Un’altra
settimana di scrittura al femminile, con tre romanzi di ambientazione
newyorchese, i primi due un po’ scontati e piatti. Meglio il terzo. E meglio
ancora la storia dell’isola greca dei lebbrosi e della sua componente di saga
familiare, che ho con gusto letto quest’estate a Creta.
Cathleen Schine
“I newyorchesi” Repubblica New York 4 euro 9,90
[A: 05/09/2018 – I: 09/02/2021 – T:
11/02/2021] - &&
e ½
[tit. or.: The New Yorkers; ling. or.: inglese; pagine: 292;
anno 2007]
Sicuramente un libro molto “newyorchese”,
tutto girato come un film di Paul Auster in un angolo della città che potrebbe
essere in una qualsiasi piccola città del Middle East americano. Con la
scrittrice che simpaticamente si rivolge a noi lettori, invocandone complicità,
mentre ci illustra chi fa cosa “in quell’angolo di mondo” (cit. da cover
dell’Equipe 84 dal singolo “Stay” degli Hollies).
Facendo un passo indietro, è il primo libro
che leggo di Cathleen, in origine medioevalista e tuttora mia coetanea, autrice
nella fine del secolo scorso di un fortunato libro (“Lettera d’amore”, poi
anche film), dai toni sempre leggeri ma, lì come anche qui, accattivanti.
In questo romanzo, il tocco in più è dato
dalla presenza dei cani. Comprimari, ma presenze significative per lo
svolgimento della trama. La cui parte migliore, per me, è invece quello spazio
di New York che non sembra la Grande Mela. Un ritaglio dell’Upper West Side,
tra la Columbus Avenue e Central Park, magari a ridosso del Sol Bloom Playground,
con la sua fontana a forma di girasole.
In quest’area metropolitana, tra il 236 ed il
232 (i numeri delle case) abitano i protagonisti della storia: Jody, Polly,
Everett, George, Simon, Jamie, mentre l’unica “lontana” è Alexandra dalla cui
finestra si vede la Statua della Libertà. Ci sono alcuni negozi etnici, dove
fare la spesa all’ultimo minuto, ed un pub-ristorante chiamato “Go Go Grill”
tenuto dal simpatico gay Jamie, unico posto in zona che accetti di far entrare
i cani. Che, appunto, sono l’alter ego della storia: Beatrice, il pitbull di
Jody, Howdy, il cucciolo di Polly, e Jolly, l’isterico cane di Alexandra.
Quindi tra una passeggiata con cane verso
Central Park, con annessi bisogni ed altre deiezioni, vediamo lo svolgersi dei
piccoli passi di cui ci racconta la Schine. In primo piano Jody, quasi
quarantenne quasi zitella, insegnante di musica per bambini, nonché
violoncellista. Che per vincere solitudine ed insonnia, prende al canile il
bianco pitbull Beatrice. E passeggiando con lui si imbatte nel cinquantenne
Everett, non particolarmente né bello né simpatico, ma quando sorride, tutte,
ed in particolare Jody, si innamorano di lui.
Ma Everett è sempre con la testa altrove,
spesso tra il recente divorzio e seguire la più che ventenne figlia Emily.
Talmente sconclusionato che non si accorge neanche di mezza avances fatta da
Jody, mentre cade nel vortice amore di Polly, di poco più grande di Emily, ma
padrona di un cagnetto, Howdy simpatico e di cui Everett si innamora (inciso:
in slang “howdy” sta per “Hello” o “ciao”). Polly si era trasferita in zona
alla ricerca di un affitto meno caro, dopo essere stata lasciata dall’inutile
Chris, convincendo il momentaneamente disoccupato fratello George a venire con
lei. Scelta fortunata, che George trova lavoro come barista da Jamie e pian
pianino, con tutti i cani intorno, scopre la sua vocazione di addestratore
canino.
Il nucleo dei protagonisti è chiuso da Simon,
altro quarantenne, occupato ma disincantato, che aspetta solo il novembre di
ogni anno per andare a fare la caccia alla volpe nel Vermont. Nella mancanza di
attenzioni di Everett, Simon entra nella vita di Jody (in tutti i sensi), che,
ammalandosi Beatrice, si trasferisce da lui che sta al primo piano.
