Vista
l’introduzione, non possiamo quindi che modificare anche altre piccole cose,
anche questa introduzione annuale. Non vi tedio sui libri letti, sulle pagine
compulsate, ed altre numericità buone solo a far statistiche (poi a chi fosse
curioso, basta visitare il sito online che riporta tutte le mie paturnie degli
ultimi quindici anni (http://www.anobii.com/gio53/books).
Ci
immergiamo invece in due elenchi che, al solito, rimarranno invece nelle
introduzioni, sia mensili che annuali.
La prima è un classico, il mio “TOP OF THE YEAR 2021”, che in genere si ferma ai 30 titoli, ma considerando i pari merito, quest’anno ci allarghiamo sino a … 32 menzioni. Ricordo che lo “smile” è un mio voto che va dal 5 (imperdibile) all’1 (si può evitare di leggerlo). Dove, a parte l’ottimo libretto sul ghetto di Roma, ci sono altri titoli di autori ben noti ed alcune letture che segnalo: la guerra nel Kossovo di Elvira Dones, alcuni scandinavi di buona lettura (Nooteboom, Tunström, Hansen, Hotakainen e Henriksen), nonché la segnalazione del mio amico Raul della coreana Han Kang, e quella per i miei amici cinefili del libro su Orson Wells.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Giacomo Debenedetti |
16 ottobre 1943 |
Einaudi |
9,50
|
5 |
2 |
Fabio Stassi |
La lettrice scomparsa |
Sellerio |
14 |
4 |
3 |
Elvira Dones |
Piccola guerra perfetta |
Repubblica Mondo |
9,90 |
4 |
4 |
Umberto Eco |
La bellezza |
Repubblica |
s.p. |
4 |
5 |
Umberto Eco |
Perché i libri allungano la vita |
Repubblica |
s.p.
|
4 |
6 |
Cees Nooteboom |
Addio |
Iperborea |
11 |
4 |
7 |
Friedrich
Dürrenmatt |
Minotauro |
Adelphi |
10 |
4 |
8 |
Colin Dexter |
L’ispettore Morse. Volume II |
Sellerio |
22 |
4 |
9 |
Fernando Aramburu |
Patria |
Repubblica Mondo |
9,90 |
4 |
10 |
Leonardo Sciascia |
“Questo non è un
racconto” |
Adelphi |
13 |
4 |
11 |
Georges Simenon |
La testimonianza del chierichetto |
Repubblica Investigatori |
s.p.
|
4 |
12 |
Paul Auster |
Follie di Brooklyn |
Repubblica New York |
9,90 |
4 |
13 |
Luca Crovi |
Storia del giallo italiano |
Marsilio |
19 |
4 |
14 |
Gabriele Romagnoli |
Senza fine |
Feltrinelli |
11,50
|
4 |
15 |
Roberto Calasso |
Allucinazioni americane |
Adelphi |
14 |
4 |
16 |
‘Ala al-Aswani |
Sono corso verso il Nilo |
Repubblica Mondo |
9,90 |
4 |
17 |
Göran Tunström |
L’oratorio di Natale |
Corriere Boreali |
9,90 |
3,5 |
18 |
Thorkild Hansen |
Arabia Felix |
Corriere Boreali |
9,90
|
3,5 |
19 |
Peter Biskind |
A pranzo con Orson |
Adelphi |
13
|
3,5 |
20 |
Colum McCann |
Questo bacio vada al mondo intero |
Repubblica NewYork |
9,90 |
3,5 |
21 |
Kari Hotakainen |
Via della Trincea |
Corriere Boreali |
8,90 |
3,5 |
22 |
Eskhol Nevo |
La simmetria dei desideri |
Neri Pozza |
s.p.
