Una nuova tornata dei romanzi di Simenon, quelli senza Maigret, tutti di un livello molto buono. Caratterizzati spesso anche da buone trasposizioni cinematografiche, in particolare quelle con protagonista Jean Gabin. Quella che incuriosisce noi amanti del cinema (e sappiamo perché) è però l’ultimo, quello di Férchaux, dove nel ’63 esce un film in cui Belmondo interpreta Michel il segretario di Férchaux, e nel ’93 invece Belmondo interpreta Férchaux (dopo trent’anni…). Inoltre, questo, dal ’42 al ’45, è uno dei periodi più ispirati per lo scrittore belga.
Georges Simenon “La vedova Couderc” Repubblica Simenon 5 euro
9,90
[A:
25/10/2019 – I: 20/06/2022 – T: 21/06/2022] - &&&&
[tit.
or.: La
veuve Couderc;
ling. or.: francese;
pagine: 173;
anno 1942]
Nella
sempre maggiore confusione che Gallimard induce nella vita letteraria di
Maigret, eccoci ad un altro romanzo che subisce le sorti editoriali francesi.
Complicate, invero, dall’occupazione nazista, dalla guerra, e da tutto quello
che succede in quel periodo. Infatti, questa bellissima vedova viene composta
prima del viaggiatore sopra citato. E viene redatta a Nieul-sur-Mer, quella
località poco sopra la Rochelle dove Simenon e famiglia vivevano all’inizio
degli anni ’40.
Viene
addirittura scritta nel maggio del ’40, poi lasciata nel cassetto. Simenon,
come detto sopra, si sposta prima nella foresta di Mervent-Vouvant, dove scrive
il romanzo successivo a questo, poi a Fontenay-le-Comte in Vandea, dove come
detto scrive invece quello pubblicato prima, “Il viaggiatore del Giorno dei Morti”.
Sarà sempre in Vandea che passerà tutto il 1941, avendo molti contatti con gli
scrittori della scuderia Gallimard, Gide in particolare, con il mondo del
cinema, ed aspettando l’inizio del ’42 quando finalmente anche questa vedova
vede la luce.
La
storia in sé è essenziale, anche se, come vedremo, riprende tutta una serie di
“luoghi fisici e mentali” di Simenon. Siamo in campagna, in una piccola
cittadina auvergnate, Le Gué-de-Saulnois, dove ci sono soprattutto
contadini e agricoltori. Magari c’è un canale dove qualche anziano pesca.
Oppure un mulino per il grano. Si allevano polli e conigli, ed il sabato le
donne vanno in città, a Montluçon, al mercato, a vendere e comperare.
In questa cittadina, si trasferisce
diciassettenne la giovane Tati, per entrare come tuttofare nella famiglia
Couderc, dove il patriarca, rimasto vedovo, deve accudire alla fattoria ed ai
tre figli. Tati si inserisce nella famiglia, si fa mettere incinta dal figlio
Couderc, diventa il motore della casa. Laddove le due cognate non fanno altro
che lamentarsi ed occuparsi d’altro. Françoise passa di uomo in uomo, rimane
incinta, nasce Félicie, e con lei va a vivere nella casa oltre il canale.
Amélie si sposa un imbelle velleitario che pensa di muovere mari e monti, ma
sarà sempre in bolletta alla ricerca di soldi.
Passano gli anni, e quando comincia l’azione,
Tati ha 45 anni, è vedova, il figlio entra ed esce da prigione, ed ora è
coscritto in Africa. Félicie ha 16 anni, e segue le orme della madre, essendo
già madre single. Nella cittadina capita Jean, uscito di prigione dopo cinque
anni, per omicidio accidentale (anche se poi scopriremo che è stato l’abile
avvocato a fare in modo di ribaltare una sicura condanna capitale).
Jean è tutto il contrario di Tati. Giovane,
28 anni, istruito, anche se ha studiato senza profitto, figlio di una famiglia
abbiente, ma ripudiato dal padre. È un giovane che cerca pace, che cerca di
dimenticare. Che trova un simulacro di serenità diventando il garzone di Tati.
Ma si sa che le cose in campagna evolvono presto, e di Tati diventa anche
l’amante.
Una vicenda che sconvolge le cognate,
timorose che Jean aiuti Tati a prendersi tutta la fattoria, riuscendo a
ritrovare soldi ed agiatezza che loro non hanno e che hanno perduto. Una tipica
situazione, non solo contadina, di odii, di ripicche, di piccinerie. Tati
sembra anche lei trovare la pace con Jean, nonostante l’ovvia gelosia verso il
“toy-boy”. Con l’unico punto fermo: che Jean non vada mai con Félicie.
