Stefano Di Marino “La torre degli
Scarlatti” Mondadori euro 5,90
[A: 11/09/2017 – I: 09/01/2020 – T:
12/01/2020] &&
e ½
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 271; anno:
2017]
Come forse qualcuno ricorderà, non avevo certo
avuto un particolare moto di gradimento verso il primo romanzo di Di Marino
dedicato all’investigatore dell’occulto Sebastiano “Bas” Salieri. Perché, come
spero ricorderete, mi era sembrato un po’ confusionario, poco esplicativo, ed
alla fine non particolarmente riuscito. Ora, dato che sono inguaribile nel fare
gli stessi errori, visto un nuovo giallo dell’autore, ho deciso di leggerlo.
Fortunatamente il risultato è stato migliore del precedente, anche se non mi è
sembrato ben riuscito. Che i misteri a volte sono rimasti tali. Che alcuni
personaggi andrebbero meglio delineati, e magari non lasciati a sopire in
sottofondo. Mi riferisco in particolare alla segretaria di Bas, la bella
Zairah, che non è il caso di lasciare sempre sullo sfondo di Amsterdam. Anche
se qui, Bas potrebbe sviluppare un’utile conoscenza con Patrizia, la figlia del
suo amico commissario. Che sembra carina e ben competente in materia di truffe
su beni culturali. Facendo un passo di lato, sebbene la scrittura scorra con
facilità, e non è un caso che Di Marino autore ben prolifico è, con la sua
lunga serie di scritti su “Segretissimo”, alla fine, la trama da una parte è
troppo scoperta, e dall’altra non troppo esplicativa (a questo punto io cito
sempre la lista del bravo scrittore di gialli S. S. Van Dine). Per chi, come
molti credo, non avesse letto il primo romanzo, ricordo appunto che il personaggio
centrale è Bas Salieri, ufficialmente mago e illusionista, ed informalmente nemico
di chi si approfitta della superstizione della gente. Quasi un detective alla
Dylan Dog, ma anche esperto di storia e di esoterismo vario. Qui viene
coinvolto in una trama che sembra partire da problematiche di eredità e che si
intreccia a culti strani in terre etrusche. Così Bas si sposta dalla sua base
olandese verso la campagna toscana tra Volterra e San Geminiano. Sulle tracce
della storia della famiglia Scarlatti. In particolare, del capostipite Cosimo,
dal nostro rivestito di fama negromantica, dal nome ripreso storicamente come
uno dei sodali di Bernini. Ma qui poco sembra aver attinenza con legami storici
precisi, che Cosimo è solo un esoterista che si pasceva delle credenze locali
di discendenza etrusca, e segnatamente del culto di un non meglio precisato
“Demone Blu”, braccio destro della divinità dell’oltretomba etrusco nota con il
nome di Thuchulka. A quanto mi
risulta, tuttavia, il nome corretto sarebbe “Demone Azzurro” come dalla tomba
ritrovata in quel di Tarquinia. Comunque, Bas viene ingaggiato dal segretario
dell’ultimo discendente della famiglia Scarlatti, affinché si faccia garante
della corretta applicazione del testamento della famiglia. Infatti, da tempo è
morto Giacomo Scarlatti che avrebbe dovuto avere in consegna il segreto di una
non meglio precisata “Torre” (quella del titolo) contente misteri e gioielli
etruschi. Il segreto della stessa venne però rubato a Giacomo dalla moglie
Cecilia, per vendicarsi dell’accoglienza che Giacomo la costringe ad avere per
sua figlia illegittima Priscilla, a scapito di Mirella e Luca, i due figli
legittimi. Il testamento di Cecilia prevede che le scoperte tombaroleggianti
siano svelate ai figli al compimento della maggiore età. Scopriamo che Luca,
poco prima dei 21 anni, muore in uno strano incidente automobilistico. Ora alla
stessa età si avvicina Mirella. E Luca stranamente ricompare. Ma sarà lui o un
sosia? E che ruolo ha Livio, l’amico di Luca, squattrinato ma presente ora che