|
3,5 |
23 |
Han Kang |
La vegetariana |
Repubblica Mondo |
9,90 |
3,5 |
24 |
Pınar Selek |
La casa sul Bosforo |
Repubblica Mondo |
9,90 |
3,5 |
25 |
Aharon Appelfeld |
L’immortale Bartfuss |
Guanda |
16
|
3,5 |
26 |
Emanuele Trevi |
Due vite |
Neri Pozza |
s.p. |
3,5 |
27 |
Levi Henriksen |
Norwegian Blues |
Corriere Boreali |
9,90
|
3,5 |
28 |
Paco Nadal |
Il viaggio perfetto |
Newton Compton |
s.p. |
3,5 |
29 |
Guillaume Musso |
Un appartamento a Parigi |
Repubblica Noir |
7,90 |
3,5 |
30 |
Massimo Bontempelli |
Gente nel tempo |
Utopia |
16
|
3,5 |
31 |
Shirin Ebadi |
La gabbia d’oro |
Repubblica Mondo |
9,90 |
3,5 |
32 |
Jean-Yves Ferri &
Didier Conrad |
Asterix e il Grifone |
Panini |
s.p. |
3,5 |
Il secondo elenco riguarda invece le letture del mese di ottobre, che sono state discrete in numero, ma poco significative in buoni suggerimenti. Molti voti bassi, nessun voto alto o più, tanto che il migliore è stato il libro comprato in Andalusia di Rosa Montero.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Edward St Aubyn |
Senza parole |
Repubblica Mondo |
9,90 |
2,5 |
2 |
Fulvio Ervas |
Pericolo giallo |
Repubblica Noir |
7,90 |
3 |
3 |
Manuela Costantini |
Le scelte
imperfette |
Mondadori |
5,90 |
2 |
4 |
Rosa Montero |
La ridícula idea
de no volver a verte |
Planeta |
7,95 |
3 |
5 |
Roberto Costantini |
Tu sei il male |
Feltrinelli |
13 |
2,5 |
6 |
Clive Cussler
& Boyd Morrison |
La vendetta
dell’imperatore |
TEA |
9,90 |
2 |
7 |
Guillermo Arriaga |
Il bufalo della
notte |
Repubblica Mondo |
9,90 |
2,5 |
8 |
Cecelia Ahern |
P.S. I love you |
RCS Media Group |
8,90 |
2 |
9 |
Alberto Odone |
La meccanica del delitto |
Mondadori |
6,50 |
1,5 |
10 |
Andrea Vitali |
Le belle Cece |
Corriere della
Sera |
7,90 |
2 |
11 |
Andrea Vitali |
La verità della
suora storta |
Corriere della
Sera |
7,90 |
1,5 |
12 |
Thomas Tryon |
L’altro |
Fazi |
16,50 |
1,5 |
13 |
Andrea Vitali |
Premiata Ditta
Sorelle Ficcadenti |
Corriere della
Sera |
7,90 |
1 |
14 |
Daniel Alarcon |
Radio città
perduta |
Repubblica Mondo |
9,90 |
3 |
15 |
Timur Vermes |
Lui è tornato |
Repubblica Mondo |
9,90 |
2,5 |
16 |
Francesco Recami |
La cassa
refrigerata – commedia nera n. 4 |
Sellerio |
13 |
1 |
17 |
Philipp Meyer |
Ruggine americana |
Repubblica Mondo |
9,90 |
2 |
Ma
quest’anno devo recuperare anche molte letture accumulate in commenti e
riassunti più o meno articolati. Per cui, non solo ne riporto anche in questa
prima scrittura, ma passo dalle usuale quattro trame, alle cinque attuali,
magari fino a ristabilire un buon rapporto nella mia lettura-scrittura.
La
cinquina di questa settimana è tutta al femminile, ma anche qui senza troppa
gloria, se non per due scrittrici collaudate come Djuna Barnes e Yasmina Reza.
Djuna Barnes “I racconti di Lydia Steptoe”
Adelphi euro 5 (in realtà, scontato a 4,75 euro)
[A: 09/06/2021 – I: 10/06/2021 – T: 10/06/2021] - &&& +
[tit. or.: The Lydia Steptoe Stories; ling. or.: inglese; pagine: 45; anno 1922-2019]
Djuna Barnes non è che sia tra le scrittrici
più conosciute nel vasto panorama letteraria anglofono. Ringrazio quindi
Robinson di aver segnalato questo agilissimo libricino Adelphi che riunisce tre
cortissime storie scritte negli anni Venti dello scorso secolo (una per anno
dal ’22 al ’24), pubblicate su riviste come Vanity Fair e solo nel 2019 riunite
in un unico volume.
Inoltre,
tanto per far confusione, edite con lo pseudonimo di Lydia Steptoe (non sono
anglofilo, ma sembra che “steptoe” sia usato nello slang americano per indicare
una montagna isolata circondata da lava vulcanica; e di certo Djuna isolata si
è sempre sentita).
