La
serie esce dalla penna di Rosa Teruzzi, giornalista televisiva che dalla metà
degli anni ’10 si dedica con successo alla scrittura delle vicende della
famiglia Deidda, tutti di una piena sufficienza, e gradevoli per le citazioni
letterarie e musicali che ne infarciscono la pagina.
Rosa Teruzzi “La sposa
scomparsa” Feltrinelli euro 9 (in realtà, scontato a 8,10 euro)
[A: 06/08/2020 – I: 21/07/2022 – T:
24/07/2022] &&&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 169; anno:
2016]
Inoltre, è una scrittrice italiana che,
seppur ha pubblicato (credo per Sonzogno), con un accordo con Feltrinelli, fa
uscire la serie basata sulla famiglia Deidda dove ci si aspetta (non sarebbe
una sorpresa) che prima o poi qualcuno ne faccia uscire una serie televisiva.
Perché è vero che c’è una trama gialla, ma
il filo rosso è appunto aggrovigliato alle tre donne di famiglia, anche se,
alla fine, è la donna di mezzo che ha il sopravvento, come personaggio
centrale. Di lontano, vegliano su di loro gli spiriti dei nonni, la mai conosciuta
(ma che fornisce spesso capelli rossi) nonna Ribella (che nome evocante) ed il
patriarca nonno Spartaco. Poi c’è la figlia, Iole, ormai verso la settantina,
ma indomita cercatrice di “toy-boys” ed avventure (e gira sempre senza
mutande). In mezzo c’è la nostra eroina, Libera, figlia di Iole, amante dei
gialli (forse una rimembranza autobiografica) e madre di Vittoria, la giovane
ventenne.
La famiglia è stata colpita, vent’anni
prima, dalla morte in servizio di Saverio, marito di Libera e agente di polizia
in lotta contro la mafia. Una morte da cui Libera non riesce a liberarsi, e che
Vittoria tenta di esorcizzare e risolvere entrando anche lei in polizia.
Molta parte della trama è legata alle
vicende familiari. Le incomprensioni tra Vittoria e Libera, le mattane di Iole,
e la presenza del grande amico di Saverio, Gabriele, ora capo della squadra
omicidi, capo di Vittoria, nonché da sempre innamorato di Libera, senza che
però tra i due riesca a nascere una scintilla. O meglio, le scintille ci
sarebbero ma, per allungare sempre i brodi della trama, la nostra scrittrice
riesce sempre a frapporci qualche impedimento.
Libera aveva una libreria, ma la penuria di
lettori nella periferia milanese (siamo dalle parti di Corsico) ne ha forzato
la chiusura. Così che lei si dedica alla sua seconda grande passione, i fiori.
Laddove, una fortuita circostanza, la porta sulla cresta dell’onda. Realizza un
bouquet di nozze per una stellina influente, che ne meraviglia la fortuna che i
bouquet le hanno portato con articoli di giornale. Così che il tranquillo
ex-casello ferroviario di Spartaco viene preso periodicamente d’assalto da
sposine in cerca di fortune nuziali. E questo è uno dei leitmotiv della
scrittura. Unito al fatto che, come vedremo in questo primo episodio, Libera
& co sono coinvolte in indagini più o meno giallo, così che gli editor
italiani hanno pensato bene di intitolare la serie “I delitti del casello”.
Anche se i delitti che Libera va risolvendo non avvengono nel casello, come
sottintenderebbe il titolo. Tanto che sarebbe più corretto chiamare le storie
“La detective del casello”. Ma si sa, io e gli editor, raramente andiamo
d’accordo.
Venendo alla parte d’indagine, tutto
comincia quando Libera viene mossa a pietà dalla storia di una madre che ha
visto sparire ventisei anni prima la figlia, poco dopo che erano andate in fumo
le nozze con un suo spasimante. Non è facile trovare collegamenti, ma la nostra
autrice ha la brillante idea di inserire un aiuto laterale (che penso
continuerà nella serie): Libera coinvolge un giornalista di nera, Temperante
Cagnaccio (detto “Dog”) e la sua giornalista di punta, Irene (detta la Smilza).
