Alessia Gazzola “Arabesque” TEA euro 6,90
[A: 20/07/2018
– I: 04/08/2021 – T: 05/08/2021] &&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 349; anno: 2017]
Sull’onda del fortunato sceneggiato
televisivo, al ritmo di un libro ogni anno, siamo arrivati alla settima puntata
delle storie di Alice Allevi, medico legale. Alessia Gazzola aveva ben
cominciato, dieci anni fa, regalandoci un plot che teneva il passo di Kay
Scarpetta o di Temperance Brennan, pur condito con freschezza italiana. Come
tutti long serial, non sempre le puntate sono allo stesso livello, anche perché
l’autrice cade spesso nelle storie personali di Alice, mettendo a volte in
sottordine la trama gialla.
Pur ondivagando, comunque, la scrittura
risulta sempre fresca, e sempre curiosi i titoli dei capitoli, citazioni,
ricordi, o altro che danno spazio alla voglia di collegarli tra loro e con il
testo. Qui, la storia gialla sembra aver più peso che in precedenza, ma un peso
leggero che non attira tanto, e che, sapendone i contorni, è di facile
decifrazione.
Anche se il personale ha meno spazio,
tuttavia (e questo è un pregio) i personaggi evolvono. Alice (AA) sembra aver
più coraggio e il bel Claudio Conforti (CC) sembra essere meno sociopatico del
solito. Intanto c’è un cambio di passo nella vita lavorativa di AA. Alice,
finalmente, si è specializzata, ma non riesce a trovare spazi per la sua
professione. Il laboratorio dove è cresciuta, quello con a capo il “perfido” CC,
non pare sia incline a prenderla in pianta stabile, e non ci sono, al momento,
altre prospettive. Per questo Alice fa il concorso per il dottorato in
Istituto, e, come ci si può aspettare, non vince.
Intanto
riceve un primo incarico (magari con gli auspici dell’amico commissario
Calligaris). Quello di comprendere le cause della morte di Maddalena Vichi, una
maestra di danza ed ex étoile di ballo. Maddalena (inciso: finalmente
cominciamo a svariare sui nomi, una M, poi l’ex-marito di lei con la E, le due,
al tempo, giovani promesse della danza, con la G e con la V; peccato che torni
la A sia nella donna del fratello, Alessandra, nel vicino di casa, Alessio,
nella cugina della morta, Ada; penso sempre che la scrittrice dovrebbe meglio curare
la scelta dei nomi) apparentemente sembra morta per cause naturali, ma Alice è
brava nel suo mestiere, e trova incongruenze sul vestito indossato dalla morta
e sulla posizione del corpo, quasi che ci sia stata una spinta, un ingombro
dovuto al vestito, ed una caduta mal attutita.
Perseguendo
vie traverse, i nostri indagatori sembrano poter (e dover) collegare questa
morte a quella, avvenuta dieci anni prima, di una giovane ballerina, Ginevra,
allieva di Maddalena. Ginevra che risulterebbe essersi buttata da un piano alto
della sua casa: suicidio o abile omicidio? Il problema morale di Alice nel
rifare la strada della precedente autopsia è che questa è firmata … dal nostro
“so-tutto-io” Claudi Conforti, e che non era stata accurata.
Si
scoprono gli altarini della corsa al successo delle aspiranti stelle della
danza. Le brillanti promesse erano Ginevra e Veronica, la seconda fidanzata con
Emmanuel, l’ex marito di Maddalena. Ma Ginevra era stata scelta, mandando fuori
di testa Emmanuel che prima la uccide, poi la getta dalla finestra. Maddalena
aveva subodorato tutto, ma solo ora ne aveva prove concrete. Avendo un corpo
fragile ed una colluttazione avrebbe (ha) portato ad una morte di non facile
analisi autoptica.
Ovvio
che non è tutto semplice, che oltre a Emmanuel, c’è l’atteggiamento losco del
Pubblico Ministero. C’è la presenza di un amico d’infanzia di Maddalena, figlio
di un ex-socio del padre di lei e da questi rovinato. C’è Ada, la cugina di
Maddalena, da sempre gelosa del ruolo d’étoile della cugina. C’è Franz, il
losco ed attuale amante di Maddalena, che sembra mirare più alle die lei
fortune, che alla di lei bellezza. Alice riuscirà a dribblare i falsi indizi, e
con l’aiuto di Calligaris, si potrà arrivare alla conclusione del giallo.
Ma le
storie della nostra Alessia sono sempre piene anche di “effetti collaterali”.
C’è la storia tra il fratello di Alice ed Alessandra: si lasciano o tornano
insieme? C’è la comparsata dell’ex di Alice, Arthur che si ripresenta con
fidanzata araba incinta. C’è, purtroppo, l’assenza di nonna Amelia che si sta
rimettendo dall’ictus del libro precedente. Ma soprattutto c’è la storia tra AA
e CC. Finalmente sembrano convergere, lui fa regali e promesse. Poi, per quel
referto sballato, si lasciano bruscamente. Poi … ci sono premesse che vedremo
meglio concretizzarsi al prossimo libro. O almeno credo.
Intanto
so per certo che in futuro, Alessia Gazzola, proverà anche a staccarsi da
Alice. Vedremo.
Leonardo
Gori & Divier Nelli “Il lungo inganno” TEA euro 12 (in realtà, scontato a 6
euro)
[A: 10/10/2018
– I: 26/09/2021 – T: 28/09/2021] &&
--
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 215; anno: 2009]
Due
toscani, anzi due viareggini, che uniscono le loro forze per confezionare un
giallo interessante, a tratti che incuriosisce, ma che non mantiene le
premesse. Si sfalda, e si ricompone in una ricostruzione da rompicapo che sta
già tutta presente nelle premesse.
Non
conosco Nelli, ma Gori mi è ben presente, anche se non sono ancora riuscito ad
entrare nelle avventure del commissario Arcieri. Per molta mia colpa, che
pensavo sempre di averne letto, quindi non lo compro. Poi mi accorgo che invece
no, ed allora forse, in futuro, chissà. Tra l’altro, Gori mi era ben noto per
la sua continua presenza nel campo fumettistico, in special modo nel mondo
disneyano made in Italy.