Djuna
ha avuto una vita intensa, soprattutto nei suoi primi quarant’anni. Tra l’altro
è vissuta palindromicamente (nata 1892, morta 1982). Prima dei trent’anni si
trasferisce a Parigi, dove, tra le due guerre, vive un’intensa vita mondana e
letteraria. Diventa amica dei maggiori personaggi del tempo, da James Joyce a
Peggy Guggenheim, di T.S. Elliott e di Gertrude Stein. Ha una lunga e
tormentata storia d’amore con Thelma Wood, una scultrice americana con cui
condivise otto anni di passione. Intesa sia come passione amorosa, sia passione
dolorosa, che Thelma la tradisce spesso e volentieri, mentre insieme poi
abusano di alcool e droghe. Tanto che Djuna dipingerà la loro storia nel suo
capolavoro “La foresta della notte”. Ma Thelma la presa male, passarono gli
anni Trenta in litigi. Poi ognuno per la sua strada, ma Djuna allo scoppiare
della Seconda Guerra mondiale, torna in America e fa vita ritirata.
In
questi scritti per i suoi trent’anni, si cimenta in tre brevi, insofferenti
diari che usano uno stile simile, con le storie che iniziano tra agosto e
settembre, storie che durano al massimo un paio di mesi, storie che usano da
sei a dodici voci di diario per concludersi. La terza di colpo, le prime due
con una penultima voce leggermente più lunga, al fine di dare un senso alla
storia.
Di
certo sembrano tre proiezioni di Djuna in differenti stati d’animo, anche se
tutti e tre portano appresso lo sforzo, la necessità di conoscersi, la voglia
di vedere un segno di felicità nel mondo cattivo e crudele, in fondo, sempre,
una volontà forte di essere amati.
Nel
primo, “Diario di una bambina pericolosa”, una quattordicenne vuole crescere,
vuole circuire l’amante della sorella, dice a sé stessa frasi del tipo: ““Sto
discutendo con me stessa se mi metterò nelle mani di qualche brav'uomo e
diventerò madre, o se diventerò lasciva”. La storia finisce male per lei, che
al posto dell’amante, trova ad aspettarla la madre, da cui fugge sospirando: “Ho
abbastanza cambiato idea. Scapperò e diventerò un ragazzo".
Nella
seconda, “Diario di un fanciullo”, che assiste al disgregarsi del suo mondo
familiare, che ammira incondizionatamente la madre, e che viene attirato nel
bosco, con profferte lussuriose da una pretesa cugina, che in realtà è l’amante
del padre. Come spesso laddove si mescolano i ruoli di scrittura e di sesso,
risulta forse il più debole.
Dove
invece nel terzo si inserisce in una piaga dolorosa della mentalità femminile.
Fin dal titolo: “La signora sta invecchiando. Diario di un’età pericolosa”.
Dove si torna a sentire la mano femminile della scrittura, attraverso la storia
di una vedova quarantenne che si innamora di un uomo più giovane, si sente
travolgere da una nuova giovinezza, che pensava di volere. Ma ne è spaventata,
e non sa se rimanere o andare. Se ne senta il grido di dolore, quando afferma: "Una
donna ha l'età che dimostra, un uomo quella che si sente". Se ne sente
l’impossibilità di un’uscita positiva nel finale.
Non
è una scrittrice che piaccia molto, anche perché i suoi scritti, relegati a
quasi ottanta anni fa, non hanno più avuto una grande diffusione. Di certo, pur
nella brevità di un genere che non amo, riesce a suscitare alcuni sentimenti
che a volte non escono in opere più lunghe. Certo anche che sono scritti
datati, che rasentano il secolo d’anzianità. Ma tra le pieghe dell’età e la
polvere di mobili e giardini decrepiti, si sente ancora la voglia di vivere di
questa forte personalità della prima metà del secolo scorso.
Comunque,
interessante (e da leggere in quindici minuiti).
Yasmina Reza “Il dio del massacro” Adelphi
euro 10
[A: 29/06/2021 – I: 29/06/2021 – T:
29/06/2021] &&&
[tit. or.: Le
Dieu du Carnage; ling. or.: francese; anno 2007]
Non capita spesso di avere una seconda
lettura, ma qui siamo caduti in un “buco nero”. Stavo aspettando che il
principe finisse i controlli oculari, che si pensava durassero un paio d’ore.
Alla terza, e senza notizie, cerco una libreria in zona Porta Pia, e da una ben
fornita Mondadori, ripesco questo testo, che mi incuriosì dieci anni fa, e che
mi è venuto l’uzzolo di rileggere.
E di confrontare le mie sensazioni. Non ho
più grandi voglie di fare l’originale e di leggere in lingua, né mi interessa
Polanski e la sua filmografia. Ma alcune cose vanno riprese e salvate.
