Tom Stoppard
“L’invenzione dell’amore” Sellerio euro 14 (consigliato da Robinson)
[A: 25/02/2021 – I: 21/04/2021 – T: 22/04/2021]
- &&& e ½
[tit. or.: The Invention of Love; ling. or.: inglese; pagine: 182; anno 1997]
Stoppard
lo conoscevo come autore del bellissimo testo “Rosencrantz e Guildenstern sono
morti”, eponimo della sua poetica. Utilizzo di personaggi “marginali” della
storia per parlare di altro, ed in modo sempre interessante. Lì prende due
personaggi minori dell’Amleto e ne costruisce una storia che ragiona sulle
sorti umane, sul destino, la morte e la pazzia.
Come
ben sottolinea Rita Cirio nella sua introduzione, Stoppard “propone immagini e
prospettive diverse, applicate spesso a personaggi famosi ma retrocessi a
comprimari di altri secondari”. Così, in questo testo, il “finto” protagonista
è il poeta e filologo realmente esistito Alfred Edward Housman (AEH). Ma il
testo è costellato di tanti altri personaggi, ben più illustri, che parlano,
rivoltano la trama, per discutere intorno al tema dell’amore. In modo,
ovviamente, poco convenzionale.
La
trama “lineare” vede AEH appena morto arrivare nell’Ade dove Caronte lo deve
traghettare; durante la navigazione sullo Stige, la barca incrocia un’altra
barca proveniente dal Tamigi, dove, oltre a Housman giovane ci sono i suoi
amici Alfred William Postgate (futuro bibliografo e grande studioso di
Shakespeare) e Moses John Jackson (il lato scientifico del trio). Housman è
omosessuale, sebbene non dichiarato, ed è innamorato, non ricambiato,
dell’amico Moses. Tanto che per frequentarlo, anche nell’ombra, fallirà i primi
esami di ammissione all’Università. Seguirà Moses nella sua avventura all’Ufficio
Brevetti, dove incontriamo l’unico personaggio inventato del testo, l’impiegato
Chamberlain che fa riflettere Housman, dandogli la spinta di tornare a
studiare, e di pubblicare i suoi commenti sui latini. Nel 1885, Moses rompe
definitivamente con AEH, si trasferisce in India, poi torna, si sposa, e va a
vivere in Canada, dove morirà. Mentre Housman prosegue a scrivere, tanto che
nel 1892 a 33 anni gli viene offerta la cattedra di Latino all’University
College of London. Cattedra che mutò nel 1911 passando a Cambridge dove rimase
tutta la vita.
Ma
quello che ci mostra Stoppard, andando su e giù nel tempo, è l’introduzione dei
personaggi reali, la maggior parte gravitanti ad Oxford ed a Londra. Dove li
sentiamo discettare di latino, ma anche di politica, di pittura, d’amore e
d’omosessualità.
Compaiono
così, in una sfilata tra l’ironia ed il dramma, John Ruskin, il grande critico
d’arte, Jerome K. Jerome, il grande scrittore, l’altro latinista John Percival
Postgate, i giornalisti Frank Harris e William Thomas Stead, il politico Henry
Du Pré Labouchère, il saggista Walter Pater che fu il primo amore di quello che
alla fine compare e fa risaltare tutta la storia in controluce, cioè Oscar
Wilde. Perché Wilde, con la sua vita e le sue opere, affermava provocatoriamente
il suo amore, il suo modo di vivere la vita come una forma d’arte, il discreto
Housman vivrà tutto il suo amore solo sublimandolo nell’arte.
Abbiamo
detto come uno dei lati distintivi di Stoppard è prendere un personaggio minore
e fargli dire e recitare dialoghi ordinari, fargli scorrere momenti
inconsapevolmente banali dell’esistenza, mentre gli altri, i ben più rinomati
attori, sanno quale sia la tragedia che deve succedere. L’altro lato della
drammaturgia di Stoppard è l’ironia continua, doppi sensi, allusioni, giochi
linguistici, mescola di alto e basso. L’effetto è interessante, anche se
talvolta di un livello cerebrale troppo alto per i miei due neuroni. Il testo è
pieno anche di passaggi latini (comprensibili) e greci (per me totalmente ignoti).
Anche i personaggi non sono presi a caso. La gita sul Tamigi di AEH, Alfred e
Moses non può che rimandare al testo di Jerome K. Jerome “Tre uomini in barca”.
La presenza ed il parlato di Labouchére servono ad introdurre la legge contro
l’omosessualità da lui presentata, e che servì a condannare Wilde al carcere.
Ma i
due livelli servono all’autore proprio per arrivare a quel momento tragico che
noi aspettiamo sin dall’inizio (e che si cristallizzerà nella fuga di Moses da
AEH), dove così “mascherata” la tragedia diventa anch’essa casuale, senza
senso. Tanto che Stoppard fa dire a Wilde “Nulla di ciò che materialmente
accade ha la benché minima importanza.”
Non
posso non dire che ho apprezzato tutto il gioco intellettuale, anche non sempre
compreso immediatamente (ed aiutato poi dalle note finali). Ma ho gradito,
incongruamente, del rimando interno tra la vita oxfordiana reale dell’Ottocento
che ci riporta Stoppard, con la vita fittizia descritta da Colin Dexter nei
suoi gialli oxfordiani degli anni ’70 del Novecento. Con il gioco, questa volta
di Dexter, di descriverci come l’ispettore Morse non passò gli esami a Oxford,
ma per colpa dell’amore di una donna. Inoltre, di godere quindi delle citazioni
in esergo di poesie di Housman. Quindi, una buona lettura, che conferma la
facilità di Stoppard ad essere letto, oltre che rappresentato.
Robert James Waller “I ponti di Madison County” RCS Media Group euro
8,90
[A: 25/03/2019 – I: 25/05/2021 – T: 26/05/2021] - &&
[tit. or.: The Bridges of Madison County; ling. or.: inglese; pagine: 172; anno 1992]
Con questo agile e poco impegnativo
(mentalmente) libro, inauguriamo la breve collana di libri intitolata “Amori da
Film”. Ed in effetti, questo è molto noto per il film che ne fu tratto con
Clint Eastwood e Meryl Streep. Ma qui non parliamo del film (che confesso non
aver visto), ma del libro scritto tre anni prima da Robert James Waller,
scrittore e professore (ma anche fotografo) basato proprio nell’Iowa dove si
svolge il libro.
Waller, pare, sia autore di best seller
(dopo l’avvio con questo scritto a 53 anni), ma della sua carriera non credo se
ne sappia molto dalle nostre parti. Così come della sua vita, e della sua
dipartita, quattro anni fa, per un mieloma multiplo.
