Gabriele Romagnoli “Senza fine” Feltrinelli
euro 11,50 (in realtà, scontato a 9,20 euro)
[A: 07/05/2021 – I: 08/08/2021 – T:
09/08/2021] &&&&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 94; anno:
2018]
Seppur continuo a seguire i suoi scritti
giornalistici, e che sia giornalista lo si vede in ogni cosa che scrive, ogni
tanto è bello ritrovare l’ottimo Gabriele Romagnoli. Come in questo testo che
mi sono regalato per il mio ultimo compleanno. Regalato soprattutto per quel
sottotitolo che sembrava ben riassumere una parte consistente della mia vita.
Sottotitolo che riporta: “La meraviglia dell’ultimo amore”.
Non torno sulla scrittura, che Romagnoli si
legge facile, e passo subito al testo, ai suoi contenuti, iniziando, cosa che
in genere non faccio mai in queste trame, con una citazione: “Non è il primo
amore che conta, è l’ultimo. Sul primo si è già scritto tutto, a cominciare
dalla sciocchezza secondo cui non si scorderebbe mai. … A essere
indimenticabile, invece, è l’ultimo amore, perché è lì, ancora”.
Ecco, una frase talmente significante che
potrei chiudere qui, dicendo andatelo a leggere, magari meditando anche sulle
citazioni che riporto in finale. Oppure ragionando su cosa sia “Amore”. Amore
inteso come il sentimento che una persona prova per un’altra. Senza vincoli.
Cioè non è che si deve stare insieme per amare, ma si deve di certo amare per
stare insieme.
Libro da giornalista, pieno di esempi, di
citazioni, di storie. Di amori lineari, di amori circolari. Di storie che sono
sbocciate ai supplementari. O addirittura ai rigori. Tutte incentrate su quel
concetto: ultimo. Che può essere lineare, cioè coincidente con il primo.
Circolare, ci siamo lasciati per poi incontrarci dopo i nostri percorsi.
Tangente, che dopo l’incontro, benché ci siano stati altri incontri, quello
rimane, nella testa e nel corpo, l’ultimo amore.
C’è un altro concetto per pensare all’ultimo
amore: il luogo dove non vorrò andarmene al risveglio. Perché l’ultimo amore è
quello consapevole di aver trovato nell’altro quello che si è. Perché è la fine
dell’attesa (vedi ultima citazione).
Ma Romagnoli, appunto, non è un saggista. È
un giornalista, ed allora si appoggia a Barnes quando questi dice “L’amore non
può essere racchiuso in una definizione, può esserlo forse soltanto in una
storia”. Quindi ecco di nuovo le storie. Di Carlo e Lena che si ritrovano dopo
40 anni. Di Fioravante Palestini, quello della pubblicità dell’Uomo Plasmon,
che dopo vent’anni di prigione in Egitto, incontra una dottoressa che si era
innamorata di lui tanti e tanti anni prima. Di John Schley e di Marie Colvin,
due reporter, lei uccisa in Siria nel 2012. Di Alvin e Gertrud, convolati a
nozze verso i 100 anni. Dei genitori di Romagnoli, toccante ed irriportabile,
va solo letta.
In realtà, sono anche convinto che sia un
libro da leggere due volte. La prima pagina dopo pagina. La seconda aprendo un
capitolo a caso, ed immergendosi nella storia che lì si dipana. Perché, ed è
questo uno dei sensi della mia lettura, non ci si stanca mai di cercare
l’amore, non ci si stanca mai di arrivare, sfiniti e felici, di fronte
all’ultimo amore.
Romagnoli ha scritto il libro in un tempo che
ora consideriamo normale. Io l’ho letto in questo mondo pandemico, e mi
domando, in chiusura, quanto anche questo tempo ha rivoluzionato il modo di
stare insieme. Quanti sguardi che potevano esserci sono mancati. La mia
risposta la porto con me, ed è gioiosamente positiva.
