Ma non, come fa Repubblica, perché si svolgono nella giornata festiva, solo perché io ve li mando oggi, nel giorno di Pasqua di questo ancora poco amichevole anno. Abbiamo qui tre donne e due romanzi spagnoli che alla fine risultano i migliori, sia l’ennesima avventura di Petra sia il prestito delle alte terre di Fako. Di media ed ormai un po’ “bollita” amenità il solito Aristotele che viene dal Canada, mentre in fondo, quasi sommerso una poco utile scrittura olandese.
Alicia Giménez-Bartlett “Mio caro serial Killer” Sellerio euro 15 (in
realtà, scontato a 12,75 euro)
[A: 19/03/2018 – I: 12/10/2020 – T:
15/10/2020] - &&&
[tit. or.: Mi querido asesino en serie;
ling. or.: spagnolo; pagine: 471; anno 2017]
Sull’onda
della Petra di Paola Cortellesi e Maria Sole Tognazzi, mi rimetto a leggere
dell’ispettrice Delicado. Una buona lettura, seppur non ancora ai primi
livelli. Prima però un piccolo inciso dedicato alla serie: ben fatta, con Paola
ben centrata nel ruolo di Petra, e Pennacchi un superbo finto-Garzon. Ci si
chiede il perché del camuffamento di Barcellona con Genova, ma è un peccato
veniale. Ci si chiede però soprattutto se seguiterà. Che Petra passa da dura
soltanto a dura a metà, con la bella storia con Marcos.
Venendo
al libro, come detto, anche qui, soddisfatti a metà. Buoni i personaggi, alcune
caratterizzazioni, e la prima metà del noir. Scontata, prevedibile quasi, la
seconda metà del noir con il suo finale obbligato.
Alicia,
anche qui, oltre a seguire il filone noir per dare qualche messaggio, anche
sociale, prosegue sul tinteggiare Petra anche di suoi propri riflessi
personali. Mentre nelle ultime prove si era molto concentrata sul rapporto con
Marcos e con i figli, ora (dato cha anche per lei gli anni passano) fa qualche
puntata sul passare degli anni e sul rapporto giovani-meno giovani nell’ambito
lavorativo. Come ben risalterà nelle schermaglie tra lei e l’ispettore Fraile,
il giovane rampante, non della Polizia Nazionale ma dei Mossos d’Esquadra (che
sarebbe la Polizia direttamente agli ordini dell’amministrazione regionale
catalana, e non agli ordini di Madrid; un elemento poco spiegato nel testo, ma
che ha una sua valenza nelle diatribe tra Petra e Roberto).
Che
Petra (e Garzon) essendo della vecchia guardia, affrontano i problemi (almeno
inizialmente) con un piglio soft, dedicandosi anche al ragionamento, spesso
intorno a birra e stuzzichini alla taverna della Jarra de Oro (l’analogo per
loro della Brasserie Dauphine di Maigret). Mentre Fraile è sempre sul pezzo,
vede, poi scrive, poi riporta, mangia cibo spazzatura e dorme poco. Tanto che
all’inizio pensavo entrasse in qualche modo nel torbido della storia, per poi
invece (e fortunatamente) essere sempre dalla parte dei buoni. Peccato per
qualche problema familiare, assai dolente, e che scoprirete da soli.
Sul
lato “non noir”, peccato il poco spazio sia ai ragazzi di Marcos che a Marcos.
Mentre fa piacere il cammeo della suocera Elvira. Peccato anche che Beatriz ci
sia solo da lontano (per chi ha perso delle puntate, è la moglie di Garzon).
Sul
lato poliziesco, i nostri devono affrontare una serie di morti. Anzi di morte,
che vengono uccise, in bella sequenza, una serie di donne, più o meno di mezza
età, tutte con le stesse modalità: ferite di coltello al ventre, poi una
gragnuola di coltellate in faccia, come quando si cancella qualcuno da una
fotografia. Seppur con molta difficoltà (bisogna pur riempire le quasi
cinquecento pagine), altri elementi di comunanza avvicinano le donne uccise: si
erano rivolte ad una agenzia di incontri ed avevano frequentato, seppur per
poco, una persona che sembra essere la stessa.
Si
stringe così la ricerca intorno ad Armando, uno sciupafemmine seriale, che
potrebbe avere tutte le caratteristiche di essere lui il serial killer. Ma una
quarta donna viene uccisa lui essendo in prigione. Le possibilità si allargano:
non è lui, è lui nelle prime ed un emulo nella quarta, è lui ma ha assoldato un
sicario. E via ipotizzando trame sempre più complicate.
