domenica 25 dicembre 2022

La saga di Libera - 25 dicembre 2022

Anche questa settimana ci dedichiamo ad un solo autore, anzi una sola scrittrice, ed alla serie, di cinque libri (quelli da me letti, anche se ne sono usciti altri due), che lei ha prodotto, ponendo al centro della trama, come eroina, ex-libraia, giardiniera, ed investigatrice, la simpatica Libera. E sono contento di dedicare questa trama natalizia ad una donna, in primis, e ad una donna di nome Libera, che sia libera lei, e che noi ci si liberi di tutte le angosce di questi anni.

La serie esce dalla penna di Rosa Teruzzi, giornalista televisiva che dalla metà degli anni ’10 si dedica con successo alla scrittura delle vicende della famiglia Deidda, tutti di una piena sufficienza, e gradevoli per le citazioni letterarie e musicali che ne infarciscono la pagina.

Rosa Teruzzi “La sposa scomparsa” Feltrinelli euro 9 (in realtà, scontato a 8,10 euro)

[A: 06/08/2020 – I: 21/07/2022 – T: 24/07/2022] &&& 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 169; anno: 2016]

Cominciamo con questo romanzo un viaggio nel mondo giallo composito di Rosa Teruzzi, specialista di cronaca nera, nonché appassionata di libri gialli, ed amante (ma non è la sola) del lago di Como e delle sue placide sponde.

Inoltre, è una scrittrice italiana che, seppur ha pubblicato (credo per Sonzogno), con un accordo con Feltrinelli, fa uscire la serie basata sulla famiglia Deidda dove ci si aspetta (non sarebbe una sorpresa) che prima o poi qualcuno ne faccia uscire una serie televisiva.

Perché è vero che c’è una trama gialla, ma il filo rosso è appunto aggrovigliato alle tre donne di famiglia, anche se, alla fine, è la donna di mezzo che ha il sopravvento, come personaggio centrale. Di lontano, vegliano su di loro gli spiriti dei nonni, la mai conosciuta (ma che fornisce spesso capelli rossi) nonna Ribella (che nome evocante) ed il patriarca nonno Spartaco. Poi c’è la figlia, Iole, ormai verso la settantina, ma indomita cercatrice di “toy-boys” ed avventure (e gira sempre senza mutande). In mezzo c’è la nostra eroina, Libera, figlia di Iole, amante dei gialli (forse una rimembranza autobiografica) e madre di Vittoria, la giovane ventenne.

La famiglia è stata colpita, vent’anni prima, dalla morte in servizio di Saverio, marito di Libera e agente di polizia in lotta contro la mafia. Una morte da cui Libera non riesce a liberarsi, e che Vittoria tenta di esorcizzare e risolvere entrando anche lei in polizia.

Molta parte della trama è legata alle vicende familiari. Le incomprensioni tra Vittoria e Libera, le mattane di Iole, e la presenza del grande amico di Saverio, Gabriele, ora capo della squadra omicidi, capo di Vittoria, nonché da sempre innamorato di Libera, senza che però tra i due riesca a nascere una scintilla. O meglio, le scintille ci sarebbero ma, per allungare sempre i brodi della trama, la nostra scrittrice riesce sempre a frapporci qualche impedimento.

Libera aveva una libreria, ma la penuria di lettori nella periferia milanese (siamo dalle parti di Corsico) ne ha forzato la chiusura. Così che lei si dedica alla sua seconda grande passione, i fiori. Laddove, una fortuita circostanza, la porta sulla cresta dell’onda. Realizza un bouquet di nozze per una stellina influente, che ne meraviglia la fortuna che i bouquet le hanno portato con articoli di giornale. Così che il tranquillo ex-casello ferroviario di Spartaco viene preso periodicamente d’assalto da sposine in cerca di fortune nuziali. E questo è uno dei leitmotiv della scrittura. Unito al fatto che, come vedremo in questo primo episodio, Libera & co sono coinvolte in indagini più o meno giallo, così che gli editor italiani hanno pensato bene di intitolare la serie “I delitti del casello”. Anche se i delitti che Libera va risolvendo non avvengono nel casello, come sottintenderebbe il titolo. Tanto che sarebbe più corretto chiamare le storie “La detective del casello”. Ma si sa, io e gli editor, raramente andiamo d’accordo.