Yasmina Reza (ovviamente un toro!) figlia di
un iraniano ed un’ungherese entrambi rifugiati a Parigi, è un bell’esempio (e
se hanno anche qui) di attrice, poi autrice, poi anche regista ed altro (forse
quasi tutto, ma non docente). E che tanti premi ha ottenuto in patria e
altrove.
Ma veniamo al testo (ed al contesto). È un
pezzo di teatro, di quelli che si svolgono in un solo ambiente, anche
scarnamente sceneggiato (una casa, forse dei divani). Lì sono riunite due
coppie di genitori. Riunite dall’occasione di una lite forte che hanno avuto i
loro rispettivi figli maschi sugli undici - dodici anni finita con Ferdinand, figlio
degli ospitati, che ha dato una bastonata in bocca al figlio degli ospitanti.
Questi, Michel e Veronique, sono una coppia che
si avvia al raggiungimento di una prima quasi agiata borghesia. Lui è un
rivenditore di articoli casalinghi, un po’ rozzo e rude. Lei si definisce
scrittrice (ha collaborato ad un libro sul Darfur) e si occupa di arte,
volontariato, eclettica e inconcludente. Gli altri, Alain e Annette, sono
invece pienamente borghesi e “puzzette”. Lui è avvocato e difende una grande
industria farmaceutica in una “class action” per dei medicinali per anziani con
innegabili effetti collaterali, e vive praticamente in simbiosi con il
cellulare, cui si attacca anche per tutta la discussione tra le coppie. Lei si
occupa di gestione patrimoniale, ma soprattutto del patrimonio del marito, e
deve fare la moglie – mamma 24 ore al giorno.
La trama, se si vuole, è linearmente banale.
Una specie di versione anni 2000 di “Chi ha paura di Virginia Woolf?” di Albee.
Qui ora ci sono i figli che li mancavano. E non ci sono tradimenti “palesi”. Ma
come non riconoscere l’escalation che da una pacifica (almeno all’apparenza)
discussione sulle malefatte (anche gravi, se vogliamo) dei figli, mette tutto
in discussione. Il rapporto interno tra le coppie. Le diverse personalità. Le
meschinità. Il razzismo. E chi più ne ha più ne metta.
Michael ha l’ansia del parvenu e le tipiche
incapacità di capire le situazioni (continuando a volte a raccontare
barzellette che nessuno capisce, di berlusconiana memoria). Veronique un po’ si
sente in colpa per un tal marito non “culturalmente” all’altezza, e di
conseguenza vorrebbe volare alto, in una casa dove appunto la cultura non
sembra essere compresa. Alain e Annette fanno specularmente lo stesso. Lui è
insopportabile con la sua presupponenza ed il suo cellulare (tanto che ci si
aspetta un applauso a scena aperta, quando Annette glielo butta nel vaso pieno
d’acqua). Lei è insicura, succube del marito, e di un ménage familiare tutto
sulle sue spalle.
E questa spirale monta, mostrando anche la
completa incapacità di tutti nel rapportarsi con i figli, nel cercare di
capirli, ne fanno solo un esempio in minore della vita che loro vivono,
giustificandone tutto, anche gli eccessi. Alla fine, come non trovare un
collegamento sul filo della musica. Lì, nella Virginia Woolf, si cantava dei
porcellini e del lupo cattivo (“Who’s afraid of the Big Bad Wolf?”). Qui siamo
a Parigi, ed allora si cita Paolo Conte e la sua “Vieni via con me” (Alain
chiama Chips la moglie, dal refrain “chips, chips, dudududu chi bum chi bum”).
E per tenere il passo, Michel chiama Darji la sua Veronique, abbreviazione di
Darjiling, regione indiana che ha visto il loro viaggio di nozze.
Certo la Reza è ben abile nel passare tra i
vari registri, nel salire e scendere, sempre usando un linguaggio molto piano,
molto accattivante. E ci fa vedere velocemente banalità e ipocrisie, che ben
rappresentano questi anni privi di etica (sia quelli della scrittura, nel 2007,
sia quelli di questi rilettura post-pandemica).
Un testo che andrebbe recitato alternandolo
ad un saggio di Baumann sulla moderna vita liquida. Che i nostri eroi ne sono i
campioni e gli epigoni. Si adattano al mondo moderno, senza criticarlo, senza
capirlo, cercando solo di rimanere a galla. Conclusione senza speranza, che non
un moto di ribellione si porta a compimento, ma tutto rientra, tutto svanisce
nel nulla della falsità. Rimane solo questo Dio del Massacro (o della
Carneficina, come sarebbe la traduzione più aderente all’originale) che,
contrastando solidarietà ed etica, rimane l’unico attore della vita dei
protagonisti.