Si ripercorrono scene, si cerca di scomparse parallele, si indaga sulla vita
dell’ex della sposa, e poi sugli strani conti della stessa, strapieni di soldi
di incerta provenienza. Tutti fanno del loro meglio, anche se per tutti vediamo
in prima linea Libera e Irene, con Iole e Dog in rincalzo, mentre Vittoria ed
il suo capo remano contro.
Libera riesce a smontare l’alibi dello sposo
mancato, ma non è convinta della sua colpevolezza, così che continua a
percorrere e ripercorrere le tortuose strade dell’ultimo giorno in cui è stata
vista viva. Con la capacità, da brava detective, di fare quel collegamento, a
40 pagine dalla fine, che permette di arrivare alla soluzione del rebus.
Per mettere gli ultimi bastoni alle ruote
delle storie di famiglia, poi, compare un vicino di casello, un grasso e
simpatico cuoco, che alleggerisce le soventi paturnie di Libera, creando una
potenziale situazione di concorrenza con la corte, non certo assillante, di
Gabriele. Infine, come nei migliori seriali alla Victor Hugo, Libera trova un
biglietto nella giacca del marito che non toccava da venti anni che rimette in
moto anche le idee ed i dubbi sulla lontana morte.
La scrittura è discretamente effervescente,
anche se il tramone giallo è un po’ all’acqua di rose, e possibili soluzioni,
tra cui quella giusta, sono di facile interpretazione ben prima della fine. Ma
a me piace anche per quelle citazioni trasversali, su musica (De André su
tutti), sullo yoga, sui libri (tra Jane Austen ed altre illustri scrittrici
d’amore). Penso quindi che procederò con discreta speditezza alla lettura delle
altre puntate. Per ora, è una buona lettura estiva.
Rosa Teruzzi “La fioraia del Giambellino”
Feltrinelli euro 9 (in realtà, scontato a 8,55 euro)
[A: 10/10/2020 – I: 25/07/2022 – T:
31/07/2022] &&&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 167; anno:
2017]
Detto e fatto, il giorno dopo la chiusura
del primo libro della detective del casello (nome mio che preferisco a quei
delitti degli editori che poco calzano), mi immergo nella seconda puntata. Che
si legge di sera, dopo le lunghe fatiche diurne del bel viaggio in terra
d’Islanda. Così che ci si immerge nelle vicende delle nostre tre amiche, la
figlia Vittoria, la mamma Libera e la nonna Iole. Ma per loro, e per la
vicenda, sono passati due anni. Dato che nel primo episodio si parlava di
“vent’anni dopo la morte di Saverio” (il marito di Libera), avvenuta nel ’92, e
quindi si era nel ’12, ora nei capitoli in “italico” compare subito la data,
agosto 2014.
Sottolineo l’italico, che questa volta ci
sono capitoli in corsivo, che riportano vicende esterne e passate, e dove, come
al solito, mi trovo in disaccordo con le scelte stilistiche. Certo, l’effetto
sorpresa delle ultime parole è spiazzante, ma ritengo che l’andare su e giù
nella linea temporale sia a volte più dannoso che proficuo.
Intanto, torniamo lì, al nostro casello,
dove si accumulano gioie e dolori, speranze e tremori. Intorno alle nostre tre
eroine. La giovane Vicky-Vittoria, entrata in polizia per scoprire chi, come e
perché uccise il padre ormai ventidue anni prima. La matura Iole, nonna hippie
e femminista, maestra di yoga e tombeuse de homme. In mezzo, la nostra eroina,
Libera piena di legacci (ci vuole qualche finto ossimoro per avviare la lettura
e la scrittura). Libera salita agli onori delle cronache mondane per un primo
articolo che esalta le virtù propiziatorie dei suoi bouquet da sposa. Articolo
che le porta clienti e problemi.
Ma anche Libera che, per quanto fatto due
anni prima, è ormai etichettata come “Fioraia del Giambellino risolve il
mistero della sposa scomparsa”. Non solo ma l’articolo prosegue esaltandola
come sosia di Julienne Moore (per i capelli rossi) ed emula di Agatha Christie
(per il mistero risolto). Fatto sta che a lei si rivolge Manuela, che si
dovrebbe sposare a breve. Ma non per un bouquet, quanto per ricercare un padre
che non ha mai conosciuto.
