domenica 11 aprile 2021

Avventura Mix - 11 aprile 2021

Avrei voluto dedicare tutta la trama di oggi ad un solo autore di avventure, ma ho terminato tutti i libri già usciti di Wilbur Smith (e leggete la bella intervista su Robinson di questa settimana). Quindi ci aggiungo un lontanissimo (e poco riuscito) Cussler per chiudere le trame odierne. Sarà che questi autori sono diventati un po’ ripetitivi nei loro temi, ma i romanzi di oggi vanno dal poco riuscito ma discreto sino all’inutile. Speriamo sempre che il futuro ci riservi sorprese migliori.

Clive Cussler & Thomas Perry “L’enigma dei Maya” TEA euro 9,90

[A: 28/05/2018 – I: 21/08/2020 – T: 23/08/2020] - &&  

[tit. or.: The Mayan Secrets; ling. or.: inglese; pagine: 331; anno 2013]

FARGO05

Mi sembra quasi superfluo rilevare come le storie dei coniugi Fargo si collochino in basso del mio gradimento verso Cussler, che, per le altre serial story rimane immutato ed alto. Secondo libro letto dopo la morte di Clive, ed anche questo come vedete in alto, dispiace per il poco coinvolgimento intellettuale ed emotivo che mi ha recato.

Come rilevato nella precedente puntata, Cussler ingaggia Perry per risollevare le sorti della serie. E con Perry torna alla riproposizione di elementi storici che vengono da lontano e che danno un certo senso alla vicenda. Tuttavia, pur essendo uno spunto interessante, non riesce a dare una svolta al romanzo, che rimane sull’onda di lotte, inseguimenti, sparatorie e poco altro.

Intanto, facciamo un passo indietro, verso il titolo. Ora, per tutta la vicenda, seppur in modo trasversale e mai diretto, si parla dei Maya e delle cose da loro fatte e rimaste incomprensibili: scritture non tutte decifrate, testi astronomici e matematici all’avanguardia. I Maya hanno ancora tanti segreti che dobbiamo scoprire. Così come sottolinea Cussler. Non certo “un” enigma da rivelare, come farebbe intendere il titolo italiano.

Proprio dai Maya la vicenda comincia, ricordandoci l’interessante figura di Bartolomé de Las Casas, prima soldato sbarcato alla conquista delle Indie di Colombo, poi frate domenicano che spese tutta la vita a difendere gli indios dalle angherie spagnole. Certo, era prete e missionario, e stava in America Centrale per convertire i pagani (anche). Ma mai con la forza, e sempre rispettando la dignità di quelli che all’epoca erano considerati “selvaggi”.

La figura di Bartolomé serve agli autori per introdurre un codice Maya, salvato dalla distruzione spagnolo a Rabinal nel 1537 (fatto storico) da un indio che lo porta a nasconderlo nei dintorni del vulcano Tacanà, sempre in Guatemala, ma vicino al Chiapas. Piccolo inciso di rimembranza, sono sempre e per vari motivi legato al Chiapas, la cui capitale si chiama San Cristobal de Las Casas, indovinate perché.

Da qui intervengono i coniugi Fargo. Sono nella Baja California a studiare squali, sentono di un terremoto a Tacanà, e si precipitano. Lì, fortuitamente, scoprono il nascondiglio dell’indio di cui sopra, e tanti reperti archeologici. Qualcuno tenta di rubarli, ed i nostri, con abili mosse, li trafugano, portandoli nella loro casa a La Jolla in California. Insieme ad un docente dell’Università cominciano a decifrare il codice, ma vengono presto interrotti dal cattivo, anzi dalla cattiva di turno. Sarah Allesby, predatrice di tesori in giro per tutta la terra, nonché stanziatasi in Guatemala, dove offre parte delle sue terre ai signori della droga.

Purtroppo, da qui in avanti la maggior parte della trama si risolve nei tentativi di Sarah e dei suoi scagnozzi di fermare, depistare nonché cercare di uccidere i nostri bravi Sam e Remi. Utilizzando in particolare due “bravi” manzoniani, che tuttavia fanno più che altro la figura degli Gianni e Pinotto del crimine. Finendo spesso nel ridicolo. Ma soprattutto, dopo che hanno prima messo in ridicolo Sarah, poi messa in difficoltà, poi fatti uccidere dalle forze del bene un centinaio di scherani del signore della droga, finendo in modo poco dignitoso nel “chunnel”.

