domenica 4 aprile 2021

Gialli Pasquali - 04 aprile 2021

Ma non, come fa Repubblica, perché si svolgono nella giornata festiva, solo perché io ve li mando oggi, nel giorno di Pasqua di questo ancora poco amichevole anno. Abbiamo qui tre donne e due romanzi spagnoli che alla fine risultano i migliori, sia l’ennesima avventura di Petra sia il prestito delle alte terre di Fako. Di media ed ormai un po’ “bollita” amenità il solito Aristotele che viene dal Canada, mentre in fondo, quasi sommerso una poco utile scrittura olandese.

Alicia Giménez-Bartlett “Mio caro serial Killer” Sellerio euro 15 (in realtà, scontato a 12,75 euro)

[A: 19/03/2018 – I: 12/10/2020 – T: 15/10/2020] - &&&   

[tit. or.: Mi querido asesino en serie; ling. or.: spagnolo; pagine: 471; anno 2017]

Sull’onda della Petra di Paola Cortellesi e Maria Sole Tognazzi, mi rimetto a leggere dell’ispettrice Delicado. Una buona lettura, seppur non ancora ai primi livelli. Prima però un piccolo inciso dedicato alla serie: ben fatta, con Paola ben centrata nel ruolo di Petra, e Pennacchi un superbo finto-Garzon. Ci si chiede il perché del camuffamento di Barcellona con Genova, ma è un peccato veniale. Ci si chiede però soprattutto se seguiterà. Che Petra passa da dura soltanto a dura a metà, con la bella storia con Marcos.

Venendo al libro, come detto, anche qui, soddisfatti a metà. Buoni i personaggi, alcune caratterizzazioni, e la prima metà del noir. Scontata, prevedibile quasi, la seconda metà del noir con il suo finale obbligato.

Alicia, anche qui, oltre a seguire il filone noir per dare qualche messaggio, anche sociale, prosegue sul tinteggiare Petra anche di suoi propri riflessi personali. Mentre nelle ultime prove si era molto concentrata sul rapporto con Marcos e con i figli, ora (dato cha anche per lei gli anni passano) fa qualche puntata sul passare degli anni e sul rapporto giovani-meno giovani nell’ambito lavorativo. Come ben risalterà nelle schermaglie tra lei e l’ispettore Fraile, il giovane rampante, non della Polizia Nazionale ma dei Mossos d’Esquadra (che sarebbe la Polizia direttamente agli ordini dell’amministrazione regionale catalana, e non agli ordini di Madrid; un elemento poco spiegato nel testo, ma che ha una sua valenza nelle diatribe tra Petra e Roberto).

Che Petra (e Garzon) essendo della vecchia guardia, affrontano i problemi (almeno inizialmente) con un piglio soft, dedicandosi anche al ragionamento, spesso intorno a birra e stuzzichini alla taverna della Jarra de Oro (l’analogo per loro della Brasserie Dauphine di Maigret). Mentre Fraile è sempre sul pezzo, vede, poi scrive, poi riporta, mangia cibo spazzatura e dorme poco. Tanto che all’inizio pensavo entrasse in qualche modo nel torbido della storia, per poi invece (e fortunatamente) essere sempre dalla parte dei buoni. Peccato per qualche problema familiare, assai dolente, e che scoprirete da soli.

Sul lato “non noir”, peccato il poco spazio sia ai ragazzi di Marcos che a Marcos. Mentre fa piacere il cammeo della suocera Elvira. Peccato anche che Beatriz ci sia solo da lontano (per chi ha perso delle puntate, è la moglie di Garzon).

Sul lato poliziesco, i nostri devono affrontare una serie di morti. Anzi di morte, che vengono uccise, in bella sequenza, una serie di donne, più o meno di mezza età, tutte con le stesse modalità: ferite di coltello al ventre, poi una gragnuola di coltellate in faccia, come quando si cancella qualcuno da una fotografia. Seppur con molta difficoltà (bisogna pur riempire le quasi cinquecento pagine), altri elementi di comunanza avvicinano le donne uccise: si erano rivolte ad una agenzia di incontri ed avevano frequentato, seppur per poco, una persona che sembra essere la stessa.