si aspettano meraviglie? Ed il segretario? E la stessa Priscilla? Di Marino
cerca di complicare la vicenda con tante derive verso morti misteriose,
presenze, misteri comportamentali. Ma quello che noi, un po’ scanzonati vediamo
è solo la presenza di tombaroli etruschi che depredano le tombe, di vecchie
ruggini mai sopite, proprio per la morte di uno di questi forse per mano di
Giacomo. Della presenza di Nicola, fratello del morto, anche lui in cerca di
vendette e soddisfazioni. In tutto ciò compare inopinatamente il vicequestore
Panitta, conosciuto nella precedente indagine, in pseudo vacanza, accompagnato
dalla moglie e dalla nipote Patrizia, ufficiale dei carabinieri del nucleo
tutela del patrimonio, sotto copertura e in caccia di ladri di antichi
manufatti. Dopo qualche schermaglia, Bas e Patrizia uniscono le forze per
recuperare manufatti sottratti ai beni nazionali e smascherare la trama
finto-esoterica che fin dalle prime battute è talmente scoperta che vale poco
leggerne. Ovvio che i due avranno successo, magari prospettando un futuro di
maggior sodalizio. Unico altro elemento di interesse è la citazione di rari
testi del romano Apollonio Tarquinio (rigorosamente inventato) ritrovati dietro
un quadro, che però sono ben congeniati. Per il resto poco altro, ed una
lettura di medio interesse.
Annamaria Fassio “Donne da uccidere”
Mondadori euro 5,90
[A: 01/10/2018 – I: 02/02/2020 – T:
03/02/2020] &&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 200; anno:
2018]
Anche
se generalmente leggo con piacere le storie imbastite dalla genovese Annamaria
Fassio, questo Giallo Mondadori che, secondo i bugiardini di lancio, dovrebbe
vedere il ritorno in pista della coppia Maffina – Franzoni, in realtà mi ha
deluso abbastanza. Innanzi tutto, che di Maffina c’è poca traccia, se non in
modo quasi trasparente rispetto alla vicenda principale (o alle vicende). C’è
molto Erica Franzoni, con le sue intuizioni, con la sua squadra, ma anche con
le sue insicurezze. Tutto ruota intorno a storie di donne. Che finiscono male,
che vengono trattate male. Insomma, in tempi di femminicidi, questo è un libro
che ne parla. Dalla parte delle donne, cosa che non è da buttar via di questi
tempi. Spesso si fanno incontri poco piacevoli, spesso si rimane coinvolti in
situazioni difficili, spesso non si sa a chi chiedere aiuto. Alla fine, le
storie di donne “da uccidere” come dice il titolo si riducono a tre: quella di
Andra, quella di Costanza e quella di Lucilla. Seguiamo la prima, poco più che
bambina, rumena e maltrattata da patrigni ed altro, liberata e fatta fuggire
dal fratello Florian, che si rifugia in Italia, dove per vivere farà “la vita”,
ma che rimarrà sempre pulita dentro. Tanto pulita che ci aspettiamo si
dall’inizio che farà una brutta fine, anche perché verrà toccata
tangenzialmente anche da altre storie di malaffare (droga, ad esempio).
Seguiamo la seconda che è un’aspirante poliziotta, che ha una storia con un
collega, che ben presto si rileva prima troppo rude, poi, quando lei lo lascia,
violento e volgare. Uno stalker a tuti gli effetti. Costanza ha la difficoltà
di tutte le donne perseguitate nel trovare aiuto. Anche perché, esternamente,
il duro sembra invece un poliziotto affabile. Chi le potrà credere? Chi le
crede sarà Florian, che dopo aver scontato dieci anni in galera per l’uccisione
del patrigno, viene in Italia alla ricerca di Andra. Ed in maniera casual si
trova ad essere sodale di Costanza, a darle un barlume di speranza. Peccato che
Florian debba fuggire da altri demoni che lo perseguitano, anche nel tentativo
di trovare le tracce di Andra. Niente di strano che Costanza possa finire male.