A
queste aggiungiamo il comportamento non certo adamantino della responsabile
dell’agenzia di incontri. Poi della presenza di un ex-socio di Armando, che
poco amichevolmente si erano lasciati. Certo, qualcosa di torbido c’è dietro,
che sembra non risultino mai pagamenti di Armando alla società. Vuoi vedere che
c’entra qualcosa nella gestione?
Io ho
avuto dei sospetti sulla soluzione finale quando, tra tutte le foto che Armando
conserva delle sue conquiste, una sola è corredata dal nome della donna. Quando
poi questa stessa donna viene anche lei trovata morta in circostanze
apparentemente analoghe, la soluzione è lampante. Peccato che i nostri
impieghino ancora pagine e pagine per trovarla. E per fortuna che Alicia la
indora bene, facendola uscire alla fine ben più complicata di quella
apparentemente facile da scoprire.
Ma di
questo ne leggerete. Come leggerete le sempre felici uscite di Garzon, l’umore
altalenante di Petra, la rientrata dolenza di Roberto. Ed altre piccole
mini-azioni che costellano un libro non sempre ben riuscito, ma che non delude.
Anche perché, e qui siamo solidali con Alicia, si parla di donne uccise, di
solitudini, di età che avanzano, di psicologia ed altro ancora.
Se
fossi un filologo, terminerei analizzando la differenza tra lo spagnolo del
titolo, che dice “asesino en serie” e l’italiano che usa la versione inglese
“serial killer” (quando esisterebbe anche un placido italiano come “omicida
seriale”). Siamo forse un po’ troppo legati alle serie televisive americane, e
l’anglofilia fa sempre fino.
“La
vita è quasi sempre strana. Per moltissimo tempo ti sembra di non invecchiare
affatto e poi un bel giorno, davanti allo specchio, ti accorgi che gli anni ti
sono piombati addosso tutti insieme.” (9)
“Ho
scoperto che essere seri non significa per forza essere tristi e che la
tragedia può buttarti a terra solo quando ti prendi troppo sul serio.” (468)
Simone Van der Vlugt “All’ombra di mia
sorella” Kowalski s.p. (prestito di Fako)
[A: 10/01/2019 – I: 26/11/2020 – T: 28/11/2020]
- & e ½
[tit. or.: Schaduwzuster; ling. or.: nederlandese; pagine: 355; anno 2005]
Avevo
come una sorta di resistenza interiore ad affrontare questo libro, pur
provenendo dalle grandi raccolte che dismette il mio sodale di lettura. Tutto
sommato, una resistenza giustificata, che il libro si legge velocemente in
quanto di interesse inconsistente sia per la parte psicologica, sia per la
parte “gialla”, sia per la scrittura in generale.
E mi
domando anche come mai sia entrato nelle letture del mio amico.
L’autrice
è olandese, quarantenne all’epoca della scrittura del libro, e meglio nota in
patria come scrittrice di romanzi storici (spesso legati ai pittori olandesi ed
alla città di Delft). Qui (e pare anche in altre per fortuna poche opere) si
cimenta con un giallo psicologico.
Intanto,
c’è una piccola sfumatura tra il titolo originale (“Sorella ombra”) e questo
italiano. Il romanzo è imperniato sulla figura di due sorelle gemelle,
monozigotiche (quindi molto simili fisicamente), ma complementari
nell’atteggiamento sociale. Una pubblica, tesa alla redenzione dell’umanità,
insegnante in una scuola piena di immigrati. Una privata, che si eclissa
volontariamente rispetto alla sorella, pensando all’intimo, alle fotografie,
insomma sembrerebbe senza spazi esterni degni di nota.
Primo
elemento che mi rende ostile il testo: il doppio binario, che da un lato
seguiamo Marjo l’estroversa e dall’altro Leike la fotografa. Già questo mi
disturba (quando non è ben bilanciato), ma peggiora decidendo di seguire i due
percorsi sfasati temporalmente.
Spiego:
Marjo insegna, entra in conflitto con uno studente arabo, viene minacciata, ed
uccisa. Questo è il lato giallo. Allora seguiamo i suoi pensieri e le sue
azioni da quando comincia al conflitto fino all’incontro con la morte.
Dall’altro i pensieri e le azioni di Leike cominciano dal funerale della
sorella e proseguono fino al disvelamento del come e dei perché.