È abbastanza scontato che i Fargo ed i loro amici avranno la meglio, ma l’escamotage di Cussler questa volta è deboluccio. Perché l’asso della manica dei Fargo è il ritrovamento, tra le carte del lascito di Bartolomé al convento di San Gregorio in Valladolid, della copia del libro Maya, dove i nostri riusciranno a decifrare alcuni importanti e sino ad ora non conosciuti siti Maya. Ora, è praticamente impossibile che nessuno, in 450 anni, non abbia compulsato le carte del nostro pur bravo domenicano.

Quindi, storia poco credibile, scene di lotta e di morte un po’ “a muzzo”. Riamane al solito qualche brandello di memoria: la calata nel cenote, che mi ricorda il mio primo viaggio in Messico ed il bagno che vi feci (cosa che ora, sapendone la pericolosità eviterei); i passaggi nel Chiapas (paese del cuore) ma anche il Guatemala di Coban e dello stato di Verapaz (che esiste veramente, proprio con capoluogo il sito stupendo); ma anche il ricordo di Livingston e del passaggio tra Belize e Guatemala, che non feci, ma che lo scorso anno vidi da vicino con un gruppo di bravissimi viaggiatori.

Alla fine, un cenno di ricordo al sempre amato Clive, ed una speranza che le altre serie siano più all’altezza delle mie aspettative.

Wilbur Smith “La volpe dorata” TEA euro 9,90 (in realtà, scontato a 7,45 euro)

[A: 25/08/2018 – I: 25/08/2020 – T: 27/08/2020] - & e ½  

[tit. or.: Golden Fox; ling. or.: inglese; pagine: 417; anno 1990]

(periodo: 1969 - 1977) (COURTNEY 18)

Devo dire, dopo aver letto decine di libri di Smith, che questo l’ho trovato uno dei peggio riusciti. E per fortuna che ne leggo solo in quanto filone cronologico della storia, perché se lo avessi letto all’epoca della scrittura, avrei preso tutta la “smithografia” e l’avrei cestinata.

Ora, non è che non sia vero che i Servizi Segreti intervengono nella storia di molti paesi del mondo. Lo hanno fatto e lo fanno tuttora. Ma dipingere come “cattivi” solo il KGB russo, ed in corollario, tutti quelli dei paesi comunisti (o che almeno lo erano all’epoca della scrittura) mi sembra una forzatura non da poco.

Smith cerca di dipingere il mondo australe africano come si stava sviluppando negli anni Settanta, ma con molto occhio a quanto sta accadendo, soprattutto in Sud Africa, al momento della scrittura del romanzo. Smith, infatti, scrive il testo nel 1990, anno in cui, l’11 febbraio, dopo 27 anni di carcere, viene fatto uscire di prigione Nelson Mandela, e si avvia il processo di liberazione del Sud Africa dalle morse dell’Apartheid.

Certo, il testo si colloca subito dopo il precedente, sia per il tempo della scrittura che per il tempo dell’azione. C’è ancora lo Smith sequenziale, che, dopo un po’di cartucce in giro per la sua Africa amata, si fissa sulla saga dei Courtney, quella del ramo “Waite”. Così, anche qui, ritroviamo la capostipite, Centaine detta Nana, il figlio da lui avuto con Michael durante la prima guerra mondiale, Shasa, ed i suoi quattro figli: Sean, il maggiore, ormai stabilmente dedicatosi alla caccia e stabilitosi in Rhodesia, Garry, il secondogenito, destinato a prendere il posto del padre nell’impero della famiglia, Michael, il giovane, che sapevamo già propenso ad aiutare i neri, e qui sempre più coinvolto (anche se il fatto che sia gay credo sia una caduta dello stile Smith, non per il fatto in sé, ma per il modo) e Isabella, detta Bella, che diventa il fulcro della narrazione, e vedremo perché e come. Ci sono poi tutti i personaggi sopravvissuti ai disastri dell’ultimo libro. La moglie di Shasa, Tara, ormai stabilmente a Londra ed in sostegno alla lotta armata dei neri, anche con Ben, il figlio avuto da Moses. Il ribelle nero Raileigh Tabaka che non riesce ad assurgere al ruolo di vero protagonista.