Così tra una bevuta ed una pisciata canina si
consumano le varie vite dei nostri. George comincia ad addestrare i cani, e si
imbatte nel difficile Jolly, che però gli permette di conquistare il cuore di
Alexandra. Polly si accorge che troppi sono i venticinque anni di differenza
con Everett, e lo lascia, spezzandogli il cuore, privandolo della presenza di
Howdy. Simon si scopre sempre più misogino, tanto che decide di lasciare New
York e Jody, e trasferirsi definitivamente nel Vermont. Beatrice muore di
cancro, e Jody si consola solo con il vino rosso di Jamie.
Se pensate che questa sia la fine avete
sbagliato, che altro succede prima, durante ed anche dopo quel poco che ho
narrato. Lasciandoci alla fine con quel tocco lieve delle letture poco
impegnative, ma con un paio di messaggini su cui riflettere.
Quello che avrei voluto capire è il senso del
titolo, tra la citazione della famosa rivista letteraria, un cenno agli
abitanti autoctoni della città e qualche altro che forse mi sfugge. Forse “New
Doggers” poteva valer la pena di essere tentato. Ma per quello che è, il tutto
può rimanere così.
“L’unico matrimonio in cui ci si diverte è
il proprio.” (259)
Stephanie Danler “Il sapore dei desideri”
Repubblica New York 12 euro 9,90
[A: 01/11/2018 – I: 15/03/2021 – T:
18/03/2021] - &&
--
[tit. or.: Sweetbitter; ling. or.: inglese;
pagine: 378; anno 2016]
Sono
sincero: non mi è piaciuto. Certo, ha alcuni spunti, e si può leggere
(abbastanza) come un romanzo di formazione. Certo l’autrice, passando dal
ristorante alla scrivania, ha fatto un bel salto. Anche positivo, che di certo
riesce a scrivere ed a dipingerci il suo vissuto in modo realistico. Ma
tuttavia, non partecipativo.
Siccome,
oltre che sincero sono anche cattivo, comincio subito da quello che mi ha
convinto di meno. Prima di tutto, il titolo. Che dal gergale “agrodolce” (con
un suo significato sia nella vita che nella cucina) a quel “sapore dei
desideri” mi sembra che ci sia un salto ingiustificato. Secondo poi, è il
clamore della serie televisiva che ne è stata tratta che ha portato alla fama
il libro, o viceversa? In America dicono sia venuto meglio il libro. In Italia,
senza il clamore della coppia scritto-tv penso che non avrebbe avuto un gran
mercato.
Anche
perché, e qui siamo già al terzo punto negativo, starebbe meglio in una collana
alla “Hell’s Kitchen” piuttosto che in una su New York. Infatti, la prima
uscita in Italia è nel 2017 con Rizzoli, e non mi pare che abbia avuto una
grande risonanza.
Dicevo,
cosa c’è di New York nella storia dell’agnizione di Tess verso la sua vita adulta?
L’arrivo
in macchina da lontano a cercar fortuna nella Grande Mela, certo. Poi alcuni
quartieri: Williamsburg, dove si installa Tess, al di là dell’Hudson sulla
linea L della metropolitana, ed i dintorni di Union Square, dove si dipana la
maggior parte del romanzo, tra i bar ed i ristoranti della zona. Ma anche
l’East Village, SoHo, Tribeca, Alphabet City. Vogliamo poi dire New York come
metafora di cambiamento, di aperture e possibilità? Forse, ma ho letto altro
che più ci dava una potente immersione in città (posso citare Paul Auster?).
Quindi,
tolta di mezzo la città, rimane il mondo della ristorazione, che, come dicevo
sopra, rimanda ad Anthony Bourdain ed ai suoi eccessi. Stephanie, arrivata a
New York, passa del tempo alla Buvette, uno dei ristoranti cult di New York.
Qui, cambiano i nomi, ma l’atmosfera è quella, anche quella descritta da
Bourdain. Un microcosmo pieno di persone, di attrazioni e di respingimenti. Ma
anche pieno di droga e di alcool. Quando non parla di cucina, Stephanie parla
di droga, di sesso occasionale, e di bevute al limite dello sfinimento.
