Una settimana rilassante, e se ne intuiscono i motivi. Quindi quattro gialli italiani, tanto per riempire buchi di lettura. Abbiamo alcune presenze più o meno storiche, con i loro ispettori, commissari o detective di riferimento. Il commissario capo Erica Franzoni di Annamaria Fassio (discretamente riuscito stavolta), l’investigatore “Bas” Salieri di Stefano Di Marino ed il vicequestore Leonardo Cardosa di Carlo Parri (entrambi un po’ appannati). Meglio la novità di Massimiliano Giri con l’improbabile coppia del commissario Mathias e della grafologa Sara.
Annamaria
Fassio “24 ore per non morire” Mondadori euro 5,90
[A: 02/10/2020
– I: 02/10/2020 – T: 03/10/2020] &&
e ¾
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 184; anno: 2020]
Strano
destino per questa autrice che è sempre una delle mie più amate (e da più tempo
lette), ma che generalmente succede un lungo lasso di tempo tra l’Acquisto e
l’Inizio.
Questa
volta, complice la signora Laura, l’Istituto Regina Elena, i ritardi e le
attese, dopo essere passato in edicola ed averlo visto, mi aspettavo di farlo
riposare in libreria. Invece, in mancanza d’altro, e per passare il tempo, ho
iniziato la lettura e l’ho praticamente finita al suono dell’ultimo iodio.
Ci
sono sempre molti piani nelle letture genovesi della Fassio. La storia ormai
lunga e consolidata della commissaria capo Erica Franzoni e del vicequestore
Antonio Maffina, storia cominciata con un affiatamento unico, ma che da qualche
romanzo in qua sta segnando il passo. Tra le paturnie di Antonio ed i rodimenti
di Erica, non solo non si va avanti, ma sembra quasi andare indietro. Dove ci
si mette in mezzo anche l’agente Rigon, che, benché sposato, ronza anche lui
intorno ad Erica.
Ma
non è solo questa la storia personale o le storie personali che si intrecciano
nelle pagine della Fassio. C’è il rapporto lasco ma che (giustamente) fa
imbestialire Erica tra Antonio e Malina. C’è la presa di coscienza dell’agente
Ida tra solitudine e voglia di maternità (anche surrogata). Poi c’è la storia.
O le storie, per meglio dire.
In
primo piano la morte di Margit, scandinava immigrata (e quando penso ai nordici
mando sempre un saluto alla mia amica), uccisa da (probabilmente) l’ex-marito
che (probabilmente) ha perso la testa dopo aver saputo di avere un male
incurabile e terminale. Ma forse non solo, visto che, sebbene i due abbiano una
figlia (la cui storia, dopo le morti e varie altre vicende, forse seguiremo in
prossime puntate), l’ex non solo la disereda, non passa gli alimenti, e viene
trovato morto accanto a lei, in un lago di sangue.
Poi
c’è la storia dell’attore di strada che diventa rapinatore. Ecco, qui la mia
pur cara scrittrice fa un errore di inversione, che poi ribalta alla fine, ma
che all’inizio condiziona (volutamente?) la lettura delle avventure di Mirko
Gori. Che in realtà è prima di tutto un balordo, poi (anche) un mimo che va per
le strade, ma solo per fare il basista di rapine varie. Mirko che ad un certo
punto decide di lavorare in solitaria, ma viene bruciato da una soffiata.
Peccato che spari, uccida e si becchi (giustamente) trenta anni di carcere.
Vediamo
la sorella Balbina detta Bobbi che lo aiuta a scappare, che insieme a lui trova
la fuggitiva Ivana, da cui cercano di sapere dove fossero finiti i diamanti del
marito. Da qui una grande confusione: il marito di Ivana era un ladro, che,
dopo una rapina di diamanti che non si trovano più, viene ucciso probabilmente
da Mirko; sembra poi che sia propria Ivana a fare la soffiata che incastra
Mirko; poi (e qui siamo nel campo delle più improbabili coincidenze) il marito
di Margit, come avvocato, difende Mirko al processo; inoltre Ivana, per un paio
di anni, fa la colf in casa di Margit e del marito; infine pare sia sempre
Ivana che sveli all’avvocato le tresche extra coniugali di Margit, che lo fanno
andare fuori di testa.