Da un
lato, Simone cerca di accumulare prove e sensazioni affinché Bilal venga messo
sotto l’occhio dei riflettori come futuro assassino. Ma seguiamo anche Marjo
nei suoi rapporti conflittuali con il marito Raoul che forse ha avuto e forse
ha altre storie. Pericolosa situazione, che Marjo è la principale azionista
della ditta del marito, e nel caso di rottura ci metterebbe un attimo a
mandarlo sul lastrico. E cerchiamo anche di capire se l’amante del marito (che
in questa parte di scritti non sappiamo chi sia) abbia la possibilità e la
voglia di sbarazzarsi della rivale. C’è poi una terza incomoda, una collega di
scuola e vicina di casa, con marito spesso assente che sembra fare gli occhi
dolci al tipo.
Dall’altro,
quando seguiamo Leike, vediamo anche qui accumularsi prove e idee di possibili
colpevolezze. C’è Thomas, l’amico sodale di Leike, da sempre a lei vicino,
colpito dal suicido del padre in gioventù, molto introverso, e da sempre in
abbastanza palese conflitto con Marjo. C’è la migliore amica di Leike, Sylvie,
che si scopre ad un certo punto essere lei l’amante del cognato. Non solo, è
anche sempre su binari opposti a Marjo.
Ma
oltre a Bilal, Raoul, Sylvie e Thomas, la nostra abile Simone paventa la
possibilità che sia la stessa Leike ad aver commesso il delitto, non
sopportando la presenza, certo ingombrante, della sorella. Anche perché Leike è
anche (e da sempre) segretamente innamorato di Raoul.
Fin
qui, abbiamo il sunto di possibili trame giallo-nere. Ma tutto il testo è
pervaso dal tentativo, già insito nel titolo, di entrare nel dibattito dei
rapporti tra gemelli. Anche se poi ne vediamo solo il lato Leike, che Marjo,
nella sua corsa verso la morte, è presa da altro. Ma è una resa sterile. Non ci
sono appigli di ragionamento, di approfondimento. Si dà per scontato che ci sia
della gelosia pregressa tra le due, magari dovuta a banali episodi infantili.
Tutto però scorre, senza far presa sul cervello, e lasciando il lettore al
bordo degli avvenimenti, senza avere necessità oi volontà di entrarvi.
Allo
stesso modo, tutto un possibile filone sull’immigrazione, sull’integrazione
raziale nei paesi nordeuropei è sbordato ma mai affrontato. Marjo è volenterosa
nell’applicarsi. Così come lo erano anche i suoi genitori ora pensionati.
Niente
da fare, tutti piccoli nodi che Simone getta cadono nel vuoto di una scrittura
poco convincente, finendo per convincermi che l’unica cosa da fare è arrivare
al più presto alla fine e capire chi ha fatto cosa. L’ho fatto. Ora posso
chiudere il libro e sconsigliarne la lettura.
Javier Cercas “Terra alta” Guanda s.p.
(prestito di Fako)
[A: 08/11/2020 – I: 10/12/2020 – T: 12/12/2020]
- &&&
[tit. or.: Terra Alta; ling. or.: spagnolo; pagine: 375; anno 2019]
Solita lettura iperveloce, che se no Fako mi
tartassa di domande, ed io non conosco le risposte. Purtroppo, però, questa
volta Cercas mi ha un po’ deluso. Una trama che resta molto al di sotto sia dei
soldati di Salamina che dell’anatomia di un istante. Non che non abbia qualche
spunto, non che sia tutta da rifiutare. Ma è abbastanza scontata, se ne
intuiscono presto le linee di percorrenza, e molti dei possibili colpi di scena
sono sotto la soglia di attenzione.
Benché di una scrittura trasversale, comunque,
lo colloco tra le letture “gialle”, che c’è un mistero da risolvere, con dei
morti, nel presente e nel passato. Ma Cercas è sempre dell’idea che tutta vada
ad inserirsi nelle pieghe della Spagna, della sua storia, delle sue
contraddizioni. Ed anche questo testo non si tira indietro.
Dato che sono abbastanza sicuro che Cercas è
un buon lettore, oltre che un buon scrittore, noto che, addentrandosi nelle
pieghe del giallo, ma di sicuro livello, usa reminiscenze note. Alla fine, il
testo sembra provenire da una miscela di Ellroy e Dürrenmatt. C’è la ricerca
degli assassini materni della madre di Melchor, che, come in “Dalia Nera”, era
prostituta e viene barbaramente uccisa, ed il figlio diventato poliziotto …
Metto i puntini che se non conoscete Ellroy andate a leggerlo. E c’è la ricerca
degli assassini dei vecchi Adell, che, come ne “La promessa”, prosegue anche
quando tutti gli indizi non portano a nulla e tutte le indagini vengono chiuse.