Vedremo più avanti, negli altri titoli della
collana, se ci sia qualche sussulto. Ora posso solo dire che, di certo, il
libro è scritto “ad effetto”, ed è capace di suscitare emozioni. Pur non
essendo un gran libro, anzi direi quasi che è uno scritto “basic”, magari con
qualche costruzione interessante, e, forse, una sola idea di base: il conflitto
tra amore e realtà. Che detto così sembra anche più grande di quello che è.
Intanto, non posso che fare un riverito
omaggio alla scelta dell’ambientazione: Madison County è la località che ha
questa particolare struttura architettonica di ponti fluviali, coperti da
tettoie. Ma anche, ed è qui il mio affetto mentale, è il posto dove (nella
cittadina di Winterset, al centro della contea) il 26 maggio 1907 (esattamente
114 anni dal momento in cui scrivo) nacque Marion Robert Morrison, meglio noto
in arte con lo pseudonimo di John Wayne.
La storia di per sé sembra assai banalotta.
C’è Richard, fotografo free lance, inviato da National Geographic per fare un
servizio sui ponti coperti della contea. Non riuscendo a trovare l’ultimo, si
reca in una fattoria nelle vicinanze, dove viene accolto da Francesca. Lei è
una “war bride” italiana, sposatasi con il marine Robert quando questi passa
con l’esercito per Napoli. Vive una vita pacifica nell’Iowa, senza troppi
sussulti, e con Robert ha fatto due figli. La vicenda si svolge nel 1965, e
Carolyn ha diciassette anni e Michael quattordici. È sola al momento, che
marito e figli sono ad una fiera di bestiame per la settimana.
Ovvio che Francesca sa dei ponti. Ovvio che
tra i due scatti una scintilla inestinguibile.
Francesca per Richard è bellissima. Richard
per Francesca incarna i sogni della giovinezza, la voglia di “essere come
siamo”, la capacità di cogliere la magia nelle cose, dalla poesia all’alba al
canto al tramonto. E Richard coglie la capacità di Francesca di rispondere ai
suoi stimoli, alle sue provocazioni intellettuali, la capacità di capire il
senso delle sue foto, della sua vita “senza fissa dimora”.
Ovvio, infine, che dopo schermaglie varie, i
due si concedano alcuni giorni di passione coinvolgente e totalizzante. Tutto
per arrivare alla resa dei conti: che fare quando tornerà la famiglia? Qui, il
dilemma tra la propria vita e quella delle persone che ti sono care. Francesca
sceglie di restare, anche se per tutta la vita non farà che pensare a Richard,
avendolo sempre vicino. Conserverà gelosamente la foto all’alba, il numero della
rivista con i ponti, ed altre minuzie. Solo alla morte di Robert, proverà a
cercarlo, ma una volta sola. E dopo tre anni riceverà una lunga lettera
post-mortem di Richard. Le cui ceneri verranno sparse sul famoso ponte. Cosa
che chiederà anche Francesca.
La costruzione di Waller passa per una
finzione nella finzione, laddove finge, appunto, che siano i figli di Francesca
a chiedergli di scrivere questa storia. Con un cammeo finale di un jazzista di
Seattle, amico degli ultimi anni di Richard.
Waller sa di scrittura, e sa come toccare
tasti che fanno commuovere. Anche se, dal mio punto di vista (e qui si apre un
dibattito perenne) avrei fatto altre scelte. Che i figli avrebbero capito, se
le volevano bene. Cioè, quanto si deve soffrire per essere felici? E via
discutendo.
A me è oltremodo piaciuto il passaggio (o i
passaggi, forse) “on the road” di Richard. Il giro per il Nord degli States, da
Seattle all’Iowa, passando anche per Duluth, dove, ad esempio, non può che non
citare il figlio più celebre del posto (che, per gli smemorati, è tal Robert
Zimmerman, poi ribattezzatosi Bob Dylan). Ma anche i passaggi tra Africa e
Asia, immancabilmente con il deserto del Rajasthan (e Agra), e magari … il
Ladakh.
Vedremo gli altri capitoli di questa
collana, anche se sono perplesso.
“Credo … che siamo entrambi dentro un altro
essere che abbiamo creato, e che si chiama ‘noi’. … No, non siamo … dentro
questo essere, lo siamo. … Ci amiamo.” (121)
Walter Tevis “Lo spaccone” Minimum fax euro
11 (consigliato da Robinson)
[A: 10/04/2021 – I: 31/07/2021 – T: 01/08/2021] - &&& --
[tit. or.: The Hustler; ling. or.: inglese; pagine: 256; anno 1959]
Walter Tevis non è
certo una stella di prima grandezza della costellazione di Orione, nel panorama
della troppo ricca, a volte, letteratura americana. Ringrazio quindi Robinson
che mi suggerisce di prenderlo in mano, di leggerlo dimenticando il film con
Paul Newman (diretto da quel poco noto ma molto impegnato regista che fu Robert
Rossen, qui al primo film di ritorno in America dopo la fuga cui fu costretto
dal maccartismo degli anni Cinquanta) e di immergerci nella sottocultura
americana.
Inciso, Tevis non fu di certo prolifico, dato
che è autore di soli sei libri. Ma oltre a questo, c’è “L’uomo che cadde sulla
terra”, ottimo libro e mirabile interpretazione di David Bowie sullo schermo, e
c’è “La regina degli scacchi”, assurta or ora agli onori dello schermo grazie alla
serie televisiva prodotta da Netflix. Sottolineo solo che degli altri tre
titoli, uno è “Il colore dei soldi”, sequel di questo, e sempre portato sullo
schermo con Paul Newman (e Tom Cruise) cui arrivò l’Oscar. Gli altri due sono
degni seppur non eccelsi libri di fantascienza.
Riprendendo il paragone iniziale, allora,
direi che Tevis è una specie di buco nero galattico, che assorbe tutta una
serie di esperienze, anche negative, della sua infanzia e giovinezza, per poi
trovare il modo di riproporcele in maniera convincete. Per mantenersi, dopo la
guerra, lavoro di notte nelle sale biliardo, ed accumula informazioni. Sui
giocatori, sul loro modo di vivere, sui guadagni legali e su quelli illegali.
Ma anche sul mondo che vi gira intorno: scommettitori di vario genere,
giocatori di poker, ubriaconi all’ultimo stadio, donne senza futuro. Una bella
shakerata, ed eccoci a questo truffatore. Che “Hustler” è un po’ più sul
versante borderline dell’illegalità, piuttosto che su quello di chi si vanta
delle proprie imprese, a proposito o spesso a sproposito. Questo sarebbe il
significato italiano proprio del termine (“Borioso millantatore d'imprese poco
credibili” dalla Treccani).