Si stringe così la ricerca intorno ad Armando, uno sciupafemmine seriale, che potrebbe avere tutte le caratteristiche di essere lui il serial killer. Ma una quarta donna viene uccisa lui essendo in prigione. Le possibilità si allargano: non è lui, è lui nelle prime ed un emulo nella quarta, è lui ma ha assoldato un sicario. E via ipotizzando trame sempre più complicate.

A queste aggiungiamo il comportamento non certo adamantino della responsabile dell’agenzia di incontri. Poi della presenza di un ex-socio di Armando, che poco amichevolmente si erano lasciati. Certo, qualcosa di torbido c’è dietro, che sembra non risultino mai pagamenti di Armando alla società. Vuoi vedere che c’entra qualcosa nella gestione?

Io ho avuto dei sospetti sulla soluzione finale quando, tra tutte le foto che Armando conserva delle sue conquiste, una sola è corredata dal nome della donna. Quando poi questa stessa donna viene anche lei trovata morta in circostanze apparentemente analoghe, la soluzione è lampante. Peccato che i nostri impieghino ancora pagine e pagine per trovarla. E per fortuna che Alicia la indora bene, facendola uscire alla fine ben più complicata di quella apparentemente facile da scoprire.

Ma di questo ne leggerete. Come leggerete le sempre felici uscite di Garzon, l’umore altalenante di Petra, la rientrata dolenza di Roberto. Ed altre piccole mini-azioni che costellano un libro non sempre ben riuscito, ma che non delude. Anche perché, e qui siamo solidali con Alicia, si parla di donne uccise, di solitudini, di età che avanzano, di psicologia ed altro ancora.

Se fossi un filologo, terminerei analizzando la differenza tra lo spagnolo del titolo, che dice “asesino en serie” e l’italiano che usa la versione inglese “serial killer” (quando esisterebbe anche un placido italiano come “omicida seriale”). Siamo forse un po’ troppo legati alle serie televisive americane, e l’anglofilia fa sempre fino.

“La vita è quasi sempre strana. Per moltissimo tempo ti sembra di non invecchiare affatto e poi un bel giorno, davanti allo specchio, ti accorgi che gli anni ti sono piombati addosso tutti insieme.” (9)

“Ho scoperto che essere seri non significa per forza essere tristi e che la tragedia può buttarti a terra solo quando ti prendi troppo sul serio.” (468)

Simone Van der Vlugt “All’ombra di mia sorella” Kowalski s.p. (prestito di Fako)

[A: 10/01/2019 – I: 26/11/2020 – T: 28/11/2020] - & e ½  

[tit. or.: Schaduwzuster; ling. or.: nederlandese; pagine: 355; anno 2005]

Avevo come una sorta di resistenza interiore ad affrontare questo libro, pur provenendo dalle grandi raccolte che dismette il mio sodale di lettura. Tutto sommato, una resistenza giustificata, che il libro si legge velocemente in quanto di interesse inconsistente sia per la parte psicologica, sia per la parte “gialla”, sia per la scrittura in generale.

E mi domando anche come mai sia entrato nelle letture del mio amico.

L’autrice è olandese, quarantenne all’epoca della scrittura del libro, e meglio nota in patria come scrittrice di romanzi storici (spesso legati ai pittori olandesi ed alla città di Delft). Qui (e pare anche in altre per fortuna poche opere) si cimenta con un giallo psicologico.

Intanto, c’è una piccola sfumatura tra il titolo originale (“Sorella ombra”) e questo italiano. Il romanzo è imperniato sulla figura di due sorelle gemelle, monozigotiche (quindi molto simili fisicamente), ma complementari nell’atteggiamento sociale. Una pubblica, tesa alla redenzione dell’umanità, insegnante in una scuola piena di immigrati. Una privata, che si eclissa volontariamente rispetto alla sorella, pensando all’intimo, alle fotografie, insomma sembrerebbe senza spazi esterni degni di nota.

Primo elemento che mi rende ostile il testo: il doppio binario, che da un lato seguiamo Marjo l’estroversa e dall’altro Leike la fotografa. Già questo mi disturba (quando non è ben bilanciato), ma peggiora decidendo di seguire i due percorsi sfasati temporalmente.

Spiego: Marjo insegna, entra in conflitto con uno studente arabo, viene minacciata, ed uccisa. Questo è il lato giallo. Allora seguiamo i suoi pensieri e le sue azioni da quando comincia al conflitto fino all’incontro con la morte. Dall’altro i pensieri e le azioni di Leike cominciano dal funerale della sorella e proseguono fino al disvelamento del come e dei perché.