Alla
fine, tutte queste supposizioni troveranno un punto di convergenza e di
soluzione che non vi dico. Come non vi dico se siano tutte vere o meno. Anche
perché la tensione verso la soluzione del noir è poco presente negli ultimi
scritti di Annamaria Fassio, a scapito, ma non ci lamentiamo certo, di intrecci
di vita, di psicologia dei personaggi e di attenzione alle reciproche
interrelazioni.
La
scrittura è sempre gradevole e scorrevole. In più, aumentano i riferimenti
musicali, impreziositi dalla citazione a pagina 35 di una non usuale
performance del meraviglioso sassofonista Gerry Mulligan. Dove il brevemente
citato “preludio di Chopin” è il bellissimo “Preludio in mi minore op. 28 n. 4,
detta anche “Marcia funebre”.
In
ogni caso, se e quando pubblicherà altro, io la aspetto al varco e ne leggerò.
Stefano
Di Marino “L’amante di pietra” Mondadori euro 5,90
[A: 05/03/2020
– I:18/12/2020 – T: 20/12/2020] &&
+
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 265; anno: 2020]
Eccoci
di nuovo a Stefano Di Marino ed al suo “investigatore dell’occulto” Sebastiano
“Bas” Salieri. Mi sembra sia il terzo romanzo che leggo di questa presunta
serie. E devo dire che, romanzo dopo romanzo, si scende sempre un po’ di più.
Di
Marino, ben noto anche per le interminabili serie che Mondadori pubblica su
“Segretissimo” (39 titoli dal 1995 in poi con protagonista l’ex-Legione
Straniera Chance Renard), da qualche anno comincia questa serie che si vuole
più di testa che di azione, con protagonista appunto “Bas”. Storie che si
basano su elementi occulti, soprannaturali o simili, che Bas cerca (e riesce) a
sgonfiare e decrittare per farle diventare storie e basta. Anche perché lui
nasce sì come prestigiatore, ma soprattutto come demistificatore dei ciarlatani
che pullulano in quel mestiere.
Dopo
le prime due storie, questa terza allarga un po’ il tiro sulle città
“misteriche” che pullulano l’Europa, e su sette o altre congreghe misteriose.
Ora, seppur il tentativo sembra degno di successo (e ne vedremo subito i punti
forti) il risultato non è che si innalza molto sopra una onesta “mediocritas”.
Si fa leggere, ma non si fa amare.
Dicevo,
due sono i punti forti, che avrebbero potuto far salire di tono il testo: il
girovagare dei nostri protagonisti tra quattro città “magiche” europee
(Amsterdam, Berlino, Praga e Torino) e il punto di partenza della trama che
coinvolge cineasti di film horror o quasi, citandone uno dei capostipiti reali,
Aldo Lado. Un regista di “B-movie” come si diceva negli anni ’70, con titoli
come “La corta notte delle bambole di vetro” con Jean Sorel, “Chi l’ha vista
morire?” in cui compaiono Adolfo Celi ed Alessandro Haber, fino al suo massimo
di efferatezza con “L’ultimo treno della notte” con Flavio Bucchi ed Enrico
Maria Salerno, tra gli altri.
Lado
viene utilizzato per introdurre un suo epigono, tal Demetrio Savini, anche lui
autore di film stranucci, ma con addirittura meno successo di Lado. Anche
perché Savini era più interessato proprio alla parte orrorifica ed occultistica
del genere. “Bas” si imbatte nelle sue tracce mentre cerca materiali per un suo
libro sulla Magia. Ma una volta inciampato nelle tracce di Savini (nel
frattempo morto), rimane invischiato in una trama che sembra essere complessa.
Anche
perché la sua assistente, la bella Zaira, dopo aver saputo delle tracce
raccolte, sparisce in quel di Amsterdam senza lasciare tracce. Tracce che però
sono ben visibili e trovate dal nostro “Bas”: la morte di una signorina vista
poche ore prima con Zaira, un misterioso albino, anche lui presente nei luoghi
del delitto, nonché (in modi diversi e con un po’ di lungaggini) una foto che
ritrae cinque belle signorine insieme al satanico Savini. Una signorina
scomparsa una ventina di anni prima, una è quella appena morta nei canali di
Amsterdam, una è Zaira, e le altre due vedremo di trovare chi siano.