Il protagonista, come dal titolo, è Ramon de Santiago y Machada. Di antiche origini spagnole, è in realtà cubano e soprattutto membro di spicco del KGB. È lui che ordisce tutta la trama che risulta essere la spina dorsale del libro. Irretisce Bella facendola innamorare, la metta incinta, poi le sottrae il figlio Nicholas Miguel Ramon de Santiago y Machada Courtney e con il ricatto di fargli del male, costringe Bella a diventare un agente dei Servizi Segreti russi.

Non vi sto a tediare su come Bella faccia carriera politica, ma le sue delazioni servono a fermare la corsa alla bomba atomica del Sud Africa, ad alcune avventure collaterali, sino al fermo e probabilmente alla distruzione della produzione di un surrogato di gas nervino. Ora, le cose che Bella ferma sono giustamente bloccate (tant’è che, libero Mandela, il Sud Africa aderisce al bando delle armi di distruzione di massa), ma il modo in cui Smith presenta le azioni di Bella fanno risaltare la cattiveria di Ramon (giusto, è un cattivo e dovrà finir male), la mal riposta infatuazione di Michael, lo stesso agire sconsiderato dei russi in Etiopia (per cacciare e/o uccidere Hailé Selassié, e poi avere decenni di Terrore Rosso con Menghistu) o dei cubani in Angola (con l’appoggio ad Agostino Neto ed altre rappresentazioni storiche che se fossi stato Smith avrei evitato di rappresentare, come le scene ed i piani militari che vengono discussi tra Ramon e  … Fidel Castro; da evitare).

Per inciso, Shasa trova anche il modo di innamorarsi dell’italo-svizzera Elsa Pignatelli.

La rete di Ramon intorno a Bella crollerà solo quando, anche se fortuitamente, la famiglia Courtney verrà coinvolta nell’affare.

Tutta la famiglia, in un finale convulso, partecipa alla liberazione del piccolo Nicky, al tentativo (vedrete voi se di successo) di fermare Ramon ed i suoi. Tra l’altro, con l’aiuto di militari quasi regolari rodesiani, comandati da Ronald Ballantyne (ecco un altro spunto per riunire le due saghe). Comunque, dopo pagine e pagine di “finta” spy story alla Le Carré, troppo veloce si avvia alla conclusione, lasciando sul terreno alcune domande che si spera saranno risolte in altri libri.

Chi e quanti saranno i morti alla fine delle avventure della “Volpe Dorata”? Anche perché il diciannovesimo libro dei Courtney è uscito l’anno prima di questo, e penso difficilmente potrà contenere elementi di chiarimento. Forse solo il libro uscito quest’anno in Inghilterra, che dovrebbe basarsi sulle avventure di Jack Courtney potrà darci lumi. Perché Jack, se capisco dalle parole di Smith, dovrebbe essere il figlio di Nicky.

Comunque, quando parla di politica attuale, anche se lo ha fatto trenta anni fa, è meglio che Smith adotti un basso profilo. E forse è meglio torni alla caccia grossa, che quando descrive di Sean in Rhodesia è molto più coinvolgente di tutto il resto del libro.

Wilbur Smith “L’ultima preda” Longanesi s.p. (Biblioteca di Proba Petronia)

[A: 19/03/2018 – I: 31/08/2020 – T: 02/09/2020] - &&  

[tit. or.: A Time to Die; ling. or.: inglese; pagine: 516; anno 1989]

(periodo: 1987) (COURTNEY 19)

Cronologicamente nel senso della storia, questo è l’ultimo volume della saga dei Courtney, essendo invece il settimo dei diciannove scritti per la serie completa. E sono elementi che si sentono pesantemente, tanto che lo scritto si risolleva per la prima metà, dove si parla di caccia e di Africa, mentre cade vertiginosamente nella seconda metà, quando entra a parlare della Guerra Civile del Mozambico, e dei riflessi nella regione.

Come speravo alla fine della trama precedente, questo libro anteriormente scritto, ha una lunga parte dedicata alla caccia grossa. Della grande stirpe dei Courtney, coinvolta in disastri nella fine del libro incentrato sulla “volpe dorata”, veniamo a sapere solo che ci ha lasciato, nel 1979, Centaine. Mentre, con vari titoli, sono ancora in giro Garrick con la moglie Holly diventato il capo dell’impero, Isabella, ritiratasi a vivere con il figlio Nicky, il grande vecchio Shasa, nonché, visto che ne è il principale protagonista, Sean. Compare in un cameo finale il “cuginastro” Lothar, ed in un inciso sappiamo che il colonello Roland Ballantyne è morto pure lui.