Che ve lo dico a fare? Ovvio che i due
giovani diventeranno amanti. Anche se Jean vive tutto come in un sogno, come
vedendosi vivere, e non sapendo come affrontare la vita. Tati, malata per una
colluttazione sfortunata con le cognate, scoprirà le magagne di Jean, ed il
romanzo si avvierà al suo scontato epilogo. Che fece saltare di gioia Gide,
vedendolo come una descrizione della disperazione della vita molto più profonda
del libro uscito lo stesso anno di questo, cioè “Lo straniero” di Camus.
Non
sono così fine critico da addentrarmi in questa diatriba, ma ritorno su due
punti. Il primo, dato che come sappiamo Simenon scrive molto in fretta, e
quindi spesso trova facile appoggiarsi ad i suoi elementi costitutivi del
racconto, è dato dalle sue tematiche ricorrenti. La presenza dell’acqua, e dei
canali in particolare (come spesso nei primi Maigret, “La chiusa n.1”, ed
altri). Le donne, che sono sempre presenti e potenti, sempre meglio degli
uomini. Che qui sono ottusi (il vecchio Couderc), immorali (il figlio di Tati)
o velleitari (il marito di Amélie). La libertà, cercata, voluta, sognata,
spesso irraggiungibile. La caduta in disgrazia di una famiglia che da opulenta
diventa meschina alla ricerca del denaro, possibilmente facile. E la
solitudine. Tati e Jean sono soli nei loro mondi, e capiscono la rispettiva solitudine
con quel primo sguardo, sulla corriera, nelle prime pagine del romanzo. In
ultimo, i sogni che si scontrano con la realtà, così che Jean diventa un nuovo
epigono del già incontrato Mr. Hire.
Il
secondo elemento è il cinema. Simenon è sempre stato vicino e dentro
l’ambiente, tanto che più di sessanta sui romanzi sono passati sul grande
schermo. Qui ci sono voluti trent’anni, ma nel ’72 un grande regista francese
di buona fattura Pierre Granier-Deferre ne trae uno dei migliori e più premiati
film. Anche perché con una platea d’onore di interpreti: Simone Signoret
(Tati), Alain Delon (Jean) e Ottavia Piccolo (Félicie). Vi risparmio una
comparazione libro-film (che lascio al mio dotto cugino cinofilo), basti
pensare che in italiano, venne intitolato “L’evaso”. E già mezzo film è stato
svelato.
Il
libro, comunque, è per me, uno dei migliori Simenon che ho letto.
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
Le
Gué-de-Saulnois, villaggio tra Saint-Armand e Montluçon (Auvergne) |
La vedova Couderc, 45 anni, soprannominata Tati, vedova, un
figlio in Africa, contadina |
Jean Passerat-Monnoyeur, celibe, 28 anni Françoise e Amélie, cognate di Tati Félicie, nipote di Tati, madre single, 16 anni |
Alcuni mesi |
Epoca contemporanea |
Georges Simenon “La verità su Bébé Donge” Repubblica
Simenon 5 euro 9,90
[A: 14/10/2019 – I: 06/07/2022 – T: 07/07/2022] - &&& e ½
[tit. or.: La vérité sur Bébé Donge; ling. or.: francese; pagine: 174; anno 1942]
Come
sappiamo, all’inizio del ’40 riesce a sistemare tutti i rifugiati del Belgio e
termina così la sua missione ufficiale. Ed anche in queste condizioni poco
stimolanti, continua sia a scrivere che a spostarsi. Inoltre, dobbiamo sempre
tener conto che la pubblicazione ormai, in tempo di guerra e per le bizze
editoriali di Gallimard, è molto rallentata. Simenon, quando riesce a
concentrarsi, in una settimana compone le sue opere, poi si aspettano mesi o
anni per vederle su carta.
Comunque,
terminati gli incarichi ufficiali, decide di lasciare la costa e di rintanarsi
nelle foreste della Vandea. Il primo luogo è una fattoria, la fattoria del
Pont-Neuf, nella foresta di Mervent-Vouvant. Una zona ormai scomparsa sotto le
acque di una diga che ha “costruito” un lago di sbarramento alla foresta.