Eddie “Fast” Felson non millanta di saper
fare cose incredibili, ma è convinto di essere il miglior giocatore di biliardo
sulla piazza. Come gli farà capire il baro Bert, tuttavia, essere il migliore è
fatto di due metà che lavorano all’unisono: il corpo per realizzare i colpi sul
panno verde e la testa per gestire il tutto. Eddie, come vediamo fin
dall’inizio, è carente sulla parte di testa.
Ma intanto Tevis ci fa immergere nelle sale
da biliardo. Mirabile il modo lento con cui ci conduce all’apertura della Sala
Ballington a Chicago. A farci scorgere i primi “tipi”: il lavoratore che
pulisce la sala, il giocatore che ripete compulsivamente le stesse steccate, il
fannullone che aspetta briciole per magari tirar su una striscia di coca, il
gestore che arriva solo nel tardo pomeriggio, gli “addicted” che verso sera
cominciano ad affollare i tavoli.
Tevis non fa grandi voli, non ti fa
sussultare con colpi di scena, ma ti avvince alla pagina. Con Eddie che arriva
dalla California a Chicago, guidato da Charlie, mentore della prima fase. Sa di
essere forte, sa di poter vivere giocando a biliardo, sa che deve battere
Minnesota Fats, ritenuto il migliore con la stecca in mano. L’abilità di Tevis
è mostrarci questa che dovrebbe essere il culmine della storia nei primi sei
capitoli. Perché poi capiamo che il romanzo è un “romanzo di formazione”.
Nonostante i consigli di Charlie, Eddie alla fine non può che perdere con
Minnesota. Perché non ha la vittoria in testa.
Così lascia Charlie, e cerca di ricostruirsi
dal basso. Incontra Sarah, e tra i due nasce un sodalizio sbilenco (Eddie nel
libro non ha particolari qualità, ma se pensiamo a Paul capiamo perché Sarah si
prende di lui). Tenta di racimolare soldi per poter di nuovo incontrare Fats,
ma ogni volta ca incontro a disastri (e ne potete leggere). Finché non incontra
il suo secondo mentore, Bert (un meraviglioso George C. Scott sullo schermo)
che cerca di insegnarli ad usare la testa, quello che manca ad Eddie. Ma Bert è
anche esigente, un poco truffaldino, non capisce il rapporto tra Eddie e Sarah,
e forse ha anche altre truffe in mente.
Quello che vediamo, nella scarsa luce delle
notti di Chicago, è la crescita interiore di Eddie, la consapevolezza della
forza, più che la forza bruta. Avanti, fino alla vittoria. A che prezzo, lo
scoprirete leggendone.
Tevis ci porta con facilità a tutto ciò,
mantenendo una sua modestia interna, tanto che andrà dopo l’uscita del libro, a
lezione di scrittura come alunno. Purtroppo, i soldi del successo lo portano
sempre più vicino alla bottiglia (come molti personaggi del libro), e sarà uno
dei motivi della sua scarsa produzione letteraria, e della morte a 56 anni per
un cancro al fegato.
Però, per ora, lasciate perdere il film, e se
potete, venite con noi a Chicago a vedere Eddie.
“Ti è mai capitato di essere così
maledettamente sveglio da pensare che non riuscirai mai più a dormire?” (99)
Luca Bianchini “Io che amo solo te” RCS
Media Group euro 8,90
[A: 25/03/2019 – I: 02/08/2021 – T:
04/08/2021] &&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 263; anno:
2019]
Un paio d’anni fa, in epoca pre-Covid,
uscirono in edicola alcuni volumetti da cui trassero film di successo vario
(come il sopra tramato della serie “Amori da film”). Che acquistai senza un
particolare slancio e che leggo qua e là, quasi a riempire vuoti di impegno
mentale. Capitò così per Madison County (da cui però ci fu un bellissimo film
con Clint Eastwood). Ed eccoci ad uno che alla sua uscita, otto anni fa,
decretò un buon successo di vendite, e due anni dopo, un successo al
botteghino, con Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti nei due ruoli principali.
Ma qui si parla di scrittura, e, sebbene
Bianchini abbia una lingua scorrevole, una capacità di non perdersi mentre
narra (si lanciano tanti fili, e si raccolgono tutti), il risultato globale è
un libro leggero, che si legge con una discreta velocità, e che, anche se
sembra voler mettere qualche zeppa prima di finire, arriva alla sua conclusione
senza nessun particolare intoppo.
Siamo a Polignano a Mare, dove in piazza
incombe la statua di Modugno, e lì si intrecciano la vita e le sorti di due
famiglie: i ricchi e potenti Scagliusi e i normali Conversano. I primi sono
sulla breccia, hanno in mano il mercato delle patate. C’è il patriarca, don
Mimì, 54 anni, quello che “non versa lacrime, ma assegni”, c’è la moglie,
Matilde, la “First Lady”, la cui unica occupazione pare essere una collezione
di oggetti “Thun”, e ci sono i figli: Damiano, un po’ cinico, un po’ da
maturare, e Orlando, un po’ gay. I secondi vivono senza scosse, anche se
arrivare alla fine del mese non è sempre facile. C’è Ninella, la sarta del
paese, vedova, e le sue due figlie: Chiara, studi finiti, nessuna voglia di
andare avanti, in via di matrimonio con Damiano, e Annunziata detta Nancy,
diciassettenne ormonali, in cerca di perdere la verginità.
La vicenda si spande per soli tre giorni, dal
venerdì alla domenica delle nozze. Ma c’è abbastanza tempo per scoprire altari
ed altarini. Intanto, il più pesante. Che Mimì e Ninella erano fidanzati in
gioventù, ma l’arresto per contrabbando del fratello di lei ha convinto la
famiglia Scagliusi a chiudere porte e porticine, mandando all’aria un possibile
futuro d’amore. Piegati alle volontà altrui, i due si faranno le loro
rispettive vite, ma non cesseranno mai di amarsi, seppur alla lontana, seppur
senza fare mai un gesto che possa essere mal interpretato.
Ora però le due famiglie devono frequentarsi,
dato il matrimonio dei due primogeniti. E non potranno che nascere situazioni
al limite. Che torna Franco, il fratello “sbandato”, e Ninella lo impone come
accompagnatore della sposa all’altare, cosa che fa rabbrividire la First Lady.
Ma Mimì acconsente, e si capisce che da lì nascerà una china pericolosa.
In margine, vediamo Nancy cercare di andare a
letto con Tony senza mai riuscirci, ma ci godiamo i suoi volteggi tra ortaggi e
bilance, che a dieta bisogna essere per valorizzare il proprio corpo. Meno a
margine, anche se è pur sempre un coprotagonista, seppur di lusso, vediamo
Orlando. Che non ha il coraggio di fare coming out, che porta al matrimonio una
sua amica lesbica per tacitare le malelingue. Ma lì incontra il suo grande
amore, l’Innominato, che trova comunque sposato. Avrà comunque alla fine di
dirlo a Damiano, di farsi scoprire da Mimì, ma quello che non sa è che tutti lo
sanno, e poco se ne importano.