Per
seguire le misteriose piste “Bas” si muove da Amsterdam, prima a Praga e poi a
Berlino, dove è sempre un passo indietro a Zaira, e con l’albino che si
presenta sempre minaccioso. Nelle more, il nostro incontra anche la bella
Nives, figlia del commissario che venti anni prima indagò sul mistero della
scomparsa, senza riuscire a risolverlo. Il commissario se ne fece una malattia,
e morì. La figlia cerca appigli per riannodare i vecchi fili.
Intanto,
seguendo tracce varie, tutti convergono su Torino, da sempre considerata la
capitale magica d’Italia. Dove accadono fatti strani ed inspiegabili. Dove si
trova traccia dell’albino che viene da un orfanotrofio in cui fece sodalizio
con un altro tipo stranuccio anzi che no.
Molti
sono i fili che si snodano nella bella Torino, anche con qualche citazione
cinefila che tocca il mio cuore familiare (o meglio, cuginale, anche se credo
sia indicibile). Accenni a libri e situazioni magiche, nonché a rassegne
cinematografiche che sarebbero care a Dario Argento ed i suoi epigoni: il famoso
TOHFFF (che starebbe per Torino Horror Fantastic Film Festival).
Arrivando
a Torino “Bas” si era portato appresso notizie di varie sette non dico
sataniche, ma di sicuro poco raccomandabili: gli Ospiti di Piombo, i
Supplizianti ed altri rivoli. Non entriamo in altri dettagli poco utili. I
nostri, aiutati dal commissario amico di “Bas”, alla fine liberano Zaira,
puniscono i colpevoli, e tutto finisce in gloria. Ma senza che, per tutto il
romanzo, ci sia troppo coinvolgimento nelle situazioni. Anche laddove poteva
essercene, rimane tutto molto freddo e distante. Pure il supposto thriller
magico non arriva a destinazione.
Rimangono
alcune citazioni filmiche e le magiche città, che si spera visitare ancora
presto. Un po’ poco per uno scrittore che tanto produce. Per ora sospendiamo
giudizi ed attendiamo eventi.
Carlo
Parri “Firmato Cardosa” Mondadori euro 5,90
[A: 13/05/2020
– I: 26/12/2020 – T: 29/12/2020] &&
+
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 295; anno: 2020]
Come
al solito, ogni tanto si ritorna sui Gialli Mondadori, laddove escono autori
italiani. In più, laddove l’autore in questione è una “vecchia” conoscenza, che
ci ha abituato ad un commissario interessante e, dopo la prima prova un po’
arrugginita, dignitosamente inserito nella città e nelle indagini.
Salutiamo
quindi la nuova prova di Carlo Parri, coevo del mio amico Gianni, e dopo la
giovinezza centro italica, eccolo che si ritira ad insegnar scrittura nella
fredda Udine nordica. E tuttavia, Roma rimane nel cuore, che sempre rimane al
centro delle avventure del vicequestore Leonardo Cardosa.
Come
nel precedente romanzo, però, Parri mette al fuoco troppa carne, riuscendo a
tirar fuori non solo una trama ingarbugliata, che tanto non è difficile
mescolare le carte. Quanto una trama che, alla fine, non trova tutti gli
sbocchi che avrebbe dovuto e potuto trovare. Tant’è che, almeno per quanto ne
sia riuscito a comprendere io, qualcosa rimane irrisolto.
Piace
soltanto, oltre quelle gite tra le strade romane, che, come si vede in finale,
lo portano tra il quartiere africano ed il quartiere Prati (e non aggiungo
altro), per quelle sedute al caffè Greco, con l’amico, il giornalista Matarò.
Certo, io avrei continuato a prendere caffè, non il Campari corretto al
Prosecco dei nostri due amici. Inoltre, benché capisca che sia un caffè
storico, avrei cambiato luogo degli incontri. Che al Greco non mi sono mai
stati simpatici (ed i prezzi sono esorbitanti).
In
secondo luogo, è accoglibile la parte privata, in cui si riavvicina, speriamo
definitivamente, al magistrato Caterina Lamanna. E chissà se da cosa nasce
cosa.