Da un lato, Simone cerca di accumulare prove e sensazioni affinché Bilal venga messo sotto l’occhio dei riflettori come futuro assassino. Ma seguiamo anche Marjo nei suoi rapporti conflittuali con il marito Raoul che forse ha avuto e forse ha altre storie. Pericolosa situazione, che Marjo è la principale azionista della ditta del marito, e nel caso di rottura ci metterebbe un attimo a mandarlo sul lastrico. E cerchiamo anche di capire se l’amante del marito (che in questa parte di scritti non sappiamo chi sia) abbia la possibilità e la voglia di sbarazzarsi della rivale. C’è poi una terza incomoda, una collega di scuola e vicina di casa, con marito spesso assente che sembra fare gli occhi dolci al tipo.

Dall’altro, quando seguiamo Leike, vediamo anche qui accumularsi prove e idee di possibili colpevolezze. C’è Thomas, l’amico sodale di Leike, da sempre a lei vicino, colpito dal suicido del padre in gioventù, molto introverso, e da sempre in abbastanza palese conflitto con Marjo. C’è la migliore amica di Leike, Sylvie, che si scopre ad un certo punto essere lei l’amante del cognato. Non solo, è anche sempre su binari opposti a Marjo.

Ma oltre a Bilal, Raoul, Sylvie e Thomas, la nostra abile Simone paventa la possibilità che sia la stessa Leike ad aver commesso il delitto, non sopportando la presenza, certo ingombrante, della sorella. Anche perché Leike è anche (e da sempre) segretamente innamorato di Raoul.

Fin qui, abbiamo il sunto di possibili trame giallo-nere. Ma tutto il testo è pervaso dal tentativo, già insito nel titolo, di entrare nel dibattito dei rapporti tra gemelli. Anche se poi ne vediamo solo il lato Leike, che Marjo, nella sua corsa verso la morte, è presa da altro. Ma è una resa sterile. Non ci sono appigli di ragionamento, di approfondimento. Si dà per scontato che ci sia della gelosia pregressa tra le due, magari dovuta a banali episodi infantili. Tutto però scorre, senza far presa sul cervello, e lasciando il lettore al bordo degli avvenimenti, senza avere necessità oi volontà di entrarvi.

Allo stesso modo, tutto un possibile filone sull’immigrazione, sull’integrazione raziale nei paesi nordeuropei è sbordato ma mai affrontato. Marjo è volenterosa nell’applicarsi. Così come lo erano anche i suoi genitori ora pensionati.

Niente da fare, tutti piccoli nodi che Simone getta cadono nel vuoto di una scrittura poco convincente, finendo per convincermi che l’unica cosa da fare è arrivare al più presto alla fine e capire chi ha fatto cosa. L’ho fatto. Ora posso chiudere il libro e sconsigliarne la lettura.

Javier Cercas “Terra alta” Guanda s.p. (prestito di Fako)

[A: 08/11/2020 – I: 10/12/2020 – T: 12/12/2020] - &&&   

[tit. or.: Terra Alta; ling. or.: spagnolo; pagine: 375; anno 2019]

Solita lettura iperveloce, che se no Fako mi tartassa di domande, ed io non conosco le risposte. Purtroppo, però, questa volta Cercas mi ha un po’ deluso. Una trama che resta molto al di sotto sia dei soldati di Salamina che dell’anatomia di un istante. Non che non abbia qualche spunto, non che sia tutta da rifiutare. Ma è abbastanza scontata, se ne intuiscono presto le linee di percorrenza, e molti dei possibili colpi di scena sono sotto la soglia di attenzione.

Benché di una scrittura trasversale, comunque, lo colloco tra le letture “gialle”, che c’è un mistero da risolvere, con dei morti, nel presente e nel passato. Ma Cercas è sempre dell’idea che tutta vada ad inserirsi nelle pieghe della Spagna, della sua storia, delle sue contraddizioni. Ed anche questo testo non si tira indietro.