Ma
veniamo a questo bene o male thriller, visto che esce nell’esimia collana “Tea
Mistery”. Un mistero tripartito, visto che seguiamo tre storie, ben scandite
nel tempo, sebbene tutte toscane. La prima si dipana nella Firenze degli anni
Venti, tra sovversivi di sinistra e fascisti tesi alla conquista del potere,
dove cominciamo a seguire le traversie dello ignavo studente Valentino
Poggiolini. La seconda ha il suo apice a Viareggio, nel 1977, dove, durante un
comizio, viene ucciso con un colpo di fucile il senatore comunista Franco
Battaglia. La terza, sempre a Viareggio, ma nel 2008, dove seguiamo le
peripezie dello spiantato Luca Galli, cui la nonna morente ha confidato un
segreto, che lui ipotizza, riuscendone a dimostrare la veridicità, di poter
lucrare e mettere in paro i suoi malmessi conti.
Seguiamo
prima Luca, con i suoi casini, ma che trova un bandolo per le parole della nonna:
parlare con il vecchio maresciallo Sciabola, che qualcosa sa. Il vecchio è
quasi alla fine, ma stimolato da Luca comincia, a modo suo, a modo degli
anziani, a ricordare, ed a raccontare la storia delle sue indagini sulla morte
di Battaglia.
Si
torna così agli anni di piombo, ai complotti, ai Servizi deviati, ai
sovversivi. Siamo ad un anno dal sequestro Moro, ma sappiamo tutti cosa stesse
succedendo in quegli anni. Sciabola ricorda, e tira fuori la storia di come gli
sia tolta ben presto l’indagine, come sia stata messa a tacere. Ma Sciabola non
si metta da parte, e continua, solitario, a cercare. Perché Battaglia, pur con
tutte le sue posizioni pubbliche, pare sia sorto dal nulla solo nel Dopoguerra.
E prima? Chi era? Che storia ha alle spalle? Tra l’altro dovremmo anche capire
a cosa porta l’indagine di Luca. Che cosa gli ha detto la nonna?
Con
il tipico piglio di altre scritture di Gori, andiamo poi spesso negli anni
Venti, a seguire il Poggiolini. Socialista, fermato dalla polizia di Stato,
messo in difficoltà palese, anche perché ha una relazione, nascosta ma
scopribile, con un altro ragazzo. Cosa di più ricattabile di un gay durante il
fascismo?
I tre
personaggi, quando sono immersi nelle trame a loto coeve, sono ben delineati.
Vediamo l’ansia di Luca che non sa come sbarcare il lunario. Vediamo il
progressivo avvicinarsi alla fine del maresciallo Sciabola. Vediamo entrare nel
tunnel oscuro della delazione di Poggiolini.
Se
ragioniamo sugli eventi narrati, ben presto si scopre quale possa essere il lungo
inganno cui fanno riferimento gli autori. Poche sorprese arriveranno alla fine.
Forse qualcosa, di cui non vi dico e che tuttavia è forse a margine di tutto. O
forse no?
Quindi,
una storia che ha discrete velleità, ma che si scontra con un filo di trama
forse troppo esile. Cosa si può dire di nuovo o di diverso, di un periodo di
certo iniziato nella Prima Guerra mondiale, e che poi si è dipanato durante il
fascismo, durante l’era democristiana, per arrivare sino a noi? Forse ben poco,
e certo non troviamo qui nuovi spunti.
Un
thriller poco thriller, poco noir, quasi a voler ripresentare cose note in
forme altre, senza purtroppo riuscirci. Certo, e qui sorgono i libri di
commento, la scrittura è ben organizzata, come, ripeto, ben delineati sono
tratti e atteggiamenti (volontari o meno) dei personaggi. Purtroppo, alla fine
si rimane un po’ delusi dalla poca consistenza dello scioglimento del mistero.
E da alcune non finite storie, di cui si intuisce ma non si esplicita, il
possibile finale.
Ma
questo fa parte della vita. E di una letteratura che apre uno spiraglio sulla
vita, ma che non sa, non riesce, a mostrarcela a tutto tondo (anche senza
dirlo, ma facendolo capire). Qui non succede. Così lasciamo i nostri autori
alle loro altre prove, pensando poi di ritrovare altrove Gori ed il suo
commissario.
Emilio
Martini “Invito a Capri con delitto” TEA euro 9 (in realtà, scontato a 4,50
euro)
[A: 10/10/2018
– I: 09/11/2021 – T: 10/11/2021] &&&
-
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 222; anno: 2017]
Torno dopo un paio d’anni alla lettura dei gialli
abbastanza ben congeniati, scritti dalle sorelle Elena e Michela Martignoni,
sotto lo pseudonimo di Emilio Martini (usando la E e la M delle iniziali).
Questo è il sesto romanzo della serie, che si sta evolvendo ed involvendo in
maniera uguale e contrapposta.
La scrittura rimane gradevole, la trama
scorre lineare, il giallo ha una sua consistenza. In negativo, il protagonista,
il commissario Gigi Berté, sembra incartarsi su sé stesso, non nella sfera
pubblica, ma nella sfera privata. Lo aveva lasciato che, dopo una lunga
permanenza presso la pensione Aurora tenuta dalla bella Marzia, visto che con
lei è nato un forte sentimento, decide di trovarsi finalmente una casa, nella
speranza di una possibile, futura (ma non tanto) convivenza. Qui, per lasciare
un po’ in sospeso questa parte di trama, il nostro lavora in trasferta, così
che può rimandare di tener fronte alle decisioni (ancora ignote) di Marzia.
Ma questo rimane un motivo di fondo, con una
piccola deriva di attenzione alla sua ex-fidanzata, che sta per convolare a
nozze con un tipo di non chiara provenienza. Ma che soprattutto pare sia
incinta. Vogliamo entrare nei rapporti passati di Berté? Nella sua mancanza di
empatia verso possibili nascite, in particolare se provenienti dai suoi lombi?