Per
quanto riguarda il giallo, tutto comincia con la morte di un editore di libri
autoprodotti, e di collane esoteriche. La stranezza è che la pistola fatale è
una specie di piccolo cannone ambulante, in dotazione delle forze armate
segrete israeliane (anzi costruita proprio dall’IMI, l’Israel Military
Industries). L’editore morto, Abate, doveva editare un libro di un ricercatore
alchimista, tal Gaburri, che avrebbe svelato misteri stupefacenti sulla
trasformazione del piombo in oro e sull’elisir di lunga vita.
Peccato
che Gaburri, per cercare notizie corroboranti la sua tesi, sia in Egitto e sia
scomparso. Intanto, mentre Cardosa comincia ad indagare, si succedono morti su
morti, sia per mano dei possessori delle pistole di cui sopra, sia per mano di
altri. Tanto che si capisce subito che ci sono molti cani intorno all’osso. Gli
israeliani, almeno per quanto sembra con le pistole. Due gruppi di malavitosi
romani, uno che ruota intorno a Francesco Bongiorno detto Frank l’Americano ed
uno intorno ad Accardi ed i suoi accoliti. Infine, ci sono i Servizi Segreti
italiani, agli ordini di De Santis (una volta sodale di Cardosa, ora forse
anche no).
Con
tutto questo in mano, Parri ingarbuglia molto le acque. Ci fa seguire i vari
personaggi, tanto che vediamo Cardosa a passeggio per il Cairo. E ci fa seguire
anche tanti morti. Cardosa ritrova Gaburri, lo riporta in Italia, dove viene
finalmente ucciso. Aveva però tatuato sul corpo le informazioni per risolvere
il mistero del libro alchemico che starebbe al centro del racconto. Così che
qualcuno tenta di rubare il corpo.
Poi
ci si mette in mezzo Raffaello ed il quadro la “Madonna di Foligno”, dove
compare una torre umbra che potrebbe essere risolutiva dei misteri. E nella
torre, Cardosa trova effettivamente delle tracce. Così come le trova alla
Biblioteca Nazionale in Castro Pretorio (indicazione utile solo per i romani,
ovvio).
Insomma,
il nostro vicequestore aggiunto (anche con l’aiuto del suo amico giornalista)
trova a mettere tutti i puntini sulle “i” del romanzo, anche se il colpo finale
viene dal presunto accordo con gli Accardi, firmato alla siciliana con una
stretta di mano. La firma che dà il titolo al romanzo, e che porterà alla resa
i mafiosi di ogni fazione.
Rimane
solo il rimpianto che, benché ci siano accenni a tutta la parte alchemica,
anche con rimandi a personaggi storici, non viene risolto il mistero del libro
del buon Gaburri: che mistero conteneva? Quali rivelazioni imperdibili che gli
israeliani volevano tenere nascosti? Questo rimane un mistero, e come in tutti
i gialli non risolti, abbassa il mio giudizio globale.
Ultimo
dubbio, forse solo di editing, perché nel citare il Che, a pagina 67, viene
scritto “Asta la victoria” invece che “Hasta”? Altro finale mistero.
Come
detto, e come riporto sotto, rimangono le passeggiate romane, per piacere o per
acquisti alimentari. Che mi vedono accomunato a Cardosa nelle scelte.
Hasta
el próximo libro, Carlo.
“Il
pesce, se non lo comprava al mercato di piazza Gimma, lo andava a scegliere
solo dal sor Duilio, a via della Cave di Pietralata, e le verdure da La Capra
Rampante in via Donatello. Per il pane poi bisognava arrivare fino a via
Trionfale, da Bonci.” (37) [e lo dici a me!?!]
“Il
Cairo lo conosceva.” (114)
“La
vita non può essere solo una sequenza di scelte razionali. Vivere è per forza
anche lasciarsi guidare ogni tanto dallo stomaco e non sempre dal cervello.”