Ma qui, ci dedichiamo a Sean Courtney. Sappiamo che la famiglia gli ha regalato una bella riserva in Rhodesia, già dai tempi di Ian Smith. E sappiamo anche che Sean aveva combattuto con le milizie rhodesiane, contro sia i guerriglieri interni, che quelli dei paesi limitrofi (soprattutto Mozambico e Angola). Ora il paese è suddiviso in Zambia e Zimbabwe, ma noi non ci facciamo confondere da tutto ciò.

Perché la prima parte è ben fatta, e come dice Smith, parla delle cose che lui ben conosce: le grandi distese africane, gli animali, la caccia. Sean lavoro per i ricchi cacciatori, ed ora sta facendo da balia ad un italo sudamericano, Ricardo Monterro, accompagnato dalla figlia Claudia. Già dall’inizio immaginiamo un happy end tra Sean e Claudia, ma molta acqua dovrà passare sotto i ponti. Intanto, Ricardo è malato terminale, e questa è in ogni caso la sua ultima caccia. Per cui vuole uccidere un leone ed il grande elefante delle riserve, il vecchio Tukutela, che secondo quanto ci dice Smith, dovrebbe avere 74 anni più o meno. Seguiamo la caccia al leone, e, a parte le descrizioni cruente, può andare. Ma l’elefante fugge in Mozambico, e per accontentare i suoi fornitori di dollari, Sean decide inopinatamente di addentrarsi nel territorio ex-portoghese. Molto scriteriato, che il Mozambico, benché formalmente pacificato, è ancora scosso dalla guerra civile tra i governativi del FRELIMO (Frente de Libertação de Moçambique) ed i contro governativi del RENAMO (Resistência Nacional Moçambicana). I primi di ispirazione marxista e sovietica, i secondi conservatori. Non ci sorprende che Sean dopo la fine della caccia all’elefante con morte conseguente di Tukutela e di Ricardo, venga catturato dal RENAMO del suo acerrimo nemico soprannominato “el Chino”. Che ovviamente userà Claudia come elemento per costringere Sean a lavorare per lui. Così che in una serie di azioni che sono la parte più pallosa del libro, Sean deve fronteggiare gli attacchi del FERLIMO con elicotteri usati dai russi in Afghanistan, andare in Zimbabwe a rubare al governo locale i missili “Stinger”, armamenti americani unici a poter fermare gli elicotteri.

Ovvio che el Chino alzerà ogni volta la posta, che Sean e Claudia cercheranno ogni volta di farvi fronte, fino alla battaglia finale, di cui non posso svelare l’esito scontato.

Anche perché, ad ora, questo è l’ultimo libro, dove la saga iniziata nel 1565 con sir Charles Courtney, si ferma, ora che siamo nel 1987.

Ripeto, quando Smith parla di politica attuale non è che siamo molto efficace, anche perché pur cercando di presentare i punti di vista di tutte le fazioni, ha comunque una piccola riserva in favore dei bianchi, che sono sì cattivi, ma qualcuno si salva. Mentre dei “coloured” nessuna ha una valenza positiva.

Anche dal punto di vista dei personaggi, seppur abbiamo seguito e con interesse quelli che di volta in volta, nella grande famiglia Courtney impersonavano elementi positivi, Smith non smentisce la sua scrittura un po’ manichea. Tendenzialmente misogina, dove forse solo Centaine de Thiry e Saffron Courtney sembrano avere caratteri positivi, mentre in genere sono i maschi ad avere preponderanza. Anche se solo i maschi “alfa”, quelli che attirano su di sé tutte le voglie. Mentre i gay, pur presenti, sono sempre un po’ bistrattati: come Jordan Ballantyne, che si suicida, o Michael Courtney, terrorista dalla parte sbagliata. E per finire, il lato politico delle storie scritte negli anni ’80 è ancora troppo vicino agli avvenimenti per avere un occhio più disteso, come da prima frase riportata. Occhio che avrà più agio di distendersi nelle storie post Duemila.

Prima di lasciarvi, un ricordo personale, che Sean e Claudia attraversano i confini verso il Mozambico intorno al fiume Limpopo. E ben ricordo una delle mie più belle “gite” australi, proprio dal Kruger a Maputo guadando selvaggiamente il fiume. Ricordo bellissimo.