Vogliamo chiedergli perché, invece di comunicare attraverso pur bellissimi
haiku, non si decide a parlar chiaro con Marzia? Vogliamo scommettere che se
andranno a viver insieme (cosa probabile) ci sarà in ogni caso qualche scoglio
da sormontare? No, questo lo lasciamo all’astuto lettore.
Noi ci concentriamo sul giallo e sul
“gialletto”. Che, al solito, mentre affronta un problema, per liberarsi la
mente, usa la scrittura e produce un raccontino giallo di una sua dignità. Così
che abbiamo due storie al prezzo di una. Il raccontino è abbastanza lineare e
discretamente fatto. Una storia di rapporti tra due persone anziane, con l’inspiegabile
morte della donna (arcigna e rompiscatole), in una spiaggia affollata. Ed un
colpevole annunciato ma salvato da trenta testimonianze favorevoli. Carino, da
sufficienza piena.
Il giallo principale, invece, si svolge, come
dice il titolo, a Capri. Dove Bertè raggiunge il professor Sorrentino, anziano
amico di famiglia. Professore di cultura classica, che sa tutto (o quasi) della
storia dell’isola, in particolare delle sue lontane radici romane. I tempi
dell’imperatore Tiberio, delle ville romane, dei banchetti, del culto di Cibele
e Attis (culto interessante, che vi invito a ricercare per la sua complessità,
anche se poi, banalmente, si concludeva con tanto sesso, ed anche molto
thanatos).
Il professore racconta il suo amore di
quarant’anni prima verso la misteriosa Diana, sfortunatamente sposata con il
suo antagonista Caio, un gaudente dedito, con una cerchia di amici, a
ripercorrere i miti e i fasti di Cibele. Al momento di concludere con Diana,
questa gli manda un laconico biglietto d’addio. E poi tutti, Caio, Diana e gli
altri scompaiono. Tutto torna alla luce con il rinvenimento di un biglietto di
Diana, in cui lei accusava Caio di aver ucciso un attore e di temere per la
propria vita.
Qui entra in gioco Bertè ed il suo acume di
poliziotto. Legge, va in giro con il professore, ritrovano alcune delle persone
di un tempo, che, per strani legami, dopo anni di lontananza, tornano a Capri.
Chi per villeggiature, chi per stabilirsi. Il mistero si infittisce quando
prima si trova traccia della denuncia della scomparsa di un attore proprio in
quei tempi lontani. Poi non si ritrova alcuna traccia di Diana. Infine, c’è una
strana morte di un anziano custode.
Bertè, nelle more della scrittura del suo
raccontino, aiutato anche da alcune dritte di amici poliziotti, imbastisce una
possibile teoria, che coinvolge i presenti e gli assenti. Plausibile, tanto che
convince la polizia ed i possibili sospetti ad una seduta direi “alla Maigret”.
Ma la teoria sarebbe troppo semplice, ed alla fine si arriva alla verità (anche
se la verità non è mai univoca, secondo i filosofi). Fatto sta che si trova una
spiegazione a tutto, con buona pace dei presenti. E con tracce indelebili di rimpianti.
Devo dire che questo finale mi è sembrato la
cosa migliore, che dà un tono maggiore a tutto il romanzo. Altro punto a
favore, è Capri, e le gite turistiche e gastronomiche cui ci accompagna per
l’isola il professor Sorrentino. Un’isola comunque magica, con tanto da vedere,
soprattutto quando non è affollata dal turismo sguaiato attuale. Un buon libro
per riposare la mente.
“Non si possono tenere sotto controllo tutte
le persone conosciute nella vita.” (56)
“Il dubbio non è piacevole, ma la certezza è
ridicola. Solo gli imbecilli sono sicuri di ciò che dicono. (pare da Voltaire
in una citazione riportata in un libro di Montanelli)” (128)
Emanuele
Bissattini “Quinto: non uccidere” Round Robin euro 16
[A: 05/07/2021
– I: 14/11/2021 – T: 15/11/2021] &&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 400; anno: 2021]
Come
ci si aspettava, eccoci al terzo, definitivo capitolo della saga di Ettore
Gatto e di Sigmund il Tedesco. Con la solita, buona scrittura, a volte anche
troppo forte (ma forte dove serve). Il solo punto negativo è, stranamente, l’intrinseca
serialità del romanzo. Ha sì una sua valenza “a prescindere”, come direbbe
Totò, ma ha un valore maggiore se si sono letti i primi due romanzi. Così, io
capisco e seguo molti punti che ai pochi sfortunati lettori che hanno lisciato
“Glock 17” e “47”, qualcosa rimane oscuro.
Perché
i comportamenti di Ettore e Sigmund sono capibili e condivisibili solo avendo
seguito il loro percorso, altrimenti ci sono cose che sfuggono. Anche se Bissa
è abbastanza attento da inserire qualche “spiegone” che ci aggiorna sui due, e
sul mondo di mezzo in cui vivono. Anche altri personaggi sarebbero poi
comprensibili fino ad un certo punto. Come Santina, che ci rimanda a Teresa, ma
non vi dico di più. Come Lucilla, che ci ricordavamo in coma (o quasi).
Fatti
salvi allor tutti i rimandi possibili, possiamo (anche) immaginare la storia
come un “a sé”, che seguiamo senza pensare altro che al presente. Ed il
presente è crudo, ma ben delineato, con un andamento a ritroso, che ad ogni
passo avanti ci fa scoprire cose che stanno dietro, che sono avvenute e di cui
noi non si sapeva nulla. Mi viene sempre in mente “Il senso della fine” di
Julian Barnes.
Ci
sono gli zingari (e le loro coorti) che gestiscono la malavita romana. Con
alcune propaggini, come Goran, un gipsy che viene allontanato dalla corte di
“Orecchie” Ionescu, il capo indiscusso, perché ha fatto uno sgarbo ad un
parente del capo, Pope detto il Topo. Così Goran viene messo a gestire un
albergo, direi “dei sette peccati”, dove il vizio viene pagato con
informazioni. Che sono di gran lunga una merce appetita e rivendibile.
