patrizia uniscono le forze per recuperare manufatti sottratti ai beni nazionali e smascherare la trama finto-esoterica che fin dalle prime battute è talmente scoperta che vale poco leggerne. Ovvio che i due avranno successo, magari prospettando un futuro di maggior sodalizio. Unico altro elemento di interesse è la citazione di rari testi del romano Apollonio Tarquinio (rigorosamente inventato) ritrovati dietro un quadro, che però sono ben congeniati. Per il resto poco altro, ed una lettura di medio interesse.
Annamaria Fassio “Donne da uccidere” Mondadori euro 5,90
[A: 01/10/2018 – I: 02/02/2020 – T: 03/02/2020] &&   
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 200; anno: 2018]
Anche se generalmente leggo con piacere le storie imbastite dalla genovese Annamaria Fassio, questo Giallo Mondadori che, secondo i bugiardini di lancio, dovrebbe vedere il ritorno in pista della coppia Maffina – Franzoni, in realtà mi ha deluso abbastanza. Innanzi tutto, che di Maffina c’è poca traccia, se non in modo quasi trasparente rispetto alla vicenda principale (o alle vicende). C’è molto Erica Franzoni, con le sue intuizioni, con la sua squadra, ma anche con le sue insicurezze. Tutto ruota intorno a storie di donne. Che finiscono male, che vengono trattate male. Insomma, in tempi di femminicidi, questo è un libro che ne parla. Dalla parte delle donne, cosa che non è da buttar via di questi tempi. Spesso si fanno incontri poco piacevoli, spesso si rimane coinvolti in situazioni difficili, spesso non si sa a chi chiedere aiuto. Alla fine, le storie di donne “da uccidere” come dice il titolo si riducono a tre: quella di Andra, quella di Costanza e quella di Lucilla. Seguiamo la prima, poco più che bambina, rumena e maltrattata da patrigni ed altro, liberata e fatta fuggire dal fratello Florian, che si rifugia in Italia, dove per vivere farà “la vita”, ma che rimarrà sempre pulita dentro. Tanto pulita che ci aspettiamo si dall’inizio che farà una brutta fine, anche perché verrà toccata tangenzialmente anche da altre storie di malaffare (droga, ad esempio). Seguiamo la seconda che è un’aspirante poliziotta, che ha una storia con un collega, che ben presto si rileva prima troppo rude, poi, quando lei lo lascia, violento e volgare. Uno stalker a tuti gli effetti. Costanza ha la difficoltà di tutte le donne perseguitate nel trovare aiuto. Anche perché, esternamente, il duro sembra invece un poliziotto affabile. Chi le potrà credere? Chi le crede sarà Florian, che dopo aver scontato dieci anni in galera per l’uccisione del patrigno, viene in Italia alla ricerca di Andra. Ed in maniera casual si trova ad essere sodale di Costanza, a darle un barlume di speranza. Peccato che Florian debba fuggire da altri demoni che lo perseguitano, anche nel tentativo di trovare le tracce di Andra. Niente di strano che Costanza possa finire male. Infine, Lucilla, che non finirà male, ma che, donna di mezza età, facoltosa, ma senza prospettive sociali, si accompagna con un gigolò di bell’aspetto e cattive intenzioni, tal Brando. Che lei ospita e nasconde, che copre nei momenti bui. Peccato che Brando sia veramente cattivo, e quando lei cerca di riportarlo in riga, non esita a massacrarla di botte. Senza arrivare all’estremo, per tutta una serie di contingenze che non sto qui a riportare. Perché, in modo parallelo, Brando è uno che cerca di attaccare briga con tutti, che cerca di sfogarsi riempendo di botte sconosciuti per strada. Ed eventualmente sollazzandosi con altre donne, anche contro il loro volere. Brando ed il suo sodale Richi li vediamo ad esempio assalire una coppia di Gibuti, massacrarli di botte senza alcun motivo. Solo per cattiveria. Ma mentre Brando, dopo lo sfogo, diventa un tranquillo cittadino, gigolò di Lucilla, pieno di sorrisi a destra e a manca, Richi è proprio sbandato, tanto che decide di prendere a botte anche altre persone, in una escalation che non prevede nulla di buono. In fondo, a parte sapere chi ha ucciso Costanza e chi Andra, il giallo in sé non ha molto da svelare. Certo, la scrittura di Annamaria Fassio ci porta un po’ in giro, riservandoci qualche piccolo colpo di scena finale. Quelli in cui i presunti cattivi, o almeno quelli che cattivi sono ma sarebbe troppo scontato fossero anche colpevoli, trovano degli alibi alle malefatte. Ma un finale in cui, come ben si deve in queste storie, tutti i nodi vengono sciolti con un bel colpo di spazzola. Peccato che, come spesso succede in questa tipologia di storie, l’autrice sia troppo frettolosa nel mettere tutti i puntini al loro posto. Dopo che hai messo un arrosto sul fuoco, devi essere in grado di far cuocere tutta la carne allo stesso punto, altrimenti vengono parti più cotte e parti più crude. Come in questo caso, per cui una serie di pezzi del mosaico vengono svelati in poco righe e poco lasciano il tempo alla sedimentazione della discoperta. Se ci sono volute un centinaio di pagine per imbastire i nodi, scioglierli in una decina di righe lo trovo sconveniente. Una critica che faccio qui, ma che ritorna spesso nelle mie ultime letture di polizieschi ed affini. Di certo, concludendo, la materia è scottante e dolente. E bene fa la nostra scrittrice a trattarla. Poteva essere trattata meglio e con più cattiveria? Forse. Ma almeno un sasso nella grande omertà maschile viene lanciato, sperando che si allarghi in un maremoto di proteste. Purtroppo, alla fine, il risultato è leggermente inferiore alle aspettative.