Al fine, ci sono i promessi sposi, con tutte
le titubanze di chi non ha veramente deciso se si sta sposando per amore o per
dovere. Attraverseranno, ognuno per la sua parte, momenti di crisi e di
crescita, che li porteranno a comprendere se sia il caso di continuare la
strada comune.
Nelle more, Ninella confessa il suo amore a
Chiara, e così fa Mimì con Damiano. Tanto che si arriverà al momento culmine
della festa di nozze, quando, sulle note della canzone del titolo, i nostri due
cinquantenni daranno vita ad un intenso ballo.
Vi risparmio conclusioni, modi, giochetti
verbali, atteggiamenti da provincia (ma non provinciali). Sono tutte le
macchiette che fanno sì che il libro si regga. E si regge poi per la
descrizione, che attraversa tutti e tre i giorni, della preparazione delle
nozze nel profondo Sud. Book fotografici prima e dopo, trucco e parrucco di spose
e damigelle, la scelta dei luoghi (con un orrendo lampadario Swarovski), le
bomboniere, il rito delle buste don i regali in moneta sonante (tanto che alla
fine i due faranno più di centomila euro!!). mi ricorda qualcosa o mi ci fa
pensare, anche se il menu della First Lady andrebbe bene per una decina di
sponsali.
E poi c’è Sergio Endrigo, uno dei top della
mia gioventù. Un istriano trapiantato (idealmente) a Genova, dove costruì la
base della canzone d’autore italiana, con De André, Paoli, Tenco e tanti altri.
Uno di cui sapevo a memoria tutto (questa del libro, Teresa, Te lo leggo negli
occhi, Lontano dagli occhi). Mi ha fatto piacere tornare a risentirlo.
Andrea Molesini “Il rogo della Repubblica” Sellerio
euro 15 (in realtà, scontato a 14,55 euro)
[A: 07/06/2021 – I: 01/09/2021 – T: 03/09/2021]
- &&
+
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 334; anno 2021]
Un suggerimento interessante dell’inserto
“Robinson” di Repubblica, anche se alla fine meno riuscito del previsto. Mi aspettavo
meglio, avendo letto il libro di Molesini sulla Resistenza, ed avendo letto le
critiche (tutte positive) al suo libro più famoso (che però non ho né letto, né
comperato; vi dico solo che si intitola “Non tutti i bastardi sono di Vienna” e
fu super premiato dieci anni fa).
Torniamo quindi alla scrittura di Molesini,
veneziano doc, di cui mi piace il rimandare a momenti diversi, e da questi
tessere storie “tra cielo e terra” (cioè tra realtà e finzione). Per arrivare a
degli assunti, magari non coevi alla storia, ma di certo presenti in tutti noi.
Il rapporto tra potere e giustizia, ad esempio. Quanto della verità debba
essere piegata al volere dei vincitori, e fin a dove si possa spingere una
menzogna non credibile per far sì, appunto, che il potere trionfi strangolando
la giustizia. Certo non sarò io a dirvi quanto tutto ciò sia incredibilmente
attuale.
Il fatto storico, accertato, è il processo
intentato ad alcuni ebrei nella cittadina di Portobuffolè nel 1480. Processo
che si innesta con altre vicende storiche di cui andremo narrando. Processo che
viene però visto e narrato dal personaggio inventato ad arte, Boris di Candia,
agente segreto e sicario al soldo dei doge veneziani.
Appunto dalle parole di Boris seguiamo da un
lato la parabola della sorte degli ebrei, dall’altra la vicenda personale di
Boris stesso, che, avvicinatosi agli ebrei per conto di Venezia, e per
comprendere quanta verità e quanta menzogna siano presenti, comprenderà meglio
l’umanità degli ebrei locali, le loro decisioni, i loro rapporti pubblici e
privati. Non potrà tradire il suo essere, ma farà un buon passo verso una
consapevolezza diversa, chiosata dall’orazione che riporto in calce.
Ma veniamo alla storia “reale” (che la
trasposizione fittizia potete leggerla da voi). Nel 1480 un mendicante di sette
anni si aggira per Portobuffolè e sparisce. Ha forse proseguito la sua strada,
ma la popolazione locale l’associa all’omicidio avvenuto cinque anni prima del
piccolo Simone (Simonino nella tradizione popolare). Del presunto omicidio
vengono accusati ed incarcerati il prestatore di denaro Servadio, il titolare
del banco dei pegni Mosè ed il tedesco Giacobbe. Altri accusati, ma latitanti,
furono indicai in Lazzaro, fratello di Mosè, Cervo, cognato di Mosè, Elia
francese e Giacobbe Barbato. Gli accusati, sotto tortura, confessano e sono
condannati a morte. Poi ritrattano, costringendo il podestà locale a spostare
il processo a Venezia.
Nella città lagunare, oltre ad essere di
nuovo torturati e quindi a confessare falsamente il delitto, vengono arrestati
tre dei quattro latitanti. Il punto culminante viene dalla ritrattazione di
Giacobbe Barbato, ma prima che la sua dichiarazione venga messa agli atti,
muore. Omicidio per impedire la confessione o suicidio per la vergogna? Non
sappiamo, fatto sta che senza questo elemento, non si può che condannare gli
ebrei. Ai rei confessi dietro tortura fu comminato il rogo, agli altri due anni
di carcere duro.
Fin qui la vicenda storica, su cui Molesini
sapientemente innesta anche la presenza in veneto del predicatore Fra’
Bernardino da Feltre, che infiammava le genti con le sue parole antigiudaiche.
Ma che viene propriamente ricordato come creatore dell’istituzione dei Monti di
Pietà, sorti al fine di contrastare i banchi usurai gestiti dagli ebrei. Facile
capire quindi come la vicenda del povero Servadio sia servita soltanto a
permettere, con falsa giustizia, di riprendere il potere (ed il denaro) da
parte della casta borghese e cattolica.
Tanto per ribadirne la follia giudiziaria,
riprendiamo il caso di Simonino. Quindici ebrei furono condannati nel 1475 a
Trento per la sua morte, nonché nel 1588 Simonino fu anche beatificato. Solo
nel 1965 la Chiesa deciderà di cancellare il culto del beato Simonino da tutte
le pratiche religiose.
