domenica 9 maggio 2021

Mondadoriana - 09 maggio 2021

Una settimana rilassante, e se ne intuiscono i motivi. Quindi quattro gialli italiani, tanto per riempire buchi di lettura. Abbiamo alcune presenze più o meno storiche, con i loro ispettori, commissari o detective di riferimento. Il commissario capo Erica Franzoni di Annamaria Fassio (discretamente riuscito stavolta), l’investigatore “Bas” Salieri di Stefano Di Marino ed il vicequestore Leonardo Cardosa di Carlo Parri (entrambi un po’ appannati). Meglio la novità di Massimiliano Giri con l’improbabile coppia del commissario Mathias e della grafologa Sara.

Annamaria Fassio “24 ore per non morire” Mondadori euro 5,90

[A: 02/10/2020 – I: 02/10/2020 – T: 03/10/2020] && e ¾

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 184; anno: 2020]

Strano destino per questa autrice che è sempre una delle mie più amate (e da più tempo lette), ma che generalmente succede un lungo lasso di tempo tra l’Acquisto e l’Inizio.

Questa volta, complice la signora Laura, l’Istituto Regina Elena, i ritardi e le attese, dopo essere passato in edicola ed averlo visto, mi aspettavo di farlo riposare in libreria. Invece, in mancanza d’altro, e per passare il tempo, ho iniziato la lettura e l’ho praticamente finita al suono dell’ultimo iodio.

Ci sono sempre molti piani nelle letture genovesi della Fassio. La storia ormai lunga e consolidata della commissaria capo Erica Franzoni e del vicequestore Antonio Maffina, storia cominciata con un affiatamento unico, ma che da qualche romanzo in qua sta segnando il passo. Tra le paturnie di Antonio ed i rodimenti di Erica, non solo non si va avanti, ma sembra quasi andare indietro. Dove ci si mette in mezzo anche l’agente Rigon, che, benché sposato, ronza anche lui intorno ad Erica.

Ma non è solo questa la storia personale o le storie personali che si intrecciano nelle pagine della Fassio. C’è il rapporto lasco ma che (giustamente) fa imbestialire Erica tra Antonio e Malina. C’è la presa di coscienza dell’agente Ida tra solitudine e voglia di maternità (anche surrogata). Poi c’è la storia. O le storie, per meglio dire.

In primo piano la morte di Margit, scandinava immigrata (e quando penso ai nordici mando sempre un saluto alla mia amica), uccisa da (probabilmente) l’ex-marito che (probabilmente) ha perso la testa dopo aver saputo di avere un male incurabile e terminale. Ma forse non solo, visto che, sebbene i due abbiano una figlia (la cui storia, dopo le morti e varie altre vicende, forse seguiremo in prossime puntate), l’ex non solo la disereda, non passa gli alimenti, e viene trovato morto accanto a lei, in un lago di sangue.

Poi c’è la storia dell’attore di strada che diventa rapinatore. Ecco, qui la mia pur cara scrittrice fa un errore di inversione, che poi ribalta alla fine, ma che all’inizio condiziona (volutamente?) la lettura delle avventure di Mirko Gori. Che in realtà è prima di tutto un balordo, poi (anche) un mimo che va per le strade, ma solo per fare il basista di rapine varie. Mirko che ad un certo punto decide di lavorare in solitaria, ma viene bruciato da una soffiata. Peccato che spari, uccida e si becchi (giustamente) trenta anni di carcere.

Vediamo la sorella Balbina detta Bobbi che lo aiuta a scappare, che insieme a lui trova la fuggitiva Ivana, da cui cercano di sapere dove fossero finiti i diamanti del marito. Da qui una grande confusione: il marito di Ivana era un ladro, che, dopo una rapina di diamanti che non si trovano più, viene ucciso probabilmente da Mirko; sembra poi che sia propria Ivana a fare la soffiata che incastra Mirko; poi (e qui siamo nel campo delle più improbabili coincidenze) il marito di Margit, come avvocato, difende Mirko al processo; inoltre Ivana, per un paio di anni, fa la colf in casa di Margit e del marito; infine pare sia sempre Ivana che sveli all’avvocato le tresche extra coniugali di Margit, che lo fanno andare fuori di testa.