Vorrebbe sapere di chi è figlia, ma la
madre, pur malata, si ostina ad innalzare un muro impenetrabile a questa
richiesta. Libera tentenna, ma la sua vocina interna le fa suonare il
campanellino: come, tu che cerchi la verità sul padre di tua figlia, ti tiri
indietro sulla ricerca della verità su di un padre di una figlia altra? Tra
l’altro, alla fine del primo episodio aveva trovato un compromettente biglietto
di grafia femminile molto legato alla morte di Saverio.
Quindi, un po’ per voglia e molto perché
Iole la figlia dei fiori che si traveste per fare indagini, e spesso si spoglia
per i suoi non più giovani pretendenti, la forza verso l’indagine. Che non può
che vedere anche l’intervento del mitico giornalista “Dog” (vedi primo
episodio) ma soprattutto di Irene, che, puntata dopo puntata, si avvicina
sempre più alla sensibilità di Libera. Così, si scava nel passato della
famiglia di Manuela, nei frequenti cambi di casa, nel mistero di non far
amicizia con nessuno, nella malattia della madre, nelle missive tenute dal
confidente sacerdote. Certo, i corsivi aiutano non poco a diradare le nebbie
del mistero, che si erano infittite anche perché c’è una morte sospetta al
tempo delle fughe.
Il risultato delle indagini arriverà dopo la
morte della madre di Manuela (tumore) lasciando Libera nel dubbio se palesarlo
o tenerselo per sé. Quello che sicuramente palese è il famoso biglietto
femminile, che mette di nuovo in moto le indagini di Vittoria, ma anche del suo
capo, il famoso/famigerato Gabriele. Per ora, di questo filone non se ne vede
la fine, ma chissà.
Comunque, è bene capirsi subito: non è la
trama gialla che attira in questi libri. Sono i personaggi e la loro vita
milanese di periferia. Oltre a Iole, di cui si è detto troppo, c’è Vittoria che
mette pensiero alle sue parenti per la frequentazione con uno sbandato, forse
ai limiti della legge, che a Libera non va giù (domanda di riserva: ma i
genitori debbono/possono interferire nella vita dei figli?). Ma soprattutto c’è
lei, Libera, stretta tra due fuochi. Il pensiero di Gabriele, il capo della Omicidi,
presenza costante, che lei vorrebbe più vicina, scontrandosi con le proprie
resistenze, con la figlia che la guarda storto se si avvicina al suo capo, con
Gabriele stesso, che non sa resistere a presenze femminili diverse (magari
anche più giovani). Di là, c’è la presenza della garbata corte di Furio, chef
simpatico, esuberante e sovrappeso. Che la fa una corte discreta, che la fa
ridere, ma che sembra non poter aspirare a più di un’amicizia.
Al fine, un libro esile, agile, non
imperdibile, ma necessario, a completare un quadro che serve a scacciare
pensieri molesti, per concentrarsi sulle cose belle della vita. E ce ne sono.
Rosa Teruzzi conferma le sue capacità di
scrivana, con una giusta dose di leggerezza e di pensieri. Certo, avevamo
iniziato la lettura con le domande del primo episodio, e finiamo il secondo con
più domande che risposte. Mi sa che si dovrà passare ai successivi libri per
saperne di più.
Rosa Teruzzi “Non si uccide per amore”
Feltrinelli euro 8,50
[A: 19/03/2021 – I: 04/08/2022 – T:
05/08/2022] &&&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 157; anno:
2018]
Passa solo qualche giorno, ed ecco come una
droga la voglia di tornare ad alleggerire la testa con le avventure (e le
disavventure) delle detective del casello. Affronto quindi la terza puntata
della serie, che, in un certo senso, si congiunge con la precedente. Di sicuro
temporalmente, visto che le mosse di Libera e parenti si incamminano verso
nuove avventure nello stesso agosto del ’14. Tanto che viene da pensare ai
“mastodonti” del giallo italiano, come Costantini che ne avrebbe fatto un solo
volume.