Enrico Luceri “Le notti della luna rossa” Mondadori euro 5,90
[A: 04/10/2019 – I: 04/02/2020 – T: 07/02/2020] &&& --   
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 194; anno: 2019]
Alla quinta prova, Luceri, finalmente si risolleva dalle secche delle sue prime prove da me tramate da più di 7 anni. Anche perché riesce a far tornare sulla scena uno dei suoi personaggi migliori, il commissario Tonio Buonocore, che avevamo lasciato forse morente per un cancro ai polmoni, e che qui troviamo felicemente guarito. Ha smesso di fumare, deve stare attento a mille piccolezze per non compromettere la salute (legata ad un filo, ovvio). Ma c’è e c’è la sua aiutante, l’ispettore capo Angela Garzya, la maga dei computer (mentre Tonio lo era dei ragionamenti). Due sono le cose che mi hanno intrigato nel romanzo, che per altri versi scorre abbastanza tranquillo. La luna rossa del titolo e le post-fazione di Luceri che svela (ma qualcuno era già palese) i rimandi letterari della sua opera. Una dotta copiatura, più che riscrittura. Un modo non banale di portare aventi una materia, ed un omaggio, visto che questo libro esce per festeggiare i 90 anni del Giallo Mondadori. Su questo torneremo più avanti, dopo aver visto scorrere una storia che si svolge nella bellissima zona di Posillipo (e chi sa di Napoli, apprezza) con i suoi edifici eleganti e la Napoli bene che si affaccia sul golfo. Un luogo che (purtroppo) vediamo sorgere una trentina di anni prima dell’azione, quando Giovanna Romano, rampolla di una famiglia benestante, viene cacciata di casa avendo una relazione con un uomo sposato. Nel presente assistiamo alle indagini del nostro simpatico duo Tonio e Angela in seguito alla morte di Letizia, la sorella di Giovanna che all’epoca aveva una decina di anni. Morte per abuso di ansiolitici, e l’ovvio indagato è il marito, un cantante neomelodico che ebbe un successo per una rilettura del brano “Luna Rossa” (ancora! E Renzo Arbore allora?), e che ha tutta da guadagnare dalla cospicua eredità della defunta. I nostri investigatori scoprono indizi prima velati poi lampanti che c’è qualcosa che non va. Bicchieri di whisky con tracce strane, entrate ed uscite dall’appartamento che indicano la quasi certezza che il colpevole poteva aggirarsi nel condominio senza destare sospetti. L’intrusione di altre morti, che vanno a complicare il caso. Un detective, incaricato da letizia di ritrovare la sorella, che forse ha qualche indizio. Un’infermiera che forse di indizi ne tace. Un inquilino che forse ha visto qualcosa e forse ricatta qualcuno. Qui cominciano a fiorire tutti quei rimandi di cui si diceva e che permettono a Luceri di costruire il caso (o il romanzo-omaggio). L’assassino di Letizia che si muove nel condominio che potrebbe o non potrebbe essere un abitante dello stesso richiama “Il Natale di Poirot” di Agatha Christie. Inoltre, l’indizio che porta Buonocore sulla giusta strada si collega a “Il mistero delle croci Egizie” di Ellery Queen (dove c’era la famosa bottiglia di tintura di iodio di cui solo l’assassino poteva conoscere il posto). Altro elemento, che fin dall’inizio ci viene presentato, ma con una tale nonchalance che ci si fa poco caso, è la strana ubicazione della casa. In quella della vittima, la stanza in fondo al corridoio della zona notte è una cucina, mentre al secondo piano, la stessa disposizione porta ad un bagno. Quando serve un elemento medicale, sarà l’assassino a scoprirsi, a districarsi nel labirinto delle case, permettendo ai nostri due bravi poliziotti di risalire, filo dopo filo, tutte le connessioni del caso. Analogie quindi anche con “La prova in fondo al mare” di Rufus King (un giallo dell’epoca della Christie, del 1934, riproposto nel 2015 da Mondadori, da leggere), dove l’assassino entra nella cabina di un relitto per trovare una cosa che se non fosse già stato lì non avrebbe saputo dove cercare. La conoscenza dei meccanismi del giallo da parte