Infine, Lucilla, che non finirà male, ma che, donna di mezza età, facoltosa, ma
senza prospettive sociali, si accompagna con un gigolò di bell’aspetto e
cattive intenzioni, tal Brando. Che lei ospita e nasconde, che copre nei
momenti bui. Peccato che Brando sia veramente cattivo, e quando lei cerca di
riportarlo in riga, non esita a massacrarla di botte. Senza arrivare
all’estremo, per tutta una serie di contingenze che non sto qui a riportare.
Perché, in modo parallelo, Brando è uno che cerca di attaccare briga con tutti,
che cerca di sfogarsi riempendo di botte sconosciuti per strada. Ed
eventualmente sollazzandosi con altre donne, anche contro il loro volere. Brando
ed il suo sodale Richi li vediamo ad esempio assalire una coppia di Gibuti,
massacrarli di botte senza alcun motivo. Solo per cattiveria. Ma mentre Brando,
dopo lo sfogo, diventa un tranquillo cittadino, gigolò di Lucilla, pieno di
sorrisi a destra e a manca, Richi è proprio sbandato, tanto che decide di
prendere a botte anche altre persone, in una escalation che non prevede nulla
di buono. In fondo, a parte sapere chi ha ucciso Costanza e chi Andra, il
giallo in sé non ha molto da svelare. Certo, la scrittura di Annamaria Fassio
ci porta un po’ in giro, riservandoci qualche piccolo colpo di scena finale.
Quelli in cui i presunti cattivi, o almeno quelli che cattivi sono ma sarebbe
troppo scontato fossero anche colpevoli, trovano degli alibi alle malefatte. Ma
un finale in cui, come ben si deve in queste storie, tutti i nodi vengono
sciolti con un bel colpo di spazzola. Peccato che, come spesso succede in
questa tipologia di storie, l’autrice sia troppo frettolosa nel mettere tutti i
puntini al loro posto. Dopo che hai messo un arrosto sul fuoco, devi essere in
grado di far cuocere tutta la carne allo stesso punto, altrimenti vengono parti
più cotte e parti più crude. Come in questo caso, per cui una serie di pezzi
del mosaico vengono svelati in poco righe e poco lasciano il tempo alla
sedimentazione della discoperta. Se ci sono volute un centinaio di pagine per
imbastire i nodi, scioglierli in una decina di righe lo trovo sconveniente. Una
critica che faccio qui, ma che ritorna spesso nelle mie ultime letture di
polizieschi ed affini. Di certo, concludendo, la materia è scottante e dolente.
E bene fa la nostra scrittrice a trattarla. Poteva essere trattata meglio e con
più cattiveria? Forse. Ma almeno un sasso nella grande omertà maschile viene
lanciato, sperando che si allarghi in un maremoto di proteste. Purtroppo, alla
fine, il risultato è leggermente inferiore alle aspettative.
Enrico Luceri “Le notti della luna rossa”
Mondadori euro 5,90
[A: 04/10/2019 – I: 04/02/2020 – T:
07/02/2020] &&&
--
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 194; anno:
2019]
Alla quinta prova, Luceri, finalmente si
risolleva dalle secche delle sue prime prove da me tramate da più di 7 anni.