Alla fine, tutte queste supposizioni troveranno un punto di convergenza e di soluzione che non vi dico. Come non vi dico se siano tutte vere o meno. Anche perché la tensione verso la soluzione del noir è poco presente negli ultimi scritti di Annamaria Fassio, a scapito, ma non ci lamentiamo certo, di intrecci di vita, di psicologia dei personaggi e di attenzione alle reciproche interrelazioni.

La scrittura è sempre gradevole e scorrevole. In più, aumentano i riferimenti musicali, impreziositi dalla citazione a pagina 35 di una non usuale performance del meraviglioso sassofonista Gerry Mulligan. Dove il brevemente citato “preludio di Chopin” è il bellissimo “Preludio in mi minore op. 28 n. 4, detta anche “Marcia funebre”.

In ogni caso, se e quando pubblicherà altro, io la aspetto al varco e ne leggerò.

Stefano Di Marino “L’amante di pietra” Mondadori euro 5,90

[A: 05/03/2020 – I:18/12/2020 – T: 20/12/2020] && +

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 265; anno: 2020]

Eccoci di nuovo a Stefano Di Marino ed al suo “investigatore dell’occulto” Sebastiano “Bas” Salieri. Mi sembra sia il terzo romanzo che leggo di questa presunta serie. E devo dire che, romanzo dopo romanzo, si scende sempre un po’ di più.

Di Marino, ben noto anche per le interminabili serie che Mondadori pubblica su “Segretissimo” (39 titoli dal 1995 in poi con protagonista l’ex-Legione Straniera Chance Renard), da qualche anno comincia questa serie che si vuole più di testa che di azione, con protagonista appunto “Bas”. Storie che si basano su elementi occulti, soprannaturali o simili, che Bas cerca (e riesce) a sgonfiare e decrittare per farle diventare storie e basta. Anche perché lui nasce sì come prestigiatore, ma soprattutto come demistificatore dei ciarlatani che pullulano in quel mestiere.

Dopo le prime due storie, questa terza allarga un po’ il tiro sulle città “misteriche” che pullulano l’Europa, e su sette o altre congreghe misteriose. Ora, seppur il tentativo sembra degno di successo (e ne vedremo subito i punti forti) il risultato non è che si innalza molto sopra una onesta “mediocritas”. Si fa leggere, ma non si fa amare.

Dicevo, due sono i punti forti, che avrebbero potuto far salire di tono il testo: il girovagare dei nostri protagonisti tra quattro città “magiche” europee (Amsterdam, Berlino, Praga e Torino) e il punto di partenza della trama che coinvolge cineasti di film horror o quasi, citandone uno dei capostipiti reali, Aldo Lado. Un regista di “B-movie” come si diceva negli anni ’70, con titoli come “La corta notte delle bambole di vetro” con Jean Sorel, “Chi l’ha vista morire?” in cui compaiono Adolfo Celi ed Alessandro Haber, fino al suo massimo di efferatezza con “L’ultimo treno della notte” con Flavio Bucchi ed Enrico Maria Salerno, tra gli altri.

Lado viene utilizzato per introdurre un suo epigono, tal Demetrio Savini, anche lui autore di film stranucci, ma con addirittura meno successo di Lado. Anche perché Savini era più interessato proprio alla parte orrorifica ed occultistica del genere. “Bas” si imbatte nelle sue tracce mentre cerca materiali per un suo libro sulla Magia. Ma una volta inciampato nelle tracce di Savini (nel frattempo morto), rimane invischiato in una trama che sembra essere complessa.

Anche perché la sua assistente, la bella Zaira, dopo aver saputo delle tracce raccolte, sparisce in quel di Amsterdam senza lasciare tracce. Tracce che però sono ben visibili e trovate dal nostro “Bas”: la morte di una signorina vista poche ore prima con Zaira, un misterioso albino, anche lui presente nei luoghi del delitto, nonché (in modi diversi e con un po’ di lungaggini) una foto che ritrae cinque belle signorine insieme al satanico Savini. Una signorina scomparsa una ventina di anni prima, una è quella appena morta nei canali di Amsterdam, una è Zaira, e le altre due vedremo di trovare chi siano.