Tutto
per raccontarci di Tess, che arriva nella grande città, che si apre a tutte le
esperienze, che fa un colloquio e viene subito assunta. In un ambiente in cui è
tra le più giovani. “La ragazza nuova”, come viene soprannominata. Ben presto,
i possibili lati dei rapporti umani si riducono a tre: Tess, ovvio, Simone, una
delle cameriere anziane (pare abbia più di 35 anni) e Jake, il barista, ma
anche amante (o forse no) di Simone. Jake che va appresso a tutte le gonne che
girano nel loro ambiente. Tess che rimane affascinata dal personaggio. Così
come è affascinata da Simone, dalla sua capacità di mescolare vino e poesia,
cibo e cultura.
Certo,
una domanda mi veniva spesso: come fa Tess, che sembra non avere un retroterra
di studio e applicazione, a diventare superesperta in vini ed in sapori? Un
dono innato per un palato “totale” o una costruzione iperbolica, che mira ad
esaltare le virtù nascoste? Come fare ad avere una sensibilità verso il vino in
un mese, che io, in tre anni di corso, sono arrivato ad un decimo di quanto
sembra arrivi Tess.
Di
certo, Tess è comunque presa dal triangolo: ammira Simone ed è innamorata di
Jake. Ma anche viceversa, che i ruoli sessuali non sono definiti. Né forse è
importante che lo siano. Vediamo tutto il trapasso di Tess da ingenua
aiuto-cameriere, ad amante di Jake, a gelosa del rapporto tra Jake e Simone.
Alla fine, terminerà come ci si aspetta, anche perché siamo a leggerne lo
scritto, quindi sappiamo già in partenza la nota fine del tutto. Ed arrivarci
sarà una lunga passeggiata con eccitanti non naturali, ed altri eccessi. Ben
scritto, forse, ma un po’ scontato.
Più
che di New York, di cui mi piace ricordare altro, e della cucina e del vino,
due sono le cose che mi restano della lettura. Una generale ed una personale.
In generale, è la disquisizione, corretta, credo, ma di certo innovativa, sul
concetto del quinto sapore. Che tutti sanno dei sapori standard (dolce, amaro,
aspro e salato), ma pochi si addentrano in quello che, con termine giapponese,
viene definito “umami”. Quello della colatura d’alici, del parmigiano
stagionato, insomma del glutammato monosodico.
L’altro
è il tuffo al cuore che mi ha preso quando Tess definisce il suo top nel Fleurie
del Beaujolais. Ed io faccio un salto indietro, quando spesso e con piacere
stavo a Parigi. Frequentando il mitico (per me) “Cafè aux Halles”, mi sbafavo
per pranzo un plateau di formaggi accompagnato da un Fleurie ben freddo. E se
non sapete che quel rosso si può e si deve bere da ghiacciaietta avete perso
uno dei piaceri della vita.
Così
posso lasciarvi, con una lettura che forse non merita tanta attenzione, ma
seduti in poltrona, con in mano un bicchierino, digestivo, di Armagnac
d’annata.
“È impossibile dimenticare le storie che
raccontiamo a noi stessi.” (354)
Sapphire “Precious” Repubblica New York 16
euro 9,90
[A: 19/11/2018 – I: 09/04/2021 – T:
10/04/2021] - &&&
+
[tit. or.: Push; ling. or.: inglese;
pagine: 159; anno 1996]
Un’altra lettura nuova, di un’autrice a me
sconosciuta. Non nel panorama afroamericano, come ho scoperto cercandone
notizie. Ramona Lofton è infatti nata nel 1950 e dopo varie vicissitudini di
vita (che potete cercare anche voi in rete), si laurea, si dedica
all’istruzione dei non alfabetizzati di Harlem, si prodiga per i “coloured”,
diventa una stimata poetessa. In quegli anni, per sottolineare la sua presenza
di “donna nera combattente” utilizza lo pseudonimo di “Sapphire”, che diventerà
il suo marchio di fabbrica. Poi, nel ’96, scrive questa forte storia di vita
newyorchese. Di certo, con qualche reminiscenza delle sue attività pregresse.
Un libro che più che di New York, come
direbbe la collana, parla, e con forza, di Harlem e, marginalmente, dei
quartieri poveri della città. Inoltre, è fortemente radicata, come scrittura e
come problematica, agli emarginati, ai poveri, ed anche (ma non solo) ai neri
ed ai problemi, enormi, spaventosi, delle famiglie povere lì insediate.