(145)
Massimiliano
Giri “Il senso delle parole rotte” Mondadori euro 6,50
[A: 03/07/2020
– I: 10/03/2021 – T: 12/03/2021] &&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 234; anno: 2020]
Come
ogni anno, nei mesi estivi, il “Giallo Mondadori” dedica una sua uscita al
libro che si aggiudica il “Premio Alberto Tedeschi”, dedicato ad uno dei
capostipiti della riuscita in Italia del settore “poliziesco”. Mi scuso
dell’abuso di virgolette, ma non si sa mai, in Italia, come classificare queste
letture. Sono “thriller” nei paesi anglofoni, “noir” in quelli francofoni. Da
noi, in onore dei libretti mondadoriani, sono definiti “gialli”. Ma, come per
la pandemia, ci sono tantissime sfumature per questi colori.
Giri
scrive il suo nome in una lista lunga una quarantina di autori, alcuni dei
quali (Loriano Macchiavelli, Danila Comastri Montanari, Carlo Lucarelli,
Annamaria Fassio, Giulio Leoni, tanto per fare dei nomi) hanno poi fatto una
buona carriera. Auguriamoci quindi che Giri possa seguire questa strada, dato
che già la sua scrittura è abbastanza robusta. Anche la trama è ben pensata, e
discretamente svolta, arrivando ad un finale che non delude nel suo
scioglimento, fornendo qualche “colpo di scena”, uno forse intuibile, altri ben
posizionati e realizzati.
Al
centro della scena e delle indagini ci sono un commissario di polizia, Mathias,
con delle sue caratteristiche peculiari, e la grafologa Sara, anche lei
problematica, ma di grande acume in un campo che, personalmente, ritengo
particolarmente oscuro.
Mathias
è un ossessivo compulsivo, con alle spalle una madre super-angosciante sulla
pulizia, un passaggio incendiario sulle spalle, letteralmente, che sfoga per
alcuni anni le sue ossessioni facendo il pugile. Non le supera, rimanendogli
solo una compulsività verso l’ordine e la simmetria. Sara nasconde la sua alta
professionalità dietro un maschera punk, capelli con dreadlock viola e
tatuaggi. Nasconde anche un passato con qualche forte dolore che scoprirete
leggendone. Ma la coppia sembra funzionare, ognuno per la sua parte.
L’episodio
scatenante è il rapimento della figlia del sindaco. E già questo è un problema
grande da affrontare, sia per i risvolti personali sia per quelli pubblici.
Quelli pubblici sono ovvi: c’è il sindaco, la sua presenza sulla scena
cittadina (ah, dimenticavo, l’azione si svolge a Rimini e dintorni). Anche sul
privato c’è da dire qualcosa, che la famiglia del sindaco era stata da poco
stravolta dalla morte, per investimento da parte di un’auto guidata da una
tossica, della moglie del sindaco.
La
situazione si complica poi immediatamente: il rapitore al posto del riscatto,
chiede che venga riaperto il caso della scomparsa di una ragazza. Si tratta di
Nadine, sparita da sei mesi, con un’indagine chiusa forse un po’ troppo
frettolosamente.
Mathias
e Sara si buttano su questo filone, lasciando la ricerca della rapita al resto
della squadra. In questa ricerca si imbattono prima nei genitori di Nadine,
religiosi e bigotti, lavoranti in un centro di aiuto per migranti. Nadine,
invece, stava in una vicina fattoria di recupero. Peccato che lì non si facesse
mai vedere, peccato che Sara scopre in un diario l’indicazione di una discoteca
malfamata, peccato che in quella discoteca Nadine si facesse chiamare Elvira,
peccato che Fabio, un tossico strafatto, le stesse con il fiato al collo,
peccato che in discoteca i nostri eroi incontrino Alba che dice di essere stata
la ragazza di Nadine-Elvira.
Fino
al momento delle varie agnizioni, abbiamo assistito alla costruzione dei
personaggi di Mathias e di Sara, cosa che, come detto, Giri fa con abilità e
buon mestiere. Da questo punto in poi la situazione diventa una valanga di
azioni e di controreazioni. Compaiono altri comprimari, il tossico stalker va
fuori di testa commettendo atti poco recuperabili. Mathias scopre che il
responsabile delle indagini era un ispettore poco affidabile, ora in pensione,
ma prima di poterci parlare, questi pensa bene di togliersi di mezzo
(abbastanza scontato questo).