Per seguire le misteriose piste “Bas” si muove da Amsterdam, prima a Praga e poi a Berlino, dove è sempre un passo indietro a Zaira, e con l’albino che si presenta sempre minaccioso. Nelle more, il nostro incontra anche la bella Nives, figlia del commissario che venti anni prima indagò sul mistero della scomparsa, senza riuscire a risolverlo. Il commissario se ne fece una malattia, e morì. La figlia cerca appigli per riannodare i vecchi fili.

Intanto, seguendo tracce varie, tutti convergono su Torino, da sempre considerata la capitale magica d’Italia. Dove accadono fatti strani ed inspiegabili. Dove si trova traccia dell’albino che viene da un orfanotrofio in cui fece sodalizio con un altro tipo stranuccio anzi che no.

Molti sono i fili che si snodano nella bella Torino, anche con qualche citazione cinefila che tocca il mio cuore familiare (o meglio, cuginale, anche se credo sia indicibile). Accenni a libri e situazioni magiche, nonché a rassegne cinematografiche che sarebbero care a Dario Argento ed i suoi epigoni: il famoso TOHFFF (che starebbe per Torino Horror Fantastic Film Festival).

Arrivando a Torino “Bas” si era portato appresso notizie di varie sette non dico sataniche, ma di sicuro poco raccomandabili: gli Ospiti di Piombo, i Supplizianti ed altri rivoli. Non entriamo in altri dettagli poco utili. I nostri, aiutati dal commissario amico di “Bas”, alla fine liberano Zaira, puniscono i colpevoli, e tutto finisce in gloria. Ma senza che, per tutto il romanzo, ci sia troppo coinvolgimento nelle situazioni. Anche laddove poteva essercene, rimane tutto molto freddo e distante. Pure il supposto thriller magico non arriva a destinazione.

Rimangono alcune citazioni filmiche e le magiche città, che si spera visitare ancora presto. Un po’ poco per uno scrittore che tanto produce. Per ora sospendiamo giudizi ed attendiamo eventi.

Carlo Parri “Firmato Cardosa” Mondadori euro 5,90

[A: 13/05/2020 – I: 26/12/2020 – T: 29/12/2020] && +   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 295; anno: 2020]

Come al solito, ogni tanto si ritorna sui Gialli Mondadori, laddove escono autori italiani. In più, laddove l’autore in questione è una “vecchia” conoscenza, che ci ha abituato ad un commissario interessante e, dopo la prima prova un po’ arrugginita, dignitosamente inserito nella città e nelle indagini.

Salutiamo quindi la nuova prova di Carlo Parri, coevo del mio amico Gianni, e dopo la giovinezza centro italica, eccolo che si ritira ad insegnar scrittura nella fredda Udine nordica. E tuttavia, Roma rimane nel cuore, che sempre rimane al centro delle avventure del vicequestore Leonardo Cardosa.

Come nel precedente romanzo, però, Parri mette al fuoco troppa carne, riuscendo a tirar fuori non solo una trama ingarbugliata, che tanto non è difficile mescolare le carte. Quanto una trama che, alla fine, non trova tutti gli sbocchi che avrebbe dovuto e potuto trovare. Tant’è che, almeno per quanto ne sia riuscito a comprendere io, qualcosa rimane irrisolto.

Piace soltanto, oltre quelle gite tra le strade romane, che, come si vede in finale, lo portano tra il quartiere africano ed il quartiere Prati (e non aggiungo altro), per quelle sedute al caffè Greco, con l’amico, il giornalista Matarò. Certo, io avrei continuato a prendere caffè, non il Campari corretto al Prosecco dei nostri due amici. Inoltre, benché capisca che sia un caffè storico, avrei cambiato luogo degli incontri. Che al Greco non mi sono mai stati simpatici (ed i prezzi sono esorbitanti).

In secondo luogo, è accoglibile la parte privata, in cui si riavvicina, speriamo definitivamente, al magistrato Caterina Lamanna. E chissà se da cosa nasce cosa.

