Carlo Lucarelli “Leon” Einaudi s.p. (Regalo di Raul&Vivi)
[A:
22/11/2021 – I: 06/03/2022 – T: 07/03/2022] &&
--
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 207; anno: 2021]
Risale
ormai da lunga data la mia stima verso la scrittura di Carlo Lucarelli, sulla
quale non torno. Motivo, comunque, che mi spinge sempre a leggerne, anche se
solo per gli scritti gialli o romanzeschi. Mi trovo così tra le mani un nuovo
episodio delle “avventure” dell’ispettrice Grazia Negro, che mi consente di
fare anche una piccola digressione sulle scritture seriali.
Ho
già espresso le mie convinzioni sul fatto che una scrittura seriale deve
obbedire a certi canoni di riferimento: indipendenza dagli altri capitoli,
continuità dei personaggi senza tuttavia aver dovuto leggere tutto. Qui,
Lucarelli, un po’ tradisce queste direttrici. Se non si è letto nessuno dei
quattro precedenti volumi, o almeno “Almost Blue”, qualcosa sfugge. In particolare,
la figura di Simone Martini, il non-vedente che lì era un punto centrale della
vicenda, e qui, pur essendone forse ai margini, ha un suo spazio. Poco
comprensibile se non sappiamo già la sua storia pregressa.
Altrettanto
succede per il serial killer soprannominato “l’Iguana”, di cui vengono
tracciate alcune linee guida per identificarlo, ma che, se non già noto, non
rimane impresso come dovrebbe.
Certo,
qui la vicenda si evolve, ma la stessa Grazia Negro, in vari capitoli
precedenti, aveva dissertato sulla sua volontà di divenire madre. Qui, la
vediamo già in sala parto, mettere al mondo due gemelle, dove tutto il suo
rovello interiore tra il lavoro e la famiglia viene relegato in poche battute
finali. Tra l’altro, il timore che pervade tutto il libro, è di vedere le due
piccole gemelline coinvolte in qualche modo nella storia, che in libri a volte
truculenti, come sa scriverne Lucarelli, poteva anche starci.
Così,
invece, da una parte i lanci editoriali hanno buon gioco a gridare “al lupo, al
lupo”, sulla possibile rinascita di un personaggio violento ed imprendibili
come l’Iguana, per poi stravolgere tutto in poche battute.
Perché
ci sono delle morti ad inizio libro, morti in stile Iguana. Ma si capisce
subito che c’è dell’altro. L’Iguana era ricoverato in strutture psichiatriche,
avendo seguito con successo un percorso di riabilitazione. In queste strutture
era affiancato da altri pazienti sulla via della guarigione, e preso in cura da
un’infermiera. Che mi è subito rimasta antipatica, per il suo vezzo di cantare
canzoncine dei manga giapponesi, e per aver sostenuto, in un interrogatorio,
che l’Iguana è buono. Ora, tutto si può dire di lui, magari che stia cambiando.
Di verto non che sia buono, ci deve essere uno sbalzo prospettico che mi è mancato.
Comunque,
visto che lo stile delle morti è quello, Grazia, le bimbe e Simone vengono
messi sotto sorveglianza.
Incappiamo
anche in un altro personaggio, che per l’aspetto viene paragonato a Ray Cooper,
un percussionista che ha suonato con tutti i grandi, piccolo di statura, e da
sempre con occhiali scuri nei concerti, quasi a proteggere uno strano sguardo.
Così è questo nuovo entrato, che si trova sempre nel luogo giusto ma in momenti
sbagliati. Sembra però assai maldestro, o come dice qualcuno, assai fortunato.
Viene comunque preso, com’è ovvio, e com’è altrettanto ovvio, le morti
continuano. Anche se non vi dico chi e come muore.
Tutti
capiscono allora che il bandolo della matassa è altrove. Arriverà Simone a
capirlo? Arriverà Grazia a capirlo? Arriverà uno qualsiasi dei polizotti,
carabinieri, squadre speciali capirlo? Questo avrete modo di capirlo voi
leggendone. Di certo, ed è ovvio, Grazia è nel mirino. Ma per quale motivo?
