Tiziano Terzani “In
Asia” TEA euro 5
[A: 02/10/2017
– I: 01/04/2020 – T: 04/04/2020] - &&&&&
--
[tit.
or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 434;
anno 1998]
Una serie di
articoli, riflessioni, appunti e digressioni, in uno dei più bei saggi
sull’Asia da me letti sino ad ora. Certo, sono condizionato dal mio amore per
Terzani e dalla mia passione per i mondi altri. Quelli che lui visita e
descrive con il suo occhio indagatore (ma mai giudicante a priori), quelli che
io ho girato in tutti questi anni e che mi rimangono nell’occhio e nel cuore (e
quando Tiziano ne parla, la mia mente vaga e torna lì con lui).
Per poi finire con
uno sguardo interno. Lui con quella vista su Orsigna che sarà il suo ultimo
rifugio. Io pensando che prima o poi passerò più tempo nella nostra Soriano.
Questa raccolta, di certo a volte non organica, ci permette di percorrere con
il bravo giornalista venticinque anni di storia mondiale, sempre dall’ottica
asiatica da cui lui lavorava. Lui che venne rifiutato dai giornali italiani,
lui che voleva fortemente andare in Asia, per cui accetta il posto di
corrispondente di “Der Spiegel”, e dal 1971, cominciando da Singapore e poi in
giro per tante città, scrive, come confessa, in una lingua non sua per un
lettore che non conosce. Ma forse proprio per questo, per questa mancanza di
preconcetti, questi articoli e riflessioni che qui leggiamo sono di una
bellezza e di un coinvolgimento totale.
Già sapevamo che
era in Vietnam prima, durante e dopo la sconfitta americana (vedi il bellissimo
“Pelle di leopardo”), sappiamo anche dei lunghi mesi a cercare la morte del
comunismo in Russia (vedi il libro citato alcune settimane fa “Buonanotte,
signor Lenin”). Qui escono fuori quelle e tante altre piccole perle.
C’è la Cambogia di
Pol Pot e del dopo khmer rossi. C’è il Laos della fine della guerra e del
Pathet Lao. C’è la Corea del Nord, ma c’è anche la Corea del Sud al tempo delle
Olimpiadi di Seul. Ci sono le Filippine delle guerriglie con gli islamici, ma
anche della vittoria di Cory Aquino e della fuga di Marcos e famiglia. C’è la
Birmania dei militari e della prigione di Aung San Suu Kyi, ed il passaggio a
Myanmar, e le morti di Mindanao. C’è lo Sri Lanka delle Tigri Tamil. C’è il
Giappone in tanti suoi aspetti. Qui, in particolare, ho trovato potente la sua
penna. Non tanto quando si aggira per Hiroshima (come facemmo pochi anni fa con
uno dei miei avventurosi gruppi), quanto per quella domanda che lì aleggia e
che solo lui riesce a formulare in termini non offensivi. Certo, la bomba
atomica è una ferita che non si risanerà mai, ma perché non si parla mai di
tutto quello che negli anni Trenta ha combinato il Giappone nelle sue campagne
asiatiche? Ed è lì che riesce ad analizzare con calma il ruolo ambiguo di
Hirohito. C’è la Cina di Mao, della morte di Mao, dei giovani di Tienanmen e di
Deng Xiaoping, in vita ed in morte. Mi ha ben colpito la narrazione della morte
del grande timoniere, che sarebbe da mettere in risalto come contraltare alla
descrizione della morte di Hirohito. E sempre con il Giappone, ci sono tutte le
scene di vita quotidiana, dalle toilette, agli incolonnamenti nelle
metropolitane, dai bonsai ai soprusi di yakuza e compagnia.
Poi ci sono i grandi
abbandoni: i portoghesi che lasciano Macao, ma soprattutto, ed a lungo, il
calvario della restituzione (!?) di Hong Kong alla Cina (e come sia questo
calvario lo vediamo ancora oggi). Poi c’è l’India, la confusione, l’amore di
Delhi. La visione di persone assolutamente anormali comportarsi in modo
assolutamente normale, tanto che la moglie Angela giustamente gli dice: “Questi
qui sanno qualcosa che noi non sappiamo”. Tutti i piccoli pezzi dell’India sono
pieni di rispetto e amore, ed io con lui torno alle passeggiate per i monti del
Ladakh, alle fatiche di camminare in salita a 3600 metri per raggiungere
l’albergo, ai laghi, alle visioni di pace che mai mi abbandoneranno.