“Aveva sempre bisogno di una missione
lontana per sentirsi vivo … stava con una donna che trovava intollerabili le
sue continue partenze.” (54)
“Essere vivi è un privilegio a cui non si
può abdicare” (72)
“Una persona non è un appartamento, non si
può ristrutturare … Se è uno chalet di campagna non diventerà mai un attico in
centro.” (74)
“Accettare è il primo modo di amare.” (74)
“Si è imparato che un’unione … è la
congiunzione di due cerchi … che acquisiscono una parte comune e ne mantengono
una separata, e così facendo risultano vincenti.” (84)
“Sapere che cosa non vuoi è molto più
importante che sapere cosa vuoi.” (89)
“L’ultimo amore è la fine dell’attesa …
smetti di aspettare non quando perdi la speranza, ma quando l’hai trovata.”
(93)
Roberto Calasso “Allucinazioni americane”
Adelphi euro 14
[A: 29/06/2021 – I: 13/08/2021 – T:
14/08/2021] &&&&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 133; anno:
2021]
Una delle ultime fatiche prodotte da Calasso
prima della scomparsa, che leggo con il rimpianto di non avere più questi dotti
rompicapi da seguire, rigo dopo rigo, perché, comunque, ci portano in un mondo
altro, diverso, ma sempre magnifico.
Qui, ci sarebbe bene la compagnia di mio
cugino Alessandro, che lo spunto ed il filo rosso che collega i diversi appunti
che compongono una collazione di testi e immagini, è il cinema sommo di Alfred
Hitchcock. In particolare, i pensieri sparsi di Calasso, si appuntano in gran
parte sul film Vertigo (del 1958, ribattezzato in Italia “La donna che visse
due volte”), con una appendice che si porta appresso Rear Window (del 1954, per
noi “La finestra sul cortile”).
Film legati ed opposti. Con James Stewart
come interprete, e donne bionde di contorno. Due film opposti, nell’analisi del
nostro. Ma legati, oltre che da James, da una serie di costrizioni, quelle che
bloccano l’attore: vertigini in un caso, una gamba rotta nell’altro. E questa
costruzione antitetica non può che portare a conclusioni opposte: lieto film in
un caso, e non nell’altro. E sapete bene quale dei due sia.
Com’è ovvio, per chi conosce Calasso, poi,
non si fa un’analisi lineare, ma si procede per frasi che illuminano momenti,
situazioni. Come quando, sempre per parlare dei due film, ci svela: “I primi
oggetti di cui si parla in Rear Window e Vertigo sono un’ingessatura e un
busto. Si tratta di liberarsi di qualcosa che blocca la vita normale, in
conseguenza di un incidente grave. E in entrambi i casi la situazione si
aggraverà ancora…”
È bello veder scorrere le allucinazioni di
Calasso, mentre narra dei film, ne svela i meccanismi, i retroscena, rimandando
poi, come è ovvio, al libro cardine di Truffaut su tutta la filmografia
hitchcockiana. Ed è anche interessante, coinvolgente, seguirne il sotteso testo
che rimanda al libro incompiuto di Kafka, “Amerika”. Dove il teatro
dell’Oklahoma non può che rimandarci al cinema. Il cinema che, creando
atmosfere fuori dal mondo, fa sì che queste atmosfere ci rapiscono, ci portano
in una sospensione tra la vita, personale, concreta, e la vita effimera
raccontata dalla pellicola.
Ed ovvio che, se c’è un regista che coglie e
ci offre la dimensione metafisica del cinema, sia proprio ad Hitchcock che ci
rivolgiamo. Qui tornando, ma non noi che non ne siamo capaci, all’analisi dei
due film, alle riproposizioni di scene ed immagini che forse conosciamo a
memoria, ma che così riproposte ci risultano sempre nuove. Come ribadisce la
prima fase che riporto in fondo.
Come elemento di passaggio, il secondo
capitolo delle allucinazioni, battezzato “Il ballo dei fosfeni”, ci presenta,
in una scrittura acuta e coinvolgente, nonostante la difficile comprensione di
alcune parole, uno sguardo veramente interessante sulla percezione visiva e sul
cinema stesso. Si entra in un cinema, ci si siede e si sospende la
visione della realtà, entrando in uno stato di allucinazione dove le immagini
in movimento sul grande schermo, danno forma alla nostra modernità. Sia per il
modo in cui ce la raccontano, sia per il modo (torniamo ai lampi visivi ai
margini del nostro sguardo) di farcela apparire sulla retina.