Qui,
nel settembre, termina la scrittura di questo romanzo. Come molte scrittura,
uscirà prima a puntate sul bimensile “Lectures 40” dal giugno al dicembre del
’41. E solamente un ulteriore anno, nel dicembre del ’42, Gallimard lo farà
uscire in volume. Due libri fa avevo già parlato sia degli spostamenti tra il
’40 ed il ’42 della famiglia Simenon, sia dei problemi psicologici legati alla
falsa diagnosi tumorale di un medicastro locale. Il nostro scriva molta della
sua autobiografia, alcuni romanzi, e, come detto, si stabilisce per un anno a
Fontenay-le-Comte.
Ma
ora siamo in Vandea, Simenon ha ancora il tarlo se sia malato o meno, e riesce
a comporre un libro magistrale, in cui da un lato va molto oltre la sua
supposta misoginia fornendoci un magistrale ritratto femminile, dall’altro
sviluppa la sua tematica sui rapporti uomo – donna all’interno del matrimonio,
sulla fedeltà e sull’infedeltà. Nonché, una grande analisi di uno dei suoi
pallini fondanti di tutta la sua opera. Non tanto chi è stato a commettere un
crimine, ma perché l’ha fatto.
Ci
sono anche altre “perle” letterarie in questo romanzo. L’intreccio dei tempi
del racconto, che si incastrano non con crudi flash-back, ma avvolgendo il
nastro del tempo intorno ai pensieri di François. C’è la stagione in cui si
svolge il dramma, i circa tre mesi tra il “fatto” e la sentenza. E ci sono i
dieci anni di matrimonio di François e Bébé, dove il primo, ripercorrendoli,
tenta di dare una spiegazione agli avvenimenti contemporanei. L’altro colpo di
maestro è il riproporci tutta l’istruttoria processuale non in modo narrativa,
ma attraverso la trascrizione “a domanda risponde” tra il magistrato inquirente
e Bébé.
Come
detto, la vicenda si svolge in una stagione, a partire da una domenica
d’agosto, in alcune cittadine tra Montpellier ed i boschi del Parco delle
Cevenne. Siamo a casa Donge, con le due coppie intrecciate di fratelli e
sorelle: François e Félix Donge che hanno sposato rispettivamente Bébé e Jeanne
d’Onneville. È presenta anche la suocera. In questa atmosfera all’apparenza
idilliaca, Bébé avvelena, con l’intento di ucciderlo, il marito.
François,
che nasce chimico, si accorge dell’arsenico, e si salva. Bébé non rinnega il
suo gesto e viene arrestata. Da quel momento, a parte la descrizione degli
avvenimenti contemporanei, parte l’introspezione di François. Chi è realmente
la moglie? Perché ha fatto quello che ha fatto?
François
ripensa a tutta la sua storia con lei, il primo incontro, il corteggiamento, il
doppio matrimonio di Donge. La difficoltà di entrare nel mondo della moglie.
Come se ci fosse (e di sicuro c’è) anche altro, oltre la superficie. Altro che
lui non vede, così che non trova di meglio che mantenere un rapporto corretto
ma superficiale, ed usare il sesso fuori dall’ambito familiare.
Ma
ora si domanda se questo gesto estremo non nasconda un urlo di richiesta
d’aiuto. Forse, oltre ogni sua previsione, la moglie lo ama davvero, e lui non
se n’è mai accorto, rinchiudendola in una realtà lontana dal suo mondo
quotidiano. Limitandone attività e slanci. Capisce che Bébé ha fatto del suo
meglio per entrare in contatto con lui, e trovandosi ad un bivio finale abbia
capito (e così dice al magistrato), visto che tutto quanto aveva fatto in dieci
anni non era servito ad entrare in comunicazione con il marito, che era una
questione di sopravvivenza: o lei o lui!
Simenon
gioca molto con le parole: Bébé in francese significa bambina, che diventerà
donna eliminando chi blocca la sua crescita. Solo così Bébé potrà finalmente
diventare Eugénie. Una Eugénie che ama veramente suo marito, che da lui
pretende sincerità sino all’ultimo stadio. E per sottolineare questa necessità,
l’autore usa alla grande il tema del doppio: la descrizione del diverso modo di
affrontare la vita delle due coppie è illuminante.
Da
leggere, con calma e senza salti, l’ultimo capitolo, di cui nulla vi dico. Insomma,
un capitolo della scrittura di Simenon che giunge a buone vette (qualche
caduta, al solito, c’è) riportandolo in quell’atmosfera cui lui sempre tende.
Ma che raramente gli veniva riconosciuta.