Dopo
una strana soffiata che fa trovare il corpo di Nadine, e che quindi porta alla
liberazione della ragazza, tutto corre verso una fine forse leggermente diversa
da quella che ci si aspettava. Che Giri, e questo è un vezzo che porta qualche
punto in meno, ci narra anche (in corsivo, per far vedere che questa parte è
“altra”) le disavventure di una ragazza sequestrata e del suo sequestratore,
che un po’ la tortura ed un po’ la cura.
Alla
fine, tutto si ricongiunge, e non ci starebbero male nuove avventure di Mathias
e Sara. Ma questo lo lasciamo al buon cuore, ed alla buona penna, dell’autore.
Seconda
trama del mese, quindi un discreto allegato sulla vedovanza (con un buon e poco
conosciuto libro).
Anche
questa volta vi allieto con una citazione, magari fuori linea temporale con le
precedenti (il bello di seguire un metodo è che poi, ogni tanto, vuoi deviare,
prima di tornare nel solco tracciato). Così credo che si appropriata questa
frase di Enzo Bianchi, una persona che leggo sempre con piacere, che
ha scritto ne “Il pane di ieri”: “Dopo i sessant’anni ci si ritrova
più fragili, ci si stanca più facilmente e più in fretta, la vista si
affievolisce e il corpo perde agilità. Inizia così un tempo in cui l’orizzonte
finale della propria vita non appare più così lontano e diventa arduo
rimuoverlo dalla mente: il pensiero della fine incombe, si fa ricorrente,
appare ogni volta che si deve prendere una decisione che riguarda il futuro.”
Penso sia da meditare in questi giorni.
Comunque,
tra una meditazione e l’altra, sapendo che non tutti i baci e gli abbracci sono
uguali, io, sempre, continuo ad abbracciarvi e baciarvi.
CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i
“bugiardini” di Giovanni
MAGGIO 2021
Certo, la lettera “V” sembra portare
solo esempi negativi, dove passiamo dalla vecchiaia di aprile alla vedovanza di
maggio.
VEDOVI, RESTARE
Amos
Oz “Lo stesso mare”
Helen
Simonson “Una passione tranquilla”
Non
sottovalutate l’enormità del momento che state attraversando. Perdere il
proprio compagno è un terremoto che investe ogni settore della vostra vita.
Prima avevate qualcuno al vostro fianco; adesso siete soli. Prima eravate -
forse - la metà di una coppia di genitori, adesso dovrete fare da soli. Il
rapporto con vostro figlio, o con i vostri figli, subirà dei cambiamenti, e
così il rapporto con i vostri amici, e dovrete anche costruire un nuovo rapporto
con voi stessi. Senza qualcuno che vi sostiene, vi completa, e senza quel
qualcosa che si aggiungeva al senso della vostra identità, a volte vi
scoprirete a domandarvi chi siete.
Per
aiutarvi ad attraversare questo periodo così triste e difficile, vi offriamo un
romanzo dello scrittore israeliano Amos Oz, dalla prosa poetica di una bellezza
trascendentale, “Lo stesso mare”. In una serie di brevi, tenere vignette, il
libro racconta la storia di Albert Danon, un «mite» ragioniere la cui moglie
Nadia è morta di cancro. L’unico figlio, Rico, se n’è andato in Tibet per
mettere ordine nel proprio mondo e ha lasciato la fidanzata, Dita, a occuparsi
del padre. Albert, per suo disonore, non ha una reazione del tutto platonica
con la bella e audace Dita, dalla corta gonna arancione, e quando la ragazza,
all’improvviso, si ritrova senza casa lui la invita a trasferirsi nella stanza
degli ospiti. Intanto Bettine, un’amica di Albert - anche lei rimasta vedova,
venti anni prima - tiene d’occhio la coppia, non senza un interesse personale.
Nei
periodi di solitudine e dolore dobbiamo prendere la vita attimo per attimo ed è
così che fa Oz, cogliendo con splendida chiarezza l’istante di tempo sospeso
tra quando Albert spegne il computer e quando va a letto; oppure quando Nadia,
svegliata durante la notte da un merlo, si domanda cosa diventerà dopo che sarà
morta; o il momento in cui Bettina mette le carte in tavola. Oz presta la
medesima attenzione al bello e al banale, alla commozione e alla poco appropriata
libidine, mettendoli fianco a fianco. Se cercate una scrittura sensibile,
comprensiva, che vi permetta di accedere al vasto e complicato scenario di
emozioni che avete nel cuore, “Lo stesso mare” è il romanzo perfetto.