Una bella foto ma un po’ deludente. Mi
aspettavo di meglio, anche se questa rilettura decennale ci fa vedere come
ancora siano immutate le storture della vita moderna. Che neanche questi mesi
di coprifuoco sono riusciti a raddrizzare.
“I
figli ci portano alla rovina … Ho … [un
amico] che sta per avere un figlio da una nuova ragazza. Gli ho detto, un
figlio alla nostra età, che follia! I dieci, quindici anni decenti che ci
restano prima del cancro o dell’infarto vuoi romperti le palle con un
marmocchio?” (67)
“Non si
confondono vittime e carnefici.” (85)
Imma Vitelli “La guerra di Nina” Longanesi
euro 16,90 (in realtà, scontato a 16,05 euro)
[A: 01/05/2021 – I: 02/07/2021 – T: 04/07/2021]
&&
+
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 304; anno:
2021]
Altra entrata estemporanea, dovuta ad una pressante
richiesta amicale, che poi troverò riportata nei ringraziamenti e nelle
virgole. Si legge velocemente, essendo scritta da una giornalista che sa di
sicuro usar bene la penna e la testa. Purtroppo, tuttavia, non è riuscita ad
entrare nel mio io profondo. Non mi ha scosso come poteva essere dato
l’argomento. C’è di certo orrore ed altro, ma mi ha ferito di più la “Piccola
guerra perfetta” di Elvira Dones (e vi rimando a cosa ne ho scritto). Pur se è
un teatro di guerra che ben conosco e che mi ha ferito leggere.
Imma Vitelli, giornalista dalla bella penna
(leggete i suoi reportage e concorderete con me), parte proprio dalle sue
personali esperienze di corrispondente di guerra, e ne scrive e ne traspone,
portandoci al centro di una guerra assurda e reale, nel pieno di quel 2013 in
cui bande di idee opposte cercano di coalizzarsi per provocare la caduta di
Bashar al Assad, dittatore siriano, seguendo le vicissitudini di Nina, reporter
italiana non ancora trentenne.
Nina faceva tirocinio presso giornali senza
avere uno sbocco reale alla propria vita. Decide di mollare tutto, e di
trasferirsi a Beirut, vicino alle zone più turbolenti del momento. Lì conosce
ed imbastisce una potente storia d’amore con Omar, un fotografo di guerra
siriano, con alcune luci ma anche tante ombre sulle spalle. L’amore è forte, coinvolgente,
totale, tanto che Nina, contro tutte le ragioni, convince Omar a tornare in
Siria, nella Aleppo della sua infanzia.
Omar usa la sua macchina fotografica come
un’arma per immortalare il dramma di un popolo alla ricerca della propria
libertà. Ma sarà anche coinvolto dalle vicende private che vengono da lontano,
e che non si sono ancora sanate, e probabilmente non si saneranno mai.
Nina, da parte sua, usa il suo tempo per
incontrare persone dalla vita intensa e dalla personalità potente. Incontra
Khaled, lottatore per la libertà e per i diritti civili, in guerra anche
personale con le forze governative che gli uccisero il fratello. Era una
manifestazione pacifica, ma l’esercito sparò ad altezza uomo. Incontra Amal,
donna laica ed indipendente, di sicuro non in linea con l’immagine che di una
donna vogliono dare le rigide direttive islamiche. Incontra Walid, che sogna di
diventare kamikaze, lui bambino di tredici anni, per vendicare l’assurda morte
del padre. ma soprattutto, il 16 agosto, tre giorni dopo essere entrata in
Siria, incontra una banda di cosiddetta guerriglieri, che rapiscono
“l’italiana”.
Si entra a questo punto anche in una diversa
dimensione di guerra, da un lato scoprendo le sofferenze del rapimento in zona
di guerra, dall’altra le contraddizioni di chi, pur non condividendone la
possibilità, deve assoggettarsi a veder pagato un riscatto dal governo italiano
per riacquistare la propria libertà. E sarà proprio nella prigionia (ben
descritta, tanto che ci si sente prigionieri con Nina) che scoprirà come dietro
agli ideali di cui si era parlato quando non c’erano costrizioni, i proclami di
tutti, del governo, degli oppositori, dell’Isis, ci sono anche altre cose. Ci
sono faide che vengono da lontano, ci sono vendette personali durissime.