Due
curiosità. Nel ’52 Jean Gabin interpreta François in un magistrale, pur se senza
successo, film tratto dal libro. Peccato che le necessità cinematografiche
cambino molte carte in tavola. Dieci anni fa, invece, un gruppo di artisti
romani decide di incidere un disco (dalle melodie forse un po’ troppo pop)
sulle ali di quel libro, ribaltandone l’ottica, ed intitolandolo: “La verità di
Bébé Donge”. Disco cui farà seguito anche una interessante graphic novel,
scritta da Valentina Grenier. Quindi, i lasciti di Simenon vanno sempre oltre
Simenon stesso.
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
Villaggi tra Montpellier e la campagna |
François Donge, ricco industriale in vari settori
(conceria, plastica, formaggio, allevamento di suini). Sui 30 anni |
Eugénie «Bébé» Donge, nata d’Onneville, sposa di François e
sorella di Jeanne Félix Donge, fratello e socio di François Jeanne Donge, nata d’Onneville, sposa di Félix e sorella
di Bébé La vedova d’Onneville, madre di Bébé e Jeanne |
Una stagione |
Epoca contemporanea |
Georges Simenon “La finestra dei Rouet” Repubblica
Simenon 14 euro 9,90
[A: 22/01/2020 – I: 01/08/2022 – T: 03/08/2022] - &&&&
[tit. or.: La fenêtre des Rouet; ling. or.: francese; pagine: 173; anno 1945]
Gli
anni dal ’42 al ’45, prima per la guerra, poi per alcune vicende personali, non
sono facili per Simenon. La penuria di carta lo costringe a scrivere poco
(riuscirà a completare un paio di romanzi ogni anno). E la stessa costringe gli
editori a ritardare l’uscita dei libri. Come il precedente, ancora in Vandea, a
Château de Terre-Neuve, Fontenay-le-Comte, termina questo libro. Poi si sposta
a Saint-Mesmin-le-Vieux, sempre in Vandea, dove resterà fino alla fine della
guerra.
Sono
ormai dieci anni che Simenon fa parte della scuderia Gallimard, ma non è
soddisfatto del rapporto con l’editore. Si sente uno tra tanti, mentre vuole
essere una prima donna. Attraverso i Maigret ha un buon pubblico, e riesce ad
ottenere un aumento di proventi. Ma Gallimard non ama i gialli, e gli fa un po’
di guerra. Inoltre, con la fine della guerra, Simenon ha anche dei problemi
politici, che viene accusato di collaborazionismo, per aver venduto ad una casa
cinematografica tedesca i diritti di alcune opere. Ne uscirà, anche se a
fatica, aiutato da un amico di Gallimard, il gollista Felix Garas. Questi è
anche proprietario di una piccola casa editrice, “La Jeune Parque”, dove, per
riconoscenza, Simenon decide di pubblicare tre romanzi, tra cui questo. Che
comunque uscirà in stampa solo nel 1945.
Nel
frattempo, quell’anno torna a Parigi, e fa la conoscenza di un giovane danese,
Sven Nielsen, deciso ad entrare nel mondo dei libri. I due si trovano a
meraviglia, e decidono di fondare una casa editrice, “Presse de la Citè”, di
cui saranno proprietari al 50% (circa). Da questa avventura, e dalla fuga che
la famiglia Simenon effettuerà verso il nuovo mondo, nascerà tutta una nuova
possibilità di vita, per Georges e per la sua scrittura. Ma questo sarà materia
di altre trame, che ora si torna alla finestra di questo romanzo.
Una
finestra aperta sulle vicende della famiglia Rouet, che viene “vissuta” in
maniera surrettizia dalla dirimpettaia, la povera, solitaria, insoddisfatta
Dominique. Sulla soglia dei 40 anni, ha vissuto sempre una vita altrui, in giro
per il paese al seguito del padre generale. Poi, lì, a Parigi, accudendolo fino
alla morte. Senza mai una pausa, senza mai un sorriso, senza mai un amante, un
fidanzato. Ed ora, con pochi mezzi, è anche costretta ad affittare una stanza
agli esuberanti Albert e Lina. Di cui lei sente gli amplessi amorosi, al di là
della sottile parete.
Ma
la sua vita è verso il palazzo di fronte, quello della famiglia Rouet. Che sta
sempre con le finestre spalancate (d’altra parte, il romanzo comincia in piena
estate), così che lei, non vista, ne vive le vicende. In particolare, quelle di
Antoinette, la nuora. Che Dominique vede non soccorrere il marito cardiopatico,
che muore. Che vede entrare sempre più in collisione con Madame Rouet, che non
ne approva il liberalismo.