Dato che sono abbastanza sicuro che Cercas è un buon lettore, oltre che un buon scrittore, noto che, addentrandosi nelle pieghe del giallo, ma di sicuro livello, usa reminiscenze note. Alla fine, il testo sembra provenire da una miscela di Ellroy e Dürrenmatt. C’è la ricerca degli assassini materni della madre di Melchor, che, come in “Dalia Nera”, era prostituta e viene barbaramente uccisa, ed il figlio diventato poliziotto … Metto i puntini che se non conoscete Ellroy andate a leggerlo. E c’è la ricerca degli assassini dei vecchi Adell, che, come ne “La promessa”, prosegue anche quando tutti gli indizi non portano a nulla e tutte le indagini vengono chiuse.

Altro elemento che a me, ma forse sono sempre l’unico, disturba è il solito vezzo di andare su e giù nel tempo. Seguiamo così il protagonista, Melchor Marin, un po’ durante l’indagine della morte atroce dei vecchi Adell, un po’ nello svolgersi della sua vita, dalla nascita al momento attuale. Così che al penultimo capitolo le due storie convergono temporalmente, e si avviano ad una conclusione.

Melchor è comunque un nome castigliano, che sta, come si capisce, per l’italiano Melchiorre, così chiamato dalla madre prostituta perché quando nacque lo vide “bello come un re magio”. D’altra parte, sappiamo che “los Reyes” per gli spagnoli sono più importanti di altri simboli, in quanto sono loro a portare i regali ai bambini. Non Babbo Natale, non la Befana e nemmeno Santa Klaus. Ed a proposito di lingua, torno un attimo sul titolo, che invece usa il catalano “Terra” invece del castigliano “Tierra”. Ma d’altronde il luogo della vicenda è in provincia di Tarragona, sulle rive di quell’Ebro, fiume che vide la più grande e dura battaglia della Guerra Civile spagnola, che lì vi si combatté dal luglio al novembre del 1938. Finì con la vittoria di franchisti, segnando l’inizio della fine della guerra, e la sconfitta delle truppe repubblicane.

Ma torniamo al testo. Nella parte in flashback, seguiamo Melchor nella sua discesa verso la parte “mala” della vita. Droga, cartello dei colombiani, uccisioni, e poi carcere. Dove sviluppa la sua passione per la lettura, e diventa “drogato de ‘I Miserabili’ di Hugo”. Poi l’uccisione della morte, e la sua decisione di emulare Javert piuttosto che Jean Valjean. Entrato in polizia, il momento clou è quando debella una banda islamica, uccidendone diversi esponenti. Per cui viene mandato a stare un po’ lontano, in quel di Terra Alta.

Qui comincia la seconda parte della sua vita, quella che poi seguiamo in presa diretta. Innamoramento con Olga, bibliotecaria ben più grande di lui, matrimonio, nascita della figlia, che viene chiamata Cosette (vediamo se indovinate perché). Poi l’uccisione degli Adell, una delle famiglie più in vista della zona, che dà da mangiare a più di metà provincia, ed anche all’estero con filiali delle sue industrie in mezzo mondo, compreso il Messico.

La morte è atroce, ma si capisce fin da subito che è opera di professionisti, che non può che arrivare dall’entourage degli Adell, che sicuramente (lo si vede dalla ferocia) è per me da collegare alle battaglie della Guerra Civile.

Melchor indaga, chiede, si arrabatta. Ma non si riesce a cavare molto, anche se i sospetti su qualcuno sono ben forti (da parte mia), nonché su qualche elemento della polizia che anche abbastanza palesemente, fa un gioco sporco. Indagini chiuse, ma Melchor non demorde, anche a costo di pesanti sofferenze (quali siano ve lo leggete da soli). Non sarebbe mai arrivato da nessuna parte, come Dürrenmatt, se qualcuno non cominciasse a mandare lettere anonime. Che lo istradano, ed in poco tempo, lo portano alla soluzione del caso.

Ripeto, Cercas vuole sempre mescolare alto e basso, e sin qui siamo anche d’accordo. Ma qui la miscela non deflagra, rimane un brodino riscaldato. Personaggi non tutti riusciti. Forse solo Olga, la moglie di Melchor. Unico punto veramente forte e d’impatto, tutta la parte sulle letture e sui libri. Dove vediamo il nostro “re magio” saltare, sotto l’input di Olga, da Camus a Pasternak, da Perec a Tomasi di Lampedusa. Soprattutto questi ultimi due mi hanno sorpreso, per la conoscenza all’estero del nostro Gattopardo. E per la rimembranza de “La vita istruzioni per l’uso” di Perec, che pensavo fosse meno conosciuto.