Venendo alla parte d’indagine, tutto comincia quando Libera viene mossa a pietà dalla storia di una madre che ha visto sparire ventisei anni prima la figlia, poco dopo che erano andate in fumo le nozze con un suo spasimante. Non è facile trovare collegamenti, ma la nostra autrice ha la brillante idea di inserire un aiuto laterale (che penso continuerà nella serie): Libera coinvolge un giornalista di nera, Temperante Cagnaccio (detto “Dog”) e la sua giornalista di punta, Irene (detta la Smilza). Si ripercorrono scene, si cerca di scomparse parallele, si indaga sulla vita dell’ex della sposa, e poi sugli strani conti della stessa, strapieni di soldi di incerta provenienza. Tutti fanno del loro meglio, anche se per tutti vediamo in prima linea Libera e Irene, con Iole e Dog in rincalzo, mentre Vittoria ed il suo capo remano contro.

Libera riesce a smontare l’alibi dello sposo mancato, ma non è convinta della sua colpevolezza, così che continua a percorrere e ripercorrere le tortuose strade dell’ultimo giorno in cui è stata vista viva. Con la capacità, da brava detective, di fare quel collegamento, a 40 pagine dalla fine, che permette di arrivare alla soluzione del rebus.

Per mettere gli ultimi bastoni alle ruote delle storie di famiglia, poi, compare un vicino di casello, un grasso e simpatico cuoco, che alleggerisce le soventi paturnie di Libera, creando una potenziale situazione di concorrenza con la corte, non certo assillante, di Gabriele. Infine, come nei migliori seriali alla Victor Hugo, Libera trova un biglietto nella giacca del marito che non toccava da venti anni che rimette in moto anche le idee ed i dubbi sulla lontana morte.

La scrittura è discretamente effervescente, anche se il tramone giallo è un po’ all’acqua di rose, e possibili soluzioni, tra cui quella giusta, sono di facile interpretazione ben prima della fine. Ma a me piace anche per quelle citazioni trasversali, su musica (De André su tutti), sullo yoga, sui libri (tra Jane Austen ed altre illustri scrittrici d’amore). Penso quindi che procederò con discreta speditezza alla lettura delle altre puntate. Per ora, è una buona lettura estiva.

Rosa Teruzzi “La fioraia del Giambellino” Feltrinelli euro 9 (in realtà, scontato a 8,55 euro)

[A: 10/10/2020 – I: 25/07/2022 – T: 31/07/2022] &&& 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 167; anno: 2017]

Detto e fatto, il giorno dopo la chiusura del primo libro della detective del casello (nome mio che preferisco a quei delitti degli editori che poco calzano), mi immergo nella seconda puntata. Che si legge di sera, dopo le lunghe fatiche diurne del bel viaggio in terra d’Islanda. Così che ci si immerge nelle vicende delle nostre tre amiche, la figlia Vittoria, la mamma Libera e la nonna Iole. Ma per loro, e per la vicenda, sono passati due anni. Dato che nel primo episodio si parlava di “vent’anni dopo la morte di Saverio” (il marito di Libera), avvenuta nel ’92, e quindi si era nel ’12, ora nei capitoli in “italico” compare subito la data, agosto 2014.

Sottolineo l’italico, che questa volta ci sono capitoli in corsivo, che riportano vicende esterne e passate, e dove, come al solito, mi trovo in disaccordo con le scelte stilistiche. Certo, l’effetto sorpresa delle ultime parole è spiazzante, ma ritengo che l’andare su e giù nella linea temporale sia a volte più dannoso che proficuo.

Intanto, torniamo lì, al nostro casello, dove si accumulano gioie e dolori, speranze e tremori. Intorno alle nostre tre eroine. La giovane Vicky-Vittoria, entrata in polizia per scoprire chi, come e perché uccise il padre ormai ventidue anni prima. La matura Iole, nonna hippie e femminista, maestra di yoga e tombeuse de homme. In mezzo, la nostra eroina, Libera piena di legacci (ci vuole qualche finto ossimoro per avviare la lettura e la scrittura). Libera salita agli onori delle cronache mondane per un primo articolo che esalta le virtù propiziatorie dei suoi bouquet da sposa. Articolo che le porta clienti e problemi.