E da vari posti
dell’India arrivano le tre interviste più toccanti, seppur diverse nel tempo e
nello spirito. A Delhi, con Giovannino Agnelli prima che si ammalasse, per
condividere ma anche contrastare quella visione del capitalismo che pare avesse
“il ramo buono degli Agnelli”. A Dharamsala, parlando a lungo e condividendone
la calma, se non le visioni, bevendo calmo un thè con il Dalai Lama. A
Calcutta, in una lunga chiacchierata senza esclusioni di colpi con Madre Teresa
di Calcutta. Tre punti dell’India dove, anche se parlando con non indiani (un
italiano, un tibetano ed una albanese), ci restituisce, mi restituisce quello
che dell’India ho sempre pensato (e vedi anche la citazione finale). L’India
puoi amarla o odiarla, ma non ne puoi fare a meno.
In fine,
ritornando all’inizio di queste rimembranze condivise, il ritorno già nel 1998 ad
Orsigna, che prefigura quello che poi sarà il giro di giostra finale, mi
riporta alla mancanza della nostra Soriano, dove spero di tornare presto,
all’ombra di quegli alberi che abbiamo piantato. Terzani è forse un amore di
vecchiaia, che, proprio per quel suo scrivere molto all’estero, a volte avevo
ignorato. Ma è un amore tenace. Come dico spesso, non è importante la prima, la
seconda o altra moglie o donna con cui si sta. L’importante è l’ultima. Ed
andremo avanti così a leggere saltando qua e là tutto quello che ci viene
riproposto dell’amato toscano.
“La guerra è una
cosa triste, ma ancora più triste è il fatto che ci si fa l’abitudine.” (14)
“Diversamente che
in altri Paesi, in Giappone i terroristi hanno un numero di telefono e un
indirizzo e non mi è stato tanto difficile andarli a trovare.” (197)
“Il Giappone noto
e ammirato nel mondo sfavilla di luci, ma … dietro la sua apparenza di apertura
e modernità, dietro la sua pretesa di essere un Paese industrializzato come gli
altri, anzi migliore degli altri, il Giappone resta, nell’anima, un Paese
ottuso e feudale.” (261)
“Sono arrivato a
Pagan a bordo di un vecchio battello che da Mandalay scende lungo il corso
limaccioso dell’Irrawaddy.” (296) [ah, che ricordo…]
“Le autorità
avrebbero dovuto bloccare la città e impedire alla gente di scappare … [Non è
possibile, perché ndt] siamo una democrazia e non possiamo togliere alla gente
la libertà di movimento.” (318) [non parla di coronavirus, ma della peste
indiana nel 1994]
“- Ma come si vive
in India? … - Male, ma s’impara a morire, e anche quella è un’arte… L’India ti
ricorda in continuazione la tua caducità … ti prende per la gola, ti prende
allo stomaco, ti prende alle spalle … ma è proprio con quelle sue mille
costanti, aggressive, ripugnanti contraddizioni che l’India ti dà – stranamente
– anche pace.” (404)
Roberto
Calasso “Come ordinare una biblioteca” Adelphi euro 14 (in realtà, scontato a
12,85 euro)
[A: 13/06/2020
– I: 14/06/2020 – T: 15/06/2020] &&&
e ¾
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 127; anno: 2020]
Girando
poco per le librerie in questi tempi di coronavirus, non ho mancato alla
riapertura della Feltrinelli-Arion di via Libia. Scaffalando nel nuovo, ecco
che un agile volume di Calasso attira il mio occhio. Sarà che non so realmente
come ordinare i libri, sarà che Calasso promette sempre buoni spunti, ecco che
decido l’acquisto e l’immediata lettura. Veloce, come l’acquisto, anche se non
altrettanto foriera di felicità.
Prima
di tutto perché è un saggio suddiviso in quattro saggi, e ciò già storce se non
viene detto in qualche punto della presentazione. Secondo, che molto del
materiale non è inedito. Anzi realmente, solo il secondo saggio dedicato alle
riviste è realmente inedito. Quindi, da un’ideale top position che avrebbe meritato,
scende gradatamente in basso. Non in modo sensibile, che la scrittura mi
aggrada, stimolando la ricerca di punti di riferimento ed altre connessioni,
altrimenti poco raggiungibili (o prevedibili).