Altro elemento che a me, ma forse sono sempre
l’unico, disturba è il solito vezzo di andare su e giù nel tempo. Seguiamo così
il protagonista, Melchor Marin, un po’ durante l’indagine della morte atroce
dei vecchi Adell, un po’ nello svolgersi della sua vita, dalla nascita al
momento attuale. Così che al penultimo capitolo le due storie convergono
temporalmente, e si avviano ad una conclusione.
Melchor è comunque un nome castigliano, che
sta, come si capisce, per l’italiano Melchiorre, così chiamato dalla madre
prostituta perché quando nacque lo vide “bello come un re magio”. D’altra
parte, sappiamo che “los Reyes” per gli spagnoli sono più importanti di altri
simboli, in quanto sono loro a portare i regali ai bambini. Non Babbo Natale,
non la Befana e nemmeno Santa Klaus. Ed a proposito di lingua, torno un attimo
sul titolo, che invece usa il catalano “Terra” invece del castigliano “Tierra”.
Ma d’altronde il luogo della vicenda è in provincia di Tarragona, sulle rive di
quell’Ebro, fiume che vide la più grande e dura battaglia della Guerra Civile
spagnola, che lì vi si combatté dal luglio al novembre del 1938. Finì con la
vittoria di franchisti, segnando l’inizio della fine della guerra, e la
sconfitta delle truppe repubblicane.
Ma torniamo al testo. Nella parte in
flashback, seguiamo Melchor nella sua discesa verso la parte “mala” della vita.
Droga, cartello dei colombiani, uccisioni, e poi carcere. Dove sviluppa la sua
passione per la lettura, e diventa “drogato de ‘I Miserabili’ di Hugo”. Poi
l’uccisione della morte, e la sua decisione di emulare Javert piuttosto che
Jean Valjean. Entrato in polizia, il momento clou è quando debella una banda
islamica, uccidendone diversi esponenti. Per cui viene mandato a stare un po’
lontano, in quel di Terra Alta.
Qui comincia la seconda parte della sua vita,
quella che poi seguiamo in presa diretta. Innamoramento con Olga, bibliotecaria
ben più grande di lui, matrimonio, nascita della figlia, che viene chiamata
Cosette (vediamo se indovinate perché). Poi l’uccisione degli Adell, una delle
famiglie più in vista della zona, che dà da mangiare a più di metà provincia,
ed anche all’estero con filiali delle sue industrie in mezzo mondo, compreso il
Messico.
La morte è atroce, ma si capisce fin da
subito che è opera di professionisti, che non può che arrivare dall’entourage
degli Adell, che sicuramente (lo si vede dalla ferocia) è per me da collegare
alle battaglie della Guerra Civile.
Melchor indaga, chiede, si arrabatta. Ma non
si riesce a cavare molto, anche se i sospetti su qualcuno sono ben forti (da
parte mia), nonché su qualche elemento della polizia che anche abbastanza
palesemente, fa un gioco sporco. Indagini chiuse, ma Melchor non demorde, anche
a costo di pesanti sofferenze (quali siano ve lo leggete da soli). Non sarebbe
mai arrivato da nessuna parte, come Dürrenmatt, se qualcuno non cominciasse a
mandare lettere anonime. Che lo istradano, ed in poco tempo, lo portano alla
soluzione del caso.
Ripeto, Cercas vuole sempre mescolare alto e
basso, e sin qui siamo anche d’accordo. Ma qui la miscela non deflagra, rimane
un brodino riscaldato. Personaggi non tutti riusciti. Forse solo Olga, la
moglie di Melchor. Unico punto veramente forte e d’impatto, tutta la parte
sulle letture e sui libri. Dove vediamo il nostro “re magio” saltare, sotto
l’input di Olga, da Camus a Pasternak, da Perec a Tomasi di Lampedusa.
Soprattutto questi ultimi due mi hanno sorpreso, per la conoscenza all’estero
del nostro Gattopardo. E per la rimembranza de “La vita istruzioni per l’uso”
di Perec, che pensavo fosse meno conosciuto.
Aspettiamo comunque un ritorno di Cercas a
temi più consoni alla sua scrittura.