Mentre
il dramma e la tensione all'interno della famiglia aumentano, aumenta anche il
coinvolgimento vicario di Dominique, che si identifica sempre più con la nuora.
Tanto che incomincia anche a seguirla per Parigi, a vederne gli incontri con
gli amanti, a vedere le delusioni della giovane che spesso viene anche
lasciata.
Il
voyeurismo di Dominique è sempre più spinto, tanto che cominci a capire quanto
sia sola, nei pochi momenti in cui non riesce a stabilire il contatto. Sola
anche perché Albert e Lina, pur nelle ristrettezze, si godono la loro vita, e
presto se ne andranno. Ma non è questo il colpo finale, che le viene da
Antoinette, che, scoperta in casa con il suo amante mulatto, rompe finalmente
con i Rouet, e lascia la casa. Lasciando più avanti un accenno a questa fuga,
rimaniamo con Dominique, con la sua solitudine, con la comprensione del vuoto
che non riempie nulla della sua vita, ora che tutti i punti di sostegno
surrogati la lasciano sola. Potrebbe avere uno scatto di orgoglio, un momento
di riscatto. Oppure potrebbe sprofondare nella più nera depressione. Al maestro
belga lascio la scelta.
Io
torno su due punti. Il primo, con il gusto delle coincidenze che ha Simenon,
riguarda il momento topico del romanzo, quando i nodi vengono al pettine. E
Simenon, che raramente parla di date, ci dice che tutto ciò avviene il 12
febbraio. Ricordiamo ai distratti che Simenon nasce il 13 febbraio del 1903 (ha
l’età di Dominique quando scrive il romanzo).
Il
secondo punto, che fa salire di tono tutto il romanzo, è il modo di presentare
la vicenda. Non c’è nessun dialogo diretto, è tutto immaginato, da Dominique,
che si pone nella testa di tutti i Rouet di fronte, e ne immagina le
schermaglie. Così che seguiamo la vicenda nelle azioni, ma tutti i pensieri
sono sempre e soltanto pensati, sognati, agiti anche da Dominique. Poteva
essere un romanzo di difficile lettura. Invece, la bravura di Simenon lo rende
un piccolo capolavoro.
Una
vicenda che nasce, si costruisce e si conclude, tutta nelle parole che a sé
stessa dice la nostra eroina. Un voyerismo che ricorda quello di dieci anni
prima, del signor Hire. Ma che qui raggiunge una perfezione formale veramente
molto coinvolgente. Soffriamo con Dominique, soffriamo con Antoinette,
soffriamo il caldo, ed alla fine ne usciamo contenti della bella lettura.
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
Paris (faubourg Saint-Honoré) |
Dominique Salès, figlia di un generale, senza professione,
celibe, 39 anni |
Germain Rouet, ingegnere e la sua sposa Antoinette Rouet, la nuora, verso i trent’anni Albert et Lina Caille, affittuari di Dominique |
Dall’estate al marzo dell’anno dopo |
Epoca contemporanea |
Georges Simenon “La fuga del signor Monde” Repubblica
Simenon 15 euro 9,90
[A: 22/01/2020 – I: 23/08/2022 – T: 24/08/2022] - &&&& ---
[tit. or.: La fuite de Monsieur Monde; ling. or.: francese; pagine: 158; anno 1945]
Un
giorno, se riuscirò a smuovere un’eterna pigrizia interiore, dovrò fare in modo
di fare una lista attenta degli scritti di Simenon, comparandone la data di
scrittura con quella di pubblicazione. Che, come già detto, soprattutto in
questi romanzi, tra le reticenze di Gallimard e le restrizioni dovute alla
guerra, c’è un forte iato tra le due date.
Intanto,
come sappiamo, è un periodo di stasi. Finiti gli impegni con il governo belga,
continua la sua vita ritirata a Saint-Mesmin-le-Vieux in Vandea. Siamo nei
primi mesi del ’44, ed avrà modo solo di fare una piccola sortita a Parigi, per
un consulto medico, che finalmente lo libererà dall’incubo della morte
imminente. Mentre lì in Vandea, cullando il figlio Mark, barcamenandosi tra
amori muliebri ed ancillari, scrive poco. Due libri in quest’anno di pensieri,
e poi un anno prima di mettere la penna al servizio della sua immensa fantasia.