Per questo, ad esempio, concordando in pieno
con lui, riesco difficilmente ad essere soddisfatto di una visione
cinematografica che non avvenga in una sala buia e vasta. Difficile venire a
capo del rompicapo di Calasso. Tornando sui fosfeni, che danzano al limitare
del nostro campo visivo, Calasso ribadisce che “il cinema è l'unico luogo
accogliente senza confini percepibili, indifferente, dove i fosfeni si
dispongono su una stessa tela di fondo”.
È questa la bellezza e l’enormità del cinema,
che invade lo spettatore, lo trasforma, fino ad impedirgli di essere di nuovo
ciò che era prima di entrare in contatto col cinema.
Un libro che alla fine lascia il grosso
rimpianto di non avere altra possibilità che tornare indietro e leggere quanto
Calasso ha scritto negli anni. E rimanerne di nuovo fascinati.
“I film di Hitchcock tendono a diventare
più belli, quando si rivedono.” (83)
“Non è sempre stata una vocazione
peculiarmente occidentale quella di viaggiare molto, di cercare altri mondi, di
conquistarli, ma anche di studiarli? E perché si studia se non per capire
qualcosa che si può anche usare?” (97)
“Il cinema di pomeriggio … era un piacere
confinante con il vizio. Nelle sale ancora si fumava … Mi sedevo sempre nelle
prime file.” (111) [dedicato a mio cugino Paolo]
Jean-Yves Ferri & Didier Conrad
“Asterix e il Grifone” Panini s.p. (regalo di Nozze di Raul e Viviana)
[A: 02/11/2021 – I: 05/11/2021 – T: 05/11/2021] - &&& e ½
[tit. or.: Astérix
et le Griffon; ling. or.: francese; pagine: 48; anno 2021]
Ovvio
che quando c’è un Asterix in libreria, si legge subito. Perché è breve, perché
mi diverte, perché “ce l’ho tutti”. In più questo deriva dal regalo di nozze
che hanno fatto i miei amici bolognesi, cui quindi dedico questa e tutte le
trame dei libri acquistati con il loro contributo.
È
anche il quinto volume della grande saga (iniziata ormai sessanta anni fa) che
si avvale della sceneggiatura di Ferri e dei disegni di Conrad. Ma in più,
questo è il primo libro pubblicato dopo la morte del grande disegnatore che ne
aveva iniziato la storia. Infatti, mentre Goscinny ci aveva lasciato già dal
’77, Uderzo muore nel marzo dello scorso anno. A tener alto il nome del
francese ribelle, rimane solo la figlia di Uderzo, Sylvie, che ne cura
l’immagine, non avendo interesse nel testo o nel disegno.
Ora,
su Conrad, come disegnatore, c’è poco da dire. Il tratto dei personaggi
principali è talmente consolidato che un buon disegnatore ha poco di nuovo da
inventare. Ci sono allora i personaggi “nuovi”. Qui, se dal lato caricaturale
la struttura è sempre buona (vi rimando ai commenti finali), su alcune nuove
figure non si riesce a trovare molto di nuovo. Così come qui, l’eroina, pur non
facendo nulla, ricorda troppo, seppur alla lontana, la bella Falbalà. Insomma,
poche novità, e qualche copiatura di troppo.
Sul
fronte del testo, Ferri, purtroppo, anche se con molta buona volontà, è ben
lontano dalle fiammeggianti invenzioni di Goscinny, così come Vania Vitali ed
Alberto Toscani non possono certo competere con il grande Marcello Marchesi.
Tuttavia, qualche buona idea c’è, e qualche gioco di parole pure (con qualche
interessante rimando ad altre storie).
Al
solito, i nostri infaticabili Galli sono alle prese con trasferte ed avventure
anche lontano dalla patria, laddove li porta il loro “universalismo
anti-potenti” o, al minimo, qualsiasi storia contro i romani.