Per quanto riguarda il giallo, tutto comincia con la morte di un editore di libri autoprodotti, e di collane esoteriche. La stranezza è che la pistola fatale è una specie di piccolo cannone ambulante, in dotazione delle forze armate segrete israeliane (anzi costruita proprio dall’IMI, l’Israel Military Industries). L’editore morto, Abate, doveva editare un libro di un ricercatore alchimista, tal Gaburri, che avrebbe svelato misteri stupefacenti sulla trasformazione del piombo in oro e sull’elisir di lunga vita.

Peccato che Gaburri, per cercare notizie corroboranti la sua tesi, sia in Egitto e sia scomparso. Intanto, mentre Cardosa comincia ad indagare, si succedono morti su morti, sia per mano dei possessori delle pistole di cui sopra, sia per mano di altri. Tanto che si capisce subito che ci sono molti cani intorno all’osso. Gli israeliani, almeno per quanto sembra con le pistole. Due gruppi di malavitosi romani, uno che ruota intorno a Francesco Bongiorno detto Frank l’Americano ed uno intorno ad Accardi ed i suoi accoliti. Infine, ci sono i Servizi Segreti italiani, agli ordini di De Santis (una volta sodale di Cardosa, ora forse anche no).

Con tutto questo in mano, Parri ingarbuglia molto le acque. Ci fa seguire i vari personaggi, tanto che vediamo Cardosa a passeggio per il Cairo. E ci fa seguire anche tanti morti. Cardosa ritrova Gaburri, lo riporta in Italia, dove viene finalmente ucciso. Aveva però tatuato sul corpo le informazioni per risolvere il mistero del libro alchemico che starebbe al centro del racconto. Così che qualcuno tenta di rubare il corpo.

Poi ci si mette in mezzo Raffaello ed il quadro la “Madonna di Foligno”, dove compare una torre umbra che potrebbe essere risolutiva dei misteri. E nella torre, Cardosa trova effettivamente delle tracce. Così come le trova alla Biblioteca Nazionale in Castro Pretorio (indicazione utile solo per i romani, ovvio).

Insomma, il nostro vicequestore aggiunto (anche con l’aiuto del suo amico giornalista) trova a mettere tutti i puntini sulle “i” del romanzo, anche se il colpo finale viene dal presunto accordo con gli Accardi, firmato alla siciliana con una stretta di mano. La firma che dà il titolo al romanzo, e che porterà alla resa i mafiosi di ogni fazione.

Rimane solo il rimpianto che, benché ci siano accenni a tutta la parte alchemica, anche con rimandi a personaggi storici, non viene risolto il mistero del libro del buon Gaburri: che mistero conteneva? Quali rivelazioni imperdibili che gli israeliani volevano tenere nascosti? Questo rimane un mistero, e come in tutti i gialli non risolti, abbassa il mio giudizio globale.

Ultimo dubbio, forse solo di editing, perché nel citare il Che, a pagina 67, viene scritto “Asta la victoria” invece che “Hasta”? Altro finale mistero.

Come detto, e come riporto sotto, rimangono le passeggiate romane, per piacere o per acquisti alimentari. Che mi vedono accomunato a Cardosa nelle scelte.

Hasta el próximo libro, Carlo.

“Il pesce, se non lo comprava al mercato di piazza Gimma, lo andava a scegliere solo dal sor Duilio, a via della Cave di Pietralata, e le verdure da La Capra Rampante in via Donatello. Per il pane poi bisognava arrivare fino a via Trionfale, da Bonci.” (37) [e lo dici a me!?!]

“Il Cairo lo conosceva.” (114)

“La vita non può essere solo una sequenza di scelte razionali. Vivere è per forza anche lasciarsi guidare ogni tanto dallo stomaco e non sempre dal cervello.” (145)

Massimiliano Giri “Il senso delle parole rotte” Mondadori euro 6,50

[A: 03/07/2020 – I: 10/03/2021 – T: 12/03/2021] &&&

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 234; anno: 2020]

Come ogni anno, nei mesi estivi, il “Giallo Mondadori” dedica una sua uscita al libro che si aggiudica il “Premio Alberto Tedeschi”, dedicato ad uno dei capostipiti della riuscita in Italia del settore “poliziesco”. Mi scuso dell’abuso di virgolette, ma non si sa mai, in Italia, come classificare queste letture. Sono “thriller” nei paesi anglofoni, “noir” in quelli francofoni. Da noi, in onore dei libretti mondadoriani, sono definiti “gialli”. Ma, come per la pandemia, ci sono tantissime sfumature per questi colori.