Ora aspettiamo solo l’ultimo capitolo dei Ballantyne, e magari qualche nuovo episodio del “vecchio” Smith.

“Oltre quel confine si trovano quindici anni di marxismo, corruzione, avidità e incompetenza.” (33)

“L’ultimo fiume era il Limpopo, il ‘gran grigioverde oleoso’ di Rudyard Kipling, tutto costellato di eucalipti.” (444)

Wilbur Smith “La notte del leopardo” TEA euro 6,90

[A: 01/11/2018 – I: 02/04/2021 – T: 04/04/2021] - && e ½

[tit. or.: The Leopard Hunts in the Darkness; ling. or.: inglese; pagine: 465; anno 1984]

(periodo: anni ‘80) (BALLANTYNE 08)

Ultimo (finalmente) dei “vecchi” scritti di Wilbur Smith che chiude (almeno parzialmente) i cicli storici iniziati dall’anziano autore. Ora escono altre avventure, che si incastreranno qua e là, nelle storie dei Courtney e dei Ballantyne, ma i romanzi “classici” con questo sono terminati.

Sicuramente il libro risente dei quasi quaranta anni dalla scrittura e, come ho scritto altrove, dal fatto che Smith parla di avvenimenti praticamente contemporanei alla scrittura, motivo per cui è da una parte coinvolto anche personalmente (o almeno emozionalmente) dall’altra non ha ancora una prospettiva storica per interpretare le trame politiche del nascente Zimbabwe.

Anche la scrittura è datata, si perdono un po’ le descrizioni “africane” che tanto avevano avuto successo nei suoi primi libri. Certo, rimane l’immagine iniziale degli elefanti, qualche leopardo e qualche iena, ed un po’ dei modi di vita dei locali. C’è anche del sesso, come era nelle prime scritture, ma anche qui molto lieve, molto di passaggio. Ma tutto è molto datato, ed anche poco consequenziale, come gli ultimi libri del grande ex-rhodesiano ci hanno abituato.

Tra l’altro, il protagonista principale è sì della stirpe dei Ballantyne, ma di lontana generazione, anche se era il protagonista della seconda parte del libro “Gli angeli piangono”. Stiamo infatti parlando di Craig Mellow, bis nipote dell’ultimo Ballantyne noto, cioè Jonathan “Bawu” Ballantyne. Cioè, per la precisione, una delle tre moglie di Bawu dà alla luce due figli: Douglas e Jean. Il primo sposa Valerie da cui nasce Douglas che muore ne “Gli angeli piangono”. Jean invece sposa un tal Mellow (forse discendente alla lontana dei Codrington che nell’Ottocento intrecciarono i loro destini con i Ballantyne) e dalla loro unione nasce Craig (quello che qui seguiamo). Craig che avevamo lasciato in partenza per New York, a seguire la sua carriera di scrittore insieme alla bella Janine.

Ora lo ritroviamo ancora a New York, caduto nella spirale alcolica, senza prospettive per altri libri, irretito da lusinghe editoriali della World Bank, bistrattato dal suo editor, incuriosito dalla figura della fotografa Sally-Anne (essendo Janine volata ad altri lidi).

Tutto congiura a che Craig torni nello Zimbabwe, dove trova la situazione politica che noi, a quarant’anni di distanza, ben conosciamo. Cacciata dei bianchi, razzismo alla rovescia, atteggiamenti tipici degli arrivisti (neri, bianchi o di qualsiasi colore), ingerenze delle potenze straniere (lì molta Russia e un po’ di CIA, ora tanta, tantissima Cina), insomma il solito circo africano, senza neanche troppe “invenzioni”.

Craig ritrova Tungata, suo sodale di razza matabele, ma non riescono ad intrecciare subito le vecchie sinergie. Viene invece irretito da Peter Fungabera, aitante ministro di razza mashona, che lo coinvolge in alcune sue idee di modernizzazione del territorio. Craig ci casca mani e piedi, anche se noi già pensiamo che ‘sto Peter mica ci convince tanto. Craig va su e giù per le terre dei suoi avi, con la bella Sally-Anne che fa delle foto da favola. Ma anche qui, il gioco è scoperto: quanto ci metteranno per andare a letto insieme?