Questo mi è rimasto un punto assai oscuro, che neanche il buon Lucarelli riesce
a spiegarmi.
Rimangono
alcune cose, che tuttavia sono interessanti, pur se con diverso peso. Simone il
non-vedente che si dedica al palestramento del proprio corpo. Grazia che alla
fine sembra prendere una decisione tra essere mamma, essere poliziotto, o
essere entrambi. Alcuni momenti di descrizioni yoga. E la musica. Da sempre un
pallino del nostro autore. Ricordo infatti che “Almost Blue” si ispirava ad un
bellissimo brano di Chet Baker. Qui “Léon”, come dice Lucarelli stesso, viene
dal pezzo dei Melancholia, da lui sentito quando il romanzo già frullava nella
testa. Anche se non dice che il brano stesso deriva da un omaggio della band al
bellissimo film di Luc Besson con Jean Reno ed una giovanissima Natalie
Portman.
Infine,
una delle cose che ho più gradito è la presenza del tassista “Bologna 5”, anche
lui marginale, se vogliamo, ma descritto con molto amore, e con la speranza che
non solo sia ricalcato da una figura reale, ma che ce ne siano molti di
tassisti simili.
Gabriella
Genisi “Terrarossa” Sonzogno euro 15 (in realtà, scontato a 14,25 euro)
[A: 30/03/2022
– I: 19/04/2022 – T: 21/04/2022] &&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 186; anno: 2022]
Nell’evoluzione
della mia biblioteca ci sono autori che ho deciso di seguire “in prima linea”,
rifornendomi delle loro novità appena si presentano sul mercato, e dedicando
loro una lettura in modalità privilegiata. Gabriella Genisi è uno di questi,
anche in virtù della bella serie televisiva dedicata appunto al commissario
Lolita Lobosco, interpretata egregiamente da Luisa Ranieri.
Questo
è il primo volume che esce dopo la fine della serie, ed in attesa di sapere se
ci sarà un secondo appuntamento. La scrittrice, allora, priva di vincoli
televisivi, spazia un po’ sulle tematiche sociali, che già erano apparse nel
precedente “Mare aperto”. Ora il testo è buono, simpatico al solito, anche se
non riuscitissimo come alcuni precedenti. Soprattutto per quei temi di
solidarietà che, al momento attuale, dovrebbero essere sul cuore di tutti.
Una
solidarietà che parte dal prologo, in cui anche Gabriella ed anche Lolita si
immergono nel dramma pandemico. Una prolusione che ci fa capire come,
giustamente, la vicenda sia immersa nel clima attuale, anche se, dopo le giuste
pagine di pandemia problematica, si passa alla vicenda, che si svolge in un
agosto libero da troppi vincoli (così che riusciamo a saltare problemi di
maschere e di distanziamento sociale).
Come
al solito, scindiamo le due parti del romanzo, quella privata, che, pur
presente, è sempre meno ingombrante, da quella pubblica che assume una valenza
maggiore e per me importante. Per le fasi di denuncia ed altro che vedremo.
Sulla
parte privata, intanto, ricompare, come avevo previsto l’amoremio Caruso, che
spiega la sua fuga, che se ne andrà in quel di Manfredonia, e che, per tutto il
libro, farà tira e molla con Lolita. Chissà se in un futuro, dopo un week end
alle Tremiti …
Fortunatamente,
Forte ed Esposito fanno tappezzeria, ed anche la sorella Carmela e la mamma
Nunzia, a parte un cameo sulla salsa di pomodoro, rimangono esclusi dalle
vicende. Non certo l’amica Marietta, coinvolta a forza, soprattutto ad inizio
indagine, che la morta ha (o ha avuto) una lunga storia extra-coniugale con
Nicola Marisco, che non è Nicolamio, ma suo cugino omonimo. Ma a parte qualche
chiacchera, qualche cena e qualche aperitivo, per il resto è sempre Lolita che
occupa il palcoscenico.