Anche perché riesce a far tornare sulla scena uno dei suoi personaggi migliori,
il commissario Tonio Buonocore, che avevamo lasciato forse morente per un
cancro ai polmoni, e che qui troviamo felicemente guarito. Ha smesso di fumare,
deve stare attento a mille piccolezze per non compromettere la salute (legata
ad un filo, ovvio). Ma c’è e c’è la sua aiutante, l’ispettore capo Angela
Garzya, la maga dei computer (mentre Tonio lo era dei ragionamenti). Due sono
le cose che mi hanno intrigato nel romanzo, che per altri versi scorre
abbastanza tranquillo. La luna rossa del titolo e le post-fazione di Luceri che
svela (ma qualcuno era già palese) i rimandi letterari della sua opera. Una
dotta copiatura, più che riscrittura. Un modo non banale di portare aventi una
materia, ed un omaggio, visto che questo libro esce per festeggiare i 90 anni
del Giallo Mondadori. Su questo torneremo più avanti, dopo aver visto scorrere
una storia che si svolge nella bellissima zona di Posillipo (e chi sa di
Napoli, apprezza) con i suoi edifici eleganti e la Napoli bene che si affaccia
sul golfo. Un luogo che (purtroppo) vediamo sorgere una trentina di anni prima
dell’azione, quando Giovanna Romano, rampolla di una famiglia benestante, viene
cacciata di casa avendo una relazione con un uomo sposato. Nel presente
assistiamo alle indagini del nostro simpatico duo Tonio e Angela in seguito
alla morte di Letizia, la sorella di Giovanna che all’epoca aveva una decina di
anni. Morte per abuso di ansiolitici, e l’ovvio indagato è il marito, un
cantante neomelodico che ebbe un successo per una rilettura del brano “Luna
Rossa” (ancora! E Renzo Arbore allora?), e che ha tutta da guadagnare dalla
cospicua eredità della defunta. I nostri investigatori scoprono indizi prima
velati poi lampanti che c’è qualcosa che non va. Bicchieri di whisky con tracce
strane, entrate ed uscite dall’appartamento che indicano la quasi certezza che
il colpevole poteva aggirarsi nel condominio senza destare sospetti.
L’intrusione di altre morti, che vanno a complicare il caso. Un detective,
incaricato da letizia di ritrovare la sorella, che forse ha qualche indizio. Un’infermiera
che forse di indizi ne tace. Un inquilino che forse ha visto qualcosa e forse
ricatta qualcuno. Qui cominciano a fiorire tutti quei rimandi di cui si diceva
e che permettono a Luceri di costruire il caso (o il romanzo-omaggio).
L’assassino di Letizia che si muove nel condominio che potrebbe o non potrebbe
essere un abitante dello stesso richiama “Il Natale di Poirot” di Agatha
Christie. Inoltre, l’indizio che porta Buonocore sulla giusta strada si collega
a “Il mistero delle croci Egizie” di Ellery Queen (dove c’era la famosa
bottiglia di tintura di iodio di cui solo l’assassino poteva conoscere il
posto). Altro elemento, che fin dall’inizio ci viene presentato, ma con una
tale nonchalance che ci si fa poco caso, è la strana ubicazione della casa. In
quella della vittima, la stanza in fondo al corridoio della zona notte è una
cucina, mentre al secondo piano, la stessa disposizione porta ad un bagno.
Quando serve un elemento medicale, sarà l’assassino a scoprirsi, a districarsi
nel labirinto delle case, permettendo ai nostri due bravi poliziotti di
risalire, filo dopo filo, tutte le connessioni del caso. Analogie quindi anche
con “La prova in fondo al mare” di Rufus King (un giallo dell’epoca della
Christie, del 1934, riproposto nel 2015 da Mondadori, da leggere), dove
l’assassino entra nella cabina di un relitto per trovare una cosa che se non
fosse già stato lì non avrebbe saputo dove cercare. La conoscenza dei meccanismi
del giallo da parte di Luceri è qui ben esemplificata, con tutta un serie di
rimandi piccoli o grandi: alibi a prova di bomba smontati uno dopo l’altro
(alla maniera di uno dei pionieri del giallo, l’irlandese Freeman Wills Crofts)
o il malato assistito da un‘infermiera che nasconde in realtà altro (come nel
celeberrimo “La fine dei Greene” di S.S. Van Dine). Se volete, potete trovare
altri indizi, io trono al libro che, nonostante tutti questi buoni propositi,
alla fine non è così “entusiasmante” come potrebbe essere. Si salva, appunto,
per la simpatia di Tonio, anche se era meglio nel primo romanzo. Altro punto
forte, è quell’accenno ricorrente alla “Luna Rossa”. Un canzone cui rimando, se
non la conoscete, ricordando solo che le parole furono scritte nel 1950 da
Vincenzo De Crescenzo, lo zio di quell’Edoardo da me sempre ringraziato per
quella splendida “Ancora”. Divertente lettura, ma per la maggior parte grazie
ai rimandi che se ne trovano, più che per la storia in sé (in effetti, in
alcune parti sembra di precipitare in un dejà vu”).