Ripeto la mia ammirazione per l’opera di
ricostruzione storica di Molesini, non solo del rapporto tra ebrei e cristiani,
ma anche di tutto il clima tardo quattrocentesco presente nel Veneto. Tuttavia,
la forzata soggettività della scrittura, tendente a riprodurre, anche con
difficoltà di lettura, l’aria del tempo, lascia un po’ di fatica nel lettore.
Ma Molesini mi è piaciuto, pur con tutti i limiti esposti.
In finale, riporto anche il punto conclusivo
del testo, tratto da Orazio “Carmina” Libro I, Ode XI, che in latino
esprime:
“Tu
ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi finem di dederint … Dum
loquimur, fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.”
E che indegnamente tradurrei:
“Tu non chiedere, è vietato sapere, quale
fine a me, quale a te gli dèi abbiano assegnato … Mentre parliamo il tempo sarà fuggito,
inesorabile: cogli il momento, avendo meno fiducia possibile nel futuro.”
Un monito ed un suggerimento.
“Sei un poeta? No, solo un insaziabile
lettore” (130)
La
seconda uscita del mese era in genere dedicata ad un confronto tra le mie trame
e quelle del bellissimo libro “Curarsi con i libri”. Purtroppo, sono arrivato
lo scorso dicembre a Xenofobia, e quindi ho esaurito quel filone. Ho però
ancora qualche libro letto dopo averne commentato altri, per cui dedicherò
qualche uscita al recupero di trame passate con nuovi libri.
Per
il resto, ho qui una bella citazione della scrittrice di gialli Elizabeth George che nel suo libro: “La miglior vendetta”, mi
ammoniva: “le case rivelano sempre qualcosa sui loro proprietari”. Adatto
alla costruzione dei miei spazi nella nuova casa.
Poco altro c’è, se non la speranza che qualche numero pandemico migliori le nostre situazioni di vita, facendoci riprendere viaggi ed incontri. Non disperiamo, e ci salutiamo con un abbraccio.
CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i
“bugiardini” di Giovanni
GENNAIO 2022
Avendo esaurito l’alfabeto fino
all’ultima lettera, utilizzo alcuni mei di questo nuovo anno per recuperare
libri e giudizi di romanzi letti tardi per essere inseriti in ordine.
Questo mese parleremo di
esaurimento e di mal d’amore.
ESAURIMENTO
Nikos
Kazantzakis “Zorba il
greco”
La stanchezza può essere una sensazione fantastica, se arriva dopo un duro
esercizio fisico – nuotare in un lago, scalare una montagna, galoppare lungo
una spiaggia. Quando invece si è rimasti in piedi per dieci ore a spennare
polli o si è scavato un fosso sotto la pioggia, la sensazione è assai meno
piacevole. La stanchezza mentale può condurre ancora di più all’esaurimento,
causando stress (v. Stress) e problemi cognitivi (v. Memoria, perdita della).
La stanchezza che deriva dalla mancanza di sonno, infine, è una sensazione
particolarmente infelice, che può essere compensata solo restando a letto otto
ore filate. A dire il vero, il sonno è una buona cura per ogni genere di
stanchezza, ma se siete davvero esauriti e volete trovare il modo per andare
avanti, continuate a leggere.
Zorba è un uomo dalle mille risorse e che ne ha passate parecchie, con due
occhi brillanti e lo sguardo penetrante, il volto segnato dalle intemperie e il
dono di esprimere sé stesso attraverso la danza. Zorba usa la danza per
raccontare le sue storie, per definire la propria identità, per spiegare il
mondo e per tirarsi su di morale quando è abbacchiato. Il narratore di questo
romanzo, invece, è un giovane intellettuale greco interessato al buddismo e ai
libri. Quando incontra Zorba, però, e la sua irrefrenabile voglia di vivere,
capisce di avere incontrato un uomo con un segreto nell’anima. Quando quel
vagabondo lesto di gamba accetta la sua offerta di lavoro come supervisore alla
miniera di lignite che ha acquistato di recente sull’isola di Creta, 1 uomo ne
e felice e i due cominciano a bere vino fino a tarda sera, discutendo di
filosofia e accompagnandosi spesso col santuri di Zorba. Durante queste sedute
Zorba si lamenta spesso del fatto che, se solo riuscisse a esprimere gli enigmi
filosofici dell’amico con la danza, forse potrebbe avvicinarsi alla loro
soluzione.
Un giorno, Zorba insegna davvero al suo giovane amico ballare - in maniera
impetuosa, provocatoria, estatica. Ben presto riescono entrambi a raccontare
storie con i uro corpi che sembrano sfidare la gravità. Il lettore si accorge
che Zorba è un uomo di grande saggezza e naturale comprensione, in grado di
arrivare «con un solo balzo» a vette spirituali che altri impiegano anni a
raggiungere. Quello che amiamo di più in questo archetipo di energia è la sua
capacità apparentemente senza limiti di lanciarsi con tutto sé stesso in
progetti sempre nuovi, spesso rialzandosi da terra (quando invece avrebbe
bisogno di dormire almeno una settimana) e tornare alla vita danzando.
Diventate anche voi allievi di Zorba. Quando vi sentite esauriti, non
lasciatevi andare. Alzatevi in piedi, fate un po’ di musica, trovate una danza
dentro di voi. Tra qualche anno, non vorreste poter dire, con Zorba: «Ho fatto
un sacco di cose nella mia vita, ma non ancora abbastanza. Un uomo come me
dovrebbe vivere mille anni!»?
MAL D’AMORE
Beppe
Fenoglio “Una
questione privata”
Patricia
Highsmith “Carol”
Ci
sono poi momenti in cui il mal d’amore diventa un’ossessione triste. Un
affanno. Un movimento. Un paesaggio. Soprattutto se si è un partigiano e si sa
di avere un appuntamento con la morte. Può capitare, allora, di tornare nei
luoghi dove si è stati felici per cercare un riparo alla brutalità delle cose,
per ritrovare le visioni della giovinezza, le sue promesse, i suoi sussulti e
farsene un ultimo scudo e una corazza. Come accade a Milton, nel mese di
novembre del 1944, mentre attraversa il centro di una guerra civile. Ma se la
vecchia custode della villa dove abitava la sua Fulvia gli insinua il sospetto
di una relazione tra la sua ragazza e il suo migliore amico, allora nulla resta
intatto, nemmeno il ricordo. La verità diventa un’urgenza disperata ma
inafferrabile, il mal d’amore una crepa esistenziale e senza rimedio. In gioco
non è la gelosia o il desiderio o il tradimento, ma qualcosa di molto più
esteso, il motivo stesso per continuare a battagliare. Milton è un ippopotamo
magro di ventidue anni, curvo di spalle, con due forti pieghe amare ai lati
della bocca, macerato e brutto. Fulvia spensierata e piena di allegria. Milton
conosce il segreto delle parole, Fulvia quello della vita stessa. Così Milton
inizia il suo viaggio per sapere. Vuole ritrovare il suo amico Giorgio e
chiedergli come sono andate realmente le cose, a costo di ucciderlo. La sua
sarà una furia necessaria ma senza risposte, un inseguimento destinato a
moltiplicarsi. Perché la guerra non ridà mai quello che toglie.