Giri scrive il suo nome in una lista lunga una quarantina di autori, alcuni dei quali (Loriano Macchiavelli, Danila Comastri Montanari, Carlo Lucarelli, Annamaria Fassio, Giulio Leoni, tanto per fare dei nomi) hanno poi fatto una buona carriera. Auguriamoci quindi che Giri possa seguire questa strada, dato che già la sua scrittura è abbastanza robusta. Anche la trama è ben pensata, e discretamente svolta, arrivando ad un finale che non delude nel suo scioglimento, fornendo qualche “colpo di scena”, uno forse intuibile, altri ben posizionati e realizzati.

Al centro della scena e delle indagini ci sono un commissario di polizia, Mathias, con delle sue caratteristiche peculiari, e la grafologa Sara, anche lei problematica, ma di grande acume in un campo che, personalmente, ritengo particolarmente oscuro.

Mathias è un ossessivo compulsivo, con alle spalle una madre super-angosciante sulla pulizia, un passaggio incendiario sulle spalle, letteralmente, che sfoga per alcuni anni le sue ossessioni facendo il pugile. Non le supera, rimanendogli solo una compulsività verso l’ordine e la simmetria. Sara nasconde la sua alta professionalità dietro un maschera punk, capelli con dreadlock viola e tatuaggi. Nasconde anche un passato con qualche forte dolore che scoprirete leggendone. Ma la coppia sembra funzionare, ognuno per la sua parte.

L’episodio scatenante è il rapimento della figlia del sindaco. E già questo è un problema grande da affrontare, sia per i risvolti personali sia per quelli pubblici. Quelli pubblici sono ovvi: c’è il sindaco, la sua presenza sulla scena cittadina (ah, dimenticavo, l’azione si svolge a Rimini e dintorni). Anche sul privato c’è da dire qualcosa, che la famiglia del sindaco era stata da poco stravolta dalla morte, per investimento da parte di un’auto guidata da una tossica, della moglie del sindaco.

La situazione si complica poi immediatamente: il rapitore al posto del riscatto, chiede che venga riaperto il caso della scomparsa di una ragazza. Si tratta di Nadine, sparita da sei mesi, con un’indagine chiusa forse un po’ troppo frettolosamente.

Mathias e Sara si buttano su questo filone, lasciando la ricerca della rapita al resto della squadra. In questa ricerca si imbattono prima nei genitori di Nadine, religiosi e bigotti, lavoranti in un centro di aiuto per migranti. Nadine, invece, stava in una vicina fattoria di recupero. Peccato che lì non si facesse mai vedere, peccato che Sara scopre in un diario l’indicazione di una discoteca malfamata, peccato che in quella discoteca Nadine si facesse chiamare Elvira, peccato che Fabio, un tossico strafatto, le stesse con il fiato al collo, peccato che in discoteca i nostri eroi incontrino Alba che dice di essere stata la ragazza di Nadine-Elvira.

Fino al momento delle varie agnizioni, abbiamo assistito alla costruzione dei personaggi di Mathias e di Sara, cosa che, come detto, Giri fa con abilità e buon mestiere. Da questo punto in poi la situazione diventa una valanga di azioni e di controreazioni. Compaiono altri comprimari, il tossico stalker va fuori di testa commettendo atti poco recuperabili. Mathias scopre che il responsabile delle indagini era un ispettore poco affidabile, ora in pensione, ma prima di poterci parlare, questi pensa bene di togliersi di mezzo (abbastanza scontato questo).