Diciamo
subito che, dei quattro saggi, i due centrali mi hanno coinvolto di meno. Il
primo, quello inedito, è dedicato alle “Riviste” e sebbene comprenda che siano
cose di cui tener conto, ne rimangono echi solo dal punto di vista cerebrale.
Certo, nelle mie lunghe peregrinazioni, ho bazzicato anche riviste. Ma erano
più politiche che letterarie (anche se la letteratura, come tutta la vita, è
sempre, anche, politica). Per cui rammento all’inclito lettore “Appunti ‘70” e
“Praxis”. Mentre ricordo di aver spulciato più e più volte, nella biblioteca
paterna, “Il Mulino” e “Limes”. Il secondo meno appetibile è l’elzeviro, già
edito sul Corriere, dedicato alla prima recensione libraria della storia. Che
ricordo uscì il 9 marzo 1665, a firma di Madeleine de Souvré, marchesa de Sablé,
e dedicata alle “Massime” di François de La Rochefoucauld. Articolo elegiaco,
il cui unico spunto di interesse è la comparazione tra l’originale ed il
pubblicato. Quest’ultimo venne rivisto dallo scrittore stesso, per evitare che
venissero, secondo lui, dette inesattezze. Calasso ci mostra invece, come
l’originale della marchesa fosse sicuramente superiore alle correzioni del
duca.
Rimangono
allora i due scritti che danno senso e valore al testo: “Come ordinare una
biblioteca” e “Come ordinare una libreria”. Fatto salvo che, giustamente,
Calasso non interviene fornendo consigli alla “Marie Kondo” su “bisogna far
questo, bisogna pensare a quello”, la scrematura delle sue parole ci invita a
trovare il nostro ordine nelle biblioteche e nelle librerie. Di certo, le prime
hanno anche una funzione pubblica, devono essere frequentate per reperire libri
e testi altrimenti poco trovabili. Devono consentire un giusto accesso. Devono
essere comode. E soprattutto silenziose. Non si può leggere con profitto nella
confusione. E se si vuole avere della musica, basta prendersi un iPod e
mettersi le cuffie. Così, Calasso ci parla di British Library, di librerie
tedesche, di librerie spagnole. Con uno stile dotto che mi piace seguire, anche
se poi non sempre sono all’altezza di una totale comprensione. Quello che
ricavo dallo scritto sono allora momenti che ritrovo nel mio personale
(dis-)ordine librario. Con, ad esempio, le tre frasi sotto riportate. Per
primo, essendo io stesso un cultore dell’acquisto anticipato rispetto alla
lettura. Secondo, perché da ogni libro (anche se non da tutti) mi rimangono nel
cuore e nella testa delle frasi che risuonano. Non sono certo suoni che
l’autore voleva risvegliare (o quasi sempre non lo sono), ma sono bolle di
reminiscenze che vengono fuori e mi restano appiccicate. L’altro elemento
fondante dell’enucleazione dei libri su degli scaffali, è il concetto di “buon
vicinato”, che spesso libri che sono affini nella mente capitano vicini nella
sede. Io poi, personalmente, sono anche culture delle serie. Per cui, cerco di
porre “guancia a guancia” libri della stessa collana. Poi libri dello stesso
autore. Ma come tutti i “librofili”, per noi è anche importante la libreria
dove si vanno ad acquistare le nostre droghe. Con il must dell’ultima frase,
che è importante “scoprire quello che non si cercava”.
Per
me, alla fine, rimane l’esempio massimo di una buona libreria nella citata “La
Central” di Barcellona. Dove, a parte il gradevole arredo, c’è il primo nucleo
della buona libreria: mettere accanto, in posizioni gestibili dall’utente, non
solo e non tanto l’ultimo libro di un autore, ma quello ed altri suoi testi.
Magari affiancandone anche testi in originale, o in traduzioni usabili (penso
al russo o all’arabo che non spesso sono da tutti frequentati). L’ultimo
accenno a questo bel libro mi viene per riproporre un’altra idea intrigante:
fare uno scaffale, librario, intitolato “Autori”, dove mettere libri appunto di
autori, a prescindere da generi e divisioni. Che saggi, gialli, romanzi,
graphic novel, ed altro non sono, appunto, che letteratura. E spesso della
miglior specie. Grazie Calasso, mi hai fatto pensare.