Per
quanto possiamo sentirci stremati, un nuovo inizio è sempre possibile. Il
maggiore Pettigrew - un militare in pensione abituato a mostrarsi
imperturbabile [protagonista di “Una passione tranquilla” di Helen Simonson,
ndT] - è estremamente rigido e severo nelle proprie abitudini. Quando però,
dopo avere perduto la moglie, perde anche il fratello, il sessantottenne
maggiore è così trasformato dal dolore che comincia a vedere tutto sotto una
luce diversa - compresa la gentile signora Ali, la donna che gestisce l’emporio
del paese. In superficie i due non potrebbero essere più diversi, ma sono
avvicinati dalla comune vedovanza, dallo scontro con le rispettive famiglie,
ugualmente meschine, e dall’amore per i libri, in particolare per Kipling. I
lettori del romanzo riconosceranno in tutto questo la base di un nuovo rapporto
– e forse saranno incoraggiati a lasciare la porta aperta, giusto uno
spiraglio.
Bugiardino
Di
certo sapete, se no ve lo ridico, che Oz è uno dei numi tutelari del mio
Pantheon letterario, di cui ho letto praticamente tutto (forse ancora qualche
saggio) e questo mare sopra citato fu uno dei primi, tanti e tanti anni fa,
insieme alla trasposizione autobiografica “Una storia di amore e di tenebra”.
Per cui non ne parlo.
Parlo
invece, e con piacere, del libro di Helen Simonson.
Helen Simonson
“Una passione tranquilla” Pickwick euro 10,90
[tramato il 03 Agosto 2014]
Quali circostanze del
caso portano Mrs. Jasmina Ali ad andare a trovare il maggiore in pensione
Ernest Pettigrew proprio quando questi si sente mancare a seguito della morte
del fratello?
Da questo attacco in
sordina, quasi a voler parlar d’altro, nasce l’interessante (seppur non
eccelso) libro della Simonson. Inglese trapiantata in America, che con questo
libro molto acclamato dai passaparola, ci descrive e ci fa vivere uno spaccato
contemporaneo delle vicende che intercorrono tra i due personaggi nella
campagna inglese.
Il tono è quasi di un
distaccato umorismo, laddove le descrizioni dei tic e delle nevrosi inglesi certamente
suscitano del rilassamento nelle nostre facce intente alla lettura. Ma pur con
una venatura ironica, non è un libro comico, anche se, nonostante tutto, l’ho
trovato un libro allegro.
La Simonson ambienta
la vicenda nell’attuale campagna inglese, dove ci sono proprietari terrieri,
piccoli lord in disarmo, un circolo del golf, le signore che gravitano intorno
al pastore con le loro iniziative, tra il benefico e l’auto-referente, nonché
immigrati di prima e seconda generazione. La storia ha un andamento lento per
più di metà, per poi accelerare in un finale di lungo respiro e di buona resa.
La lentezza serve a caratterizzare i personaggi. Al centro, il maggiore, vedovo
da sette - otto anni, preso nella routine delle piccole cose quotidiane (la
colazione, il tè, la cura dei fucili per la caccia alle anatre, le partite a
golf e quella a scacchi, gli acciacchi che inevitabilmente porta l’età, e
l’amore per i libri e la cultura). È un inglese di stampo antico, legato ai
valori diremmo tradizionali, eppure non chiuso, non ottusamente fermo nelle sue
posizioni. Di lato, l’altro personaggio centrale, la vedova Mrs. Ali, inglese
di nascita, ma pur sempre pakistana di origine, che gestisce l’emporio
cittadino, e di cui scopriamo, pagina dopo pagina, l’intelligenza, la cultura
(conosce sei lingue) e l’amore per i libri e per Kipling.