Di grande forza, e di grande difficoltà sia
di lettura che di traduzione (per cui non posso che fare un plauso al
traduttore Massimo Bocchiola) è la scrittura, per la gran parte in prima
persona della inizialmente semianalfabeta Clarice Precious Jones. Una scrittura
artatamente sgrammaticata, di cui ho letto esempi in rete, senza riuscire a
decifrarne molto. Tanto per dire, l’uso di fonemi al posto della scrittura come
“noffin’” invece che “nothing”. Per questo, la traduzione ha eseguito un lavoro
encomiabile.
Sapphire ci presenta, scrivendo appunto in
prima persona, la “triste istoria” di Precious, facendoci seguire tutto il
precorso, anche letterario oltre che mentale, della ragazza. Che inizia a
scrivere con un americano difficile e sgrammaticato, finendo il libro con un
americano sempre meno colloquiale e sempre più scritto.
Incontriamo Precious che ha sedici anni, è
obesa ed analfabeta, e vive ad Harlem con la madre violenta. Ne vediamo subito
lo scontro con il mondo (quello della scuola in particolare, preso come primo
elemento di descrizione), e vediamo come il mondo la respinge: viene infatti
espulsa da scuola in quanto incinta. Ma è già il secondo bambino che ha, il
primo l’ha avuto a 12 anni, ed è una bambina “down”. Il fatto (aggravante per i
benpensanti) è che i due figli sono frutto della violenza domestica, degli
incesti che ha subito dal padre fin dalla più tenera età.
Precious ha la fortuna di incontrare alcune
persone che le danno finalmente una mano, senza se e senza ma. La direttrice
della scuola, che la indirizza verso una scuola dedicata agli analfabeti.
L’insegnante della suddetta scuola, Miss Rain, che con infinta pazienza,
l’aiuta a cominciare a scrivere, la sprona, la sostiene. Soprattutto quando,
dopo il parto del secondo figlio, la madre la caccia di casa.
Miss Rain la fa rifugiare in una casa di
accoglienza con un asilo nido per i bambini. Il suo nuovo ambiente le fornisce
la stabilità e il supporto per continuare con la scuola. Per elaborare il
grande lutto interiore di aver sempre vissuto nel terrore, e negli abusi, sia
del padre che della madre. Mentre sta cercando di andare oltre la sua infanzia
traumatica e di prendere le distanze dai suoi genitori, sua madre le annuncia
che suo padre è morto di AIDS. I test confermano che Precious è sieropositiva,
ma i suoi figli non lo sono.
Il libro si chiude con un'antologia di storie
autobiografiche chiamata "LIFE STORIES - Our Class Book", in cui
Precious e le sue compagne di classe scrivono brevi racconti sulle loro
esperienze di vita.
Come detto è un libro forte, dove lo stupro e
la violenza non ci sono risparmiati. Dove vediamo anche che i poveri vanno
contro i poveri, i reietti contro i reietti. Ci vorrà pazienza e presa di
coscienza, ad esempio, affinché Precious accetti il fatto che il suo mito, Miss
Rain, sia omosessuale. Ci vuole il coraggio di Sapphire per presentarci la
madre Mary che accusa Precious di “averle tolto le attenzioni di suo marito”.
Ma l’autrice in questo è magistrale, e, pur non sempre omogeneo e ben dosato,
nonché sicuramente datato, è un libro che ci porta nell’America diversa, in
quella dove Trump non è mai stato.
Per finire ricordo che il titolo originale
del libro era “Push”, ma la distribuzione italiana ha preferito utilizzare il
titolo del film tratto dal libro (appunto “Precious”), dove, nel 2009,
l’attrice Mo’Nique aveva preso l’Oscar come miglior attrice non protagonista
per la sua interpretazione della madre di Precious..
“Mentre sei lì che devi sopravvivere non
puoi farci troppo caso ai dettagli.” (110)
Victoria Hislop “L’île des oubliés” Livre
de poche euro 13
[A: 10/08/2021 – I: 10/08/2021 – T:
12/08/2021] - &&&
--
[tit. or.: The island; ling. or.: inglese;
pagine: 520; anno 2005]
Stando
ad Agias Nikolaos, ed avendo letto della storia dell’isola di Spinalonga, ho
comprato ed immediatamente letto questo libro che ha l’isola come uno dei
personaggi centrali. Visto che comunque, se l’avessi letto in italiano, sarebbe
stato un libro tradotto, ne ho trovato una versione francese. Tradotto per
tradotto, tanto vale.