“Essenziale
è comprare molti libri che non si leggono subito.” (31)
“Il
bene che viene da un libro non è nei fatti che se ne possono trarre, ma nel
tipo di risonanza che risveglia nelle nostre menti.” (44)
“[In
una libreria] l’importante è che [il lettore] possa trovare facilmente i libri
che cercava e scoprire quelli che non sapeva di cercare.” (126)
Zerocalcare
“La profezia dell’armadillo – Artist Edition” Bao publishing s.p. (Regalo di
Flavio)
[A: 07/05/2020
– I: 22/06/2020 – T: 23/06/2020] - &&&
+
[tit.
or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 160;
anno 2017]
Veramente
un gradito regalo per il mio ultimo compleanno, da parte dell’inaspettato Flavio.
Ho sempre seguito, con mezzo occhio e mezzo orecchio, le “nuvole” di Michele
Rech in arte Zerocalcare. Ma per una serie innumerevole di incidenti non avevo
mai letto una storia completa. Grazie alla pandemia, alle visioni di
“Propaganda Live”, Flavio si è accorto del mio interesse, ed eccoci qui. Per
chi ne fosse ignoto, ricordo che lo pseudonimo Michele lo scelse perché,
partecipando ad una discussione su Internet, aveva bisogno di un nickname. In
quel mentre andava in TV la pubblicità di un detersivo, ZeroCal. Beh, il resto
lo immaginate.
Essendo
un “graphic novel”, dovremmo analizzarne le due componenti. Devo dire che
entrambe, per la parte a loro relativa, e per la loro interazione, sono ben
fatte. La grafica non è banale, ma si spalma sulle pagine seguendo i ritmi
personali e le pulsioni del protagonista. Così che non solo vediamo svolgersi i
suoi momenti di vita, ma li vediamo legati ai suoi stati d’animo.
Affastellantesi quando la vita si incasina. Svolgendosi piano nei rari momenti
di quasi serenità. Unita alle parole che servono a farci seguire momenti della
vita di Michele-Calcare. Saltabeccando nel tempo. Inseguendo, a volte in due
battute, a volte in qualche pagina, i piccoli e grandi avvenimenti che
scandiscono la vita del protagonista.
La storia
prende inizio quando Michele viene a sapere della morte di Camille, una sua
vecchia amica, nonché il suo primo amore. Ogni storia, ogni momento, viene
ripercorso, ricordato, narrato, sempre con l’affiancamento di un personaggio
immaginario, che concretizza in una presenza altra le paure e le insicurezze
del protagonista, l’Armadillo. Ci sono poi altri personaggi ricorrenti: gli
amici Secco e Greta, i genitori, dove ad esempio presenta la madre sempre con
le fattezze di Lady Cocca ed il padre con quelle del Signor Ping.
Il
racconto per microstorie si svolge sempre su due piani: il ricordo della
giovinezza con Camille, ed il presente, duro, quasi insopportabile, di un
trentenne che, forse, l’unica cosa che sa fare bene, è disegnare, è rendere in
immagini i suoi stati d’animo. Così, le storie e le paure della gioventù, con
Camille, Greta e Secco, si alternano con i disastri di tutti i giorni: la lotta
mortale contro le zanzare, le preghiere al “dio del giorno dopo” perché
aggiusti quel che il dio del giorno corrente ha irrimediabilmente sfasciato, i viaggi
temporali nel box della doccia, lo slalom tra i mobili di casa su una sedia con
rotelle e le imprecazioni lanciate come coriandoli verso gli stramaledetti vicini
di casa.
E se
i flashback ci raccontano la costruzione della personalità attuale, la
tristezza, la nostalgia, il presente con tutti i suoi disastri ci parla del
Michele di ora, con tutto il suo carico di problematiche e con alcuni punti che
emergono forti: il rapporto, difficile ed insuperabile, con la morte, la
difficoltà, quasi impossibilità, di riuscire ad elaborare il lutto, ma anche la
forza che possiedono i legami tra le persone.