Nel
Medioevo, gli eroi e le eroine della letteratura venivano regolarmente
consumati dal mal d’amore. Pale-mone, ne II racconto del Cavaliere di Chaucer,
è un ottimo esempio, perché vede passare la bella Emilia dalla finestra della
torre dove è imprigionato, e poi quasi si perde perché non può averla. E solo
nella nostra epoca, assai meno romantica, che ci si rivolge a uno psichiatra
per farsi prescrivere i farmaci adatti. Il mal d’amore è causato dall’assenza
della persona amata, da una separazione forzata, da un rifiuto (v. Amore non
corrisposto) o da una morte. I sintomi possono essere assai concreti, come
svenimento continuo, deperimento, isolamento e dipendenza da cioccolato. Tutto
ciò può rivelarsi pesantissimo per amici e parenti (li rimandiamo a Famiglia,
gestire la propria). La nostra cura non comprende alcun farmaco, ma solo una
robusta dose di amore corrisposto[1].58
Il
secondo romanzo di Patricia Highsmith fu ispirato da un episodio della vita
dell’autrice, al tempo in cui lavorava in un grande magazzino e vendeva
bambole, proprio come Therese in Carni. Rimase così ammaliata da una cliente
che sembrava «splendere di luce propria» e la faceva sentire come se avesse
avuto una visione, che una volta tornata a casa buttò giù le linee essenziali
della storia in due ore. Carni racconta dell’inattesa passione tra due donne:
Carol, appunto, sulla trentina, con una figlia e un marito che sta per
lasciare, e Therese, diciannove anni, che passa da un lavoro all’altro ma ha la
passione della scenografia. È Therese, la commessa, a iniziare la relazione.
All’inizio
Therese è palesemente innamorata, Carol invece mantiene giocosamente le distanze.
Il fidanzato di Therese è sconcertato; lei non ha nemmeno tentato di
nascondergli quello che prova. «E peggio che essere malati d’amore» le dice
«perché è del tutto irragionevole», non riuscendo a credere alla possibilità di
un amore omosessuale. Ma cos’è il vero amore se non il trionfo delle emozioni
sulla ragione? Quando Carol e Therese partono per un viaggio attraverso
l’America, Carol si apre a Therese e le due ragazze si legano per sempre. La
loro sensuale storia è descritta in modo squisito: «Therese sentì ancora
l’odore scuro e leggermente dolce del profumo di lei, un odore che le ricordava
una seta color verde intenso che era soltanto sua... Voleva spingere da parte
il tavolo e lanciarsi tra le sue braccia, affondare il naso nella sciarpa verde
e oro legata stretta intorno al suo collo». Durante un periodo di lontananza
(che immaginano definitivo), Teresa soffre di una gravissima forma di mal
d’amore che la riempie di disperazione e spossatezza, in perfetto stile
medievale.
«Che
cosa era rimasto della vita del mondo? Che cosa era rimasto del suo sapore?»
Solo Carol può salvarla. E lo fa.
Qualunque
sia il vostro orientamento sessuale, la tenacia con cui Therese sopporta il suo
malessere darà forza anche a voi. Se avete una Carol nella vostra vita, fatele
la corte, e sentirete di nuovo il sapore del mondo.
Bugiardino
Quando
si recupera è difficile tornare con la testa ai tempi della scrittura; quindi,
ricordo solo che il greco l’ho letto quest’estate, mentre il mal d’amore risale
a svariati anni fa.
Nikos Kazantzakis “Zorba il greco” Crocetti euro 15
[scritto il 17 agosto 2021]
Che fai stai a Creta e non
leggi di Zorba?
Ma andiamo con ordine.
Intanto, era uno dei libri consigliati dalle ormai endemiche libropeute, che
cercavo di trovare a prezzi giusti, senza riuscirci. Poi, nella bellissima
città di Rethymno trovo una libreria favolosa, con scaffali densi di libri, in
tutte le lingue “turistiche” di Creta. E tra queste, ecco spuntare una versione
italiana direttamente dal greco, e non, come Mondadori, dall’inglese. Ovviamente,
subito preso, e, disteso in spiaggia, pronto alla lettura.
Secondo elemento, collegato
alla bella traduzione di Nicola Crocetti, è la scoperta che il titolo originale
è “Vita e imprese di Alexis Zorba”. Ma, a partire dal film di Cacoyannis, tutti
lo individuano come “Zorba il greco”, e questo sarà il titolo che si porterà
scritto fino alla fine dei giorni. Inciso: a Matala, ma non solo, ci sono fior
di ristoranti che si chiamano “Alexis Zorba”.
Ma veniamo al testo ed al
contesto. Devo dire che il film con Anthony Quinn e Alan Bates (nonché Irene
Papas), rimane molto indietro nelle nebbie della memoria, riaffiorando solo per
qualche musica (ovvio), la faccia di Irene, e l’espressione “giusta” di Quinn
per tutto il film.
Poco, invece, veniva alla
memoria, della storia in sé. Certo Zorba è un affabulatore, che gode e si gode
la vita, che pensa all’oggi (tutt’al più), che non si perita di mettere il
mondo in difficoltà, se questo può andare a suo vantaggio ora. Poi, dopo, si
vedrà. Per il resto, era buio pesto.
Dal testo, allora, prima di
tutto, emerge la figura di Basil, l’io narrante, scrittore in crisi, in cerca
di uno sbocco per la propria arte e per la propria vita. Da cenni della vita
ante-Creta, si intuisce un rapporto quasi omosessuale con Stefanos, velato da
una patina d’amicizia, e non riscattato dalla breve notte d’amore con la
vedova. Basil per tutto il libro cerca di finire il suo scritto (inopinatamente
intitolato “Buddha”) dove prova a riscattare un testo verso la mancanza di
desideri (“nirvana”?), e dove (spesso) la sua etereità si scontra, perdendo,
con la carnalità di Zorba.
Siamo negli anni ’30 (così si
evince da cenni storici) ed i nostri due eroi si erano incontrati ad Atene.
Schermaglia dopo schermaglia, Alexis si impone alla vita di Basil. Perché
Alexis, macedone sessantenne, è innamorato della vita e dell’oggi. Canta, balla
(sirtaki?), ma soprattutto suona, quando gli viene l’estro, il salterio (la
cetra greca, in pratica). Tra l’esuberante Alexis ed il tormentato Basil nasce
alla fine un sodalizio per la miniera. Dove, organizzando l’estrazione della
lignite per Basil, Alexis trova il modo di corteggiare la vedova Hortensia. Ma
anche di prendere i soldi destinati ad altro, e sperperarli con una donna in
una settimana di follie a Megalo Kastro (il nome originario di Iráklion).