Diego Lama “La settima notte di Veneruso”
Mondadori euro 6,50
[A: 10/08/2018 – I: 21/02/2020 – T: 25/02/2020]
- &&--
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 201; anno 2018]
Non mi era dispiaciuto Diego Lama alla sua
prima prova con un romanzo vincitore del Premio Tedeschi, soprattutto, come
ricordavo, per la buona caratterizzazione del personaggio principale, il
commissario Veneruso. Ed anche per l’ambientazione in quel 1884 in una Napoli
colpita dl flagello del colera. Saltando a piè pari le considerazioni sui
flagelli attuali da coronavirus e simili, devo invece dire che questa seconda
prova, molto costruita, mi ha lascito alquanto freddo. Dico costruita, perché
in realtà non è un romanzo, ma una rielaborazione di diversi piccoli racconti
che nel corso del tempo sono apparsi in appendice ai Gialli Mondadori. Quindi,
scontato il fatto che la forma racconto, in special modo nei racconti
polizieschi, è di difficile gestione, lo scrittore prende una serie di
racconti, li raccorda con intermezzi seral-notturni, per arrivare all’unico
racconto nuovo, l’ultimo quello della domenica, quello del settimo giorno (e
della settima notte) del nostro commissario. Il problema è che, benché tenti di
variare, il cliché di ogni racconto è di impianto praticamente costante. Un
morto, alcune persone intorno, uno o più possibili colpevoli, che sembrano o
accusarsi o essere accusati del delitto, per poi, dopo una chiacchierata
(chiamiamola così che non ha ancor dignità di interrogatorio) il nostro
commissario fa uscire il jolly dal mazzo, indicando o il vero colpevole, o
comunque delle circostanze diverse che hanno portato alla morte su cui si sta
indagando. Come le sorelle che accudiscono la madre despota, che tiranneggia il
figlio maschio e la sua bella sposa, pur se uscente da torbidi passati.
L’avvocato che, non contento della famiglia su cui tiranneggia, si adopera
verso serve e garzoni, ricevendone il giusto fio. La sposa di campagna, merce
di scambio tra fratelli di animalesco comportamento. Laddove la morta si è
realmente suicidata, ma il giallo c’è seppur nascosto. Un racconto dove non c’è
praticamente nulla da scoprire, che quando si scopre il morto già si capisce
perché è morto, come è morto e chi lo ha ucciso. Un dramma familiare sempre con
una megera al centro, che tiranneggia la famiglia, i figli, la possibile nuora,
ed anche qui facilmente decifrabile. Un racconto che deve molto ad un testo a
me caro (vero Rosa?), “Lo cunto del li cunti” di Gianbattista Basile, che ha
l’unico pregio di mostra l’umanità del commissario, nel suo concedersi, semel
in mese, una visita ad un onorato bordello, per poi scoprire magagne in altre
case chiuse. Per poi finire con l’ultimo, dove si riprende un cenno sempre del
Basile, laddove nel precedente c’era Zezolla, che però era solo un personaggio
fittizio. Nell’ultimo vediamo che una delle sette sorelle si chiama Cenere, ed
allora ricostruiamo la vicenda che in Basile, appunto, Zezolla, costretta in
cucina dalla cattiva matrigna, viene chiamata “la gatta cenerentola”. La storia
di Basile è abbastanza nota, anche se noi siamo più propensi a ritenere a mente
le sue volgarizzazioni successive, sia dei fratelli Grimm che di Charles
Perrault. Qui, l’unica idea nuova è la caratterizzazione dei sei personaggi che
contornano Cenere, e la cattiveria, sempre e costante della matrigna. Ma lo
spessore poliziesco è nullo. Forse, anche se molto velatamente, è meglio il
contorno delle storie. La Napoli del colera, dei Tribunali, della pizza fritta.