Tra i due vediamo
subito nascere una scintilla di piacere della frequentazione, che laddove si
parla e si comunica non può non esserci un moto di convergenza. Ma per far
scoppiare la convergenza, l’autrice ci dipinge, con capacità, la possibile vita
di questa campagna. E le potenti lotte nell’ambito della cosiddetta convenienza
sociale. C’è la morte del fratello del maggiore, e la conseguente lite tra le
due famiglie per l’eredità dei fucili del padre colonnello. C’è Roger, il
rampante figlio del maggiore, che costruisce la propria vita alla ricerca del
denaro, dell’accumulazione, con una capacità, proprio laddove il padre sarebbe
tranquillo, di coinvolgerlo in situazioni di difficile gestione. Affitti di
casolari, improbabile rapporto con una bella americana (tipico l’atteggiamento
tra vecchio e nuovo mondo quando si incontrano, anche se poi Sandy l’americana
sarà capita meglio dal maggiore che dal figlio), battute di caccia dove Roger fa
sempre più figure barbine. Ci sono le signore benpensanti, che devono
organizzare il ballo annuale, e che vorrebbero accasare il maturo maggiore con
la zitella Grace. Ma c’è anche la comunità pakistana, con altrettanto ferree
regole di comportamento. Il rispetto delle decisioni dei maschi di casa,
l’orrore dei rapporti fuori dal matrimonio, la pacchianeria di esposizioni di
fiori finti.
I nostri due vedovi,
attratti dalle loro teste, a poco a poco si avvicinano, ma non sanno che lo
status quo non è così facile da scalfire. Il punto di rottura si avrà al ballo
organizzato dalle signore. Un ballo in costume, per celebrare i lontani fasti
indiani, e rendere omaggio alla memoria del colonnello (il padre del nostro
Ernest) che ebbe appunto i fucili al centro di quasi tutte le vicende come dono
del maharajah avendo salvato la di lui moglie. Banchetto organizzato con l’aiuto
delle due comunità, che però rompe l’equilibrio quando il capostipite pakistano
si accorge che la battaglia celebrata fu dove persero la vita quasi tutti i
suoi parenti. Rottura inevitabile. Maggiore in crisi che non sa che pesci
prendere. Jasmina che torna in famiglia in Scozia lasciando il negozio al
bigotto nipote (che però aveva pur sempre messo incinta la bella Amina).
Qui si opera l’insight
del maggiore. Lontano dalla quotidianità di Jasmina, cade nella più fatale
delle depressioni, certo non aiutato dal figlio stupidino che si lascia con
Sandy, cercando di circuire la figlia del Lord (che gli preferirà giustamente
un magnate americano). Sarà invece proprio Grace che, rifiutando il suo ruolo,
spinge il maggiore a ricercare Jasmina. Il maggiore la trova, si scontra con la
di lei famiglia, capisce che anche lei, inespressamente, voleva un suo ritorno.
E fanno una fuga d’amore, come se fossero ancora ventenni. Bellissima
l’immagine di loro due nel freddo casotto di pesca, pur consci del loro
passato, e non rinnegando i loro morti, cominciano a vivere, pur anziani, la
loro passione. Contro tutto e contro tutti.
Ci sono scene forti
sul rivolgimento delle convenzioni e sulla forza della passione, che sarà pure
tranquilla, ma se ostacolata, travolge tutto e tutti. Per questo la trovo una
storia allegra. Perché molti si mostrano al fine come sono, e le persone che
avranno la meglio saranno sempre quelle che mostrano più rispetto per l’altro.
Anche quando i parenti dell’uno fecero male ai parenti dell’altro. Al fine, non
posso definirlo un capolavoro, ma un libro da leggere, con qualche tocco di
riflessione che non guasta. E che mi ha anche insegnato la parola “oleaginoso”,
un termine più intenso di oleoso, perché contiene anche olio, oltre ad essere
sguiscido. Un altro buon suggerimento delle ultime letture incrociate.
“Nessuno contempla
la morte quando prende le decisioni per la propria vita.” (17)
“Mi rifiuto … di
accettare che la vita sia fatta di tepore e buon senso. … Senza [la passione]
due persone che vivono insieme possono ritrovarsi più sole che se vivessero
ognuna per conto proprio.” (356)
“A volte il mio
amico … sogna di vivere una vita che non può avere. … Invece noi, che potremmo
fare tutto, noi rifiutiamo di vivere i nostri sogni solo perché non sono
sensati.” (389)
Conclusioni
Non concludo nulla questa settimana,
che non auguro a nessuno, neanche ai miei più amati nemici, di attraversare
momenti così bui. Vediamo avanti, vediamo alle prossime settimane.
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