Per fortuna Rosa è di animo leggero, scrive
veloce, e chiude le sue storie sempre ben al di sotto delle duecento pagine. E
nella sua scrittura, come già sottolineato, sono spesso i personaggi che hanno
il peso maggiore. Anche se qui, una storia, un giallo si propone in maniera
quasi classica. Libera aveva trovato delle tracce che la portano a riflettere
sull’uccisione del marito Saverio. E da quelle tracce parte per un nuovo “cold
case”, che questa volta è però assai personale. Ora decide di indagare per sé
stessa.
Sappiamo tutto del retroterra della storia.
C’è nonna Iole, quasi settantenne, spirito libero, molto alternativa, che ci
conquista con le sue pazze idee. Tipo mettersi una parrucca quando indaga per
non farsi riconoscere, visti i capelli rossi della famiglia. Ed all’opposto c’è
Vittoria, entrata in polizia perché vuole scoprire tutto sulla morte del padre.
Seria, dura, dritta verso le mete senza deragliare, anche se le mete non sempre
sono chiare se non a lei.
In mezzo, appunto, c’è Libera, quella
“normale”, anche se ha una serie di pregi che ce la fanno cara. È un’accanita
lettrice (un tempo aveva un libreria, ora fallita), in special modo di gialli.
Ma non disdegna tutto il leggibile (e qui ci sono citazioni di Rossella O’Hara
da tenere in conto). Ed è anche una profonda conoscitrice dei fiori, visto che
ora si è reinventata (con successo) fornitrice di bouquet nuziali portafortuna.
Per finire ha anche le mani d’oro in cucina, tanto da attirare un nuovo e
discreto spasimante nel vicino nonché chef Furio.
Di traverso, appunto, ci sono gli uomini.
Furio, come detto. Ma anche il capo cronista di nera che spesso aiuta le
nostre, il terribile Cagnaccio (non il soprannome, che è “Dog”, ma proprio il
cognome). Tutti gli episodi sono poi punteggiati da Gabriele, il miglior amico
del marito, ora capo della Squadra Omicidi (e quindi anche di Vittoria), che
ondeggia verso Libera senza decidersi, per poi rimanere invischiato in altre
situazioni, che lasciano il segno, anche se non nella storia. Ultima attrice
non protagonista, almeno per ora, Irene la Smilza, giornalista capace e
silente, che, romanzo dopo romanzo, riesce sempre più simpatica e sempre più
empatica con Libera.
Veniamo ora a questa puntata.
Il biglietto misterioso sembra indicare un
appuntamento con una donna. Aiutata da Dog, scopre che contemporaneamente alla
morte del marito è scomparsa Loredana, la moglie di un mafioso in carcere.
Della mafia calabrese su cui indagava Saverio.
Ed è in Calabria che portano tutte le piste
che trova per lei Irene. Quindi si parte alla grande, Iole, Irene e Libera alla
scoperta di misteri e collegamenti. Solo Vittoria è fortemente contraria, che
tutti i primi indizi portano anche a sospettare connivenze interne alla
Polizia, e lei ne sembra più che altro spaventata.
Si scava su Loredana, sul marito di Loredana
che, uscito dal carcere si allontana dalla mafia, frequenta altre donne, senza
mai rifarsi completamente una vita, su Elvira, l’amica di Loredana che ospitava
la donna quando veniva a Milano.
Non mancano neanche i soliti, pesanti
flashback temporali del tempo in cui Saverio indagava. Che hanno il pregio di
sollevare qualche velo anzitempo, ma il difetto di rompere il ritmo della
trama.
Quando tutte le trame sembrano portare in
direzione mafiosa e pericolosa, sono le intuizioni delle nostre donne che
rimettono il giallo in carreggiata, portandolo verso situazioni più vicine ai
femminicidi attuali che alle stragi degli anni ’90. Rimane un po’ il dubbio se
il titolo, infine, sia più un monito od un consiglio.
Lasciando perdere il romanzo, e venendo alle
troppe morti odierne, concordo in pieno che tutte queste (troppe) morti non
sono dovute all’amore, ma a tutta quella congerie di sentimenti odiosi che
permeano chi non sa accettare la realtà. Se io ti amo veramente, e tu mi lasci,
io provo a riconquistarti, non ad ucciderti. E se qualcosa ostacola il mio
amore, provo a sconfiggerla, non ad eliminarla, un modo che, spesso, non fa che
creare ancora più ostacoli.