di Luceri è qui ben esemplificata, con tutta un serie di rimandi piccoli o grandi: alibi a prova di bomba smontati uno dopo l’altro (alla maniera di uno dei pionieri del giallo, l’irlandese Freeman Wills Crofts) o il malato assistito da un‘infermiera che nasconde in realtà altro (come nel celeberrimo “La fine dei Greene” di S.S. Van Dine). Se volete, potete trovare altri indizi, io trono al libro che, nonostante tutti questi buoni propositi, alla fine non è così “entusiasmante” come potrebbe essere. Si salva, appunto, per la simpatia di Tonio, anche se era meglio nel primo romanzo. Altro punto forte, è quell’accenno ricorrente alla “Luna Rossa”. Un canzone cui rimando, se non la conoscete, ricordando solo che le parole furono scritte nel 1950 da Vincenzo De Crescenzo, lo zio di quell’Edoardo da me sempre ringraziato per quella splendida “Ancora”. Divertente lettura, ma per la maggior parte grazie ai rimandi che se ne trovano, più che per la storia in sé (in effetti, in alcune parti sembra di precipitare in un dejà vu”).
Diego Lama “La settima notte di Veneruso” Mondadori euro 6,50
[A: 10/08/2018 – I: 21/02/2020 – T: 25/02/2020] - &&--
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 201; anno 2018]
Non mi era dispiaciuto Diego Lama alla sua prima prova con un romanzo vincitore del Premio Tedeschi, soprattutto, come ricordavo, per la buona caratterizzazione del personaggio principale, il commissario Veneruso. Ed anche per l’ambientazione in quel 1884 in una Napoli colpita dl flagello del colera. Saltando a piè pari le considerazioni sui flagelli attuali da coronavirus e simili, devo invece dire che questa seconda prova, molto costruita, mi ha lascito alquanto freddo. Dico costruita, perché in realtà non è un romanzo, ma una rielaborazione di diversi piccoli racconti che nel corso del tempo sono apparsi in appendice ai Gialli Mondadori. Quindi, scontato il fatto che la forma racconto, in special modo nei racconti polizieschi, è di difficile gestione, lo scrittore prende una serie di racconti, li raccorda con intermezzi seral-notturni, per arrivare all’unico racconto nuovo, l’ultimo quello della domenica, quello del settimo giorno (e della settima notte) del nostro commissario. Il problema è che, benché tenti di variare, il cliché di ogni racconto è di impianto praticamente costante. Un morto, alcune persone intorno, uno o più possibili colpevoli, che sembrano o accusarsi o essere accusati del delitto, per poi, dopo una chiacchierata (chiamiamola così che non ha ancor dignità di interrogatorio) il nostro commissario fa uscire il jolly dal mazzo, indicando o il vero colpevole, o comunque delle circostanze diverse che hanno portato alla morte su cui si sta indagando. Come le sorelle che accudiscono la madre despota, che tiranneggia il figlio maschio e la sua bella sposa, pur se uscente da torbidi passati. L’avvocato che, non contento della famiglia su cui tiranneggia, si adopera verso serve e garzoni, ricevendone il giusto fio. La sposa di campagna, merce di scambio tra fratelli di animalesco comportamento. Laddove la morta si è realmente suicidata, ma il giallo c’è seppur nascosto. Un racconto dove non c’è praticamente nulla da scoprire, che quando si scopre il morto già si capisce perché è morto, come è morto e chi lo ha ucciso. Un dramma familiare sempre con una megera al centro, che tiranneggia la famiglia, i figli, la possibile nuora, ed anche qui facilmente decifrabile. Un racconto che deve molto ad un testo a me caro (vero Rosa?), “Lo cunto del li cunti” di Gianbattista Basile, che ha l’unico pregio di mostra l’umanità del commissario, nel suo concedersi, semel in mese, una visita ad un onorato bordello, per poi scoprire magagne in altre case chiuse. Per poi finire con l’ultimo, dove si riprende un cenno sempre del Basile, laddove nel precedente c’era Zezolla, che però era solo un personaggio fittizio. Nell’ultimo vediamo che una delle sette sorelle si chiama