Ci sarà una soluzione ad alcune situazioni,
ma la vicenda non potrà che imporre un prezzo molto alto a Nina, e soprattutto
al suo rapporto con Omar. Non vi dico altro, che ci saranno scoperte da fare, e
non tutte piacevoli.
La capacità della scrittrice è stata di far
convergere sul simbolo Nina molte donne, o meglio molte facce di una donna. Il
lavoro di reporter, la donna nella vita di ogni giorno, i ricordi d’infanzia,
l’amante appassionata, la moglie in potenza. Nina ha una forte empatia (la
stessa immagino di Imma), e noi con lei. Le bombe, gli spari, tutta la guerra
presente c’è ma non ha l’impatto che potrebbe, dovrebbe avere. E molti elementi
vengono risolti più emozionalmente che politicamente. Confezionando il tutto in
un prodotto interessante, ma con dei limiti. Anche se ne consiglio comunque la
lettura.
Un solo ultimo punto mi rimane oscuro. A
pagina 219 Nina parla dello Stock 84, definendolo “un liquore al cioccolato
molto buono”. Sarò anziano, ma per me lo Stock 84 è un brandy italiano, con una
gradazione non elevata, la cui unica nota di cioccolato è un profumo complesso
mescolato ad altri (le solite note di vaniglia, ad esempio). Ma forse Imma
pensava ad altri liquori. O era una licenza poetica?
Stefania Auci “L’inverno dei leoni” Nord
euro 20 (in realtà, scontato a 17 euro)
[A: 22/05/2021 – I: 07/07/2021 – T: 11/07/2021]
&&
e ½
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 679; anno:
2021]
Immaginavo che l’autrice avesse steso un panorama
completo della dinastia Florio, e, puntualmente, diviso in due volumi, ecco che
si completa l’opera. Che avrebbe potuto essere pubblicata (anche se con
evidenti problemi di marketing) come un unico volume in due tomi. Dal titolo,
magari, di “I leoni di Sicilia: dall’estate all’inverno” (come dire, ascesa e
caduta di una dinastia siciliana). Considerato come un tutto unico, possiamo
dire che seguiamo la famiglia Florio per circa due secoli, dal 1799 al 1950. Dalla
fuga dalla Calabria verso Palermo alla morte dell’ultimo Florio.
Questa seconda parte si raccorda alla prima
attraverso il cardine costituito dalla morte di Vincenzo Florio nel 1868. Dove
prende le redini della famiglia il figlio Ignazio e nasce il piccolo Ignazieddu,
il secondogenito di Ignazio. Ci vorrà bel tempo prima che Ignazio jr entri
compiutamente in azione. Ora è ancora il momento di Ignazio sr, è ancora il
momento dell’ascesa della casata, in termini economici e sociali. Anche se
molto si cresce sul vuoto, che Ignazio sr non sempre fonda le sue scelte su di
un retroterra economico solidale, come i suoi predecessori.
Intanto aumentano le attività: la flotta
navale, l’industria tessile, la produzione enologica del mitico Marsala Florio,
l’incremento della produzione del tonno nella bellissima Favignana. Un’ascesa
anche in campo nobiliare, che Ignazio sposa Giovanna D'Ondes Trigona, baronessa
palermitana. Con questo, Ignazio entra nei salotti del potere, tanto che nel
1883 verrà anche nominato senatore del Regno.
Ma come dice il proverbio, “chi troppo in
alto sale cade sovente…”. Infatti, cominciano a comparire crepe, debiti non
pagati, scelte sbagliate. Uno dei problemi, poi, presente ma sottaciuto, è che
sarebbe stato meglio affidare alcuni rami delle attività di casa Florio alle
donne. Che invece vengono relegate sempre in secondo piano, pur avendo capacità
migliori dei maschi.
Concludendo il proverbio con la sua giusta
rima (che spero vi ricordiate senza che ve la rammenti io), la parabola dei
Florio acquista una grande velocità in discesa alla morte di Ignazio sr nel
1891, e con la “presa del potere” di Ignazio jr. Che però non è ben preparato,
ed inoltre ha solo 23 anni.
La sua è la generazione che passa
dall’economia solida, al fascino del mito, alla bella époque, una generazione
che entrerà con tutte le scarpe nel vortice della bella vita. Cominciando dal
famoso matrimonio del rampollo con Francesca Jacona della Motta di San Giuliano,
la donna più bella d’Europa, come testimonia anche il bellissimo ritratto che
ne fece Giovanni Boldini, quello con la collana di 365 perle, una per ogni
giorno dell’anno. O una per ogni tradimento del marito, come dicevano le
malelingue. Francesca diventerà presto “donna Franca”, un’icona di fascino e di
stile, amica di Guglielmo II di Prussia, ammirata da Gabriele D’Annunzio.