“La metà di un libro ce la mette lo
scrittore, l’altra metà ce la metti tu.” (62)
“Un idiota e un incapace. Naturalmente, come
tutti gli idioti e gli incapaci, ha un concetto molto elevato di sé, ma è
quello che è.” (150)
Margaret Doody “Aristotele e la Casa dei
Venti” Sellerio euro 15 (in realtà, scontato a 12,75 euro)
[A: 07/05/2018 – I: 29/01/2021 – T: 31/01/2021] - && e ½
[tit. or.: Aristotle and the House of the Winds; ling. or.: inglese; pagine: 343; anno 2018]
Torniamo dopo sei anni alle vicende
poliziesche molto finte elaborate dalla canadese Doody. Fine conoscitrice del
mondo greco, e di Aristotele in particolare, con questo sono undici i libri da
lei dedicati alle vicende del filosofo stagirita. Che, neanche tanto
stranamente, hanno avuto più successo in Italia, sicuramente spinti dal marchio
Sellerio, che comunque è un buon sigillo di garanzia. Se poi rivado alle
letture che ne ho tratto, devo ancora una volta sottolineare come le prime
uscite erano pervase da un rigore, a volte anche eccessivo, che serviva a far
aderire la vicenda a momenti topici della filosofia aristotelica.
Poi, questo ardore si è affievolito, un po’
per dar vita a vicende magari legate alla vita ateniese dell’epoca. O forse a
connotare diversamente i vari personaggi. Fatto sta, che le pretese filosofiche
o ne venivano affievolite, o, come in questo caso, mascherate e quadi
obnubilate da altro. Anche se qui, appunto, più che la filosofia i sé, sembra
in gioco l’immagine pubblica di un personaggio. Che tuttavia non è Aristotele.
Tra
l’altro, chiudevo l’ultima trama su Aristotele dicendo come fosse difficilmente
riapribile. Ed in effetti, questo capitolo non porta lustro alla serie.
Inoltre, al fine di trovare spazio e possibilità di racconto, l’autrice fa un
salto di tre anni indietro rispetto al precedente romanzo, così che le vicende
narrate si svolgono tra la primavera e l’estate del 326 a.C., con il filosofo
che si avvia verso i sessant’anni. Un filosofo che sembra vestire i panni di uno
Sherlock Holmes con i calzari, aiutato nelle sue imprese dall’amico
Stefanos-Watson, che si prende la briga poi di scrivere il resoconto delle
avventure.
Il
non breve romanzo, abbandonati temi puramente aristotelici, punta dal lato
filosofico alla contrapposizione tra la logica di Aristotele ed il Mondo delle
Idee di Platone. Certo che Aristotele discende da Platone, e che distruggere la
figura dell’uno renderebbe nullo anche l’altro. Ma è una lotta filosofica che
poco traspare, tutta adombrata e ricoperta dalle lotte per il potere. in primis
ad Atene, ma poi, in lungo e largo, a Siracusa, ed in Sicilia in generale, dove
si svolge la maggior parte della trama.
Ad
Atene si intuisce la contrapposizione tra l’Accademia platonica guidata da
Senocrate, ora che son passati venti anni dalla morte del filosofo, ed il Liceo
aristotelico (inciso: ho scoperto che si chiama così, nome che poi nella nostra
cultura assurge ad altre nominalistiche, in onore di Apollo Licio).
In
Sicilia aspre sono le lotte di potere, da un lato memori delle tirannidi di
Dionisio I e II, che ospitarono nel tempo Platone e dove il filosofo ebbe non
poche disavventure, dall’altro prese tra analiti di libertà locali e possibili
invasioni greche (da Corinzio) nonché alessandrine (visto che mancano ancora
tre anni alla morte del Magno).
Al
grido di “Salvate il soldato Platone”, per evitare che la memoria del grande si
infangata da scritti poco lusinghieri, Aristotele (non vi dico come o perché) è
costretto a recarsi a Siracusa. Sarà ovviamente coinvolto nelle lotte di
potere, che porteranno alla morte del nobile Periandro. Morte che vedrà in
campo le doti deduttive del nostro Aristotele. Attraverso banchetti ed altre
disavventure locali, lui e Stefanos porteranno a termine questo compito.
Per
poi dedicarsi a debellare la seconda parte: il ritrovamento e l’eventuale
distruzione di documenti compromettenti. In questa seconda fase, faranno anche
una puntata nelle Isole Eolie, dove la Doody avrà moto di adombrare le teorie
aristoteliche su terremoti ed altri movimenti terrestri ed acquatici. Noi
invece ci godiamo la descrizione di Lipara, delle eruzioni di Vulcano, ma anche
di Ortigia e la sua Fonte Aretusa o di Tauromenion (l’odierna Taormina) ed il
bellissimo teatro.