Craig ricompra le terre del nonno, ipotizza di lanciare turismo dei parchi (cosa che ancor oggi vediamo stentare; se volete vi parlo della mia ultima visita in Botswana), ed insieme alla sua bella cerca di mettere fine al bracconaggio verso i rinoceronti. Ovvio che cada nella trappola di Peter, accusi e faccia condannare Tungata, con tutto quello che ne consegue.

Assistiamo allora al solito carosello di facili conseguenze che ci aspettiamo dal classico Smith: Craig e Sally-Anne capiscono di aver toppato, cercano, con l’aiuto di Sally, la donna di Tungata di metterci una pezza, Peter se ne accorge, dichiara Craig nemico del popolo, gli requisisce terre e soldi, cerca anche di uccidere lui e Sally-Anne. Anche perché Peter, sobillato dai russi, cerca anche di ritrovare il famoso tesoro di Lobengula Khumalo, il secondo ed ultimo re dei Metabele. Vi posso facilmente risparmiare le vicissitudini avventurose un po’ alla Cussler più che alla Smith che vedono protagonisti Craig, Sally-Anne, Sarah e Tungata (per chi lo avesse scordato, ricordo di passaggio che il suo vero nome era Samuel Khumalo, fate voi i collegamenti) e che li porteranno a sfuggire ad ogni trappola, a ribellarsi a Peter, a trovare il modo di metterlo fuori causa, nonché a trovare il tesoro dei matabele, con tutto quello che ne consegue, in termini personali e di “happy end”.

Finirei soltanto rimarcando, appunto, che la troppa vicinanza con gli avvenimenti lascia l’occhio di Smith poco distante e poco “neutrale”. Non dico che bisognava prendere le parti di Robert Mugabe, il dittatore rosso dello Zimbabwe che, in varie forme, tenne il potere dal 1980 al 2017, ma di certo neanche dargli addosso (almeno in alcune attività iniziali). Certo, Mugabe e la sua 5^ Brigata (che nel libro diventa 3^) furono colpevoli dell’eccidio di almeno 20.000 matabele. Certo, Mugabe era (e venne dimostrato esserlo) corrotto. Ma dare senza mezzi termini tutte le colpe al KGB (come fa qui Smith) senza tener conto anche del ruolo della CIA, mi sembra un po’ troppo facilone.

Comunque, con questo ed il precedente siamo arrivati agli anni ’90 dello scorso secolo, sia per i Courtney che per i Ballantyne. La scrittura di questi libri è molto datata, e io sento la mancanza delle “grandi colline d’Africa”. Non so se quelli che stanno uscendo (e ne parlerò a tempo debito) riescono a rinverdire i fasti dell’inizio, ma spero che almeno siano emozionalmente migliori. Vedremo.

Seconda trama del mese, che, in tema con i sentimenti del periodo, è dedicata alla vecchiaia.

Visto che in molte uscite del periodo la poesia è in prima linea, anche se non spesso nelle mie corde, vi dedico comunque un breve versoi di Alda Merini tratto dal bellissimo "Sono nata il ventuno a primavera": "nuvole di pianto sono le mie parole / un brivido di canto il silenzio del tuo respiro".

È comunque un periodo arduo, tanto si accavalla, di attività e di impegni da risolvere, che non staremo qui ad elencare, ma che ci ricorderemo insieme più in là. Penso solo che tutti riescano a fare i vaccini, come sperato. 

CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i “bugiardini” di Giovanni

APRILE 2021

Beh, non sarà mai una malattia, ma di certo è una condizione cui tutti (spero) arriveremo in forma, e che dovremmo affrontare. Come?

VECCHIAIA, ORRORE DELLA

Jane Gardam            “Figlio dell’impero britannico”

Marco Malvaldi         “La briscola in cinque”

«La vecchiaia ha i suoi lati positivi che, per quanto differenti, non sono inferiori ai piaceri della gioventù». Così disse il vecchio saggio Somerset Maugham, che gradì tanto l’ultimo periodo della sua vita da superare i novant’anni. La maggior parte di noi non riesce a vederli, questi lati positivi, e alcuni addirittura arrivano ad auspicare una via di uscita alla James Dean, vivere veloce-mente e smettere quando si può ancora «lasciare un bel cadavere» come dice il personaggio di Nick Romano in “Le lacrime della città” di Willard Motley (ne è stato tratto anche un film con Humphrey Bogart). La stragrande maggioranza di noi lascerà arrivare la vecchiaia; essere vivi, anche se deboli, inaciditi e scorbutici è meglio, in generale, che essere morti. Per aiutarvi ad accogliere il vostro canto del cigno in un modo più positivo, vi prescriviamo due romanzi per dimostrarvi che avere settant’anni non significa ancora essere finiti.