In
questo meccanismo finisce Leonardo, che ambirebbe ad essere protagonista di
“snuff movie” (spero che li conosciate, di nome ovvio). Finendo però con
eccedere ed uccidere. Vorrebbe fare così anche con Sole, ma la ragazza ha qualche
vita in più e qualche santo in Paradiso. Così che è lei che uccide Leonardo e
scappa.
Qui
interviene la figura di Ettore, che viene ingaggiato dalla moglie di Leonardo
affinché ritrovi Sole prima di Goran. Che è lei che la vuole uccidere. La
dirittura etica di Ettore e di Sigmund consente un accordo sul ritrovamento di
Sole. Ma i conti verranno saldati solo se si capiscono tutti i motivi degli
accadimenti.
Inizia
così un lungo e tortuoso percorso, che coinvolge “Trenta denari” un quasi
zingaro scoppiato che si fa ingannare da tutti, perdendo sé stesso e sole,
Cola, uno zingaro atipico, riflessivo, che di sicuro nasconde un mistero,
laddove molte porte gli sono aperte senza che se ne capisca (per un po’) il
motivo. Entrano personaggi laterali come Fulvio, guidatore di autobus e pugile
a tempo perso, ma di sicuro con cuore e testa. Come Mauro lo sbirro, con cui
Ettore e Sigmund stipuleranno un patto con tutto il collo storto dei due, ma
che andrà a vantaggio di tutti (o almeno di tutti i buoni). Come Massimone il
gestore della palestra e gran conoscitore di pugili e pugni. Come Giorgio, lo
scagnozzo di Goran, che si ribella al capo per una sua personale visione della
giustizia. Ci sono tutti gli affari di Goran, la sua ricerca spasmodica della
ragazza scomparsa. Insomma, tanto c’è.
Ci
sarebbe anche da seguire il percorso interiore ed esteriore di Ettore, e le
vicende di Sigmund, ma non mi va di dirne di più, meglio per voi leggerne e
farvene un’idea personale. Io ne capisco i modi, anche se non sempre ne condivido
le modalità. Forse è un mio personale problema con la violenza, che non rientra
in queste righe. Basta solo menzionare l’ultimo capitolo che, seppur sembra
mettere dei punti fermi alle vicende, lascia aperti spiragli per altro. ma
questo lo vedremo nei nostri futuri.
Mi
fermo solo con alcuni appunti. Il primo, è una domanda filologica. Chi mai
direbbe “li mortacci de te”, invece di “mortacci tua”? domanda di pagina 98. I
secondi sono golosi. L’accenno che riporto tra le citazioni dei bomboloni
ostiensi. Ed i cappuccini di Fabrica a via Savonarola, locale che frequento
dalla sua apertura e dalle chiacchierate cinesi con la bella Cecilia. Ma
chiederei a Bissa di ricordarsi anche le colazioni della Fiorentina.
Non
so se usciranno altri libri con Ettore, ma chiederei comunque ad Emanuele, in
amicizia, di continuare ad usare numeri primi nel titolo (anche se questo è un
cardinale). È una consolazione, per noi poveri matematici. Chiuderei quindi,
con una falsa citazione da “Bandiera Bianca” di Franco Battiato: “Mister Bissattini
non ho voglia di scherzare / Rimettiamoci la maglia, i tempi stanno per
cambiare”.
“Tutti
ricordano l’ultima donna che hanno avuto.” (22)
“A
Ostia c’è il posto che fa cadere i krapfen dal dirigibile.” (147) [a Piazza
Sisto, buonissimi]
PS: a
fronte di discussioni con l’autore, e con altri esimi colleghi e amici, la
diatriba sui “mortacci” non si sopisce. Accetto, anche se non condivido il
sentire, l’esistenza di un “de te” al posto di “tua”. Rimando alfine ad una
discussione che ho trovato su Internet, dove si paragonava una stessa frase
pronunciata da un pariolino, da un testaccino e da un tuscolano, che riporto.
Dai
Parioli:
“Salve.
Volevo farti notà che hai la macchina parcheggiata in modo che non riesco a
entrà. Non l'hai fatto a posta, però levami er problema, dai, sennò non riesco
ad annà via. Mortacci tuoi.”
Da
Testaccio:
“Sarve.
Te volevo da farti notà che c'hai 'a maghina parcheggiata che m'arompi li
cojoni quanno che devo da entrà naa mia. Ce lo so che sei un bravo regazzo, ma
mi devi da levà dar cazzo 'sto bagajo de machina, che nun zo n'contorzionissa.
Li mortacci tua.”
Dal
Tuscolano:
“Li
mortacci de te, ma noo vedi che m'arompi er cazzo co 'sso cesso? Che nu riesco
a entrà? Levela va, che nun te pio a pizze poo sbattimento da entracce daa
marmitta. Possa piatte n'cancro ar culo tanto che ppe' cacà usi li zzeppi.”
Augusto
De Angelis “Sei donne e un libro” Mondadori euro 6,50
[A: 21/07/2019
– I: 02/01/2022 – T: 04/01/2022] &&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 219; anno: 1936]
Dopo
un congruo numero di anni, torno a leggere di quello che viene considerato uno
dei capostipiti del giallo italiano moderno. Sia perché pubblicò nell’allora
nata da pochi anni collana del Giallo Mondadori, sia per la figura del suo
personaggio principale, il commissario De Vincenzi. Un commissario che si
aggira intorno al crimine come osservatore attento e fine ragionatore, quasi
alla Sherlock Holmes, ma che è anche interessato al contesto, come il suo
coevo, in scrittura, Jules Maigret.
Del
commissario, rimanendo in tema di Simenon, ricordo anche la lodevole serie TV
mandata in onda dalla RAI nel 1974, con il personaggio interpretato da un
bravissimo Paolo Stoppa.
Questo
è il secondo libro che vede protagonista il commissario Carlo De Vincenzi,
laureato in Giurisprudenza, nato in Val d’Ossola intorno al 1892, che vive a
Milano, accudito dalla sua ex-balia Antonietta (echi del commissario
Ricciardi?). Colto, buon lettore, conosce anche l’inglese, insomma un personaggio
interessante, che usa molto la ricerca dei motivi più che degli indizi.