Questa
volta, al fine di aiutare lo sciamano Kikucina, sodale del nostro Panoramix, si
recano nella terra dei Sarmati. Dove Cesare aveva mandato un suo manipolo,
costituito dal geografo Terrincognitus, dal centurione Nelsuobrodus e
dal cacciatore Ermejus, al fine di catturare il mitico grifone. Animale di cui
parlano le storie del viaggiatore greco Styratos da Collagene, ed a cui
dovrebbe condurli la loro prigioniera, l'amazzone sarmata Kalachnikovna, nipote
dello sciamano. I Sarmati sono un popolo che abitano un’estesa terra russa,
dall’Ucraina al Caucaso, con un’inversione dei ruoli sociali. A casa restano
gli uomini, mentre in guerra (ed a caccia) vanno le donne, guidata da
Uonderuovna, la moglie di Kikucina.
Ci sono le solite scaramucce, lotte,
agnizioni, ribaltamenti veloci che vi lascerò gustare per una lettura agevole e
spensierata. Il mistero non è tanto il Grifone, che ovviamente non esiste e che
costituirà l’ennesimo scacco matto di Cesare (sotto le acque gelate, infatti,
c’è un triceratopo), ma quello che il greco aveva scritto nei suoi papiri, cioè
la presenza di oro. Oro che il geografo trova, ma ben presto perde.
Tutto finisce in gloria, con lo scorno dei
romani, e la grande cena nel villaggio, con due piccoli rimpianti: Idefix, il
cane di Obelix, rimpiange i suoi amici lupi della steppa, ed Obelix stesso
ripensa alle parole della guerriera Krakatovna, verso cui cominciava ad avere
un debole.
Al solito, oltre alla storia in sé, quello
che ci piace nelle gesta di Asterix sono le ironie ed i rimandi. Qui, ad
esempio, abbiamo la pozione che si gela, per cui Asterix può poco, nelle lotte,
se non aiutato da Obelix e dalle amazzoni. C’è Panoramix che è fuori causa, che
non riesce a fare una nuova pozione, per cui si dedica ad un palliativo. Ne
uscirà una minestra che sarà l’antenata del bortsch russo (così come
quell’acqua calda trasformata in tè in “Asterix e i Britanni”). Poi ci sono le
caricature, dove io ne ho viste due palesi: Terrincognitus ha le sembianze di
Michel Houellebecq, mentre i pirati, che non saranno affondati questa volta,
bordeggiano in una sola vignetta, laddove un sosia di Aznavour canta. In
originale si tratta dei versi "viens voir les Phéniciens / voir les
Égyptiens" derivanti dalla canzone "Les comédiens". Nella
versione italiana, il grande franco-armeno canta "ed io tra di voi".
Infine,
ci sono le invenzioni verbali e fonetiche. Prima di tutto, i Sarmati
comparivano anche nel penultimo libro, dove c’erano due aurighi, uno dei quali
si chiamava Olyunidislov (dalla canzone dei Beatles). Ma soprattutto, parlavano
invertendo allo specchio le E, le F e le R, quasi a rimandare al cirillico.
Purtroppo, qui rimangono solo le E rovesciate. Però si aggiungono i nomi
maschili in “ina” (lo sciamano Kikucina, il formaggiaio Kaseina o il falegname
Kokkoina), di facile decodifica. Con la facile ironia gallica, che i nomi in
“ina” in patria sono per le donne del villaggio. Mentre qui le donne si
chiamano in “vna”, come la moglie o la nipote di Kikucina.
Abbiamo
anche apprezzato lo sforzo dei traduttori, per trasformare i nomi e renderli
egualmente ironici. Come ad esempio (facilmente) trasformare “Terrinconus” in
“Terrincognitus”. Oppure, con più difficoltà chiamare Kikucina quello che in
francese si chiama “Cékankondine” (cioè “è qui che si cena”).
Non
mancano anche come detto riferimenti trasversali. Come il cane lupo sarmata che
si chiama “Uolverine”, il bianco neve dell’arrivo in Sarmatia, o l’accenno alle
lotte con i tedeschi (e la battuta “i germani erano più franchi”).
Ma Ferri non si perita, oltre all’ironia ed
alla comicità, si scaglia sopra miti e difficoltà del mondo attuale: le “fake
news”, la condizione femminile, i polveroni mediatici, i complottismi di tutte
le risme. Ed è questo, tra l’altro, che mi ha fatto e mi fa amare questa serie.