Tutta una parte del libro,
forse un po’ pesa, è dedicata ai monaci eremiti cui i nostri due devono
sottrarre la concessione per il legname. Qui, c’è molto dell’iconoclastia di
Nikos (che poi è un suo modo di vedere la religione, che sarebbe interessante
ripercorrere magari leggendo il suo “L’ultima tentazione di Cristo”). Si
trattano male i frati (di cui si evidenziano sia i tratti gay che la
possessione diabolica), in una sezione del libro che ho trovato un po’ pesante.
La narrazione alterna spesso i
momenti duali tra Alexis e Basil, con quelli corali, del villaggio e dei frati.
Ma anche momenti di vita e di morte. C’è la vita tra Hortensia e Alexis, c’è un
accenno di vita tra Basil e la vedova. E c’è la morte. Di un giovane innamorato
non ricambiato dalla vedova. Della vedova, uccisa dal padre del giovane. Di un
frate indemoniato che aveva tentato di dar fuoco al monastero. Insomma, luci ed
ombre. Ah, alla fine muore anche Hortensia, dopo aver fintamente sposto Zorba.
Quando poi il progetto strampalato di Zorba della costruzione di una teleferica
fallisce, i due non possono far altro che dire addio ai sogni di gloria
nell’isola. Di lasciarsela alle spalle, con il viso rivolto a nuove avventure.
Attraverso lettere che
arrivano negli anni e nei posti più disparati, Basil segue le vicende della
vita di Zorba, e ce le comunica tutte. Io ve le lascio leggere, pensando sempre
a quei rapporti che Alexis ha con le donne. Come un marinaio d’altri tempi,
anche nei posti più sperduti, riesce a vivere storie d’amore con le donne. Ce
ne comunica anche la filosofia di vita che attraversa questo sentimento. Anche
se, sinceramente, il ruolo della donna risulta un po’ bistrattato.
D’altronde, siamo poco dopo la
fine della Guerra, in quegli anni tra il ’45 ed il ’55 che sembravano forieri
di grandi promesse, non sempre mantenute. Anche Kazantzakis se ne fa
interprete, a suo modo. Ed alla fine, ne esce un libro interessante, con spunti
da approfondire, ma con qualcosa meno di quello che mi aspettavo dal clamore
che ne risuona nella memoria.
Beppe Fenoglio “Una questione privata” Einaudi s.p. (nella biblioteca
di mamma)
[tramato il 19 luglio 2015]
Analoga la sorte di questo
libro, rispetto al simile di origine di Uhlman. Certo questo l’ho letto in
India e non in Vietnam, ma sempre derivandolo dalla biblioteca avita. Ne ero
anche curioso, avendo letto una quindicina d’anni fa altri due suoi libri (“La
paga del sabato” e “Il partigiano Johnny”) che ricordo mi avevano lasciato
perplesso.
Ottima la scrittura (non sono
certo io a doverne parlare bene, ma parla da sola), senza che la trama mi
lasciasse addosso grandi voglie. Cosa che, al contrario, ha fato questo agile
libro. Con tutte gli “accidenti” che porta con sé. Ultimo libro scritto
dall’autore, terminato poco prima di morire. Pubblicato “così com’è”, lasciando
nel lettore e nei critici il dubbio: era proprio finito? o mancavano ancora
rifiniture ed aggiunte?
Noi, fedeli a quanto se ne
scrive in giro, lo prendiamo per quello che è. Per uno dei migliori libri sulla
Resistenza scritti in Italia, come ci sottolineava a lungo nei suoi scritti
Italo Calvino. E come un lungo atto d’amore, con i due temi che si intrecciano
e si completano a vicenda. Con l’ottica di una Resistenza vista dalle file di
uno che comunista non era, ma che si pone dalla parte dei giusti. Con tutte le
problematiche che si ebbero allora (e che non si sono mai sopite) tra le
formazioni garibaldine (legate alla sinistra) e quelle badogliane (formate da
ex-soldati del re, di provenienza spesso monarchiche e liberali).
Il protagonista è per
l’appunto un badogliano, di cui sappiamo solo il nome di battaglia, Milton.
Prima del fatidico settembre del ’43, l’allora ufficiale Milton era di stanza
ad Alba, dove frequentava la bella Fulvia, di cui si innamora. Tanto che,
durante la guerra partigiana, capitato nei pressi di Alba, va alla ricerca
della casa della bella, girando (e qui Fenoglio ha belle descrizioni di un
amore forse inespresso ma presente) per luoghi così pieni di ricordi. Accolto
dalla vecchia governante, che gli instilla il tarlo di una possibile relazione
tra Fulvia ed il suo amico Giorgio, ora anche lui nella resistenza.
Alla ricerca di una verità che
comunque lo vedrebbe soffrire, si mette sulle tracce di Giorgio, ma viene a
sapere che questi è stato catturato dai fascisti ed è in attesa di essere
giustiziato. Benché macerato da opposti sentimenti, si pone sulle tracce di un
possibile scambio di prigionieri, anche se le formazioni partigiane al momento
non ne hanno. Trova tuttavia le tracce di un ufficiale fascista che frequenta
una ragazza del luogo, fuori dagli schemi.
Con uno stratagemma lo
cattura, ma l’ufficiale tenta la fuga, e Milton è costretto ad ucciderlo. Ormai
non ha più mezzi per salvare Giorgio, e per sapere in ogni caso la verità,
torna alla villa dalla governante. Ma mentre sta per farsi rivelare “la verità”
(che né lui né noi sapremmo mai) viene sorpreso dai fascisti. Fugge, inseguito
e mitragliato dalle bande repubblichine. Milton, probabilmente ferito e
spossato, giungerà dopo una folle corsa nei pressi di un bosco e crollerà a
terra. Qui il libro finisce (o secondo alcuni si interrompe).
Fenoglio non ci dice se Milton
è colpito dai proiettili, né se muore, una volta caduto a terra. Ho detto
probabilmente ferito, ma Fenoglio non parla di sangue. Pensiamo solo,
intravedendolo tra i ragionamenti di Milton che corre, che abbia raggiunto una
sua consapevolezza sul comportamento di Giorgio e di Fulvia. Ed il tradimento
dei due alla sua amicizia ed al suo indichiarato amore, forse sono più dolorose
delle eventuali ferite.