È anche il tempo in cui Vincenzo, il fratello
di Ignazio, fa nascere, per celebrare il trionfo della modernità, la mitica
“Targa Florio”, una corsa automobilistica che andò in auge del 1906 agli Anni
Venti. Poi incidenti ed altro la porteranno in secondo piano, sino alla sua
definitiva soppressione negli anni Settanta. Ma il piccolo Ignazio non ha la
tempra del padre e del nonno. Benché non fosse un incapace, tanto che fondò
giornali, aprì teatri ed altro, non seppe mai circondarsi da buoni consiglieri.
Comica così l’ultima fase dell’Impero. I debiti avanzano, e la bancarotta
segnerà la fine definitiva.
Purtroppo, benché ben organizzata, e sicuramente
ben scritta, la saga dei Florio che ci racconta Stefania Auci alla fine risulta
nebulosa sui motivi del declino. Certo, vediamo le scelte, spesso sbagliate,
dell’ultimo dei Florio. Vediamo, anche se non sempre in chiaro, la politica che
si muove sulla Sicilia, con tutte le commistioni che ancora ne inquinano
l’aria. Ma non si affrontano i drammi finali, le scelte, queste sì politiche,
che nell’Italia degli Anni Venti portano non solo al fascismo, ma anche al
definitivo crollo dei Florio.
Quello che viene dopo è solo una fotografia
degli avvenimenti. Ma le foto senza didascalie non spiegano molto. L’autrice ha
cercato, con il suo talento letterario, di riempire i vuoti delle date senza
commento con la forza di essere riuscita a trasformare delle persone anche in
personaggi letterari, pur con tratti umani reali. Poteva riuscire meglio, peccato.
Tutto ciò abbassa leggermente il giudizio complessivo. Anche se rimane un
lavoro ben degno di essere letto. (E pare che se ne farà anche una serie TV…).
“È destino degli uomini essere felici e
non rendersi conto di esserlo.” (612)
Alina Adams “La
scelta di Nataša” Nord euro 18 (consigliato da Robinson)
[A: 06/04/2021 – I: 25/07/2021 – T: 27/07/2021]
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[tit. or.: Nesting Dolls; ling. or.: inglese; pagine: 426; anno 2020]
Altro consiglio di Robinson, decente ma non travolgente.
Un giorno forse capirò i criteri delle scelte dei suggeritori di Repubblica.
Per ora, constato solo che vanno su e giù. A volte trovano titoli interessanti.
Altri, come questo, passabile e non molto di più.
Intanto, comincerei dagli editor delle
Edizioni Nord, che cambiano il titolo, da uno che fa riferimento alle “matrioske”,
utilizzando il termine inglese di “bambole nidificate”, ad uno che fa eco ad
altri libri, ad altre situazioni, come a volerne fare un collegamento mentale.
Penso, ad esempio, a “La scelta di Sophie” di William Styron.
Poi abbiamo l’autrice, Alina, ucraina
immigrata negli States a sette anni, dove impara l’inglese seguendo la
televisione. TV dove inizia a lavorare come producer e writer (la più nota fu
“Così va il mondo”), per poi, ora più che quarantenne, dedicarsi alla scrittura
nel tentativo, anche, di ripercorrere, direttamente o meno, passi della propria
storia personale.
Che il libro, in effetti, ripercorre la
storia di alcune donne russe, in tre tappe fondamentali (anche se poi le donne
in realtà sono cinque). Tutte legate alla città di Odessa, sia la città della
famosa scalinata Potemkin, sia la moderna “Little Odessa”, quella di Brighton
Beach a New York, nel quartier di Brooklyn, confinante con la mitica “Coney Island”
di Lou Reed.
La storia inizia a Odessa in Ucraina, nel
1931. Dove seguiamo la diciassettenne Dvora Kaganovitch, detta Daria, brigare
per migliorare la sua posizione sociale, riuscendo, dopo uno strano
corteggiamento, a farsi sposare dal pianista, bello, ricco e famoso, Edward
Gordon. Siamo negli anni ’30, siamo nel clima del terrore staliniano, all’epoca
delle purghe. Il pianista è troppo in vista per non suscitare gelosie, così
basta una delazione e la famiglia Gordon, comprese le due figlie (una è Alina,
che poi ritroveremo), si ritrova in Siberia.