Jean-Yves Ferri & Didier Conrad
“Asterix e la figlia di Vercingetorige” Panini s.p. (regalo di Nozze di Raul e
Viviana)
[A: 01/12/2021 – I: 05/12/2021 – T:
05/12/2021] - &&&
e ½
[tit. or.: La fille de Vercingétorix;
ling. or.: francese; pagine: 48; anno 2019]
Grazie
quindi ai regali dei miei amici bolognesi, ho avuto voglia di completare la
collezione del mitico Asterix, con questo 38° volume, letto dopo il precedente
dopo il 39°. Ora, però, li abbiamo tutti, anche alcuni in originale.
In
particolare, questo è l’ultimo libro con vivo Uderzo (morto sei mesi dopo
l’uscita dell’album). Forse per questo ha due caratteristiche opposte: mantiene
vivo un certo spirito della serie ma è meno incisivo, a volte preoccupato di
uscire troppo dalle righe. Laddove, sappiamo, che per andare avanti bisogna
rinnovarsi nel segno della continuità.
La
storia in sé si basa su un falso storico inventato da Ferri: il non verosimile
ritrovamento, al largo della Bretagna, di un collier (torc in celtico) portante
l’iscrizione “Rigos Duxtir” (in celtico “figlia del re”). Nasce quindi l’idea
di tirar fuori dal cappello una non documentata figlia di Vercingetorige.
Salvata
da resistenti arverni, questi vorrebbero portarla a Londra, dove organizzare la
resistenza ai romani. Mentre cercano una nave, i due lasciano la giovane,
Adrenalina, al villaggio gallico. Qui si scopre la natura ribelle di
Adrenalina, che fa comunella con i giovani del villaggio, ma che soprattutto
non ha nessun interesse nel continuare la guerra. Vuole solo fuggire dalla
tutela degli anziani, ed intraprendere nuove vie di protesta pacifica e
libertaria.
In
tutto questo, viene ostacolata da un traditore della guardia di Vercingetorige,
che invece la vorrebbe portare a Roma e farla educare alla romana da Giulio
Cesare. Poiché si cerca una nave, facile quindi che ritroviamo i nostri
sfortunati fenici, sulla cui barca si svolge un’epica battaglia tra il
traditore e Adrenalina, anche se quest’ultima è aiutata da Obelix. Mentre la
nave affonda, il traditore fugge, arriva la nave trovata dagli arverni, guidata
da uno skipper inglese, Letitbix. Tra lui e Adrenalina scoppia l’amore, anche
perché il collier è finito in mare, e quindi non ha più il potere attrattiva
per una rivolta.
Quindi,
i galli tornano al villaggio per la solita festa finale, Adrenalina e Letitbix
partono per lidi ameni, ed il collier giace in fondo al mare, chiudendo il
cerchio con l’invenzione di Ferri narrata all’inizio.
Come
al solito, l’album è pieno di allusioni e di rimandi, nonché di ironie, grandi
e piccole. Intanto, Adrenalina, pur involontariamente secondo Conrad, è molto
somigliante a Greta Thunberg, assumendone alcuni tratti pacifisti. Inoltre, è
completamente “addicted” alla moda “gotica” (veste sempre di nero, e mai in
gonna), anche qui con accenni critici alla moda imperante. Infine, fa comunella
con i giovani, creando quel dissidio tra adulti e adolescenti che è uno degli
elementi portanti del libro. Giovani che sono poi i figli degli anziani del
villaggio: Selfix, figlio del fabbro Automatix, e Sushix e Sashimix, figli del
pescivendolo Ordinalfabetix. I nomi sono auto esplicativi, anche se in
originale, Sushix viene chiamato Blinix.
Questo
apre una piccola parentesi sulla capacità e la bravura dei traduttori (Vania
Vitali e Andrea Toscani) nel mantenere il senso delle ironie francesi,
mutandole in comprensibili comiche italiche. E ne vedremo anche molti altri
esempi.