Dopo una strana soffiata che fa trovare il corpo di Nadine, e che quindi porta alla liberazione della ragazza, tutto corre verso una fine forse leggermente diversa da quella che ci si aspettava. Che Giri, e questo è un vezzo che porta qualche punto in meno, ci narra anche (in corsivo, per far vedere che questa parte è “altra”) le disavventure di una ragazza sequestrata e del suo sequestratore, che un po’ la tortura ed un po’ la cura.

Alla fine, tutto si ricongiunge, e non ci starebbero male nuove avventure di Mathias e Sara. Ma questo lo lasciamo al buon cuore, ed alla buona penna, dell’autore.

Seconda trama del mese, quindi un discreto allegato sulla vedovanza (con un buon e poco conosciuto libro).

Anche questa volta vi allieto con una citazione, magari fuori linea temporale con le precedenti (il bello di seguire un metodo è che poi, ogni tanto, vuoi deviare, prima di tornare nel solco tracciato). Così credo che si appropriata questa frase di Enzo Bianchi, una persona che leggo sempre con piacere, che ha scritto ne “Il pane di ieri”: “Dopo i sessant’anni ci si ritrova più fragili, ci si stanca più facilmente e più in fretta, la vista si affievolisce e il corpo perde agilità. Inizia così un tempo in cui l’orizzonte finale della propria vita non appare più così lontano e diventa arduo rimuoverlo dalla mente: il pensiero della fine incombe, si fa ricorrente, appare ogni volta che si deve prendere una decisione che riguarda il futuro.” Penso sia da meditare in questi giorni.

Comunque, tra una meditazione e l’altra, sapendo che non tutti i baci e gli abbracci sono uguali, io, sempre, continuo ad abbracciarvi e baciarvi.

CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i “bugiardini” di Giovanni

MAGGIO 2021

Certo, la lettera “V” sembra portare solo esempi negativi, dove passiamo dalla vecchiaia di aprile alla vedovanza di maggio.

VEDOVI, RESTARE

Amos Oz                “Lo stesso mare”

Helen Simonson    “Una passione tranquilla”

Non sottovalutate l’enormità del momento che state attraversando. Perdere il proprio compagno è un terremoto che investe ogni settore della vostra vita. Prima avevate qualcuno al vostro fianco; adesso siete soli. Prima eravate - forse - la metà di una coppia di genitori, adesso dovrete fare da soli. Il rapporto con vostro figlio, o con i vostri figli, subirà dei cambiamenti, e così il rapporto con i vostri amici, e dovrete anche costruire un nuovo rapporto con voi stessi. Senza qualcuno che vi sostiene, vi completa, e senza quel qualcosa che si aggiungeva al senso della vostra identità, a volte vi scoprirete a domandarvi chi siete.

Per aiutarvi ad attraversare questo periodo così triste e difficile, vi offriamo un romanzo dello scrittore israeliano Amos Oz, dalla prosa poetica di una bellezza trascendentale, “Lo stesso mare”. In una serie di brevi, tenere vignette, il libro racconta la storia di Albert Danon, un «mite» ragioniere la cui moglie Nadia è morta di cancro. L’unico figlio, Rico, se n’è andato in Tibet per mettere ordine nel proprio mondo e ha lasciato la fidanzata, Dita, a occuparsi del padre. Albert, per suo disonore, non ha una reazione del tutto platonica con la bella e audace Dita, dalla corta gonna arancione, e quando la ragazza, all’improvviso, si ritrova senza casa lui la invita a trasferirsi nella stanza degli ospiti. Intanto Bettine, un’amica di Albert - anche lei rimasta vedova, venti anni prima - tiene d’occhio la coppia, non senza un interesse personale.

Nei periodi di solitudine e dolore dobbiamo prendere la vita attimo per attimo ed è così che fa Oz, cogliendo con splendida chiarezza l’istante di tempo sospeso tra quando Albert spegne il computer e quando va a letto; oppure quando Nadia, svegliata durante la notte da un merlo, si domanda cosa diventerà dopo che sarà morta; o il momento in cui Bettina mette le carte in tavola. Oz presta la medesima attenzione al bello e al banale, alla commozione e alla poco appropriata libidine, mettendoli fianco a fianco. Se cercate una scrittura sensibile, comprensiva, che vi permetta di accedere al vasto e complicato scenario di emozioni che avete nel cuore, “Lo stesso mare” è il romanzo perfetto.