Ma anche Libera che, per quanto fatto due anni prima, è ormai etichettata come “Fioraia del Giambellino risolve il mistero della sposa scomparsa”. Non solo ma l’articolo prosegue esaltandola come sosia di Julienne Moore (per i capelli rossi) ed emula di Agatha Christie (per il mistero risolto). Fatto sta che a lei si rivolge Manuela, che si dovrebbe sposare a breve. Ma non per un bouquet, quanto per ricercare un padre che non ha mai conosciuto.

Vorrebbe sapere di chi è figlia, ma la madre, pur malata, si ostina ad innalzare un muro impenetrabile a questa richiesta. Libera tentenna, ma la sua vocina interna le fa suonare il campanellino: come, tu che cerchi la verità sul padre di tua figlia, ti tiri indietro sulla ricerca della verità su di un padre di una figlia altra? Tra l’altro, alla fine del primo episodio aveva trovato un compromettente biglietto di grafia femminile molto legato alla morte di Saverio.

Quindi, un po’ per voglia e molto perché Iole la figlia dei fiori che si traveste per fare indagini, e spesso si spoglia per i suoi non più giovani pretendenti, la forza verso l’indagine. Che non può che vedere anche l’intervento del mitico giornalista “Dog” (vedi primo episodio) ma soprattutto di Irene, che, puntata dopo puntata, si avvicina sempre più alla sensibilità di Libera. Così, si scava nel passato della famiglia di Manuela, nei frequenti cambi di casa, nel mistero di non far amicizia con nessuno, nella malattia della madre, nelle missive tenute dal confidente sacerdote. Certo, i corsivi aiutano non poco a diradare le nebbie del mistero, che si erano infittite anche perché c’è una morte sospetta al tempo delle fughe.

Il risultato delle indagini arriverà dopo la morte della madre di Manuela (tumore) lasciando Libera nel dubbio se palesarlo o tenerselo per sé. Quello che sicuramente palese è il famoso biglietto femminile, che mette di nuovo in moto le indagini di Vittoria, ma anche del suo capo, il famoso/famigerato Gabriele. Per ora, di questo filone non se ne vede la fine, ma chissà.

Comunque, è bene capirsi subito: non è la trama gialla che attira in questi libri. Sono i personaggi e la loro vita milanese di periferia. Oltre a Iole, di cui si è detto troppo, c’è Vittoria che mette pensiero alle sue parenti per la frequentazione con uno sbandato, forse ai limiti della legge, che a Libera non va giù (domanda di riserva: ma i genitori debbono/possono interferire nella vita dei figli?). Ma soprattutto c’è lei, Libera, stretta tra due fuochi. Il pensiero di Gabriele, il capo della Omicidi, presenza costante, che lei vorrebbe più vicina, scontrandosi con le proprie resistenze, con la figlia che la guarda storto se si avvicina al suo capo, con Gabriele stesso, che non sa resistere a presenze femminili diverse (magari anche più giovani). Di là, c’è la presenza della garbata corte di Furio, chef simpatico, esuberante e sovrappeso. Che la fa una corte discreta, che la fa ridere, ma che sembra non poter aspirare a più di un’amicizia.

Al fine, un libro esile, agile, non imperdibile, ma necessario, a completare un quadro che serve a scacciare pensieri molesti, per concentrarsi sulle cose belle della vita. E ce ne sono.

Rosa Teruzzi conferma le sue capacità di scrivana, con una giusta dose di leggerezza e di pensieri. Certo, avevamo iniziato la lettura con le domande del primo episodio, e finiamo il secondo con più domande che risposte. Mi sa che si dovrà passare ai successivi libri per saperne di più.

Rosa Teruzzi “Non si uccide per amore” Feltrinelli euro 8,50

[A: 19/03/2021 – I: 04/08/2022 – T: 05/08/2022] &&& 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 157; anno: 2018]

Passa solo qualche giorno, ed ecco come una droga la voglia di tornare ad alleggerire la testa con le avventure (e le disavventure) delle detective del casello. Affronto quindi la terza puntata della serie, che, in un certo senso, si congiunge con la precedente. Di sicuro temporalmente, visto che le mosse di Libera e parenti si incamminano verso nuove avventure nello stesso agosto del ’14. Tanto che viene da pensare ai “mastodonti” del giallo italiano, come Costantini che ne avrebbe fatto un solo volume.