Alla
fine, Aristotele vincerà su tutta la linea, come è ovvio. Noi rimarremo a
compulsare le dotte note finali della scrittrice su come e dove ha preso
ispirazione per i vari passaggi. Ma alla fine risulta tutto troppo cerebrale,
ed un po’ faticoso da seguire (non sempre tutto viene spiegato in dettaglio).
Anche i dialoghi, pur nel loro tentativo socratico, risultano solo dotte
esercitazioni, anche un po’ pesanti. Non è una lettura sgradevole, ma uno dei
meno riusciti degli undici scritti dalla Doody.
Non solo è Pasqua, ma è anche la prima trama
di aprile, così vi posso tediare con l’abbondante mese di gennaio, dove, visto
che si sta chiusi in casa, aumentano verticalmente le letture. Con due bei top:
le poesie di Cees Nooteboom ed i racconti sul cinema di Sciascia. Mentre in
fondo alla scala c’è un inutile raccontino di Alicia (che invece in questa
trama si era presentata decisamente meglio).
Prime letture del 2021, con l’abbondante
messe di gennaio. Due top: Nooteboom e Sciascia ed una Alicia da scartare. Per
il resto, una diffusa ed onesta sufficienza.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Gianni Biondillo |
L’incanto delle sirene |
TEA |
12 |
3 |
2 |
Ben Lerner |
Nel mondo a venire |
Repubblica
NewYork |
9,90 |
3 |
3 |
Isabel
Allende |
Lungo
petalo di mare |
Feltrinelli |
s.p. |
3 |
4 |
Gigi
Proietti |
Mandrake
a Roma |
Repubblica |
s.p. |
3 |
5 |
Antonio Manzini |
L’anello mancante. Cinque indagini di
Rocco Schiavone |
Sellerio |
14 |
3 |
6 |
Marco
Malvaldi |
Il
borghese Pellegrino |
Sellerio |
14 |
3 |
7 |
Jay McInerney |
La luce dei giorni |
Repubblica
NewYork |
9,90 |
2,5 |
8 |
Gabriella
Genisi |
La circonferenza
delle arance |
Feltrinelli |
8,50
|
3 |
9 |
Gabriella
Genisi |
Giallo
ciliegia |
Feltrinelli |
s.p. |
2 |
10 |
Andrea
Camilleri |
Capodanno |
Repubblica |
s.p.
|
2 |
11 |
Maurizio
de Giovanni |
Un
giorno di Settembre a Natale |
Repubblica |
s.p.
|
3 |
12 |
Agata
Bazzi |
La
luce è là |
Corriere
– Saghe |
7,90 |
3 |
13 |
Cees
Nooteboom |
Addio |
Iperborea |
11 |
4 |
14 |
Asli
Erdogan |
La
città dal mantello rosso |
Garzanti |
s.p. |
2 |
15 |
Andrea Fazioli |
L’arte del fallimento |
TEA |
10 |
3 |
16 |
Alicia
Gimenez-Bartlett |
Un
Natale di Petra |
Repubblica |
s.p. |
1 |
17 |
Travis
Elborough |
Atlante
dei luoghi inaspettati |
Rizzoli |
s.p. |
3 |
18 |
Andrea
Vitali |
Gli
ultimi passi del Sindacone |
Garzanti |
12 |
2,5 |
19 |
Gianrico
Carofiglio |
La
versione di Fenoglio |
Repubblica
BrividoNoir |
8,90 |
3 |
20 |
Leonardo
Sciascia |
“Questo
non è un racconto” |
Adelphi |
13 |
4 |
21 |
Haruki
Murakami |
Ranocchio
salva Tokyo |
Einaudi |
s.p.
|
2,5 |
22 |
Margaret Doody |
Aristotele e la Casa dei Venti |
Sellerio |
15 |
2 |
Come detto non può che scivolare via anche
questa domenica pasquale, ma mi fa piacere, prima di lasciarci, condividere
questo pensiero di John Fante tratto da “Full of life”: “Devo
essere me stesso … Se mi puoi amare per quello che sono saremo felicissimi. Se
non puoi cercherò di meritarmelo. Non nasconderò i miei gusti o le mie
avversioni.”
Tutti cerchiamo di esserlo, quanti ci
riescono?
Per questo continuo ad abbracciarvi in questi tempi pandemici.
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