Questa forse è la parte migliore del libro.
Il viaggio in Siberia in treno (e non sulla Transiberiana, purtroppo, che
ancora ci aspetta), il freddo, gli stenti. Laggiù dove i deportati devono
lavorare per costruire la nuova Unione Sovietica. Il crollo di Edward, la morte
della sorella di Alina, ed infine, la scelta di Daria, che, per sopravvivere,
si unisce al caporione locale. Uomo brutale, ma con un cuore nel fondo, che
riuscirà a portarle in salvo. Una scelta, la prima, come molte altre che dovrà
fare la famiglia, sia Daria, che le altre discendenti.
La seconda parte è invece incentrata su
Nataša Crystal, quella del titolo italiano. Siamo tornati a Odessa, ma ora è il
1970. Nataša ha un’ottima mente scientifica, che le consentirebbe di seguire
con successo la facoltà di matematica cui vorrebbe iscriversi. Ma ai test di
ammissione le vengono poste domande cui non può rispondere, risultando
irrimediabilmente bocciata. Tutto ciò in quanto ebrea. La rabbia la porta alla
dissidenza aperta, rischiando di mettere in pericolo sé stessa e tutta la sua
famiglia.
Potrà salvarsi solo facendo anche lei una
scelta, quella di sposare Boris, cui non lo lega un briciolo d’affetto, ma che,
nel fondo, è una persona buona. Una persona che riuscirà, con tempo e
sotterfugi, a portare tutta la famiglia, nonne comprese, in America. Una
persona, come il caporione di Daria ed altri uomini che, per amore, accettano
anche di allevare figli che la donna che amano ha fatto con altri.
Il trittico si chiude a Brighton Beach, nella
“Little Odessa”, dove seguiamo la prima “american born” di questa famiglia
russa. Lei è Zoe, in inglese, ma in famiglia viene chiamata con il nome russo,
Zoya. Lei dovrà fare scelte di vita che non potranno che sganciarsi dallo
stereotipo che nel corso di novanta anni hanno seguito le donne della famiglia.
Dalla trisavola Daria, morta e sepolta in Ucraina, alla bisnonna Alisa, quella
sopravvissuta alla Siberia, di cui narrerò un punto cruciale, alla nonna
Nataša, la matematica, per finire con la madre Julia.
Dicevo di Alisa. È proprio lei che inizia il
libro pronunciando la mitica frase: “L’amore non è una patata” (evitiamo
stupidi doppi sensi). Poi Alisa ci spiega: “Perché quando l’amore va a male non
puoi buttarlo dalla finestra” - e la parola russa per finestra (okoška) fa rima
con kartoška che significa ‘patata’. Sembra un gioco di parole senza senso, ma
arrivate alla fine ed il senso verrà svelato.
Certo, il lavoro in televisione ha insegnato
ad Alina di non dimenticarsi dei personaggi, e così è in questo libro, dove
tutti, alla fine, hanno un ruolo, una storia, una possibile conclusione. Ma il
risvolto americano della storia stessa è fin troppo noto per non darci il
sospetto di un racconto un po’ sterile, un po’ a sé. Certo, con elementi che
non seguono sempre l’happy end che si vuole oltreoceano. Tuttavia, seppur
leggibile, alla fine è un po’ troppo alla ricerca di uno sdoganamento che non
c’è né, per ora, ci sarà. Una discreta lettura, un buon suggerimento di Robinson,
ma non certo una lettura al top.
“Le cose che vuoi non sempre arrivano nel
modo in cui tu le vuoi.” (291)
Poiché
ho usato poco i numeri, prima di lasciarvi, mi delizio con qualche equilibrismo
su questo anno. Siamo infatti nel 2022, che, diviso per la somma dei suoi
numeri (cioè 6) ci dà il bel 337. Che ha alcune particolarità: è un numero
primo, ma anche “omirp” (cioè è primo il
suo inverso 733), si scompone con una somma divertente (cioè 34 + 44).
Inoltre, il 337 è, nel calendario cinese, il 3033, che, diviso per 9, dà … 337.
Infine,
l’anno 337 cominciò di sabato, come quest’anno.
Chiudo
questa prima annuale con una citazione “personale” tratta dalle “Follie di
Brooklyn” di Paul Auster: “- Stai diventando un vero scrittore … - No, sono
soltanto un [uomo] … in pensione che non ha meglio da fare … Nessuno diventa
scrittore a sessant’anni.”.
Sperando di avervi sollevato il morale in questi giorni pandemici.
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