Per fortuna Rosa è di animo leggero, scrive veloce, e chiude le sue storie sempre ben al di sotto delle duecento pagine. E nella sua scrittura, come già sottolineato, sono spesso i personaggi che hanno il peso maggiore. Anche se qui, una storia, un giallo si propone in maniera quasi classica. Libera aveva trovato delle tracce che la portano a riflettere sull’uccisione del marito Saverio. E da quelle tracce parte per un nuovo “cold case”, che questa volta è però assai personale. Ora decide di indagare per sé stessa.

Sappiamo tutto del retroterra della storia. C’è nonna Iole, quasi settantenne, spirito libero, molto alternativa, che ci conquista con le sue pazze idee. Tipo mettersi una parrucca quando indaga per non farsi riconoscere, visti i capelli rossi della famiglia. Ed all’opposto c’è Vittoria, entrata in polizia perché vuole scoprire tutto sulla morte del padre. Seria, dura, dritta verso le mete senza deragliare, anche se le mete non sempre sono chiare se non a lei.

In mezzo, appunto, c’è Libera, quella “normale”, anche se ha una serie di pregi che ce la fanno cara. È un’accanita lettrice (un tempo aveva un libreria, ora fallita), in special modo di gialli. Ma non disdegna tutto il leggibile (e qui ci sono citazioni di Rossella O’Hara da tenere in conto). Ed è anche una profonda conoscitrice dei fiori, visto che ora si è reinventata (con successo) fornitrice di bouquet nuziali portafortuna. Per finire ha anche le mani d’oro in cucina, tanto da attirare un nuovo e discreto spasimante nel vicino nonché chef Furio.

Di traverso, appunto, ci sono gli uomini. Furio, come detto. Ma anche il capo cronista di nera che spesso aiuta le nostre, il terribile Cagnaccio (non il soprannome, che è “Dog”, ma proprio il cognome). Tutti gli episodi sono poi punteggiati da Gabriele, il miglior amico del marito, ora capo della Squadra Omicidi (e quindi anche di Vittoria), che ondeggia verso Libera senza decidersi, per poi rimanere invischiato in altre situazioni, che lasciano il segno, anche se non nella storia. Ultima attrice non protagonista, almeno per ora, Irene la Smilza, giornalista capace e silente, che, romanzo dopo romanzo, riesce sempre più simpatica e sempre più empatica con Libera.

Veniamo ora a questa puntata.

Il biglietto misterioso sembra indicare un appuntamento con una donna. Aiutata da Dog, scopre che contemporaneamente alla morte del marito è scomparsa Loredana, la moglie di un mafioso in carcere. Della mafia calabrese su cui indagava Saverio.

Ed è in Calabria che portano tutte le piste che trova per lei Irene. Quindi si parte alla grande, Iole, Irene e Libera alla scoperta di misteri e collegamenti. Solo Vittoria è fortemente contraria, che tutti i primi indizi portano anche a sospettare connivenze interne alla Polizia, e lei ne sembra più che altro spaventata.

Si scava su Loredana, sul marito di Loredana che, uscito dal carcere si allontana dalla mafia, frequenta altre donne, senza mai rifarsi completamente una vita, su Elvira, l’amica di Loredana che ospitava la donna quando veniva a Milano.

Non mancano neanche i soliti, pesanti flashback temporali del tempo in cui Saverio indagava. Che hanno il pregio di sollevare qualche velo anzitempo, ma il difetto di rompere il ritmo della trama.

Quando tutte le trame sembrano portare in direzione mafiosa e pericolosa, sono le intuizioni delle nostre donne che rimettono il giallo in carreggiata, portandolo verso situazioni più vicine ai femminicidi attuali che alle stragi degli anni ’90. Rimane un po’ il dubbio se il titolo, infine, sia più un monito od un consiglio.