Siamo
nella primavera del 1926, pochi anni dopo la Marcia su Roma e l'ascesa al
potere da parte di Benito Mussolini (anche se tutto ciò ovviamente non viene
citato). L’intreccio nasce da un equivoco e da una telefonata. De Vincenzi
riceve un pacco contenente una camice medico insanguinato ed una telefonata di
una donna che chiede aiuto. Partono ricerche varie, e si scopre subito il
cadavere: Ugo Magni, un noto chirurgo ed ex-senatore viene trovato morto
assassinato nella bottega di un libraio.
Cercando
di collegare sopracitati indizi, l’indagine porta De Vincenzi ad indagare
nell’entourage del medico. Incontriamo così a poco a poco le sei donne del
titolo: la bella moglie del morto che, alla notizia della morte, sviene;
l’attraente infermiera americana del morto (ed il suo nuovo fidanzato, il
dottor Verga); la domestica di casa Magni, che sviene anche lei; la moglie del
dottor Marini, bella e piacente (con Marini sodale di Magni sin dai tempi del collegio);
la ragazza della telefonata, ex-fidanzata del dottor Verga ed ancora
innamorata; al fine, una medium, che Magni e Marini, nonché il libraio padrone
della libreria dove viene rinvenuto il cadavere sono presi da sedute
spiritiche.
Un
dato laterale: tutte le donne che incontriamo nel testo sono belle o quanto
meno piacenti. Non ci sono donne brutte in questa avventura intrisa di
erotismo. Elemento sottolineato dalla sparizione, nella libreria centro
dell’azione, di un libro erotico del 1531, intitolato “Zaffetta” falsamente
attribuito a Pietro Aretino, ma in realtà scritto da un suo amico e sodale, tal
Lorenzo Venier. Altro inciso: la Zaffetta deriva il nome da essere la figlia di
uno zaffo (gendarme veneto) ed è identificata con Angela Dal Moro, cortigiana
veneta, che posò per Tiziano.
Comunque,
scopriamo con l’andar del tempo (ed era già ovvio) che Magno è uno che le
sottane non se le lascia scappare. Tanto che, oltre alla moglie, aveva (o aveva
avuto) storie con l’infermiera, con la servetta, con la moglie di Marini.
Almeno queste sono le storie che si palesano. Che De Vincenzi studia con cura,
perché per lui trovare l’assassino significa ricostruire il mondo del morto, le
sue frequentazioni, le sue idee.
De
Angelis è un po’ troppo freudiano in questa parte, ma negli Anni Trenta la
psicologia era veramente di moda. In ogni caso, capisce che solo organizzando
una nuova seduta con tutti (e tutte) intorno ad un tavolo riuscirà a far uscire
alla luce gli elementi che gli mancano. E così sarà, anche se gli indizi già
puntavano in una precisa direzione.
Certo,
l’autore si diletta a girare intorno, a mascherare e smascherare, con un bel
piglio descrittivo, che stranamente risente poco degli anni trascorsi. Una
scrittura pulita, gradevole, a volte con pigli umoristici, e ricca di dialoghi,
dove l’autore eccelle.
Una
buona iniziativa, quella dei Gialli Mondadori, di riproporre alcune di queste
storie nella collana dei classici.
Dimenticavo:
il camice recapitato a De Vincenzi era casuale e del tutto estraneo alla
vicenda. Bel tocco d’ironia.
“Mi
piacciono i libri, per quanto non comprenda la mania di coloro che se ne
empiono la casa … Io li leggo e poi li getto via.” (116) [ma che sei Fako?]
Seconda
domenica di aprile, e penultimo inserto sulle cure con i libri (almeno fino a
che non se ne troveranno altri). Questa volta un succosissimo inserto sessuale.
Per le
citazioni storiche, questa volta avrei voluto sfidarvi con un Cormac McCarthy d’annata, che in “Figlio di
Dio” riporta una frase che io non
ho ancora capito, e che avrei chiesto volentieri delucidazioni a mia madre, se
ci fosse ancora. L’autore dice: “cammino fino in mezzo a macchie di
stramonio e solano…. In mezzo a tracce leggere lasciate da uccelli e
peromischi”. Se fosse in arabo ne capirei di più. Sfido i migliori anche ad
interpretarla, lasciando in appendice anche un piccolo lessico. Inoltre, penso
che il traduttore dall’americano non abbia avuto vita facile, in particolare
con i peromischi.
Speriamo allora che la Pasqua porti in tutte le case una colomba di pace, che io auguro veramente a tutti.
P.S.: Spiegone naturalistico:
Lo stramonio comune è una pianta a fiore altamente
velenosa a causa dell'elevata concentrazione di potenti alcaloidi, in
particolare la scopolamina, presenti in tutti i distretti della pianta e
soprattutto nei semi.
Il solano è un genere di piante a fiore,
comprendente circa 1400 specie, annuali o perenni, cespugliose, arbustive e
rampicanti. Molte di queste specie sono velenose ma altre producono frutti,
foglie o tuberi commestibili, come ad esempio la patata, il pomodoro e la
melanzana.
Il peromisco è un genere di roditori della
famiglia dei Cricetidi comunemente noti come topi cervini o topi dai piedi
bianchi.
CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i
“bugiardini” di Giovanni
APRILE 2022
Come detto il mese scorso continuiamo
con il recupero di cure passate. Questo mese parleremo di sesso e letteratura.
ORGASMI, NON
AVERE ABBASTANZA
Virginia Andrews “Fiori senza sole”
John Cleland “Fanny Hill: ricordi di una donna di
piacere”
D. H.
Lawrence “L'amante
di Lady Chatterley”
Thomas Pynchon “L'arcobaleno della gravità”
James Joyce “Ulisse”
Melvin Burgess “Il chiodo fisso”
Alina Reyes “Il macellaio”
Rebecca Miller “Le vite private di Pìppa Lee”
Nikki Gemmell “La sposa nuda”
Pauline Réage “Histoire d'O”
Leopold von
Sacher- Masoch “Venere in
pelliccia”
Alan Hollinghurst “La biblioteca
della piscina”
Edmund White “Un giovane americano”
Jean Genet “Nostra signora dei fiori”
Sarah Waters “Carezze di velluto”
È possibile averne abbastanza?