In
una vicenda che, fin da subito, capiamo possa riservarci risvolti sociali
interessanti. La prima persona che muore è Assunta detta Suni, la proprietaria
dell’azienda Terrarossa (quella del titolo). Un maldestro tentativo di farlo
passare per suicidio che non inganna nessuno (cioè né i lettori né Lolita). Ci
si mescola con i problemi dell’amante, che però era stato da mesi lasciato,
della moglie dell’amante, da licenziare subito anche nell’ipotetica fiction, e
del nuovo amante, il senegalese Kenan. Con la complicazione che anche Kenan,
poco dopo, muore in un finto, ma molto finto, suicidio.
Noi
abbiamo capito subito che le morti non erano passionali, ma legate ai problemi
della terra e dell’agricoltura locale. Un filone che, anche se con lentezza,
arriverà nelle mani di Lolita, che proverà a stringerli intorno ai
responsabili, diretti o indiretti, ovviamente senza successo. Che solo i pesci
piccoli, alla fine, pagano le colpe.
Ma
tutto ciò serve giustamente ad aprire una lunga (e coinvolgente e
condivisibile) parentesi sul caporalato nel Sud e sullo sfruttamento degli
immigrati, regolari e/o clandestini. Che ovviamente nelle piane pugliesi, per
la raccolta dei pomodori, si sfrutta la manodopera, anche con angherie ed altre
turpitudini che possiamo immaginare, e che voi potete leggere. Ci pare giusto
segnalare quindi che la Torrerossa di Suni si era opposta a tutto ciò,
riuscendo ad ottenere sulle sue conserve di pomodoro il marchio “No Cap”, cioè
“No caporalato”. Marchio che vi consiglio di seguire sui prodotti alimentari
pugliesi.
Un
altro momento topico per sottolineare la lotta al caporalato ed allo
sfruttamento è una rivisitazione del famoso “Quarto Stato” di Pelizza da
Volpedo. Probabilmente Kenan, che era un mago del disegno, riproduce il quadro,
sostituendo le tre figure in primo piano con Giuseppe Di Vittorio, il
bracciante sindacalista di Cerignola, con Paola Clemente, morta di fatica
durante la raccolta dei pomodori, e Hyso Telharaj, un ragazzo albanese che si
era opposto al caporalato e dai caporali era stato ucciso. Bella anche la
citazione di un’altra figura importante della lotta allo sfruttamento: Liliana
Rossi che per tutti i suoi ventiquattro anni si era battuta per i deboli.
Insomma,
vicenda gialla abbastanza esile, ma che serve alla Genisi per spezzare un’altra
lancia in favore dei deboli e degli sfruttati. Già questo le vanta un buon
posto tra le scritture di lotta. Per il resto, niente di travolgente, ma una
onesta lettura, con un’ultima osservazione trasversale. Lolita ha sempre detto
di aver passato un periodo di fuoco e di passione in Sicilia con Montalbano. La
trasversalità vuole che Luisa Ranieri sia la moglie di Luca Zingaretti.
Sciamme’.
Carlo
Lucarelli “Intrigo italiano” Einaudi 12 euro (in realtà, scontato a 9,60 euro)
[A: 25/02/2021
– I: 17/08/2022 – T: 18/08/2022] &&&
--
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 202; anno: 2017]
Ventinovesimo
libro che leggo dell’autore parmense, di cui una volta narrerò perché mi piace,
a prescindere. Anche qui, si ritorna su scritture seriali, come scritto nel
precedente. Tuttavia, questo è di quattro anni anteriore, e, forse, aveva più
bisogno di essere meditato nella scrittura (che, come ci dice Carlo, lo ha
impegnato per cinque mesi), soprattutto per la lontananza dal precedente
episodio. Mentre tra gli ultimi due episodi di Grazia Nigro passano “solo” otto
anni, qui l’ultima avventura del commissario De Luca risale a ben ventun anni
prima.
Forse
per questo, Lucarelli non cade (troppo) nel suo difetto di dare per scontato
che si è letto tutto della sua scrittura, e fa dei raccordi con la precedente
vita del commissario che, senza appesantire il romanzo, servono a collocare il
nostro in una prospettiva storica migliore.