Aspettiamo comunque un ritorno di Cercas a temi più consoni alla sua scrittura.

“La metà di un libro ce la mette lo scrittore, l’altra metà ce la metti tu.” (62)

“Un idiota e un incapace. Naturalmente, come tutti gli idioti e gli incapaci, ha un concetto molto elevato di sé, ma è quello che è.” (150)

Margaret Doody “Aristotele e la Casa dei Venti” Sellerio euro 15 (in realtà, scontato a 12,75 euro)

[A: 07/05/2018 – I: 29/01/2021 – T: 31/01/2021] - && e ½ 

[tit. or.: Aristotle and the House of the Winds; ling. or.: inglese; pagine: 343; anno 2018]

Torniamo dopo sei anni alle vicende poliziesche molto finte elaborate dalla canadese Doody. Fine conoscitrice del mondo greco, e di Aristotele in particolare, con questo sono undici i libri da lei dedicati alle vicende del filosofo stagirita. Che, neanche tanto stranamente, hanno avuto più successo in Italia, sicuramente spinti dal marchio Sellerio, che comunque è un buon sigillo di garanzia. Se poi rivado alle letture che ne ho tratto, devo ancora una volta sottolineare come le prime uscite erano pervase da un rigore, a volte anche eccessivo, che serviva a far aderire la vicenda a momenti topici della filosofia aristotelica.

Poi, questo ardore si è affievolito, un po’ per dar vita a vicende magari legate alla vita ateniese dell’epoca. O forse a connotare diversamente i vari personaggi. Fatto sta, che le pretese filosofiche o ne venivano affievolite, o, come in questo caso, mascherate e quadi obnubilate da altro. Anche se qui, appunto, più che la filosofia i sé, sembra in gioco l’immagine pubblica di un personaggio. Che tuttavia non è Aristotele.

Tra l’altro, chiudevo l’ultima trama su Aristotele dicendo come fosse difficilmente riapribile. Ed in effetti, questo capitolo non porta lustro alla serie. Inoltre, al fine di trovare spazio e possibilità di racconto, l’autrice fa un salto di tre anni indietro rispetto al precedente romanzo, così che le vicende narrate si svolgono tra la primavera e l’estate del 326 a.C., con il filosofo che si avvia verso i sessant’anni. Un filosofo che sembra vestire i panni di uno Sherlock Holmes con i calzari, aiutato nelle sue imprese dall’amico Stefanos-Watson, che si prende la briga poi di scrivere il resoconto delle avventure.

Il non breve romanzo, abbandonati temi puramente aristotelici, punta dal lato filosofico alla contrapposizione tra la logica di Aristotele ed il Mondo delle Idee di Platone. Certo che Aristotele discende da Platone, e che distruggere la figura dell’uno renderebbe nullo anche l’altro. Ma è una lotta filosofica che poco traspare, tutta adombrata e ricoperta dalle lotte per il potere. in primis ad Atene, ma poi, in lungo e largo, a Siracusa, ed in Sicilia in generale, dove si svolge la maggior parte della trama.

Ad Atene si intuisce la contrapposizione tra l’Accademia platonica guidata da Senocrate, ora che son passati venti anni dalla morte del filosofo, ed il Liceo aristotelico (inciso: ho scoperto che si chiama così, nome che poi nella nostra cultura assurge ad altre nominalistiche, in onore di Apollo Licio).

In Sicilia aspre sono le lotte di potere, da un lato memori delle tirannidi di Dionisio I e II, che ospitarono nel tempo Platone e dove il filosofo ebbe non poche disavventure, dall’altro prese tra analiti di libertà locali e possibili invasioni greche (da Corinzio) nonché alessandrine (visto che mancano ancora tre anni alla morte del Magno).

Al grido di “Salvate il soldato Platone”, per evitare che la memoria del grande si infangata da scritti poco lusinghieri, Aristotele (non vi dico come o perché) è costretto a recarsi a Siracusa. Sarà ovviamente coinvolto nelle lotte di potere, che porteranno alla morte del nobile Periandro. Morte che vedrà in campo le doti deduttive del nostro Aristotele. Attraverso banchetti ed altre disavventure locali, lui e Stefanos porteranno a termine questo compito.