Una volta risolto il giallo, non si fa in
tempo a chiudere la pagina che già si pensa a cosa potrà succedere. Come evolve
Achille il tatuato amante delle piante e di Vittoria? Come finirà la lotta tra
Furio e Gabriele? Come si muoverà Irene? Che nuovi/vecchi libri leggerà Libera?
Poiché poi Rosa ha ben appreso la lezione di
Victor Hugo e dei feuilleton francesi dell’Ottocento, in finale di libro ci
lancia un nuovo amo. Come è veramente morta Ribella, la madre di Iole? Vedrete
che qualcosa uscirà fuori, che una leggera lettura come questa non ti delude
mai.
Rosa Teruzzi “Ultimo tango all’Ortica”
Feltrinelli euro 8,50
[A: 25/03/2021 – I: 08/08/2022 – T:
09/08/2022] &&& -
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 141; anno:
2019]
Un libro dopo l’altro, che la magia delle
Miss Marple del Giambellino ha fatto presa. Come dice una recensione più abile
della mia, è come indossare un pigiama in inverno dopo averlo scaldato sul
termosifone. Ci si coccola con le avventure delle donne del casello, e si
aspetta di vederne le gesta. Anche se mi aspettavo qualcosa in più dai
personaggi.
Invece, qui si riorna su di un filone
classico, che però fa la sua presa. Che le indagini diventano due, come si
confà ai più classici seriali. C’è quella di fondo, legata strettamente ai
personaggi, e c’è quella in prima linea, a volte nata anche occasionalmente.
La prima la intuiamo, piuttosto che vederla
sbocciare. Sappiamo, fin dal primo episodio, della morte di Ribella, la madre
di Iole e quindi la nonna di Libera. Sappiamo che il nonno Spartaco non si è
più ripreso interamente da quella morte, anche se non ne ha mai voluto parlare.
Suona nel fondo, la personalità di Ribella, tace anche per molta parte del
libro, per poi uscire alla fine, dove ci aspettiamo che ci dia appuntamento ad
un nuovo episodio.
Dedichiamoci quindi alla morte in primo
piano. Quella di un piacente signore, che sembra far il filo alla bella Katy,
una magistrale ballerina di tango, che si esibisce nella balera dell’Ortica.
Prima di continuare, apro due piccole parentesi. La prima dedicata al tanfo,
che quando leggo di questa balera, non posso non pensare alla mia amica
Mirella, grande interprete di tanghi e milonghe. La seconda dedicata al
quartiere, l’Ortica, che per me rimane per sempre legato a Jannacci ed a quella
ballata che celebrava uno sfortunato malfattore, di mestiere “palo nella banda
dell’Ortica”. Quello che, pur facendo il palo “Ha visto nulla, ma in compens
l'ha sentii nient. Perché a vederci non vedeva un'autobotte. Però a sentirci
ghe sentiva on accident”. Mitico Enzo!
Ma torniamo al testo. Che le indagini
partono in modo sghembo, all’introdursi di un personaggio talvolta apparso nei
precedenti romanzi, senza però gran peso. Si tratta della ricca Enrica (ricca
perché sa scegliersi mariti facoltosi da cui eredita o divorzia in modo
redditizio). Enrica chiede aiuta a Iole, sua grande amica, che del delitto
hanno incolpato Amelio, il suo maggiordomo. Ora Amelio è ben attempato, ma da
tempo seguiva come un’ombra Katy e le sue danze, quasi fosse nata un’attrazione
fatale.
L’elemento che crea la tensione narrativa è
anche la frattura tra le nostre donne. Iole e Libera si butterebbero nelle
indagini a capo chino, mentre Vittoria intima loro di rimanerne fuori, che se
ne occupa la sua struttura poliziesca. Sotto la spinta di Enrica, però Libera
non ce la fa a tirarsi indietro, e chiede allora l’aiuto dei suoi amici
giornalisti, di modo da sembrare di avere le mani libere (orrendo gioco di
parole).