Ricordo
che, tra il ’90 ed il ’96, per i tipi di Sellerio, erano usciti i primi tre
episodi del nostro commissario, il “più bravo poliziotto d’Italia”. Nato
intorno al ’14, si trova ad essere fascista come molti, quasi senza capirne i
motivi. Poi, per fedeltà al giuramento, si trova invischiato nella Repubblica
di Salò, riuscendo, almeno a “scappare” dalla polizia politica, per entrare
nella Sezione Omicidi. Scomodo per definizione, finita la guerra, pur non
essendo coinvolto in prima persona, deve sfuggire alle purghe, e ci riesce
risolvendo un rebus giallo-politico in Romagna. Ma dopo la guerra deve
mantenere un profilo basso, così che viene spostato alla Buoncostume. Dove,
com’è ovvio, viene coinvolto in un giallo che parrebbe invischiare facili
donnine e potenti democristiani. Siamo nel ’48, e De Luca viene messo nel
freezer. Fino a risuscitare in questa inchiesta, dove ci spostiamo nel ’54. E
dove il commissario, pur non reintegrato, viene utilizzato, per le sue
capacità, dai Servizi Segreti. Qui comincia la nuova storia, ben scritta, come
consueto, anche se più interessante per il contorno che per la vicenda
principale.
I
Servizi incaricano quindi De Luca di indagare sulla morte di una donna,
Stefania, trovata in una complicata scena del crimine nella casa usata dal
marito, morto da poco. Colpita a più riprese, strangolata ma poi uccisa
annegandola nella vasca da bagno. Il nostro è aiutato da un giovinastro gay,
che, sin dall’inizio, sembra più interessato a confondere le acque che ad
aiutarlo. Indagando, il nostro deve anche scavare nella morte del marito Mario,
un importante fisico, spesso in America per lavoro, ma anche vicino a
personaggi poco chiari ma legati al regime sovietico. Infatti, siamo nel ’54,
in piena guerra fredda.
Analizzando
la vita di Mario, le sue passioni (jazz in particolare), viene in contatto con
Claudia, una mezzosangue abissina dalla bellissima voce. E poi compaiono tutta
una serie di personaggi ambigui, farmacisti dalla ricetta facile, tipografi che
falsificano documenti, ex-nazisti depravati e venduti al miglior offerente. In
mezzo a tutto ciò, De Luca sembra muoversi senza capire un acca di quello che
gli succede intorno.
Ovvio
che la pulce messa nel nostro orecchio dai termini “servizi segreti” e “guerra
fredda”, non potrà che essere la vera chiave di volta di tutta una serie di
morti, quelle sopra citate, ed altre di cui non vi tedio nel raccontare. Come
ovvio che ci vuole anche un po’ di sesso, se non di amore, visto che De Luca,
come direbbe qualche burlone, “non è di legno”.
E
poi, gelosie. Tra i Servizi, tra gli uomini, tra le donne. Insomma, Lucarelli
ci mette di tutto e di più per mescolare le carte, anche se la strada maestra
per la soluzione, una volta sfrondato il campo da intrighi laterali, non può
che essere una. Basta trovare il bandolo della matassa, che alla fine uscirà
fuori. De Luca continuerà ad essere il miglior poliziotto, e sarà pronto a
nuove avventure (visto che usciranno altri due romanzi che lo vedono
protagonista).
Se
poi l’autore vuol dirci che, nel fascismo, nell’era democristiana, fino ai
nostri giorni, ci sono trame che non vengono mai completamente alla luce, credo
sfondi una porta troppa aperta.
Lucarelli
è bravo non tanto nell’intrigo, cui presta le sue indubbie doti, ma
nell’immergere i suoi racconti nel flusso del tempo. Così, descrizioni
cittadine, tram che passano, portinaie e appartamenti, ma soprattutto canzoni
d’epoca, visto che siamo ai primi anni di Sanremo, e non c’è ancora la
televisione. Non siamo poi tanti a ricordare Flo Sandon’s e Natalino Otto. Io,
poi, avrei citato il mio cavallo di battaglia di quell’anno, cioè “Vecchio
scarpone” di Gino Latilla.