Uno
dei due libri è questo molto “personale” sulla fuga del signor Monde, che poi
vedrà la stampa solo ad aprile del ’45, e sempre per quella piccola casa editrice,
“La Jeune Parque”, quella del gollista Garas, che lo aiutò nei duri momenti
successivi alla Liberazione, come ho detto altrove. Ma il libro ha anche un
altro debito, dovuto a quella visita a Parigi sopra citata, visto che la prima
edizione, porta in ex ergo una dedica ai medici di Parigi: "Per il
professor Lian e il professor Griore e il dott. Eriau in ricordo del febbraio
1944!”.
Il
testo è comunque denso di suggestioni e di rimandi. Anche perché torna su uno
dei temi forti di Simenon, quello che indicò nei suoi scritti autobiografici,
come “l’attraversamento della linea”, quasi a ricalcare, in tutti e due i
sensi, quella “Linea d’ombra” di Conrad, un romanzo che ha formato generazioni
di scrittori, di lettori, di uomini. Dicevo in tutti e due i sensi, che in
molti scritti di Simenon si attraversa la linea per passare da un’esistenza
“buona” ad una “malvagia”, ma anche per l’attraversamento contrario. C’è un
momento, un episodio che consento al protagonista di questi scritti di guardare
dentro di sé, e di decidere quale sé essere.
Qui
abbiamo Norbert Monde, direttore di una ditta di import-export, divorziato e
risposato, una vita onorata e rispettosa, che al compimento dei suoi 48 anni
sparisce. Si taglia i baffi, acquista abiti dimessi, ad un certo momento cambia
anche il nome in Désiré Clouet, attraversa la sua linea d’ombra e si ritrova
solo, diverso, senza programmi. Nessuno si interessa a lui, e lui può
interessarsi a sé stesso. Così prende senza porsi domande un treno per
Marsiglia, dove si trascina in sordidi alberghetti di periferia.
Avrà
modo di riflettere su di sé, avremmo modo di sentire i suoi ricordi, le sue
rimembranze su tutto quanto lo ha sempre storto nella vita, e su di cui è
passato sopra senza accorgersi che tutto ciò lasciava ferite profonde. Come,
tanto per citarne una, quando giovane scolaro sovrappeso, non partecipava a
giochi ed altro con i compagni, rimanendo silenzioso in un angolo.
A
Marsiglia conosce Julie, una “intrattenitrice” in locali di basso ordine, che
salva da un maldestro tentativo di suicidio. Comincia allora a pensare, o
meglio ad agire senza pensare, verso modi di essere che non lo rendono ansioso.
Si accompagnano lì, e si accompagnano a Nizza, dove entrambi, con le loro
specificità, lavorano al “Monico”, uno dei tanti locali molto notturni della
Costa Azzurra. Norbert-Désiré fa quindi l’economo, imbozzolandosi come un bruco
nella sua nuova vita.
Il
secondo momento di svolta avviene quando al Monico incontra Thérèse, la sua
prima moglie, di cui conosciamo le peripezie, ma soprattutto ne vediamo la
discesa nell’inferno della morfina. Come se improvvisamente vedesse la vita in
modo diverso, aiuta Thérèse, la porta per curarsi a Parigi, lasciando la sua
vita nel Sud senza rimpianti. Ma non torna per lei, torna per sé stesso, con
cui si è pacificato. Riattraversa la sua linea d’ombra Monde riprende la sua
vita, che ora affronta con la serenità che la vita può essere vissuta.
Abbastanza
banale trovare analogie tra Monde e Simenon, che ogni personaggio è sempre una parte
dell’autore. Ma ci sarebbero tanti spunti da approfondire. Il cognome di
Norbert, quel Monde come se volesse interpretare tutti i malesseri del mondo,
lì in quel ’44 in cui il mondo è ancora pieno di guerra. La fuga intesa come
voglia anche di Simenon di potersi muovere dall’esilio forzato in Vandea. Una
fuga che anche il nostro vorrebbe poter fare verso il Mediterraneo, magari
verso la sua amatissima isola di Porquerolles. L’incontro tra Norbert e Thérèse
che spinge anche noi lettori alla comprensione che non possiamo mettere da
parte il nostro passato. Possiamo modificarci, ma solo accettandolo ed
inglobandolo nel nostro io presente.
Forse
non tutto è di altissimo livello, ma anche qui la scrittura di Simenon è
profonda, e fa pensare. Che non è da tutti gli scritti.