Lasciando perdere il romanzo, e venendo alle troppe morti odierne, concordo in pieno che tutte queste (troppe) morti non sono dovute all’amore, ma a tutta quella congerie di sentimenti odiosi che permeano chi non sa accettare la realtà. Se io ti amo veramente, e tu mi lasci, io provo a riconquistarti, non ad ucciderti. E se qualcosa ostacola il mio amore, provo a sconfiggerla, non ad eliminarla, un modo che, spesso, non fa che creare ancora più ostacoli.

Una volta risolto il giallo, non si fa in tempo a chiudere la pagina che già si pensa a cosa potrà succedere. Come evolve Achille il tatuato amante delle piante e di Vittoria? Come finirà la lotta tra Furio e Gabriele? Come si muoverà Irene? Che nuovi/vecchi libri leggerà Libera?

Poiché poi Rosa ha ben appreso la lezione di Victor Hugo e dei feuilleton francesi dell’Ottocento, in finale di libro ci lancia un nuovo amo. Come è veramente morta Ribella, la madre di Iole? Vedrete che qualcosa uscirà fuori, che una leggera lettura come questa non ti delude mai.

Rosa Teruzzi “Ultimo tango all’Ortica” Feltrinelli euro 8,50

[A: 25/03/2021 – I: 08/08/2022 – T: 09/08/2022] &&&  -

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 141; anno: 2019]

Un libro dopo l’altro, che la magia delle Miss Marple del Giambellino ha fatto presa. Come dice una recensione più abile della mia, è come indossare un pigiama in inverno dopo averlo scaldato sul termosifone. Ci si coccola con le avventure delle donne del casello, e si aspetta di vederne le gesta. Anche se mi aspettavo qualcosa in più dai personaggi.

Invece, qui si riorna su di un filone classico, che però fa la sua presa. Che le indagini diventano due, come si confà ai più classici seriali. C’è quella di fondo, legata strettamente ai personaggi, e c’è quella in prima linea, a volte nata anche occasionalmente.

La prima la intuiamo, piuttosto che vederla sbocciare. Sappiamo, fin dal primo episodio, della morte di Ribella, la madre di Iole e quindi la nonna di Libera. Sappiamo che il nonno Spartaco non si è più ripreso interamente da quella morte, anche se non ne ha mai voluto parlare. Suona nel fondo, la personalità di Ribella, tace anche per molta parte del libro, per poi uscire alla fine, dove ci aspettiamo che ci dia appuntamento ad un nuovo episodio.

Dedichiamoci quindi alla morte in primo piano. Quella di un piacente signore, che sembra far il filo alla bella Katy, una magistrale ballerina di tango, che si esibisce nella balera dell’Ortica. Prima di continuare, apro due piccole parentesi. La prima dedicata al tanfo, che quando leggo di questa balera, non posso non pensare alla mia amica Mirella, grande interprete di tanghi e milonghe. La seconda dedicata al quartiere, l’Ortica, che per me rimane per sempre legato a Jannacci ed a quella ballata che celebrava uno sfortunato malfattore, di mestiere “palo nella banda dell’Ortica”. Quello che, pur facendo il palo “Ha visto nulla, ma in compens l'ha sentii nient. Perché a vederci non vedeva un'autobotte. Però a sentirci ghe sentiva on accident”. Mitico Enzo!

Ma torniamo al testo. Che le indagini partono in modo sghembo, all’introdursi di un personaggio talvolta apparso nei precedenti romanzi, senza però gran peso. Si tratta della ricca Enrica (ricca perché sa scegliersi mariti facoltosi da cui eredita o divorzia in modo redditizio). Enrica chiede aiuta a Iole, sua grande amica, che del delitto hanno incolpato Amelio, il suo maggiordomo. Ora Amelio è ben attempato, ma da tempo seguiva come un’ombra Katy e le sue danze, quasi fosse nata un’attrazione fatale.

L’elemento che crea la tensione narrativa è anche la frattura tra le nostre donne. Iole e Libera si butterebbero nelle indagini a capo chino, mentre Vittoria intima loro di rimanerne fuori, che se ne occupa la sua struttura poliziesca. Sotto la spinta di Enrica, però Libera non ce la fa a tirarsi indietro, e chiede allora l’aiuto dei suoi amici giornalisti, di modo da sembrare di avere le mani libere (orrendo gioco di parole).