Non
conoscevo l’autrice, né penso sia molto tradotta in italiano, mentre in Grecia
è non solo ben nota, ma insignita della cittadinanza onoraria, per i libri da
lei dedicati alle vicende nazionali. A cominciare da questo di più di quindici
anni fa, che ne decretò il successo come scrittrice e che la spinse a
proseguire su questo filone.
Visto
che inizio sempre polemicamente, questa volta vorrei tirare un paio di orecchie
agli editor francesi. In Italia, infatti, uscito per Bompiani, ha mantenuto il
suo titolo (“L’isola”). In Francia vi hanno aggiunto il suffisso “dei dannati”,
per ovvie ragioni di marketing. Infatti, è ben vero che il protagonista
principale dello scritto è l’isola di Spinalonga. E, come sappiamo dall’aver
compulsato la storia locale, è ovvio che fu abitata da dannati, visto che dal
1903 al 1957 fu adibita a lebbrosario per isolare cittadini greci attaccati
dalla terribile malattia.
La
scrittrice, con l’intento di narrarci dell’isola e dei suoi abitanti,
imbastisce un piccolo “romanzo familiare”, dove cominciamo a seguire la bella Alexis,
in vacanza a Creta con un inutile e speriamo presto lasciabile fidanzato.
Alexis sa che sua madre Sofia è cretese, ma nessuna delle due ha mai parlato
delle radici familiari, anche se, in un soprassalto di “espiazione”, Sofia
fornisce una lettera di presentazione per Alexis indirizzata alla grande amica
di gioventù della madre, la simpatica Fotini.
Alexis
dopo molti pensieri, decide di andare a Plaka, a trovare Fotini, che, dopo
molte preghiere, alla fine racconta tutta la storia della famiglia. Legata, nel
bene e nel male, a Spinalonga ed al lebbrosario. I lebbrosi, storicamente,
erano relegati all’emarginazione ed al ludibrio, seguendo le parole del
levitico, dove il malato è bollato come “impuro”. Isolando i malati stessi su
di un’isola, i Greci la fanno diventare una comunità autosufficiente, che si
organizza con proprie strutture sociali e politiche (un sindaco, un’insegnante,
negozi, financo un teatro) e con l’aiuto di medici umanitari che sembrano gli
antesignani di “Emergency”.
Il
collegamento con Creta, anzi con Plaka, è assicurata da Georgios, che, con la
sua barca periodicamente fa su e giù con l’isoletta. Il dramma comincia quando
ad Eleni, la moglie di Georgios, viene diagnostica la malattia e costretta ad
isolarsi a Spinalonga. Eleni non si perderà d’animo, e metterà in piedi una
scuola ed altro, fino alla sua non lontana morte per l’avanzamento della
malattia.
A
Plaka rimane il marito, con le due figlie: l’irrequieta Anna e la sottomessa
Maria. Ne seguiamo le vicende, gli studi, la ribellione di Anna che cerca un
matrimonio per evadere dalle ristrettezze familiari, trovandolo con una delle
famiglie più facoltose di Creta. Tutto sembra andare per il meglio, anche se
Anna si impegola in una relazione con un cugino del marito, visto che il marito
stesso non sembra essere fecondo, e di un erede c’è bisogno.
Nel
frattempo, Maria si ammala anche lei di lebbra, viene isolata nell’isoletta,
avrà un bellissimo rapporto con il medico dei lebbrosi che solo dopo anni ed
anni sfocerà in qualcosa d’altro. Ma la malattia mette allo scoperto i problemi
della famiglia, la possibilità che ci siano tare. Inoltre, la nascita della
piccola Sofia fa vedere che ha ben poco del presunto padre e molto del vero
cugino. Il marito di Anna va fuori di testa, uccide Anna e il cugino, viene
arrestato e morirà in carcere. Sofia, dopo qualche peripezia, viene adottata da
Maria e dal dottore gentile.