Cenere, ed allora ricostruiamo la vicenda che in Basile, appunto, Zezolla, costretta in cucina dalla cattiva matrigna, viene chiamata “la gatta cenerentola”. La storia di Basile è abbastanza nota, anche se noi siamo più propensi a ritenere a mente le sue volgarizzazioni successive, sia dei fratelli Grimm che di Charles Perrault. Qui, l’unica idea nuova è la caratterizzazione dei sei personaggi che contornano Cenere, e la cattiveria, sempre e costante della matrigna. Ma lo spessore poliziesco è nullo. Forse, anche se molto velatamente, è meglio il contorno delle storie. La Napoli del colera, dei Tribunali, della pizza fritta. La Napoli delle serenate, dove Lama dà un sentito omaggio a Roberto De Simone ed alla sua fiaba in musica della Gatta. E come in De Simone, quindi, il protagonista, anzi la protagonista diventa la città, come detto sopra. tuttavia, alla fine, si rimane insoddisfatti, delle storie, delle vicende dei personaggi, ed anche il commissario non riesce a farci tornare il piacere di averne letto in precedenza. Faccio solo un ultimo accenno al libro, perché in appendice c’è l’unica cosa veramente interessante. Un ricordo del grande scrittore di gialli noto come Ed McBain, da parte della ben nota scrittrice di gialli del clan Mondadori, a me molto cara, Annamaria Fassio. Ricordo che McBain, in realtà, si chiamava Salvatore Lombino, emigrato con la famiglia da quel di Ruvo del Monte, impervia località irpina. Ma con quello ed altri pseudonimi, costruì una solida fama di narratore, che io ricordo con piacere, in quanto inventore del “procedural thriller”, quello in cui non si segue un personaggio, ma una squadra, gli investigatori dell’87° distretto. Una squadra che mi appassionò in gioventù, con la figura a me care di Steve Carella, e che darà vita non solo a tanti filoni di scrittura analoga, ma soprattutto a tutte quelle serie di gialli televisivi, da NCIS a CSI, da Law&Order sino al recente Profiling, che ne hanno sfruttato al meglio le caratteristiche, e che sono di godibilissima fruizione. Grazie ad Annamaria Fassio per questo cammeo.
Siamo alla prima domenica del nuovo mese, ed eccovi allora l’elenco delle letture di febbraio, illuminate da uno splendido, ed anche lui rimpianto, Amos Oz, mentre continua la caduta verso il basso di un autore come John Banville che prometteva di meglio. Nelle more non scorderò comunque di citare anche Colin Dexter ed il suo magnifico ispettore Morse.

#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Clive Cussler & Graham Brown
The Rising Sea
Putnam
8,50
3
2
Annamaria Fassio
Donne da uccidere
Mondadori
5,90
2
3
Maurizio De Giovanni
Il pianto dell’alba
Einaudi
s.p.
3
4
Enrico Luceri
Le notti della luna rossa
Mondadori
5,90
3
5
John Banville
Un favore personale
TEA
10
1
6
Mateo Garcia Elizondo
Appuntamento con la Lady
Feltrinelli
15
2 ½
7
Kazuo Ishiguro
Non lasciarmi
Repubblica Duemila
9,90
3
8
Andrea Vitali
Le mele di Kafka
Garzanti
12
2
9
Colin Dexter
Il mondo silenzioso di Nicholas Quinn
Sellerio
s.p.
3 ½
10
Eugenio Scalfari
La ruga sulla fronte
Repubblica Duemila
9,90
3
11
Nicole Krauss
Un uomo sulla soglia
Repubblica Duemila
9,90
3
12
John Banville
False piste
Repubblica Noirissimo
7,90
1
13
Dave Eggers
L’opera struggente di un formidabile genio
Repubblica Duemila
9,90
2
14
Diego Lama
La settima notte di Veneruso
Mondadori
6,50
1 ½
15
Amos Oz
Giuda
Feltrinelli
9
4

Comincia maggio, il mese delle rose e di altro che non starò qui a ricordarvi. Doveva essere anche il mese del rilancio del mondo per affiancare il virus e batterlo in volata. Ma mi sa che ce ne vorrà ancora. Chissà come sta la nostra Soriano? Chissà come stanno i miei corrispondenti intorno al momento? Chissà come stanno, realmente i miei amici? Chissà se qualcuno che legge queste mie scarne righe recluse avrà voglia di mandarmi un saluto, con qualsiasi mezzo elettronico abbia a disposizione. 

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