Sono allora il Dog e la simpatica Irene che
cominciano a tirar fuori dubbi ed altre piste per dipanare il mistero. Intanto,
si scopre che il morto era un gran puttaniere, sempre a caccia di donne, che,
quando si stufava, lasciava senza por tempo in mezzo. E quando era lasciato, si
incaponiva a seguirle, a “stalkerizzarle”. Inoltre, era anche uno che sulle
donne alzava le mani.
Libera comincia quindi a seguire la pista
delle donne del morto, scoprendone gioie e dolori, nonché intrecci vari di
segugi, inseguimenti, pistole che vanno e che vengono, con Amelio che rimane
muto ad ogni richiesta, senza spiegare i motivi del suo attaccamento alla Katy.
E sarà sempre Libera che unirà i puntini del
disegno arrivando alla ricomposizione finale di tutta la vicenda. Che, come al
solito, vi lascerò leggere in tranquillità. Gustando l’evolversi delle nostre
donne. Vittoria che comincia ad ammorbidirsi quando Libera l’assilla di meno.
Iole che qui rimane un po’ nell’ombra, senza i suoi grandi slanci ironici che
ce l’avevano fatta apprezzare. Pian pianino, Irene si delinea meglio,
emergendone alcuni aspetti di empatia con il mondo che vedremo come e se
saranno sfruttati. Libera, invece, si incarta sempre più nelle sue storie di
vita, nel rapporto sempre più irrisolto (e forse irrisolvibile) con Gabriele,
tra le sue piante ed i suoi fornelli. Ci vorrebbe forse uno slancio vitale in
più, soprattutto ora che non ha più il tarlo della morte di Saverio.
Ma non disperiamo che tra poco ci sarà un
nuovo episodio.
Rosa Teruzzi “La memoria del lago” Feltrinelli
euro 8,50 (in realtà, scontato a 8,05 euro)
[A: 18/05/2022 – I: 12/08/2022 – T:
13/08/2022] &&& --
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 142; anno:
2020]
Siamo al quinto episodio, quelli pubblicati
in serie nell’economica Feltrinelli. Sebbene credo siano presenti altre
puntate, con questa mettiamo qualche (non tutti) punto fermo alle vicende delle
nostre amiche, le detective del casello, dette anche le Miss Marple del
Giambellino.
Dopo la pausa del quarto episodio, qui, finalmente,
come avevamo sospettato alla fine del precedente, si mette di nuovo la mano su
vicende molto personali. Quando Irene consegna a Libera che legge con
attenzione un dossier intitolato “Notizie sulla morte di Ribella Sgheiz,
avvenuta in Colico, l’8 agosto 1946”. Che ribella era la madre di Iole, quindi
la nonna di Libera e la bisnonna di Vittoria.
C’è anche una vicenda poliziesca parallela
di furti commessi con strani travestimenti, ma è un di cui del quale non vale
neanche la pena di accennare. Quello che vogliamo e dobbiamo seguire è il
percorso delle nostre donne, aiutate da quella che a me sta più simpatica,
Irene la Smilza, cronista d’assalto.
Rimangono anche in sottofondo le altre
vicende delle protagoniste. Il rapporto tra Vittoria e lo sbandato amante delle
piante, che, una volta forse accettato da Libera, permette a madre e figlia
finalmente di riavvicinarsi. La presenza dello chef Furio e delle sue idee
imprenditoriali. L’atteggiamento, verso la vita e verso gli altri, di Iole che,
una volta dipanata tutta la vicenda, assume una fisionomia molto meno “leggera
e farfallona” di quello che sembra a prima vista. Ma soprattutto, gli alti e
bassi dei rapporti tra Libera e Gabriele. Entrambi, per versi diversi, con una
bloccante paura dell’amore.
Tuttavia, è la vicenda di Ribella che ci
preme seguire. Morta, appunto, un tragico 8 agosto, a guerra da poco finita. Lì
nel paesino di Colico il personaggio principe è Tarcisio Planetta,
contrabbandiere al tempo di mezza tacca. Con un bel figlio, Alfredo, bello da
far perdere la testa a Ribella, ma anche alla lontana cugina Matilde.