Il giudice Feathers, protagonista di “Figlio dell'impero britannico” di Jane Gardam è un uomo estremamente dignitoso e ancora straordinariamente bello, con una forte presenza. È anche molto pulito - quasi vanitoso. Le sue scarpe splendono «come castagne d’india», i suoi vestiti sono eleganti com’erano negli anni Venti, completi di fazzoletto di seta nel taschino e calzini gialli acquistati da Harrods. Non vi è alcun odore di vecchiaia nella sua casa - è ricco, e un tempo aveva dei domestici, eredità degli anni di servizio in Oriente, che si «occupavano» di lui. Non è per mancanza di igiene personale o domestica, quindi, che da parecchi anni viene soprannominato «vecchia schifezza»; è un nomignolo che si è dato da solo, perché «dopo aver fallito a Londra, ci aveva provato con Hong Kong».

Lui e la moglie Betty, in realtà, a Hong Kong avevano avuto un successo strabiliante, e tutti davano per scontato che ci sarebbero rimasti. Ma qualunque ipotesi formulata su Feathers tende a non cogliere nel segno. Nella sua vita, infatti, ci sono dei segreti alimentati da traumi del passato, e il giudice è in realtà un uomo completamente diverso da quello che sembra. Sotto la superficie, scopriamo un caleidoscopio di progetti di viaggi, miriadi di persone da visitare, sogni di incontri riparatori - e lui è uno più che capace di realizzare tutto questo. (Soprattutto di lasciarsi alle spalle un bel cadavere).

Pensatela così: quando sarete vecchi, non dovrete più farvi ostacolare dalla facciata professionale degli anni della maturità. Potrete fare uscire il giudice Feathers che avete dentro - sperando, tuttavia, che il vostro guidi un po’ meglio.

Non si deve comunque mai dimenticare che la migliore ricetta è vivere ogni età della propria vita con ironia. Un buon esempio lo danno i vecchietti del BarLume. Abitano a Pineta, nella provincia di Livorno, davanti al Mar Tirreno. Tutti i giorni, alla stessa ora, calano dalle loro case come uno stormo di uccelli che molto hanno volato, si siedono al solito tavolino e da lì cominciano a cicalare nei loro discorsi tutta la vita che non potranno più vivere.

Del resto, quando hai ottant’anni ed è agosto «l’unica cosa che puoi fare è andare al bar» a giocare a briscola in cinque o a spiare la scollatura di una ragazza. Ma può anche capitare che le loro chiacchiere servano a qualcosa, perché non si smette mai di essere utili. Per esempio, a sgomitolare l’affaraccio di un omicidio costringendo i pensieri a viaggiare alla velocità giusta. La verità è che da seduti si guarda meglio. E la loro banda lo sa. Hanno nomi d’altri tempi: Aldo, Pilade, Ampelio, Gino. Sono i più anziani e irregolari investigatori che si siano mai visti da queste parti. In una strana forma, comica e leggera, oppongono la loro sfrontata resistenza a un mondo che non la finisce di offendere e di devastare la memoria di tutto.

Bugiardino

Jane Gardam ce l’ho e prima o poi lo leggerò, ed allora ne riparleremo. Malvaldi, invece, è presente con tutti i suoi scritti nella mia biblioteca, e questo citato è il primo che ne lessi, che mi fulminò d’amore immediato. Certo, ne parlai tredici anni fa, in un tempo in cui le mie trame erano molto stringate. Chissà se meglio ora o allora?