“Non
riusciva ad abituarsi all’idea di essere un uomo avviato verso la fine
discendente della vita … si ricordò che quel giorno compiva quarantotto anni.”
(18)
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
Parigi, Marsiglia, Nizza |
Norbert Monde, 48 anni, direttore di una ditta di
import-export, divorziato, poi risposato, due figli adulti |
Madame Monde, la seconda moglie Thérèse, la prima moglie Julie, giovani “intrattenitrice” in un locale di
Nizza |
Alcuni mesi |
Epoca contemporanea |
Georges Simenon “Il primogenito dei Ferchaux” Repubblica Simenon 20 euro 9,90
[A: 07/02/2020 – I: 01/09/2022 – T: 04/09/2022] - &&&& -
[tit. or.: L’aîné des Ferchaux; ling. or.: francese; pagine: 347; anno 1945]
Sappiamo
ormai che la produzione, anzi l’uscita pubblica, dei romanzi di Simenon segue
solo le voglie dell’editore, non quelle della scrittura dell’autore. Così,
visto che ormai sto rompendo con Gallimard, questo romanzo, finito di scrivere
il 7 dicembre 1943 sempre in Vandea a Saint-Mesmin-le-Vieux vedrà la luce
editoriale solo il 30 maggio del ’45, presso Gallimard, dove se è pur vero che
usciranno altri romanzi, sono tutti titoli scritti durante la guerra.
Con
il libro nel cassetto, Simenon deve risolvere alcune questioni. Con Gallimard è
rottura completa, e Simenon, parlando in giro, conosce e stringe un rapporto di
ferrea amicizia con un giovane libraio, figlio e nipote di librai, il franco
svedese Sven Nielsen. Contratto di ferro e tutti i nuovi romanzi usciranno per
questa nuova casa, la “Presses de la Cité”, facendone ovviamente una fortunata
casa editrice.
Il
secondo problema è dovuto all’interdizione di muoversi in quanto sospettato di
connivenza con i nazisti, cosa che Simenon ha sempre rigettato. Si trova così
costretto a passare parte del ’44 in Vandea a Les Sables-d'Olonne. Solo
all’inizio del ’45 l’ambasciata belga riuscirà a revocare il procedimento,
anche se il processo parte ed andrà avanti sino al ’49. Ma Simenon ora si può
muovere, torna prima a Parigi, poi in agosto è a Londra, aspettando un visto
per l’America.
Torneremo
più avanti sulle vicende americane, che il momento da avventuriero quarantenne
che vive alla fine della guerra ben si adatta al libro scritto due anni prima e
che stiamo tramando.
Intanto,
c’è una particolarità che non comparirà più nei suoi romanzi. Simenon, prima
del testo, presenta un prologo, scritto in modo giornalistico come lui ben
sapeva fare, in cui spiega i contorni dell’affare Ferchaux. I due fratelli che
poco più che ventenni vanno in Africa a cercar fortuna. Che trovano, costruendo
un grande impero, con tutte le sregolatezze che possiamo ipotizzare nel
comportamento di coloni ad inizio Novecento in un Congo senza regole. Il
giovane Emile Ferchaux torna in patria a gestire le fortune, mentre Dieudonné
il primogenito rimane in Africa. Comportandosi da vero “colonialista di ferro”:
corruzione, spregiudicatezza, soppressione di neri che non vogliono
sottomettersi all’uomo bianco. Poi, come ci narra il giornalista Simenon, dopo
quasi trent’anni (quindi intorno al ’35) qualcuno comincia ad indagare, a
censurare l’operato dei Ferchaux, tirando fuori tutte le possibili accuse.
Tanto che Emile crolla suicidandosi.
A
questo punto parte invece il romanzo che, sebbene abbia per titolo il
primogenito, è tutto incentrato su di un’altra figura: Michel Maudet. Giovane
di vent’anni, appena sposato con la bella Lina, si trova a dover cercar lavoro.
Scriveva articoli ma i giornali in crisi l’hanno messo alla porta, costringendo
i giovani a continue visite al Monte di Pietà. Poiché sappiamo che Simenon
ricicla molte delle sue idee, inizialmente in Michel e Lina Maudet rivediamo
molto di Albert e Lina Caille incontrati ne “La finestra dei Rouet”.