Girando e scavando, cercando riscontri di
difficile reperimento (infondo sono passati settant’anni dalla vicenda, e la
maggior parte delle persone sono morte), leggendo brani di documenti
polizieschi e di diari del prete parroco al tempo dei fatti, Libera comincia a
ricostruire i fatti e le connessioni. Con difficoltà, che Tarcisio, dopo la
guerra, diventa un personaggio importante, imprenditore, commendatore, insomma,
quasi intoccabile, anche se morto.
Combinando i fatti, comunque, Libera scopre
che Tarcisio era intoccabile che aveva fatto favori a tutti, fascisti e
partigiani, ma si era arricchito anche facendo lo “spallone” di guerra, cioè
facendo emigrare persone in Svizzera. Con qualche buco nero. Scopre che Alfredo
aiutava Tarcisio anche non volendo. Scopre che Ribella, vista la poca chiarezza
della famiglia Planetta decide di troncare e di sposare il buon e mite
Spartaco. Scopre che Matilde era e sarà sempre gelosa di Ribella, anche se, lei
morta, sposerà Alfredo. Ma scopre anche che l’8 agosto del ’60 Matilde si butta
in un dirupo.
Ci sono tutti gli elementi per svelare i
segreti, quelli che uccidono. Servirà a qualcosa, oltre a pacificare i vivi con
i propri morti? Questo segreto non lo svelo, ma svelo che gli intarsi in
flashback, sempre in corsivo, daranno a noi poveri lettori tutte le chiavi
della vicenda.
Se devo fare un appunto alla vicenda, è che
forse la soluzione del caso avviene un po’ troppo in fretta, e per una via che
non è usualmente utilizzata nei gialli. Ma sappiamo che Rosa scrive non solo
per il giallo. E qui, i personaggi tornano a venir fuori. Con tutte le
irrisolutezza che ho indicato, ma che ne fanno persone. Che tutti noi, in
fondo, non è che siamo sempre limpidi fino all’ultima goccia. Né tantomeno
siamo sempre lucidi, quando siamo nel mezzo dei problemi. Merito quindi alla
scrittrice di averci calato in una realtà, che possiamo o non possiamo
accettare ma che è reale con tutte le sue contraddizioni.
Alcune piccole storie finali per chiudere il
ciclo.
La prima riguarda un modo di dire, riportato
a pagina 30, quando Dog si lamenta che Libera rimugina sulle “storie del tempo
di Carlo Codega”. Questo è un modo di dire lombardo, di incerta origine,
riferito a cose ormai sorpassate. L’etimologia più certa li fa risalire al
vezzo di ungersi i capelli con il grasso (la cotica o codega) usanza già
ritenuta obsoleta ai primi dell’Ottocento. Figuriamoci ora.
La seconda riguarda citazioni che compaiono
di tanto in tanto tra le righe, con alcuni brani delle poesie di Alda Merini,
testi di canoni da Jannacci e Battiato, e qualche Dino Buzzati che non fa mai
male.
L’ultima riguarda i libri che legge Libera.
Dove a pagina 113 cita il mitico Giorgio Scerbanenco ed il suo magistrale
“Traditori di tutti” (leggetelo). E dove a pagina 58 prima si dedica ad uno dei
miei must, lo scozzese Alexander McCall Smith. Poi cita un giallo poco noto che
però risulta molto particolare se lo cercate in rete: “Il caso Collini” scritto
nel 2011 da Ferdinand von Schirach. Libro interessante anche se pare
introvabile.
“Le parole non dette cambiano il corso
delle cose.” (44)
Visto che siamo nel giorno di Natale, e che
io non riposo (quasi) mai, mi sembra giusto condividere un pensiero di Jasper Fforde contenuto nel suo libro più noto: “Il caso Jane Eyre”, e che
ci ricorda che “Tutti
facciamo degli sbagli in certi momenti della nostra vita” (197).
È
anche l’ultima trama di questo 2022, la quarantacinquesima. Considerando che ho
tramato 5 libri per ogni uscita, sono stati presi in considerazioni, quindi,
225 libri. Comunque, sono anche contento di aver “lisciato” solo 7 uscite,
visto il numero di settimane nell’anno.
Bilanci, propositi ed altre amenità li lasciamo al nuovo anno. Ora si deve solo esser contenti di quello che abbiamo raggiunto, così che possiamo stringerci in un abbraccio.