Per poi dedicarsi a debellare la seconda parte: il ritrovamento e l’eventuale distruzione di documenti compromettenti. In questa seconda fase, faranno anche una puntata nelle Isole Eolie, dove la Doody avrà moto di adombrare le teorie aristoteliche su terremoti ed altri movimenti terrestri ed acquatici. Noi invece ci godiamo la descrizione di Lipara, delle eruzioni di Vulcano, ma anche di Ortigia e la sua Fonte Aretusa o di Tauromenion (l’odierna Taormina) ed il bellissimo teatro.

Alla fine, Aristotele vincerà su tutta la linea, come è ovvio. Noi rimarremo a compulsare le dotte note finali della scrittrice su come e dove ha preso ispirazione per i vari passaggi. Ma alla fine risulta tutto troppo cerebrale, ed un po’ faticoso da seguire (non sempre tutto viene spiegato in dettaglio). Anche i dialoghi, pur nel loro tentativo socratico, risultano solo dotte esercitazioni, anche un po’ pesanti. Non è una lettura sgradevole, ma uno dei meno riusciti degli undici scritti dalla Doody.

Non solo è Pasqua, ma è anche la prima trama di aprile, così vi posso tediare con l’abbondante mese di gennaio, dove, visto che si sta chiusi in casa, aumentano verticalmente le letture. Con due bei top: le poesie di Cees Nooteboom ed i racconti sul cinema di Sciascia. Mentre in fondo alla scala c’è un inutile raccontino di Alicia (che invece in questa trama si era presentata decisamente meglio).

Prime letture del 2021, con l’abbondante messe di gennaio. Due top: Nooteboom e Sciascia ed una Alicia da scartare. Per il resto, una diffusa ed onesta sufficienza.

#

Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Gianni Biondillo

L’incanto delle sirene

TEA

12

3

2

Ben Lerner

Nel mondo a venire

Repubblica NewYork

9,90

3

3

Isabel Allende

Lungo petalo di mare

Feltrinelli

s.p.

3

4

Gigi Proietti

Mandrake a Roma

Repubblica

s.p.

3

5

Antonio Manzini

L’anello mancante. Cinque indagini di Rocco Schiavone

Sellerio

14

3

6

Marco Malvaldi

Il borghese Pellegrino

Sellerio

14

3

7

Jay McInerney

La luce dei giorni

Repubblica NewYork

9,90

2,5

8

Gabriella Genisi

La circonferenza delle arance

Feltrinelli

8,50

3

9

Gabriella Genisi

Giallo ciliegia

Feltrinelli

s.p.

2

10

Andrea Camilleri

Capodanno

Repubblica

s.p.

2

11

Maurizio de Giovanni

Un giorno di Settembre a Natale

Repubblica

s.p.

3

12

Agata Bazzi

La luce è là

Corriere – Saghe

7,90

3

13

Cees Nooteboom

Addio

Iperborea

11

4

14

Asli Erdogan

La città dal mantello rosso

Garzanti

s.p.

2

15

Andrea Fazioli

L’arte del fallimento

TEA

10

3

16

Alicia Gimenez-Bartlett

Un Natale di Petra

Repubblica

s.p.

1

17

Travis Elborough

Atlante dei luoghi inaspettati

Rizzoli

s.p.

3

18

Andrea Vitali

Gli ultimi passi del Sindacone

Garzanti

12

2,5

19

Gianrico Carofiglio

La versione di Fenoglio

Repubblica BrividoNoir

8,90

3

20

Leonardo Sciascia

“Questo non è un racconto”

Adelphi

13

4

21

Haruki Murakami

Ranocchio salva Tokyo

Einaudi

s.p.

2,5

22

Margaret Doody

Aristotele e la Casa dei Venti

Sellerio

15

2

Come detto non può che scivolare via anche questa domenica pasquale, ma mi fa piacere, prima di lasciarci, condividere questo pensiero di John Fante tratto da “Full of life”: “Devo essere me stesso … Se mi puoi amare per quello che sono saremo felicissimi. Se non puoi cercherò di meritarmelo. Non nasconderò i miei gusti o le mie avversioni.”

Tutti cerchiamo di esserlo, quanti ci riescono?

Per questo continuo ad abbracciarvi in questi tempi pandemici. 

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