Vale la pena domandarselo. Una volta si pensava che avere troppi orgasmi
prosciugasse il ki, l’energia interna del corpo umano, e dunque
accorciasse la vita - oggi però gli esperti sembrano sostenere che più si viene
più si verrà, in tutti i sensi. Per qualcuno, tuttavia, l’incapacità di
raggiungere l’orgasmo con facilità - o di raggiungerlo e basta - può rovinare
un rapporto altrimenti felice. Nota come anorgasmia, è una condizione più
diffusa tra le donne che tra gli uomini, e anche se la scienza non è sicura
della causa ormai si tende a escludere l’effetto repressivo di una persistente
convinzione che il libero sfogo della sessualità femminile sia in qualche modo
«sbagliato» - un residuo dell’epoca vittoriana. Si consiglia, quindi, a coloro
che ne soffrono di moderare in maniera appropriata la loro dieta letteraria:
basta vittoriani che evitano il problema, o lo trattano con una serie di
eufemismi (senza fare nomi) . Scioglietevi, invece, con scrittori che scelgono
un approccio più esplicito.
Per molti adolescenti di oggi sono
i romanzi sui vampiri con i loro cupi desideri insoddisfatti che portano dei
giovani appena sviluppati ai loro primi orgasmi letterari. I prigionieri
incestuosi della serie “Fiori senza sole” di Virginia Andrews continuano ad
attrarre i lettori, mentre Ellen Hopkins e altri propongono incontri sessuali
più espliciti. Gli adulti godono, in letteratura, in così tanti modi diversi
che è difficile resistere alla tentazione di inserire un elenco lungo e
variegato - ci sono romanzi che suggeriscono vari modi per raggiungere
l’orgasmo e altri che sono così convincenti dal punto di vista erotico che a
volte non serve nient’altro che il testo, sul quale si può riflettere a
piacere. Ci limiteremo solo a qualche esempio. “Fanny Hill”, romanzo di John
Cleland pubblicato nel 1748 - generalmente considerato il primo romanzo
pornografico in lingua inglese - vi sorprenderà con le sue giovani prostitute
che si dedicano alla masturbazione reciproca, discutono di misure del pene e
abbuffate di sesso che durano diversi giorni per volta. Nel XX secolo è stato
“L’amante di Lady Chatterley” ad aprire la strada - per chi riusciva a
procurarsene una copia - con una sensualità terrena e sfacciata, e riferimenti
palesi ai genitali maschili e femminili, che non toccavano le pagine di un
romanzo da un secolo. Quando negli anni Sessanta “Lady Chatterley” fu
finalmente disponibile per il grande pubblico, gli steccati furono abbattuti e
molti diedero il proprio contributo. “L’arcobaleno della gravità” di Thomas
Pynchon mostra una vera orgia a bordo della Anubis - una scena tanto erotica
quanto bizzarra, con l’ambientazione nautica che la rende ancora più spassosa.
Una sculacciata pubblica fa sì che tutte le persone a bordo raggiungano
l’orgasmo contemporaneamente. Le fantasie masturbatorie di Bloom in “Ulisse”
possono funzionare per i ragazzi, mentre Molly che ricorda come il suo
pomeriggio di sesso con Boylan le fece sentire «il fuoco dentro» può fare lo
stesso per le ragazze. Ne “Il chiodo fisso” di Melvin Burgess abbiamo la
possibilità di rivivere i primi, maldestri approcci sessuali degli adolescenti,
mentre “Il macellaio” di Alina Reyes racconta di un’estate che una ragazza
adolescente trascorre a lavorare in una macelleria, dove impara a conoscere la
carne, e non parliamo solo delle frattaglie. (Chissà perché c’è questo legame
tra i macellai c le scene di sesso? Anche Kate Grenville non riesce a resistere
a questo richiamo delle sirene in “The Idea of Perfection”, con i suoi vari
amplessi, sudati e col grembiule da macellaio). L’eroina de “Le vite private di
Pippa Lee” di Rebecca Miller raggiunge precocemente l’orgasmo da adolescente,
nuotando a rana, e ne “La sposa nuda” di Nikki Gemmell, pubblicato anonimo, la
protagonista si prende una pausa dal suo recente matrimonio per conoscere la prostituta
e dominatrice che sente di avere dentro di sé. “Histoire d'O” di Pauline Réage
è una fantasia sado-maso su una schiava del sesso che rimanda al capostipite di
questo genere, “Venere in pelliccia”, pubblicato nel XIX secolo; per questi due
ultimi titoli, tenete pronto il frustino. Nel frattempo, la letteratura gay e
lesbica ha recuperato il tempo perduto in anni di repressione con sfrenato
entusiasmo: “La biblioteca della piscina” di Alan Hollinghurst è una ricca
fonte di letteratura erotica gay - dove le erezioni brandite con orgoglio sono
all’ordine del giorno. L’omosessualità emergente è al centro di “Un giovane
americano” di Edmund White, un inno al giovane amore gay, mentre un rapporto
più doloroso tra due uomini si associa a metafore floreali in “Nostra signora
dei fiori” di Jean Genet. Le ragazze possono aggiungere un dramma in costume al
loro repertorio con “Carezze di velluto” di Sarah Waters, regina della
letteratura erotica lesbica. Chi soffre di anorgasmia, situazionale o completa,
dovrebbe tenere questi romanzi vicino al letto e seguirne i consigli da solo o
con un amico (o con un’amica).
Bugiardino
Dei
libri orgasmatici proposti, non è che abbia un grande passato di letture. A parte
le letture giovanili di Ulisse, e quelle adolescenziali di Thomas Pynchon e di
Pauline Réage, abbiamo poco dei rimanenti. Rimangono infatti solo Lawrence, di
cui ho parlato una decina di anni fa e che riporto per completezza di informazioni,
ed il libro gay di Hollinghurst, di cui invece riporto per la prima volta la
trama.