Vediamo
ad esempio i due capi arverni, Monolitix e Ipocalorix, che si presentano come
appartenenti al FARC (in originale “Front arverne de résistanche checrète”, in
italiano “Fronte Arverno di Resistenscia Clandestina”, che rimanda
immediatamente al gruppo rivoluzionario sudamericano “Fuerzas Armadas
Revolucionarias de Colombia”), e nelle fattezze assomigliano a Winston
Churchill e Charles de Gaulle. Inoltre, i nomi sono storpiati, essendo gli
arverni molto adusi alla parlata con la “S” moscia.
Poi
c’è il cattivo traditore, Nerdflix, nome che in italiano vorrebbe rimandare a
Netflix come dedito alle serie TV, dato che in originale si chiama Adictosérix.
Inoltre, forse involontariamente, ha anche fattezze molto somiglianti a Gérard
Depardieu.
A
parte l’autoreferenza verso uno dei primi album, riguardante l’incontro con una
nave fenicia (qui indicata come “Grandimaïs” ed in originale come “Epidemaïs”),
c’è una solita grande allusività verso la musica. Lo skipper di cui si innamora
Adrenalina si chiama Letitbix, facilmente riconducibile ai Beatles, anche
perché ad un certo punto dice agli arverni “direte che sono un sognatore, ma
non sono il solo”, facile rimando a “you can say I’m a dreamer, but I’m not the
only one” tratto da “Imagine” di John Lennon.
Inoltre,
sulla galera romana, c’è un giovane Goto, figlio adottivo di un legionario, che
impone la cadenza alla barca ritmando un tamburo. Ora, primo, il giovane si
chiama Ludwikamadéus, facile allusione a Beethoven e Mozart, e secondo, sul
tamburo suona il pezzo “Boing Boom Tschak” del gruppo tedesco Kraftwerk, uscito
nel 1986 nell’album “Electric Café”.
Infine,
ci sono molti rimandi, questi sì difficili, alla musica pop. Dal sito originale
apprendo che, sulla nave dei pirati, quando questi sono ubriachi del vino
fenicio, si canta “Car il était gai comme un Phénicien”, allusione a “Tu étais
gai comme un Italien” parole della canzone “Une femme avec toi” di Nicole
Croisille. Un secondo intona “Phénicie aussi” allusione alla canzone “Félicie
aussi” interpretata nel 1939 da Fernandel. L’ultimo, attaccandosi ad un otre di
vino canta “Et ça continue amphore et amphore” allusione a “Et ça continue
encore et encore” parole della canzone “Encore et encore” di Francis Cabrel.
Essendo tutto ciò assai poco comprensibile, i traduttori hanno un po’ tagliato,
lasciando “Io sono uno straniero” di Georges Moustaki, e “Anfora, anfora,
perché io da quella sera” da “Ancora” di Edoardo De Crescenzo.
Finiamo
con il dire che tra i pirati c’è sempre un Charles Aznavour. E che la guardia
che fa scappare Adrenalina in originale si chiama Simplebasix, e porta un casco
con visiera all’indietro che rimanda al rapper francese Orelsan. Per mantenere
il senso, la guardia in italiano viene chiamata Geiax, che penso non abbia
bisogno di commenti.
In
conclusione, un buon prodotto, forse molto “francese” per il nostro mercato, ma
che ha molte frecce al suo arco, e che io continuo ad amare, per le critiche
varie che continua a tenere, e per l’ironia che tiene in moto la mente. Ricordo
infatti che me ne innamorai quando, nel terzo volume, “Asterix e i Goti”,
tradotti da Marcello Marchesi, vedendo visigoti e ostrogoti che se le davano di
santa ragione, Asterix se ne esce con “I goti che picchiano i goti, che
goturia”. Inarrivabile.
Eugenio Scalfari “Racconto autobiografico”
Einaudi s.p. (prestito di Alessandra)
[A: 09/10/2021 – I: 12/01/2022 – T:
13/01/2022] &&&
--
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 117; anno:
2012]
Come
in altre letture ho affermato, leggere è nutrirsi di pettegolezzi. Quando si
legge poi di vita vissuta, questi assurgono a trama del pensare. Per questo mi
è sembrato interessante entrare nel mondo di Scalfari, non dalle porte dei suoi
scritti, ma dalla parte (forse) del suo cuore, laddove nascono i sentimenti,
laddove nasce l’uomo. poiché inoltre scrivere è l’anelito che Scalfari ha
sempre avuto, magari non riconoscendolo, scrivere della propria vita
(auto-biografia) salda intensamente il vissuto di un uomo.