Per quanto possiamo sentirci stremati, un nuovo inizio è sempre possibile. Il maggiore Pettigrew - un militare in pensione abituato a mostrarsi imperturbabile [protagonista di “Una passione tranquilla” di Helen Simonson, ndT] - è estremamente rigido e severo nelle proprie abitudini. Quando però, dopo avere perduto la moglie, perde anche il fratello, il sessantottenne maggiore è così trasformato dal dolore che comincia a vedere tutto sotto una luce diversa - compresa la gentile signora Ali, la donna che gestisce l’emporio del paese. In superficie i due non potrebbero essere più diversi, ma sono avvicinati dalla comune vedovanza, dallo scontro con le rispettive famiglie, ugualmente meschine, e dall’amore per i libri, in particolare per Kipling. I lettori del romanzo riconosceranno in tutto questo la base di un nuovo rapporto – e forse saranno incoraggiati a lasciare la porta aperta, giusto uno spiraglio.

Bugiardino

Di certo sapete, se no ve lo ridico, che Oz è uno dei numi tutelari del mio Pantheon letterario, di cui ho letto praticamente tutto (forse ancora qualche saggio) e questo mare sopra citato fu uno dei primi, tanti e tanti anni fa, insieme alla trasposizione autobiografica “Una storia di amore e di tenebra”. Per cui non ne parlo.

Parlo invece, e con piacere, del libro di Helen Simonson.

Helen Simonson “Una passione tranquilla” Pickwick euro 10,90

[tramato il 03 Agosto 2014]

Quali circostanze del caso portano Mrs. Jasmina Ali ad andare a trovare il maggiore in pensione Ernest Pettigrew proprio quando questi si sente mancare a seguito della morte del fratello?

Da questo attacco in sordina, quasi a voler parlar d’altro, nasce l’interessante (seppur non eccelso) libro della Simonson. Inglese trapiantata in America, che con questo libro molto acclamato dai passaparola, ci descrive e ci fa vivere uno spaccato contemporaneo delle vicende che intercorrono tra i due personaggi nella campagna inglese.

Il tono è quasi di un distaccato umorismo, laddove le descrizioni dei tic e delle nevrosi inglesi certamente suscitano del rilassamento nelle nostre facce intente alla lettura. Ma pur con una venatura ironica, non è un libro comico, anche se, nonostante tutto, l’ho trovato un libro allegro.

La Simonson ambienta la vicenda nell’attuale campagna inglese, dove ci sono proprietari terrieri, piccoli lord in disarmo, un circolo del golf, le signore che gravitano intorno al pastore con le loro iniziative, tra il benefico e l’auto-referente, nonché immigrati di prima e seconda generazione. La storia ha un andamento lento per più di metà, per poi accelerare in un finale di lungo respiro e di buona resa. La lentezza serve a caratterizzare i personaggi. Al centro, il maggiore, vedovo da sette - otto anni, preso nella routine delle piccole cose quotidiane (la colazione, il tè, la cura dei fucili per la caccia alle anatre, le partite a golf e quella a scacchi, gli acciacchi che inevitabilmente porta l’età, e l’amore per i libri e la cultura). È un inglese di stampo antico, legato ai valori diremmo tradizionali, eppure non chiuso, non ottusamente fermo nelle sue posizioni. Di lato, l’altro personaggio centrale, la vedova Mrs. Ali, inglese di nascita, ma pur sempre pakistana di origine, che gestisce l’emporio cittadino, e di cui scopriamo, pagina dopo pagina, l’intelligenza, la cultura (conosce sei lingue) e l’amore per i libri e per Kipling.