[tit. or.: Gone with the Wind; ling. or.: inglese; pagine: 1104; anno 1936]

Marco Malvaldi “La briscola in cinque” Sellerio euro 10

[tramato il 23 dicembre 2007]

Opera prima del ricercatore pisano. E come tutte le prime piena di elementi positivi e interessanti. Vedremo la seconda. Per ora mi godo l'aria della Pineta versiliana, il BarLume che offre caffè artigianale di Seravezza. Ed un mistero che si dipana proprio quando sembra arrivato ad un punto morto. Da un cassonetto dell'immondizia in un parcheggio periferico, sporge il cadavere di una ragazza giovanissima. Siamo in un paese della costa intorno a Livorno "diventato località balneare di moda a tutti gli effetti, e quindi la Pro Loco sta inesorabilmente estinguendo le categorie dei vecchietti rivoltandogli contro l'architettura del paese: dove c'era il bar con le bocce hanno messo un discopub all'aperto, in pineta al posto del parco giochi per i nipoti si è materializzata una palestra da body-building all'aperto, e non si trova più una panchina, solo rastrelliere per le moto". L'omicidio ha l'ovvio aspetto di un brutto affare tra droga e sesso, anche a causa della licenziosa condotta che teneva la vittima, viziata figlia di buona famiglia. E i sospetti cadono su due amici della ragazzina nel giro delle discoteche. Ma caso vuole che, per amor di maldicenza e per ammazzare il tempo, sul delitto cominci a chiacchierare, discutere, contendere, litigare e infine indagare il gruppo dei vecchietti del BarLume e il suo barista. In realtà è quest'ultimo il vero svogliato investigatore. E sotto all’intrigo giallo, la vita di una provincia ricca che sopravvive testarda alla devastazione del consumismo turistico. Per l'estate al Forte.

Conclusioni

Intanto, visto che avevo scritto “vedremo la seconda (per Malvaldi)”, devo dire che l’ho vista, mi è piaciuta e continuo a leggerne. Forse non sono solo questi gli orrori della vecchiaia, che, e parlo soprattutto per Malvaldi, più che di orrori parlerei di consolazioni. Per gli orrori, avrei citato qualcosa che descrivesse malattie e stati d’animo “tristi”, che so, tanto per fare un nome, “Una cosa da nulla” di Mark Haddon.


2 commenti:

  1. CIAO
    spettatore Sono qui per condividere la mia testimonianza su come sono finalmente entrato nel quartiere degli Illuminati e sono diventato RICCO, FAMOSO E POTENTE, ho fatto del mio meglio per diventare un membro della confraternita, ma sono stato truffato più volte, prima di trovare una testimonianza. su internet quindi ho contattato l'agente, avevo tanta paura che mi avrebbe chiesto un sacco di soldi prima che potessi unirmi alla luce, ma con mia grande sorpresa mi ha chiesto solo di acquistare gli articoli che ho realizzato e oggi sono molto felice di dirgli al mondo che sono ricco e sono stato in grado di costruire molti affari con tutto questo ho ottenuto una somma istantanea di $ 7 milioni di dollari nel mio conto personale e sono anche conosciuto in tutto il mondo con il business. che la confraternita degli Illuminati mi ha dato e ho anche il potere di fare quello che voglio... so che molte persone possono essere nella mia corsia anche in cerca di aiuto ecco voi
    email ufficiale: illuminatilight676@gmail.com
    N. WhatsApp: (+ 1 (573) 982-0773)


    ATTENTI AI TRUFFATORI E DEVI AVERE 18 ANNI.

    RispondiElimina
  2. CIAO
    spettatore Sono qui per condividere la mia testimonianza su come sono finalmente entrato nel quartiere degli Illuminati e sono diventato RICCO, FAMOSO E POTENTE, ho fatto del mio meglio per diventare un membro della confraternita, ma sono stato truffato diverse volte, prima di trovare una testimonianza. su internet quindi ho contattato l'agente, avevo tanta paura che mi avrebbe chiesto un sacco di soldi prima che potessi unirmi alla luce, ma con mia grande sorpresa mi ha chiesto solo di acquistare gli articoli che ho realizzato e oggi sono molto felice di dirgli al mondo che sono ricco e sono stato in grado di costruire molti affari con tutto questo ho ottenuto una somma istantanea di $ 7 milioni di dollari nel mio conto personale e sono anche conosciuto in tutto il mondo con il business. che la confraternita degli Illuminati mi ha dato e ho anche il potere di fare quello che voglio ... so che molte persone possono essere nella mia corsia anche in cerca di aiuto ecco tu
    email ufficiale: illuminatilight676@gmail.com
    N. WhatsApp: (+ 1 (573) 982-0773)


    ATTENTI AI TRUFFATORI E DEVI AVERE 18 ANNI.

    RispondiElimina