Non
devo certo riconoscere a Scalfari le sue doti, di uomo, di giornalista, di
scrittore. Mi è sempre interessato, anche quando non condividevo le sue
posizioni. Tant’è, che prima di diventare un affezionato lettore di Repubblica,
a vent’anni comprai e lessi quella pietra miliari di giornalismo ed economia
che fu il libro da lui scritto con Turani, dal titolo “Razza padrona”.
In
questo lungo viaggio intorno a sé stesso, la parte realmente biografica, sia
personale, sia delle tante persone incontrate lungo la via (alcuni tratti
privati dei potenti dell’economia e della politica italiana sono migliori di
lunghe analisi), è di sicuro interesse. Quando salta sulla locomotiva delle
analisi politiche e sociali, non sempre risulta così coinvolgente.
Comunque,
e purtroppo, Eugenio nasce ariete d’aprile, per la precisione il 6 aprile del
1924, a metà strada (circa) tra mio padre del ’23 e mia madre della fine del
’24. Vi chiederete cosa c’entra. Qui devo riprendere proprio le idee di
Scalfari, che inizia il suo viaggio parlando delle sue radici. Dei nonni e
bisnonni, materni e paterni, giù giù fino alla dolce madre ed al padre
inconcludente, girellone e forse farfallone. Uno dei punti salienti è stato per
me la rievocazione del nonno paterno Eugenio, massone e socialista, che
in occasione del 1° maggio guidava una marcia di tutta la famiglia e dei vicini
attorno al loro palazzo al canto dell’Internazionale.
Così
che ripenso alle mie radici, quelle che mio cugino ha ben descritto da parte di
mamma, il nonno avvocato, politico, amico di Sturzo, la nonna ribelle, marchesa
ligure in cerca di nuovi orizzonti. Poi quelle paterne, nonna Adelma
rammendatrice e donna di casa, nonno Arturo vetraio fino ad un incidente che lo
priva del pollice e poi per anni tassista. Ma non si parla di me, quindi
torniamo a Scalfari.
Di
cui seguiamo la giovinezza sanremese, con quel banco del liceo condiviso con
Italo Calvino, la voglia di scrivere, il fascismo e la monarchia, la cacciata
dal GUF, fino ai ventidue anni del referendum, dove, con Croce, vota per il re,
e, sempre con Croce, si piega alla volontà del voto e diventerà, non a caso, un
sostenitore della Repubblica (battuta…).
Divertente
la descrizione del suo primo lavoro come croupier in una casa da gioco.
Coinvolgente l’inizio lavorativo presso banche ed affini dopo la laurea in
legge, ma solo per seguire sempre e comunque il lato economico della vita. Dove
per una serie di eventi, tra fortuiti e cercati, riesce a trovare la sua via.
Sono gli anni ’50, gli anni de “Il Mondo” di Panunzio e de “L’Europeo” di
Arrigo Benedetti. Poi nel ’55, con altri, fonda “L’Espresso”. Da lì la sua
vicenda pubblica è ben nota, tra impegni vari, sia sul fronte giornalistico che
su quello politico. La vicenda SIFAR negli anni ’60 o l’analisi delle
iniziative di Cefis agli inizi del ’70. Fino 14 gennaio 1976 quando esce in
edicola il primo numero de “La Repubblica”.
Da
qui in poi, il testo diventa troppo attuale per essere ripercorso. Le sue
scelte pubbliche sono di dominio pubblico. E se per anni ne ho sostenuto la
liceità, ora, nella sua vecchiaia e nella mia maturità, leggo solo con
interessi dei suoi incontri con Papa Francesco e di alcune riflessioni
sull’umanesimo. Per il resto, non avendone più il controllo, non entro nelle
scelte giornalistiche dei “suoi” giornali.