Tra i due vediamo subito nascere una scintilla di piacere della frequentazione, che laddove si parla e si comunica non può non esserci un moto di convergenza. Ma per far scoppiare la convergenza, l’autrice ci dipinge, con capacità, la possibile vita di questa campagna. E le potenti lotte nell’ambito della cosiddetta convenienza sociale. C’è la morte del fratello del maggiore, e la conseguente lite tra le due famiglie per l’eredità dei fucili del padre colonnello. C’è Roger, il rampante figlio del maggiore, che costruisce la propria vita alla ricerca del denaro, dell’accumulazione, con una capacità, proprio laddove il padre sarebbe tranquillo, di coinvolgerlo in situazioni di difficile gestione. Affitti di casolari, improbabile rapporto con una bella americana (tipico l’atteggiamento tra vecchio e nuovo mondo quando si incontrano, anche se poi Sandy l’americana sarà capita meglio dal maggiore che dal figlio), battute di caccia dove Roger fa sempre più figure barbine. Ci sono le signore benpensanti, che devono organizzare il ballo annuale, e che vorrebbero accasare il maturo maggiore con la zitella Grace. Ma c’è anche la comunità pakistana, con altrettanto ferree regole di comportamento. Il rispetto delle decisioni dei maschi di casa, l’orrore dei rapporti fuori dal matrimonio, la pacchianeria di esposizioni di fiori finti.

I nostri due vedovi, attratti dalle loro teste, a poco a poco si avvicinano, ma non sanno che lo status quo non è così facile da scalfire. Il punto di rottura si avrà al ballo organizzato dalle signore. Un ballo in costume, per celebrare i lontani fasti indiani, e rendere omaggio alla memoria del colonnello (il padre del nostro Ernest) che ebbe appunto i fucili al centro di quasi tutte le vicende come dono del maharajah avendo salvato la di lui moglie. Banchetto organizzato con l’aiuto delle due comunità, che però rompe l’equilibrio quando il capostipite pakistano si accorge che la battaglia celebrata fu dove persero la vita quasi tutti i suoi parenti. Rottura inevitabile. Maggiore in crisi che non sa che pesci prendere. Jasmina che torna in famiglia in Scozia lasciando il negozio al bigotto nipote (che però aveva pur sempre messo incinta la bella Amina).

Qui si opera l’insight del maggiore. Lontano dalla quotidianità di Jasmina, cade nella più fatale delle depressioni, certo non aiutato dal figlio stupidino che si lascia con Sandy, cercando di circuire la figlia del Lord (che gli preferirà giustamente un magnate americano). Sarà invece proprio Grace che, rifiutando il suo ruolo, spinge il maggiore a ricercare Jasmina. Il maggiore la trova, si scontra con la di lei famiglia, capisce che anche lei, inespressamente, voleva un suo ritorno. E fanno una fuga d’amore, come se fossero ancora ventenni. Bellissima l’immagine di loro due nel freddo casotto di pesca, pur consci del loro passato, e non rinnegando i loro morti, cominciano a vivere, pur anziani, la loro passione. Contro tutto e contro tutti.

Ci sono scene forti sul rivolgimento delle convenzioni e sulla forza della passione, che sarà pure tranquilla, ma se ostacolata, travolge tutto e tutti. Per questo la trovo una storia allegra. Perché molti si mostrano al fine come sono, e le persone che avranno la meglio saranno sempre quelle che mostrano più rispetto per l’altro. Anche quando i parenti dell’uno fecero male ai parenti dell’altro. Al fine, non posso definirlo un capolavoro, ma un libro da leggere, con qualche tocco di riflessione che non guasta. E che mi ha anche insegnato la parola “oleaginoso”, un termine più intenso di oleoso, perché contiene anche olio, oltre ad essere sguiscido. Un altro buon suggerimento delle ultime letture incrociate.

“Nessuno contempla la morte quando prende le decisioni per la propria vita.” (17)

“Mi rifiuto … di accettare che la vita sia fatta di tepore e buon senso. … Senza [la passione] due persone che vivono insieme possono ritrovarsi più sole che se vivessero ognuna per conto proprio.” (356)

“A volte il mio amico … sogna di vivere una vita che non può avere. … Invece noi, che potremmo fare tutto, noi rifiutiamo di vivere i nostri sogni solo perché non sono sensati.” (389)

Conclusioni

Non concludo nulla questa settimana, che non auguro a nessuno, neanche ai miei più amati nemici, di attraversare momenti così bui. Vediamo avanti, vediamo alle prossime settimane.

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