C’è
un’immagine, un momento tipico e topico che poi mi è rimasto impresso,
nell’occhio e nella testa. Quando Michele e Camille riescono a chiudere fuori
della porta i loro compagni/incubi di vita: l’armadillo di Michele ed un enorme
mostro nero di Camille. Così che riescono a passare una notte senza brutti
pensieri.
Michele-Zerocalcare
aveva cominciato in sordina, facendo uscire queste vignette in un blog
innalzatosi al clamore del pubblico con il passaparola. Dobbiamo quindi
ringraziare l’ottimo Makkox che lo ha convinto e sfidato ad uscire allo
scoperto e riunire le vignette in un volume e pubblicarlo per la Bao.
Credo
proprio che questo (e poi gli altri volumi pubblicati da Michele) abbia segnato
un punto di svolta nella percezione della graphic novel in Italia. È un’opera
prima basilare, che segna tutti i punti della poetica di Zerocalcare. E che mi
ricorda sempre la mia amica Luana, costretta ad emigrare in Francia per poter
vivere delle sue bellissime novelle (se la trovate in giro, andate a ricercare
“Ely è là” una poetica sulla narcolessia).
“Si
chiama ‘profezia dell'armadillo’ qualsiasi previsione ottimistica fondata su
elementi soggettivi e irrazionali spacciati per logici e oggettivi, destinata
ad alimentare delusione, frustrazione e rimpianti.” (65)
Daniel
Goleman “Intelligenza emotiva” BUR s.p. (regalo di Benedetta)
[A: 07/05/2020
– I: 01/08/2020 – T: 04/08/2020] - &&
--
[tit.
or.: Emotional Intelligence; ling. or.: inglese; pagine: 486;
anno 1995]
Premettendo che i regali sono sempre graditi,
perché permettono di scoprire o esplorare dei mondi che a volte non vedono il
nostro passo incedere con la solita sicurezza, sono rimasto un po’ deluso da
questo libro. Intanto, nel riportarne i dati, ho utilizzato la versione più
vicina al testo inglese, evitando di mettere quel sottotitolo utile solo ad
accalappiare i patiti del self-help: “che cos’è e perché può renderci felici”.
Soprattutto perché se giustamente Goleman si sofferma a lungo nello spiegare
cosa sia l’intelligenza emotiva (o emozionale), il fatto di renderci felici è
solo una conclusione che ognuno deve trarre per sé stesso.
Intanto, e preliminarmente, l’indubbio merito
di Goleman e di questo suo libro, è che vi è esposta la sua rivoluzionaria
teoria che ha cambiato il modo di pensare l’intelligenza. Dove Goleman, con
esempi e lunghe esposizioni, ci mostra l’esistenza non solo della parte
razionale del pensiero, cosa che più o meno tutti condividiamo da sempre, ma
anche la sua componente emozionale. Una disamina complessa, che certo non posso
affrontare con le mie limitate capacità psicoanalitiche.
Goleman parte da una costatazione banale, che
si condensa in alcune domande. Perché persone che nei test attitudinali sono
fenomenali, risultano inadatte al loro lavoro? Perché persone con un Q.I.
stratosferico vanno comunque incontro a fallimenti matrimoniali? In poche
parole, perché non esiste una intelligenza a tutto tondo?
La risposta di Goleman si articola nel
dimostra che l’intelligenza è in realtà una complessa miscela, dove diversi
fattori si amalgamano, e solo il loro giusto equilibrio porta poi ad una
intelligenza globale. Che non sarà mai comunque esaustiva.
Volendo condensare il succo delle parole di
Goleman in poche affermazioni (laddove l’autore si dilunga in analisi ed
esempi), possiamo pensare l’intelligenza emotiva come costituita da cinque
fattori fondamentali:
Ø l’autoconsapevolezza,
cioè la capacità di riconoscere, capire e gestire gli stati d’animo, le
emozioni e gli impulsi per raggiungere un obiettivo;
Ø l’autoregolazione,
cioè la capacità di indirizzare le emozioni verso il giusto obiettivo prima di
passare all’azione;
Ø la
motivazione interiore, cioè la capacità interna di gioire ed essere appagati
dal compimento di un’azione volta al conseguimento di un obietto, al di là di
qualsiasi ricompensa esterna o materiale;
Ø l’empatia,
cioè la capacità di entrare in contatto con gli altri, in particolare nella
loro sfera emozionale;
Ø le
abilità sociali, cioè le modalità positive finalizzate alla costruzione delle
relazioni interpersonali.