David Herbert Lawrence “L'amante di Lady
Chatterley” Repubblica Novecento euro 4,90
[pubblicato il 31 luglio 2011]
Un classicissimo finalmente letto
tutto. Molto datato in alcuni punti. Ma alla fine si legge e dà alcuni spunti.
Anzi, andrebbe comunque letto. Infatti, se da una parte è un libro polemico contro
l’aristocrazia inglese ed il suo vuoto mondo di privilegi che stanno finendo
(ma non risparmia nessuno, certo non i minatori e la classe lavoratrice in
genere, ma su questo ci si ritorna), dall’altro alcune pagine “di sesso” sono
poetiche e delicate.
Ma come, direte, un libro che veniva
censurato per la sua volgarità ed il suo esplicito parlare? Prima di tutto,
sono passati novanta anni, e ben altro esplicito parlare abbiamo dovuto
sorbire. Lawrence anzi è poetico con le sue infuocate scene di sesso, per poi
scivolare nel climax delle chiacchiere intorno a John Thomas e Lady Jane (che
non sono il nome dei due protagonisti, che si chiamano Oliver e Constance, ma
…).
Secondo poi, veniva censurato con
la scusa del sesso, ma perché era un libro che metteva in crisi i rapporti tra
le classi sociali. Come (!), una Lady che si innamora di un guardiacaccia, e
per questo amore sfida il mondo immoto della caccia alla volpe e del tè delle
cinque! Questo sì che non si doveva vedere. Anche perché le prime 100 pagine
sono quelle che con più forza attaccano il mondo dei lord. Una per tutte, la
scena degli aristocratici che parlano a ruota libera durante un dopo cena,
anche di funzioni corporali, ma quando Connie interviene hanno un modo di
fastidio, che mi ricorda tanto le scene nordafricane con il maschilista che rivolgendosi
all’unica donna che sapeva parlare inglese (e che gli teneva testa) l’apostrofa
con uno “Shut up, woman!”. Stessa sensibilità ad un secolo di distanza.
Certo, Lawrence non è cattivo
fino in fondo, che Oliver comunque ha fatto il soldato, sa parlare bene inglese,
in un certo senso “conosce le buone maniere”. Non è soltanto un “buzzurro con
il sesso caliente”. In questo contesto, un po’ cadenti tutte le lunghe pagine
dedicate alle miniere, al carbone, allo sviluppo industriale, ed altro
“politichese”, che, queste sì, hanno fatto il loro tempo e sono datate. Ma
anche l’altro versante ha il suo interesse, i tormenti di Oliver verso l’altro
sesso (e le sue pippe mentali, diciamocelo pure), la progressiva emancipazione
di Constance (che intanto, benché Lady, aveva già avuto esperienze sessuali
prima della Grande Guerra, ed anche questo faceva scandalo), ed i due
contraltari: la finta liberale sorella Hilda, che non accetta il liberarsi
della sorella, e la signora Bolton, che non vede l’ora che Constance se ne vada
per trovare un suo spazio ancillo-infermiero-erotico presso il povero Clifford,
paralizzato dalla vita in giù.
E comunque ci vuole del coraggio
a sostenere nel 1928 che anche la donna deve provare piacere nell’atto sessuale.
E che quando si fa sesso, lo si fa in due ed entrambi devono partecipare,
godere, comunicare. Un passo enorme all’epoca. Quindi un buon libro, con
qualche punto in più per l’inquadratura storica (e quanto di auto-vissuto c’è
in tutto ciò scritto dal figlio di un minatore che sposa una baronessa…), e
qualche punto in meno che (e qui ritorna un altro mio pallino) Lawrence in ogni
caso maschio è, e se partecipa e riesce a render vivi i problemi di Oliver
verso l’altro sesso, meno mi convince quando cerca di spiegare il sentire di
Constance (forse solo sulla dolcezza che in ogni caso deve esserci tra due
amanti coglie un segno comune). E gli ultimi segni negativi, perché non dico
dipinga un lieto fine, ma ha verso la fine un atteggiamento un po’ conciliatorio,
lasciando molte cose in sospeso così che ognuno scriverà il seguito della
storia, da dove lui ci lascia, secondo le proprie visioni pessimiste o
ottimiste.
Due annotazioni finali: l’ottimo
editor, che ha giustamente messo le note con le poesie inglesi citate da
Lawrence, perché ha lasciato non indicato a pag.204 l’esplicita citazione di
Walt Whitman? E poi, la parte più sanguigna ma anche più tenera dell’amore tra
Oliver e Connie è scritta in dialetto, e la sua traduzione in italiano risulta
quanto mai “fuorviante”. Ma si sa, con Eco, tradurre è tradire…
“Una donna vuole che tu l’apprezzi e che tu le parli … e, allo stesso
tempo, che tu la ami e che tu la desideri… mi sembra che le due cose si
escludano a vicenda.” (63)
“Se la civiltà vuol farci del bene, deve aiutarci a dimenticare i nostri
corpi, e allora il tempo scorrerà piacevolmente.” (84)
“La solitudine andava accettata. Bisognava conviverci …e i momenti in
cui il vuoto si colmava erano da apprezzare. Ma non li si poteva forzare.”
(161)
“- Non potresti vivere senza lavorare? – Io? Forse sì, se intendi
vivere solo della mia pensione. Sì, forse sì. Ma io devo lavorare, se no muoio.