C’è
un ultimo elemento, che usa il nostro per sottolineare l’aderenza temporale (ma
poi ne smentirà alcuni passi nelle note) della vicenda: l’inserimento di
notizie prese dai settimanali dell’epoca. Dato che la vicenda si svolge a
cavallo del Capodanno 1954, a pagina 97 c’è un interessante lancio del
settimanale “Oggi”, che, nell’ultimo numero dell’anno, l’uscita 53, riepiloga i
fatti salienti dell’anno trascorso. Ovviamente cita il matrimonio ad inizio
aprile di Giuseppina Carlotta del Belgio con Giovanni di Lussemburgo e la
conquista dell’Everest da parte di Edmund Hillary a fine maggio. Tra i due è
stato omesso, per pudore, la celebrazione della mia nascita. Spero Carlo rimedi
in una prossima edizione del libro.
Alessia
Gazzola “Il ladro gentiluomo” Longanesi euro 18,60 (in realtà, scontato 15,80
euro)
[A: 01/11/2018
– I: 24/08/2022 – T: 25/08/2022] &&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 299; anno: 2018]
Devo
dire che i libri della serie “Alice Allevi”, che hanno tanto lanciato la
scrittrice, nonché la serie tv collegata, avevano da tempo cominciato a starmi
stretti. Ripetitivi e poco coinvolgenti. Ho deciso comunque di acquistare a suo
tempo l’ottavo (e forse ultimo volume) capitando in una promozione alla
Libreria Mondadori di Piazza Cola di Rienzo, con libri scontati, ma in più
anche autografati. Certo, non sono un fan di tali prodotti, ma se c’è, perché
no?
Dicevo ultimo volume che nei saluti finali
Alessia prende le distanze con la serie che, se le ha dato successo e soldi, è
anche stata fagocitata dalla televisione, con quel serial giallo-rosa che per
quattro anni ha imperversato nel piccolo schermo. Dove si doveva seguire la
Alice-Mastronardi, le sue intuizioni, ma anche il rapporto infinitamente
interrotto con Conforti-Guanciale. Penso che la serie abbia caricato troppo
Alessia, che si prenderà periodo di scrittura altra (anche se durante la
pandemia pare sia tornata sui suoi propositi).
Ma qui si divaga, per evitare di parlare di
un libro che non è che sia stato molto esaltante, sempre sul doppio binario tra
inchiesta gialla e trama rosa di amori e corna. Dopo lungo penare, infatti,
Alice e Claudio sembrano trovare un modus vivendi, anzi con-vivendi. Poi ci
sono vicissitudini intermedie, non ultima il trasferimento momentaneo di Alice
a Domodossola. Ma anche se continuano gli alti e bassi, alla fine Alice torna a
Roma, mentre Claudio accetta una borsa di studio in America, per dare carriera.
Ci sarà una separazione? Claudio rimane a Roma? Alice andrà in America? Potete
leggere se vi interessa, ma è un lungo anda e rianda che, personalmente mi ha
anche un po’ saturato. Inciso: ricordo invece ai patiti della TV che nella
trentacinquesima ed ultima puntata, divergendo dai romanzi, Alice e Claudio si
sposano.
Per la parte più strettamente gialla,
seguiamo appunto Alice spedita in provincia dalla “perfida Wally”, dove in quel
di Domodossola lavora all’Ufficio di Medicina Legale sotto l’ala del capo,
Francesco Velasco, contortamente a suo tempo corteggiatore della Wally, e da
sempre persona piacente e viaggiante (durante il romanzo va in Nuova Zelanda,
fa l’affermazione di cui in nota, e spesso parla con Alice di tutti i suoi
viaggi intorno al mondo). Nel nuovo ufficio trova subito pane per i suoi denti:
slavo morto durante una rapina. Accidente, incidente o dolo? Certo è strano
trovare nello stomaco del morto un bel diamante di rispetto. Scopertosi poi
esserne uno chiamato “Beloved Beryl”, di proprietà di tal Anastasia, un tempo
romana, ora trasferitasi colà presso il marito Luigi.