Capite bene, che a partire da queste cinque
affermazioni, volendo ed avendone le capacità, è possibile costruire pagine e
pagine di discussione. Cosa che ben fa Goleman, a volte, tuttavia, soprattutto
nella seconda parte del libro, troppo teso ad esemplificare il tutto con esempi
presi dal mondo dell’infanzia. Certo, e ben lo sappiamo, che l’imprinting
emotivo ed intellettuale di ognuno di noi è fortemente condizionato da quello
che avviene in noi ed intorno a noi nei primi momenti di vita. Ma la scrittura
di Goleman qui si fa un po’ troppo didascalica e logorroiche.
Questo, in pratica, il motivo di una scarsa
sufficienza di lettura. Capisco che corredare di esempi una affermazione ne fa
risaltare meglio la valenza e le implicazioni. Tuttavia, al fine di rendere il
libro più agile, a volte bisognava sacrificare la completezza con la velocità.
Non è quindi facile leggere questo libro, e
ritenerne i punti salienti. Pur nella sua difficoltà, è in ogni caso un valido
spunto per lavorare su sé stessi al fine di essere più consapevolmente capaci
di gestire la propria vita.
“A tutti gli effetti, abbiamo due menti,
una che pensa, l’altra che sente.” (28)
“La leadership non è esercizio di potere,
ma l’arte di persuadere le persone a lavorare per un obiettivo comune.” (244)
“Un amico può fare la differenza, anche
quando tutti gli altri coetanei ti girano le spalle.” (406)
Prima trama di ottobre dedicata ai tanti libri letti in un luglio che avrebbe dovuto portare altri viaggi, ma d’altra parte, non si parte, e sulle rive del Tirreno si legge con molta intensità. Un mese illuminato dalla morte dell’apicultore del bravissimo nordico Gustafsson. Ed ombrato da due assolutamente poco riuscite prove di Fabio Volo (aspettabile) e Don DeLillo (inatteso).
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Toshikazu Kawaguchi |
Finché il caffè è caldo |
Garzanti |
s.p.
|
3 |
2 |
Fabio
Volo |
Quando
tutto inizia |
Mondadori |
7,90
|
1 |
3 |
Claudia Piñeiro |
Le vedove del giovedì |
Repubblica Noirissimo |
7,90 |
2 |
4 |
Wilbur Smith |
Grido di guerra |
TEA |
13 |
3 |
5 |
Lisa Halliday |
Asimmetria |
Feltrinelli |
s.p.
|
2 |
6 |
Vittoria Baruffaldi |
C’era una volta l’amore |
Repubblica FilosofiaViva |
9,90 |
2 |
7 |
Brigitte Glaser |
Delitto al pepe rosa |
Repubblica Noirissimo |
7,90 |
3 |
8 |
Wilbur Smith |
Il potere della spada |
Longanesi |
s.p.
|
3 |
9 |
Alessandro Robecchi |
I cerchi nell’acqua |
Sellerio |
s.p. |
2 |
10 |
Lars
Gustafsson |
Morte
di un apicultore |
Corriere Boreali |
8,90 |
4 |
11 |
Michael Connelly |
Il passaggio |
Pickwick |
10,90 |
3 |
12 |
Frank McCourt |
Le ceneri di Angela |
Adelphi |
12 |
3 |
13 |
Elizabeth Jane Howard |
Il lungo sguardo |
Repubblica Duemila |
9,90 |
3,5 |
14 |
Johan
Harstad |
Che
ne è stato di te, Buzz Aldrin? |
Corriere Boreali |
8,90 |
3,5 |
15 |
Kwei Quartey |
Omicidio nella foresta |
Repubblica Noirissimo |
7,90 |
2 |
16 |
Andrea Vitali |
Viva più che mai |
Garzanti |
12 |
2 |
17 |
Don
DeLillo |
Cosmopolis |
Repubblica NewYork |
9,90 |
1 |
18 |
Wilbur Smith |
Il destino del cacciatore |
HarperCollins |
9,90 |
3 |
19 |
Edgar Lustgarten |
Signori della corte … |
TEA |
10 |
3 |
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