Voglio dire, ho bisogno di avere qualcosa che mi tenga occupato. E non ho il
carattere giusto per un’occupazione in proprio. Deve essere un lavoro che
svolgo per qualcun altro, se no, in un momento di rabbia, poteri mandare tutto
all’aria nel giro di un mese.” (186)
“Quello che non sopporto è l’impudenza idiota, autoritaria di coloro
che governano il mondo. Io odio l’arroganza del denaro e quella di classe. Quindi,
in questo tipo di mondo, che cos’ho da offrire a una donna?” (308)
Alan Hollinghurst “La biblioteca della piscina” Mondadori euro 10,50 (in
realtà, scontato a 6,30 euro)
[pubblicato il 28 ottobre 2018]
Mi
sembra abbastanza scontato dove le libropeute abbiano collocato la lettura di
questo libro. Il più che sessantenne autore, da me fino ad ora ignorato, è
invece ben presente e noto nel panorama letterario inglese, tra l’altro avendo
vinto il Booker Prize nel 2004. Ed è ben noto per il suo essere dichiaratamente
gay e per essere i suoi scritti sempre collocati all’interno del mondo
omosessuale. Come in questo che, in quanto anche primo libro pubblicato sui 34
anni pone alcuni archetipi del suo modo di porre il romanzo che, leggendone a
posteriori le critiche degli altri suoi scritti, rimarranno costanti.
Comunque,
almeno nella mia lettura del libro, ho la necessità di separare la scrittura
dal testo. Non è certo un’operazione sempre corretta, che chi scrive ovviamente
lo fa unificando i due elementi. Tuttavia, in questo testo di lenta lettura per
me hanno due diversi pesi. La scrittura è quella di un buon artigiano della
penna, che riesce ad intrecciare diversi livelli di scrittura, dal narrare in
prima persona del protagonista Will ai brani di diario scritti da Lord
Nantwich, ai brevi intarsi del tristo James. Inoltre, non si dimentica i
personaggi, li lascia e li riprende, ed anche quando sono a margine, risultano
sempre caratterizzati e funzionali alla trama. Ma poi la scrittura stessa
scivola in un compiacimento alla Oscar Wilde che abbia seguito un corso
accelerato presso il marchese de Sade.
Le
crude descrizioni delle latrine, delle docce, dei club esclusivi, dei ring di
periferia, dell’atelier del fotografo che, con una patina di originalità, non fa
altro che montare scene erotiche, sono pugni nello stomaco, in cui le prime
comparse incuriosiscono, le seconde cominciano ad essere ridondanti, le ultime
alla fine hanno solo un senso autoreferenziale inutile. La trama, invece,
potrebbe essere svolta ed articolata in qualsiasi tempo e spazio, quasi fosse
un archetipo universale. Il giovane Will Blankurst è ricco, spensierato e gay.
Si aggira in una Londra di metà anni ’80 alla ricerca di qualche avventura,
pronto ad innamorarsi per due begli occhi, o un bel corpo.
Ma
altrettanto pronto a subire delusioni, ed anche brutte avventure (non entro in
particolari che non saprei rendere con la spontaneità dell’autore). Dalla sua
storia passata che ci viene fornita spezzettata lungo tutto il romanzo, capiamo
che è figlio di un alto magistrato, ora Lord nella Camera dei Pari, che ha
studiato a Oxford, dove è diventato “Prefetto” (bisogna conoscere un po’ delle
modalità organizzative dei college per capire meglio questa parte), e dove questi
vengono chiamati (non si sa per quale motivo) “Librarian”, cioè Bibliotecario,
e dove Will diventerà il Librarian della Piscina (da cui il titolo). Ed è dai
tempi del college che sviluppa il suo modo di vivere, e lì nella piscina ha i
suoi primi approcci sessuali. Che continuerà ad avere nella piscina del club
che frequenta da ventenne. E dove incontra, conosce e sviluppa le sue amicizie,
tra cui l’amore sempre presente, ma mai portato fino in fondo, con il suo coevo
James.
Si
salvano a vicenda in situazioni drammatiche, si professano stima reciproca, in
fondo si amano. Ma James non porta mai sino in fondo i suoi sentimenti, e Will
è un farfallone sempre pronto a seguire gli occhi di un bel “coloured” o di un
bel corpicino. Il tutto si intreccia con la storia di Lord Nantwich, anziano
ottuagenario gay che Will salva in una situazione potenzialmente mortale
(infarto), e dove, da quel momento in poi, tra i due si instaura un rapporto di
amicizia (vera o falsa?) in cui il Lord chiede al giovane di scrivere la sua
biografia. Da qui nascono quegli inserti di scritture diverse in cui
Hollinghurst sembra sapersi ben destreggiare. Tra cene in club ricchi e
favolosi, serate all’opera, ed ubriacature in sordidi bar, passa il tempo anche
dell’amicizia tra i due. Dove Will, leggendo e studiando diari e manoscritti,
scopre i motivi dell’attaccamento del Lord verso questo giovane poco noto.
Non
ve ne parlo, che sarà, forse, l’unica parte interessante, nonché di denuncia,
che riesce a mettere ben in chiaro lo scrittore negli ultimi due capitoli. Il
tutto, data la prova di prima scrittura del libro, pieno anche di riferimenti
al mondo privato dello scrittore: lunghe citazioni di Ronald Firbank, scrittore
gay protagonista della tesi di laurea di Hollinghurst, momenti trasversali tra
Lord e altri scrittori e musicisti (Edward Morgan Forster ed i suoi libri,
Benjamin Britten ed il “Billy Budd” tratto da Melville e poco velatamente gay).
Ripeto allora i miei giudizi iniziali: una scrittura ben avviata non sorretta
da una trama altrettanto all’altezza. Non mi hanno sconvolto le descrizioni
pure crude, ne abbiamo visto e sentite tante. Ma non sempre si amalgamano
scritto e testo, e questo non mi ha convinto fino in fondo. Una bella prova, e
coraggiosa, ma non in linea con i miei gusti letterari.
“Ho avuto una vita molto interessante e ora è così maledettamente
noiosa e sono tutti morti e non riesco a ricordare cosa stavo dicendo.” (57)
“Ti penso in continuazione e converso mentalmente con te e immagino che
cosa diresti tu di varie cose.” (289)
“Non ero molto ben disposto verso le fotografie, ma … mi sentivo un po’
in ansia per loro, come mi capita quando vedo un amico sul palcoscenico.” (302)
“Quando ci si avvicina al termine della propria vita, ci si rende conto
di averla sprecata quasi tutta.” (314)
Conclusioni
Anche qui, mi rimetto alla
clemenza della corte
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