La Napoli delle serenate, dove Lama dà un sentito omaggio a Roberto De Simone
ed alla sua fiaba in musica della Gatta. E come in De Simone, quindi, il
protagonista, anzi la protagonista diventa la città, come detto sopra.
tuttavia, alla fine, si rimane insoddisfatti, delle storie, delle vicende dei
personaggi, ed anche il commissario non riesce a farci tornare il piacere di
averne letto in precedenza. Faccio solo un ultimo accenno al libro, perché in
appendice c’è l’unica cosa veramente interessante. Un ricordo del grande
scrittore di gialli noto come Ed McBain, da parte della ben nota scrittrice di
gialli del clan Mondadori, a me molto cara, Annamaria Fassio. Ricordo che
McBain, in realtà, si chiamava Salvatore Lombino, emigrato con la famiglia da
quel di Ruvo del Monte, impervia località irpina. Ma con quello ed altri
pseudonimi, costruì una solida fama di narratore, che io ricordo con piacere,
in quanto inventore del “procedural thriller”, quello in cui non si segue un
personaggio, ma una squadra, gli investigatori dell’87° distretto. Una squadra
che mi appassionò in gioventù, con la figura a me care di Steve Carella, e che
darà vita non solo a tanti filoni di scrittura analoga, ma soprattutto a tutte
quelle serie di gialli televisivi, da NCIS a CSI, da Law&Order sino al
recente Profiling, che ne hanno sfruttato al meglio le caratteristiche, e che
sono di godibilissima fruizione. Grazie ad Annamaria Fassio per questo cammeo.
Siamo alla prima domenica del nuovo mese, ed
eccovi allora l’elenco delle letture di febbraio, illuminate da uno splendido,
ed anche lui rimpianto, Amos Oz, mentre continua la caduta verso il basso di un
autore come John Banville che prometteva di meglio. Nelle more non scorderò comunque
di citare anche Colin Dexter ed il suo magnifico ispettore Morse.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Clive Cussler
& Graham Brown
|
The Rising Sea
|
Putnam
|
8,50
|
3
|
2
|
Annamaria Fassio
|
Donne da uccidere
|
Mondadori
|
5,90
|
2
|
3
|
Maurizio De
Giovanni
|
Il pianto
dell’alba
|
Einaudi
|
s.p.
|
3
|
4
|
Enrico Luceri
|
Le notti della
luna rossa
|
Mondadori
|
5,90
|
3
|
5
|
John Banville
|
Un favore personale
|
TEA
|
10
|
1
|
6
|
Mateo Garcia
Elizondo
|
Appuntamento con
la Lady
|
Feltrinelli
|
15
|
2 ½
|
7
|
Kazuo Ishiguro
|
Non lasciarmi
|
Repubblica Duemila
|
9,90
|
3
|
8
|
Andrea Vitali
|
Le mele di Kafka
|
Garzanti
|
12
|
2
|
9
|
Colin Dexter
|
Il mondo
silenzioso di Nicholas Quinn
|
Sellerio
|
s.p.
|
3 ½
|
10
|
Eugenio Scalfari
|
La ruga sulla
fronte
|
Repubblica Duemila
|
9,90
|
3
|
11
|
Nicole Krauss
|
Un uomo sulla
soglia
|
Repubblica Duemila
|
9,90
|
3
|
12
|
John Banville
|
False piste
|
Repubblica Noirissimo
|
7,90
|
1
|
13
|
Dave Eggers
|
L’opera
struggente di un formidabile genio
|
Repubblica Duemila
|
9,90
|
2
|
14
|
Diego Lama
|
La settima notte
di Veneruso
|
Mondadori
|
6,50
|
1 ½
|
15
|
Amos Oz
|
Giuda
|
Feltrinelli
|
9
|
4
|
Comincia
maggio, il mese delle rose e di altro che non starò qui a ricordarvi. Doveva
essere anche il mese del rilancio del mondo per affiancare il virus e batterlo
in volata. Ma mi sa che ce ne vorrà ancora. Chissà come sta la nostra Soriano?
Chissà come stanno i miei corrispondenti intorno al momento? Chissà come
stanno, realmente i miei amici? Chissà se qualcuno che legge queste mie scarne
righe recluse avrà voglia di mandarmi un saluto, con qualsiasi mezzo
elettronico abbia a disposizione.
Nessun commento:
Posta un commento