Crescerà
ignara della sua storia, fino a che, decidendo di andare ad Atene
all’Università, Maria le confessa la verità. Sofia rimane scioccata, non
l’accetta subito. Anzi fa in modo di sposarsi presto con un inglese, di andare
a vivere a Londra, senza mai tornare a Creta.
I
destini delle varie donne del romanzo, alcune le ho indicate, altre ne potete
leggere, sono ben crudeli, legati alle prepotenze di una società maschile e ben
chiusa. Un procedere che va letto come contraltare della storia cretese di
Zorba, che non a caso si chiama Alexis (un nome double face a quanto pare).
Una
storia gradevole, non eccezionale, ma soprattutto un modo per rimanere vicino
ad un’isola che non conoscevo e che mi ha da subito affascinato. Motivo per
cui, non possiamo che terminare dicendo “grazie, Fako”.
Primo
florilegio settembrino, quindi ripassiamo le letture di giugno. Un giugno
costellato da libri che poco ho gradito. In particolare, oltre alla serie di
Repubblica Investigatori (una delle peggiori scelte di Gedi), dove vi
consiglierei di evitare il viaggio di Alicia Giménez-Bartlett e la dea
di Manuel Vazquez Montalban, questo mese ha visto precipitare anche la collana
delle letterature del mondo con l’illeggibile cinese Mo Yan ed il poco
digeribile australiano Tim Winton. Per fortuna che c’è stato un libro sublime
come “16 ottobre 1943” di Giacomo Debenedetti.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Alicia Giménez-Bartlett |
Un vero e proprio viaggio |
Repubblica Investigatori |
s.p.
|
1 |
2 |
Göran Tunström |
L’oratorio di Natale |
Corriere Boreali |
9,90 |
3,5 |
3 |
Thorkild Hansen |
Arabia Felix |
Corriere Boreali |
9,90
|
3,5 |
4 |
Arthur Conan Doyle |
Uno scandalo in Boemia |
Repubblica Investigatori |
s.p.
|
3 |
5 |
Tim Winton |
Il nido |
Repubblica Mondo |
9,90 |
1,5 |
6 |
Djuna Barnes |
I racconti di Lydia Steptoe |
Adelphi |
5 |
3 |
7 |
Gary Shteyngart |
Mi chiamavano piccolo fallimento |
Repubblica New York |
9,90 |
3 |
8 |
Anne Perry |
Il fiume della vendetta |
Mondadori |
5,90 |
2,5 |
9 |
Mo
Yan |
I
quarantuno colpi |
Repubblica Mondo |
9,90 |
1 |
10 |
Agatha Christie |
Il sogno |
Repubblica Investigatori |
s.p.
|
3 |
11 |
Maurizio De Giovanni |
L’omicidio Carosino |
Repubblica Investigatori |
s.p.
|
2 |
12 |
Manuel Vazquez Montalban |
La dea nuda |
Repubblica Investigatori |
s.p.
|
1 |
13 |
Pınar
Selek |
La
casa sul Bosforo |
Repubblica Mondo |
9,90 |
3,5 |
14 |
Antonio Manzini |
Vecchie conoscenze |
Sellerio |
15 |
3 |
15 |
Einar Már Guðmundsson |
Angeli dell’universo |
Corriere Boreali |
9,90
|
3 |
16 |
Giacomo Debenedetti |
16 ottobre 1943 |
Einaudi |
9,50
|
5 |
17 |
Ellery Queen |
L’avventura della signora barbuta |
Repubblica Investigatori |
s.p.
|
3 |
18 |
Frank Westerman |
Ararat |
Corriere Boreali |
9,90
|
2,5 |
19 |
Yasmina Reza |
Il dio del massacro |
Adelphi |
10 |
3 |
20 |
Liza Marklund |
Ferro e sangue |
Feltrinelli |
s.p.
|
3 |
Sarà
che serve anche a dimenticare i pensieri delle problematiche mediche che ci
contornano, ma questa settimana rivolgo un pensiero all’amore, con una
citazione tratta da “Storia
di un amore straordinario” di Carl-Johan Vallgren: “sapeva che l’amore che nasce
improvviso è quello più lungo e difficile da guarire, e che esiste un solo
rimedio alla sofferenza che procura: amare ancora di più.”
E quindi, amiamo ancora di più, non facciamoci mancare gli abbracci.
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