Maudet,
giovane senza qualità, cerca solo un mezzo per arrivare da qualche parte, per
diventare altro, meglio se ricco. Dopo mille illusioni, trova il modo di farsi
assumere come segretario dal vecchio Dieudonné. Michel e Lina partono d Parigi
per Caen, dove lui si presenta solo al vecchio squalo. Comincia qui la prima trasformazione,
il primo passaggio “della linea”. Lina è in albergo, sola. Michel è nel
castelletto dei Ferchaux, affascinato dall’uomo della giungla, quello che si è
fatto da solo, che ha lottato ed ucciso per arrivare.
Ma
Dieudonné, proprio perché uomo della giungla, non ha vita facile nel tessuto
urbano. Minacciato, risponde con minacce. Attaccato, non può che cercare di
spostarsi. Così con Michel e Lina, che nel frattempo si palesa al fianco del
giovane, si spostano a Dunkerque. Lo squalo è accerchiato, ma mantiene la calma
esteriore, affascinando Lina, mentre Michel si barcamena tra l’ardore di
aiutare Ferchaux e la gelosia. Troppi nemici, si deve fuggire, senza por tempo
in mezzo. E Michel, tra Dieudonné e Lina sceglie il primo.
Troviamo
i nostri due tre anni dopo a Panama. Lo squalo invecchia, si aggrappa a Michel
in cui aveva visto dei tratti di sé giovane. Michel invece è ovunque fuori
posto. Non ha rimpianti, ma non ha futuro. Cerca nel femminile, d’alto e di
basso rango, sollievo per le proprie pene, rimanendo sempre fuori del mondo
avventuroso di Panama. Non ha amici, né futuro. Anzi, potrebbe averne con la
ricca Gertrud Lampson, ma avrebbe bisogno di disporre di denaro.
Il
vecchio ed il giovane dovranno trovare il modo di affrontarsi, come due leoni
della giungla. Il vecchio che sa il giovane essere determinato. Il giovane che
sa il vecchio essere indebolito. Simenon ci fa capire come sia proprio
Dieudonné a condurre la danza, ed a portare il romanzo al finale che vuole lo squalo.
Un
libro denso e cupo, che risente in modo pesante delle costrizioni di guerra. Un
libro dove, per la prima volta, le donne non hanno un ruolo di primo piano, ma
servono ai personaggi per costruirsi le proprie identità. Un libro che potrebbe
tradursi in una pièce teatrale a due, con i tre passi verso il finale: Caen o
la nascita del mito, Dunkerque o l’involversi del giovane, Panama o finale
riscatto della lotta tra padre e figlio. Che in un certo senso, possiamo vedere
la lunga lotta tra Dieudonné e Michel come quella tra padre e figlio. Dove il
padre inizia illudendosi che il figlio sia ciò che forse non è. Dove il figlio
finisce capendo che deve liberarsi della figura paterna.
Anche
il titolo può essere letto in due modi: il primogenito è sia Dieudonné, reale,
sia Michel che il vecchio potrebbe volere come figlio, come suo primogenito.
Ovvia quindi la realizzazione del finale, anche se non avessimo letto Freud.
Con Michel che, comunque, rimarrà uno sterile avventuriero per tutta la sua
vita. Un libro pieno di fascinazione, anche se a tratti, troppo cupo.
Come
molti libri di Simenon, anche questo fu adattato per il cinema, in un film del
1963, diretto da Jean-Pierre Melville, con Jean-Paul Belmondo nella pare di
Michel Maudet. I fortuiti casi della cinematografia, vollero poi una riedizione
quarant’anni dopo, in cui Belmondo passa ad interpretare l’anziano Ferchaux.
Magico sesto potere.
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
Caen, Dunkerque, Panama |
Michel Maudet, ventenne, segretario di Dieudonné Ferchaux |
Dieudonné Ferchaux, l’uomo di “Oubangui”, colono e uomo
d’affari Emile Ferchaux, fratello di Dieudonné e suo socio Lina, la sposa di Michel Mme
Lampson, ricca americana di passaggio a Panama Rénée, amante di Michel a Panama |
Tre anni e qualche mese |
Epoca contemporanea, dopo il 1935 |
In ricordo di miei passati viaggi nel
deserto, e ricordando con affetto chi mi donò regalo ed amicizia, vorrei
condividere una frase di Lorenzo Angeloni nel suo libro “In Darfur”: “Un detto Tuareg dice …
che Dio ha inventato il deserto affinché gli uomini possano trovarvi la loro
anima” (133).
Siamo quindi in un clima natalizio, anche se il clima fa fiorire le bouganville in terrazzo. Siamo in un clima di bilanci, ma non li faremo qui. Qui ci fermiamo solo per abbracciarci ancora.
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