Sono allora il Dog e la simpatica Irene che cominciano a tirar fuori dubbi ed altre piste per dipanare il mistero. Intanto, si scopre che il morto era un gran puttaniere, sempre a caccia di donne, che, quando si stufava, lasciava senza por tempo in mezzo. E quando era lasciato, si incaponiva a seguirle, a “stalkerizzarle”. Inoltre, era anche uno che sulle donne alzava le mani.

Libera comincia quindi a seguire la pista delle donne del morto, scoprendone gioie e dolori, nonché intrecci vari di segugi, inseguimenti, pistole che vanno e che vengono, con Amelio che rimane muto ad ogni richiesta, senza spiegare i motivi del suo attaccamento alla Katy.

E sarà sempre Libera che unirà i puntini del disegno arrivando alla ricomposizione finale di tutta la vicenda. Che, come al solito, vi lascerò leggere in tranquillità. Gustando l’evolversi delle nostre donne. Vittoria che comincia ad ammorbidirsi quando Libera l’assilla di meno. Iole che qui rimane un po’ nell’ombra, senza i suoi grandi slanci ironici che ce l’avevano fatta apprezzare. Pian pianino, Irene si delinea meglio, emergendone alcuni aspetti di empatia con il mondo che vedremo come e se saranno sfruttati. Libera, invece, si incarta sempre più nelle sue storie di vita, nel rapporto sempre più irrisolto (e forse irrisolvibile) con Gabriele, tra le sue piante ed i suoi fornelli. Ci vorrebbe forse uno slancio vitale in più, soprattutto ora che non ha più il tarlo della morte di Saverio.

Ma non disperiamo che tra poco ci sarà un nuovo episodio.

Rosa Teruzzi “La memoria del lago” Feltrinelli euro 8,50 (in realtà, scontato a 8,05 euro)

[A: 18/05/2022 – I: 12/08/2022 – T: 13/08/2022] &&&  --

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 142; anno: 2020]

Siamo al quinto episodio, quelli pubblicati in serie nell’economica Feltrinelli. Sebbene credo siano presenti altre puntate, con questa mettiamo qualche (non tutti) punto fermo alle vicende delle nostre amiche, le detective del casello, dette anche le Miss Marple del Giambellino.

Dopo la pausa del quarto episodio, qui, finalmente, come avevamo sospettato alla fine del precedente, si mette di nuovo la mano su vicende molto personali. Quando Irene consegna a Libera che legge con attenzione un dossier intitolato “Notizie sulla morte di Ribella Sgheiz, avvenuta in Colico, l’8 agosto 1946”. Che ribella era la madre di Iole, quindi la nonna di Libera e la bisnonna di Vittoria.

C’è anche una vicenda poliziesca parallela di furti commessi con strani travestimenti, ma è un di cui del quale non vale neanche la pena di accennare. Quello che vogliamo e dobbiamo seguire è il percorso delle nostre donne, aiutate da quella che a me sta più simpatica, Irene la Smilza, cronista d’assalto.

Rimangono anche in sottofondo le altre vicende delle protagoniste. Il rapporto tra Vittoria e lo sbandato amante delle piante, che, una volta forse accettato da Libera, permette a madre e figlia finalmente di riavvicinarsi. La presenza dello chef Furio e delle sue idee imprenditoriali. L’atteggiamento, verso la vita e verso gli altri, di Iole che, una volta dipanata tutta la vicenda, assume una fisionomia molto meno “leggera e farfallona” di quello che sembra a prima vista. Ma soprattutto, gli alti e bassi dei rapporti tra Libera e Gabriele. Entrambi, per versi diversi, con una bloccante paura dell’amore.

Tuttavia, è la vicenda di Ribella che ci preme seguire. Morta, appunto, un tragico 8 agosto, a guerra da poco finita. Lì nel paesino di Colico il personaggio principe è Tarcisio Planetta, contrabbandiere al tempo di mezza tacca. Con un bel figlio, Alfredo, bello da far perdere la testa a Ribella, ma anche alla lontana cugina Matilde.