Ripeto, e mi ripeto, un bel
libro sull’amore e sulla Resistenza. Apprezzandone l’intreccio nei tormentati
pensieri di Milton. Che vanno dal trasporto verso Fulvia, all’incredulità sul
comportamento di Giorgio, alla rabbia, ed infine, all’accettazione. E la
guerra, con tutti i suoi dolori, con i non facili rapporti tra badogliani e
garibaldini, lotte aspre, con morti da tutte le parti. Con la rabbia di non
riuscire, sovente, ad avere una unità di lavoro se non di intenti. Unità che
già si portava tutto appresso dalle dolorose pagine spagnole di dieci anni
prima. E, mutando scene e tempi, ancora oggi continua a fare guasti su tutta la
scena politica. Chissà se riuscirò a vederne una pace, prima di…
Patricia Highsmith “Carol” Bompiani euro 10
[tramato il 23 settembre 2018]
Assolutamente
da leggere, sia che si sia visto il film con Cate Blanchett, sia che lo si
ignori completamenti. Anche se uno conosce la saga di mr. Ripley (soprattutto
nella splendida trasposizione che ne fece Wim Wenders, e che vidi con il mio
allora cognato al cinema Arlecchino vicino Piazzale Flaminio, ora scomparso[2]) e
conosce o meno Patricia, va letto. Anche se uno sa soltanto l’esistenza della
splendida idea di “Sconosciuti in treno” che Hitchcock fece diventare il
meraviglioso “Delitto per delitto”, va letto.
Il
secondo libro della scrittrice americana, dopo il precedente degli sconosciuti,
invero ebbe difficoltà ad essere pubblicato, per la sua tematica “forte” per
gli anni Cinquanta americani. Tanto che la scrittrice preferì utilizzare lo
pseudonimo di Claire Morgan, al fine di non essere etichettata come spesso il
mondo delle lettere americane fa. Perché dopo gli sconosciuti, era diventata
una scrittrice di “gialli”; dopo Carol, sarebbe diventata una paladina LGBT;
dopo la saga di Ripley, una scrittrice di “noir psicologici”. Insomma, nessuno
avrebbe visto lei come una scrittrice e basta.
Pesante,
la cappa americana di censura sessuale, che costrinse, moralmente Patricia ad
emigrare in Svizzera nel 1982, ed a riconoscersi autrice di questo libro solo
nel 1989. Un libro, che come lei stessa dice nella breve post-fazione, riflette
l’inizio di una sua personale vicenda: aver visto una splendida donna fare acquisti,
mentre lei, Patricia, per guadagnarsi da vivere, faceva la commessa da
Bloomingdale nel periodo natalizio in un reparto per bambini. A contatto con i
“piccoli mostri”, Patricia prese la varicella, si mise a letto per un mese, e
rielaborò la vicenda in questo libro.
Che
non ha una grande storia, non ha dei grandi passaggi, ma è pieno di amore, di
descrizioni delle sensazioni che si provano durante il rapporto tra due persone
(vicinanza, lontananza, attrazione, repulsione, ed anche un totale miscuglio di
tutto ciò).
Therese
commessa, vicina a Richard “perché è buono”, ma senza esserne innamorata, viene
folgorata da Carol. Che acquista una bambola per la figlia. Therese, essendo
vicino il Natale, le manda un biglietto di auguri, e da lì comincia la storia.
Da un lato c’è Therese con il mondo maschile: commessa per avere qualche
dollaro, ma scenografa, anche con talento, di professione. Non riesce a trovare
incarichi, si accompagna con Richard, un amico del quale gli procura un piccolo
ingaggio. È abbastanza vicina, con la testa, a Dennie. Ma non è quello il “suo”
universo.
Certo,
è una giovane anche colta, ha letto James Joyce e Gertrude Stein, cita Picasso
e Mondrian e Cezanne. Insomma, non è lì per caso. Ma è il caso che le mette
Carol davanti. Una donna sposata “per convenzione”, con una figlia che adora ed
un ex-marito che vuole il divorzio perché Carol è un po’ “deviante”. Fin da
bambina ha avuto, ha una storia con Abby, anche se è più nel ricordo infantile
di loro due bambine sui dodici-quattordici anni, che sulla loro vita attuale di
trentenni. Ma Abby, pur ormai ex, è sempre presente, la aiuta, la consiglia. Fa
anche un esame, suo, alla giovane Therese, che ha 19 anni, è immigrata (quindi
straniera), ha vissuto in un orfanotrofio perché abbandonata dalla madre. Ma
Therese una volta vista Carol, non ha più altro in mente.
Riesce
a mandare a quel paese l’inutile Richard. Entra ed esce dagli appuntamenti con
Carol, con tutta la leggerezza di una persona innamorata. Finché le due
decidono di fare una scorribanda in macchina per le strade americane. Momenti
di piena felicità, ma anche di angoscia. Che il marito cattivo le fa pedinare
da un investigatore, al fine di usare la sessualità di Carol per toglierle la
figlia. Non solo ma per arrivare ad una ordinanza di “completo allontanamento”.
Assistiamo all’alternanza, sempre comunque con gli occhi di Therese, tra i suoi
momenti soggettivi d’amore, e l’analisi del comportamento degli altri, ed in
particolare di Carol. Che, colpita quasi a morte, torna a New York per la
causa, lasciando Therese a girellare tra la Iowa ed il Missouri, prima di
tornare anche lei A New York, via Illinois e Pennsylvania. Le ultime 40 pagine
sono le più intense.
Patricia
scopre le carte sino in fondo: una lettera di Carol illuminante, i pensieri di
Therese che sta maturando, la delusione che prova vedendo Carol “costretta” a
scegliere tra lei e la figlia. Fino ad un finale che finalmente non vi svelo.
Avete visto il film? Lo conoscete. Non lo conoscete? Leggete il libro. Una
maestria di parole, a volte acerbe (l’autrice è anche lei under 30). Ma che
svelano, e con il suo cuore in mano, tutta la vita di Patricia. Quella prima e
quella futura fino alla morte più che settantenne in una Svizzera più
tollerante dell’intollerante, ingiusta, impossibile America.
“Cosa fa di una commedia un classico? … Un
classico è qualcosa che ha alla base una situazione umana.” [per Rosa] (157)
Conclusioni
Non ho particolare propensione
per le scelte fatte dalle curatrici. Di certo avrei inserito Zorba in altre
cure, e forse, sul mal d’amore si poteva svariare di più (pensando anche che
Fenoglio scriveva per tutt’altro). Quindi un giudizio complessivamente poco
soddisfacente nelle scelte.
[1] Scusateci
se vi diciamo subito come va a finire, ma questo romanzo resta bellissimo anche
sapendo che le due ragazze si metteranno insieme.
[2] Il
cinema, non il mio ex-cognato
Nessun commento:
Posta un commento