Il diamante però risultava rubato in Roma,
al matrimonio della nipote di Anastasia, anche lei di nome Anastasia con tal
Emanuele. Saltando passaggi intermedi e sfrondando il testo dagli arabeschi
gazzoliani, vediamo che Anastasia jr. si stufa di Emanuele, non perché scopra
che questi è un ladro alla Cary Grant di “Caccia al ladro”, ma perché si
invaghisce di altri, in particolare del Velasco di cui sopra. Emanuele non ci
sta, e cerca, c l’aiuto dello slavo, di rubare il diamante che insieme ad
Anastasia aveva sottratto alla zia, con tutta una serie di manovre complicate,
la più carina delle quali è presentarsi ad Alice come un messo per portare il
diamante in questura. Un messo di nome … Alessandro Manzoni.
Intanto, muore il cardiopatico Luigi,
Maria, la donna dello slavo morto, sta anche lei per dipartirsi, ma è giovane e
si salva. Alice scopre che una causa delle aritmie potrebbe essere la
graianotossina, un tossina presente nei rododendri, ed in particolare nel miele
himalayano da essi derivato. Partendo da questo esile file, Alice in
collaborazione con il questore locale, visto che il suo solito Calligaris, come
sa chi legge tutta la storia di Alice, è rimasto a Roma.
Nonostante tutti i miei sforzi, tuttavia,
la storia rosa è preponderante rispetto a quella gialla, ed al fine risulta un
romanzo facilmente leggibile ma poco coinvolgente, se non per gli appassionati
della coppia Mastronardi-Guanciale. Ci sono già altri libri di Alessia Gazzola
che andranno letti prima o poi che, alla fin fine, è sempre un’autrice di
facile lettura, per passare qualche ora con pochi pensieri. Rilevo infine che
rispetto ai soliti monotemi dei nomi dei personaggi (AA, CC ed altre poche
lettere) qui, a parte la doppia Anastasia, si veleggia con una ricerca di
variazioni più che lodevole.
“Quanto c’è di vero … che ha mangiato
l’hákarl in Islanda.” (71) [io l’ho fatto, odore disgustoso ma sapore
dignitoso]
Carlo
Lucarelli “Peccato mortale” Einaudi s.p. (Regalo di Emilio&Fako)
[A: 07/05/2022
– I: 01/10/2022 – T: 04/10/2022] &&&
---
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 245; anno: 2018]
Verso
la fine degli anni ’10 di questo secolo, Lucarelli decide di dare una sistemata
alle avventure del suo brillante esordio, quelle legate alle vicende del
commissario De Luca. Negli anni ’90 dello scorso secolo pubblicò le prime tre
inchieste: “Carta Bianca” che si svolge nel ’45, durante l’ultima fase della
Repubblica di Salò; “L’estate torbida” che invece racconta le vicende di subito
dopo la fine della guerra e “Via delle Oche” dove De Luca nel ’48 viene
reintegrato nelle forze di polizia ed inviato alla Buoncostume. Dopo ventun
anni di silenzio, nel 2017 esce “Intrigo italiano” che ha per teatro il tempo a
cavallo del Capodanno del 1954.
Ora
decide, l’anno successivo, di dar luce a quanto avvenne prima del primo libro,
e quindi ci collochiamo in un periodo topico della storia italiana, visto che
la vicenda inizia il 24 luglio ’43 per terminare a metà settembre dello stesso
anno. Come d’abitudine in queste scritture, per immergere il romanzo nel
contesto storico, pubblica in esergo ritagli presi dal giornale locale
dell’epoca, cioè, visto che siamo a Bologna, estratti da “Il Resto del
Carlino”. Dove si può notare che i giornali, pur pubblicando ovvio e sacrosante
notizie della politica italiana, non si peritano di riportare spigolature e
notiziole di cronaca. Da cui si evince che le situazioni di guerra sono spesso
più drammatiche a posteriori che nel cammino, come forse ci insegnerà anche il
presente status bellico del 2022.