Girando e scavando, cercando riscontri di difficile reperimento (infondo sono passati settant’anni dalla vicenda, e la maggior parte delle persone sono morte), leggendo brani di documenti polizieschi e di diari del prete parroco al tempo dei fatti, Libera comincia a ricostruire i fatti e le connessioni. Con difficoltà, che Tarcisio, dopo la guerra, diventa un personaggio importante, imprenditore, commendatore, insomma, quasi intoccabile, anche se morto.

Combinando i fatti, comunque, Libera scopre che Tarcisio era intoccabile che aveva fatto favori a tutti, fascisti e partigiani, ma si era arricchito anche facendo lo “spallone” di guerra, cioè facendo emigrare persone in Svizzera. Con qualche buco nero. Scopre che Alfredo aiutava Tarcisio anche non volendo. Scopre che Ribella, vista la poca chiarezza della famiglia Planetta decide di troncare e di sposare il buon e mite Spartaco. Scopre che Matilde era e sarà sempre gelosa di Ribella, anche se, lei morta, sposerà Alfredo. Ma scopre anche che l’8 agosto del ’60 Matilde si butta in un dirupo.

Ci sono tutti gli elementi per svelare i segreti, quelli che uccidono. Servirà a qualcosa, oltre a pacificare i vivi con i propri morti? Questo segreto non lo svelo, ma svelo che gli intarsi in flashback, sempre in corsivo, daranno a noi poveri lettori tutte le chiavi della vicenda.

Se devo fare un appunto alla vicenda, è che forse la soluzione del caso avviene un po’ troppo in fretta, e per una via che non è usualmente utilizzata nei gialli. Ma sappiamo che Rosa scrive non solo per il giallo. E qui, i personaggi tornano a venir fuori. Con tutte le irrisolutezza che ho indicato, ma che ne fanno persone. Che tutti noi, in fondo, non è che siamo sempre limpidi fino all’ultima goccia. Né tantomeno siamo sempre lucidi, quando siamo nel mezzo dei problemi. Merito quindi alla scrittrice di averci calato in una realtà, che possiamo o non possiamo accettare ma che è reale con tutte le sue contraddizioni.

Alcune piccole storie finali per chiudere il ciclo.

La prima riguarda un modo di dire, riportato a pagina 30, quando Dog si lamenta che Libera rimugina sulle “storie del tempo di Carlo Codega”. Questo è un modo di dire lombardo, di incerta origine, riferito a cose ormai sorpassate. L’etimologia più certa li fa risalire al vezzo di ungersi i capelli con il grasso (la cotica o codega) usanza già ritenuta obsoleta ai primi dell’Ottocento. Figuriamoci ora.

La seconda riguarda citazioni che compaiono di tanto in tanto tra le righe, con alcuni brani delle poesie di Alda Merini, testi di canoni da Jannacci e Battiato, e qualche Dino Buzzati che non fa mai male.

L’ultima riguarda i libri che legge Libera. Dove a pagina 113 cita il mitico Giorgio Scerbanenco ed il suo magistrale “Traditori di tutti” (leggetelo). E dove a pagina 58 prima si dedica ad uno dei miei must, lo scozzese Alexander McCall Smith. Poi cita un giallo poco noto che però risulta molto particolare se lo cercate in rete: “Il caso Collini” scritto nel 2011 da Ferdinand von Schirach. Libro interessante anche se pare introvabile.

“Le parole non dette cambiano il corso delle cose.” (44)

Visto che siamo nel giorno di Natale, e che io non riposo (quasi) mai, mi sembra giusto condividere un pensiero di Jasper Fforde contenuto nel suo libro più noto: “Il caso Jane Eyre”, e che ci ricorda che “Tutti facciamo degli sbagli in certi momenti della nostra vita” (197).

È anche l’ultima trama di questo 2022, la quarantacinquesima. Considerando che ho tramato 5 libri per ogni uscita, sono stati presi in considerazioni, quindi, 225 libri. Comunque, sono anche contento di aver “lisciato” solo 7 uscite, visto il numero di settimane nell’anno.

Bilanci, propositi ed altre amenità li lasciamo al nuovo anno. Ora si deve solo esser contenti di quello che abbiamo raggiunto, così che possiamo stringerci in un abbraccio.

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