Meglio
tornare al privato, con uno sguardo alle sue donne: la prima moglie Simonetta,
sposata nel ’50 (come i miei genitori), le figlie Enrica e Donata, la compagna
ed ora seconda moglie Serena. Forse, unica critica, un accenno al suo sentire
intorno a lor quattro era doveroso. Ma va bene anche così, nel pudore di cose
troppo private per parlarne in vita.
Personalmente,
ritengo Scalfari, con tutti i distinguo, i se ed i ma, una personalità
imprescindibile nell’Italia attuale. Con quella scrittura giornalistica che si
fa leggere e non stanca mai. Un buon percorso intorno a ottanta anni d’Italia e
di privato.
“Mio
padre ha vissuto con me e dentro di me molto di più di quando era vivo, e
questo è il solo modo che io conosca per difendersi dalla morte.” (81)
Prima trama d’aprile, che ci consente di
tornare ai libri di quest’anno, iniziando dal mese di gennaio. Un buon numero
di libri, ma di scarsi risultati. Qualche gradimento appena passabile, come il
sopra commentato Scalfari, il classico De Angelis o la cara Agnello Hornby. Ed
altrettanti risultati quasi da fondo classifica: l’indonesiano Kurniawan,
l’inutile libro della Littizzetto ed un Roberto Costantini che ancora non
riesco a capire.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Lyonel
Trouillot |
I
figli degli eroi |
Repubblica
Mondo |
9,90 |
2 |
2 |
Augusto
De Angelis |
Sei
donne e un libro |
Mondadori |
6,50 |
3 |
3 |
Eka
Kurniawan |
L’uomo
tigre |
Repubblica
Emozione Noir |
7,90 |
1,5 |
4 |
Roberto
Mistretta |
La
profezia degli incappucciati |
Mondadori |
6,50 |
2 |
5 |
Samar
Yazbek |
Passaggi
in Siria |
Repubblica
Mondo |
9,90 |
2,5 |
6 |
Eugenio Scalfari |
Racconto autobiografico |
Einaudi |
s.p. |
3 |
7 |
Simonetta
Agnello Hornby |
La zia
marchesa |
Corriere
Oggi |
8,90 |
3 |
8 |
Roberto Costantini |
Il male non dimentica |
Feltrinelli
Marsilio |
12 |
2 |
9 |
Luciana Littizzetto |
La bella addormentata in quel posto |
Mondadori |
s.p. |
1,5 |
10 |
Antonio
Manzini |
Le
ossa parlano |
Sellerio |
s.p. |
2 |
11 |
Simone Buchholz |
Revolver |
Repubblica
Noir |
7,90 |
2,5 |
12 |
Valeria
Luiselli |
La
storia dei miei denti |
Repubblica
Latinoamericana |
9,90 |
2,5 |
13 |
Georges
Simenon |
Il
passeggero del "Polarlys" |
Repubblica |
9,90 |
2,5 |
14 |
Roberto Costantini |
Ballando nel buio |
Repubblica
Noir |
7,90 |
1,5 |
Anche se non parliamo di viaggi ma di saggi, cosa
di meglio se non ricordare un vecchio regalo, collage di diversi autori, dal
titolo “Dovevo andarci”. Lì troviamo due belle frasi. La prima è per
collocarsi al giusto posto nella propria vita: “non ha importanza, in fondo, dove tu ti trovi, fin tanto che con
te sono la memoria del primo amore, o la presenza improvvisa di una fragranza
condivisa, la melodia di una vecchia canzone, il gusto della prima zuppa di
cipolle. Trovati un posto vero e viviti la vita” (63). La seconda, invece,
rimanda ad un poeta a me caro per questa sua splendida poesia. Si tratta di Costantino
Kavafis, della sua Itaca, ed al suo inizio: “Se per Itaca volgi il tuo
viaggio / fa voti che ti sia lunga la via” (170).
Abbiamo davanti mesi complicati, di organizzazione, di spostamenti, di uscite, soprattutto monetarie. Ma il sorriso ci torna sul viso, la voglia di fare vincerà anche la guerra, ed io non smetto di pensare a tutti noi e ad abbracciarvi contento.
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