Una
spigolatura personale, certo il giornale porta notizie locali, ma io non posso
dimenticare l’affondamento del postale “Santa Lucia” avvenuto proprio il 24
luglio 1943, a largo dell’isola di Ponza, e di cui narra con sicuro piglio
storico-romanzesco il bel libro di Luciano Zani: “Silurate!”. Di sicuro
interesse, ma ad altre storie rivolte.
Torniamo
allora a De Luca ed a Lucarelli.
Il
romanzo si avvolge a due nuclei narrativi, come speso accade. Il pubblico ed il
privato. Nel secondo vediamo il giovane commissario (che, all’epoca dei fatti,
risulterebbe avere 29 anni) coinvolto sentimentalmente con la giovane Lorenza,
di famiglia intellettuale, con la quale sembra avere un solido rapporto,
insieme frequentando ambienti borghesi di margine al fascismo. Tanto che la
famiglia riparerà in Svizzera nell’estate del ’43, dove De Luca, fedele al suo
mandato di poliziotto di Stato, rimarrà invece in Italia. Dovendo convivere con
la fucilazione di un amico di Lorenza e con la ricerca di un secondo, datosi
per tempo alla macchia. Questi tre passi, forse, costituiscono la base di quel
“peccato” del titolo, cui De Luca dovrà convivere.
Il
suo senso dello Stato, di sicuro ma riposto all’epoca, lo fa rimanere al suo
posto, anzi, visto che milizie ed altro fascismo sparso passeranno sotto le
bandiere di Salò, si troverà suo malgrado ad essere polizotto in quello
schieramento. Certo, sappiamo dai primi libri, che se ne trovò sempre al
margine, continuando ad essere “il miglior poliziotto italiano”. Ma sappiamo
anche come e quanto dovrà penare per dimostrare la sua buona fede, e risalire
la china di una difficile ma compromessa carriera (e se ne notano gli epigoni
effetti nel precedente libro).
La
parte pubblica si avvolge intorno a due morti (un corpo senza testa ed una
testa senza corpo) rinvenuti in prossimità di una battuta anticontrabbando
della brigata di De Luca. Fermati il borsaro nero ed un suo giovane sodale, De
Luca non riesce a trovar bandoli alla sua matassa, fino a che, in circostanze
forse fortunose, ne scopre l’identità. Un possidente albanese ed un ebreo
austriaco, transitati in campi di smistamento, e poi liberati e circolanti.
Perché? Come?
Morto
anche il contrabbandiere, attraverso il pedinamento di un capo manipolo della
Milizia Fascista, ricostruisce essere tutta una questione di droga, che di
sicuro coinvolge il sopra citato capo ed un rampollo di nobile famiglia. La
banda circuiva i ricchi possidenti ebrei, ne carpiva la buona fede promettendo
l’espatrio in cambio di denaro, per poi liberarsi degli indesiderati ed usare i
proventi furfanteschi per l’acquisto e lo smercio di cocaina.
Seguendo
le tracce di chi si sa far parte della banda, De Luca si trova sempre di fronte
ad una misteriosa persona, di cui non riesce a svelare l’identità. Noi abbiamo
delle supposizioni al riguardo, ma la mancanza di prove frena sia noi che De
Luca. Sarà solo una confessione a svelare i misteri, portandoci forse al quarto
lato del peccato mortale del nostro commissario. Di certo, il lato giallo della
vicenda non è così coinvolgente come la costruzione (o meglio la ricostruzione)
complessiva dell’epoca, degli umori, dei sentimenti. Magistrali i tagli di
cronaca sulle sfilate di bandiere rosse a Bologna nell’agosto del ’43.
Tuttavia, tutto ciò non porto molto in alto il libro, che risulta alfine un po’
più che gradevole.
Un’ultima
spigolatura riguarda un “oggetto” che si chiama “Setalina”. Di cui non è facile
neanche trovare notizie in rete, ma che da un ritaglio di una rivista del ’43,
risulta quanto segue: “Setalina. Sostituisce le calze. Il liquido Setalina vi
imbrunisce le gambe in modo tanto perfetto da farle sembrare ricoperte di
finissime calze”. Bravo Lucarelli!
Per
onor di cronaca, infine, segnalo che il ragioniere aggregato alle indagini di
De Luca a pagina 166 viene indicato come “Pini” ed a pagina 169 come “Piva”.
Assumerei un correttore di bozze un filo più attento.
Prima trama dell’ultimo mese dell’anno, dove,
in quel di settembre si andava calando la lettura, in relazione dei molti
viaggi (e dello scrivere arretrato). Acceso da un ottimo inizio con due Simenon
superbi, e poi mantenutosi per tutto il mese in un ondeggiare intorno alla
sufficienza.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Georges Simenon |
Il primogenito dei Ferchaux |
Repubblica |
9,90 |
4 |
2 |
Georges Simenon |
Tre camere a Manhattan |
Repubblica |
s.p. |
4 |
3 |
Håkan Nesser |
Morte di uno scrittore |
Repubblica Emozione Noir |
7,90 |
2 |
4 |
Georges Simenon |
Il clan dei Mahé |
Repubblica |
9,90 |
3 |
5 |
Luca Crovi |
L’ombra del campione |
Corriere Profondo Nero |
7,90 |
2,5 |
6 |
Georges Simenon |
Lettera al mio giudice |
Repubblica |
9,90 |
3,5 |
7 |
Lucinda Riley |
Delitti a Fleat House |
Giunti |
s.p.
|
2,5 |
8 |
Leonardo Sciascia |
Cronachette |
Repubblica |
8,90 |
3 |
9 |
Italo Calvino |
La strada di San Giovanni |
Repubblica |
9,90 |
3 |
10 |
Haruki
Murakami |
Sonno |
Corriere |
9,90 |
2 |
11 |
Leonardo Sciascia |
Il cavaliere e la morte |
Repubblica |
8,90 |
3 |
12 |
Italo
Calvino |
Sotto
il sole giaguaro |
Repubblica |
9,90 |
3 |
13 |
Gianrico Carofiglio |
Passeggeri notturni |
Repubblica |
8,90 |
2 |
14 |
Leonardo Sciascia |
La strega e il capitano |
Repubblica |
8,90 |
2,5 |
15 |
Alonso Cueto |
Testamento de sangre |
Debolsillo |
s.p. |
2 |
16 |
Jorge Edoardo Benavides |
Una visita inesperada |
Bizarro |
s.p. |
2 |
17 |
Michiko Aoyama |
Finché non aprirai quel libro |
Garzanti |
s.p. |
2,5 |
Anche
questa settimana torno sul bellissimo “Viaggio in Armenia” di Osip Mandel’stam, e questa volta con diverse citazioni
rimaste nel fondo del cuore. Un fotografia rimasta negli occhi passando per un
villaggio: “Il sorriso di
un’anziana contadina armena ha un’inesprimibile bellezza: è pieno di nobiltà,
di sofferta dignità, e del particolare, solenne fascino della donna maritata”
(70). Un pensiero che dedicai ai miei amici Rosa ed Emilio: “L’artista è per
sua natura un medico… Ma se non medica nessuno, a chi e a che cosa serve?” (94).
Un altro mi portava, e mi porta, alle riflessioni su chi non riesce a stare
fermo: “I migliori scrittori dell’antichità erano geografi. Chi non aveva il
coraggio di viaggiare non aveva il coraggio di scrivere” (101). E l’ultimo, un
ricordo di una stessa frase sentita nel deserto libico: “Dal cielo sono cadute
tre mele: la prima è per chi ha raccontato, la seconda per chi è stato ad
ascoltare, la terza per chi ha capito” (66). Ahi, quando si riuscirà ad
andarci…
Ma ora si avvicina il Natale, e tanti impegni, tanti incontri, tante mancanze. Un pensiero mi è venuto ed è stato rafforzato dalle parole della bella Messa per il passaggio terreno della madre del mio amico Renato. Non essere triste perché non c’è più, ma sii felice per quanto c’è stata. Per questo, ancora una volta, vi abbraccio tutti.
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