domenica 24 aprile 2022

L'amico e le spie - 24 aprile 2022

Una settimana “pasquale” poco impegnativa, sospesa tra i libri che gentilmente mi presta il mio amico riciclatore e la collana di spionaggio di Repubblica. Con un record, il primo libro che non riesce a raggiungere neanche un libro di gradimento. Anche la collana di Repubblica non è che sia esaltante, riscattandosi solo con un libro di un autore classico in questo genere, Eric Ambler, anche se non con le sue migliori opere (tra cui ricordiamo “Topkapı”, un punto di riferimento dello spionaggio, soprattutto nella sua versione cinematografica).

Alistair MacLean “Burattino in catene” BUR s.p. (Prestito di Fako)

[A: 24/07/2021 – I: 09/08/2021 – T: 10/08/2020] ½

[titolo: Puppet on a chain; lingua: inglese; pagine: 380; anno: 1969]

Un libro talmente brutto ed inutile che, dopo averlo letto, è stato diligentemente lasciato nell’albergo di Matala, come a ricordare la bella isola del mio fornitore di libri letti.

Ora, Alistair MacLean risulterebbe uno scrittore scozzese di medio-alta notorietà, più che altro noto come autore del libro e poi sceneggiatore del film “I cannoni di Navarrone”. Non conosco il libro, ma il film con Gregory Peck, David Niven e Anthony Quinn è senz’altro un film di guerra avvincente. Ma qui si parla di “thriller” e non di guerra. Un thriller che venne in mente ad Alistair mentre era in giro per Amsterdam, e notando i canali, le strade strette, ipotizza un thriller pieno di fughe e nascondigli vari.

Nasce così la storia di Paul Sherman, un esperto agente della Narcotici dell’Interpol, tanto esperto che normalmente lavora in solitario. Ora, gli è stato affidato il compito di debellare una rete di spaccio il cui centro sembra sia Amsterdam, e per l’occasione il solitario Paul viene affiancato da due agenti di sesso femminile. Una è un poliziotto esperto, che ha già lavorato con Paul, mentre la seconda è una recluta al primo incarico.

L’incarico gli è stato assegnato (ma questo lo scopriremo strada facendo) dopo che tre spacciatori hippie vengono uccisi in una casa di Los Angeles. Non solo, ma Sherman (che non sembra sia il suo nome) è olandese, e conosce, anche se non a fondo, l’ispettore Van Gelder, la cui nipote Trudi, soffre di gravi danni cerebrali causati da un'overdose di eroina. Tuttavia, ciò non fa in modo che ci sia un buon rapporto con il colonnello De Graaf, capo della polizia locale, che non vede di buon occhio l’interferenza americana.

Il gancio di Sherman è Jimmy, un tempo all’interno del business, ma che sembra ne voglia uscire. Anche perché i banditi della droga sono sempre più violenti e non esitano di ricorrere all’assassinio, se qualcuno mette loro i bastoni tra le ruote.

Ma già dalle prime pagine si capisce l’andamento della trama, dove il tutto pare rivolto ad una violenza tipo il peggior hard-boiled americano (o ancora peggio, i più brutti polar francesi). Infatti, prima che Sherman lasci l’aeroporto di Schiphol, viene assalito, tramortito e Jimmy viene ucciso.

A questo punto Paul si imbufalisce, comincia a toccare tutti i tasti delle sue conoscenze, mette in mezzo le sue assistenti, trattandole anche male (è un rude, quindi le donne zitte ed obbedire). Questo modo di fare indispettisce la polizia locale, che non risulta allearsi con lui, anzi sembra quasi remare contro.

Tra l’altro, è certo che ci sia una talpa, da qualche parte, perché Paul, per quanto faccia passi in avanti, sembra sempre essere un passo indietro rispetto ai suoi avversari. Questo non può portare che ad una spirale di violenza. Che non sarebbe male in assoluto (leggete il mio amico Bissa), ma che qui è gratuita e neanche tanto ben scritta. Alistair vuole mantenere un tono ironico, ma sarà che sono passati cinquant’anni, che il tono risulta veramente inefficace.

Per trovare un bandolo, Sherman incontra la ragazza di Jimmy, Astrid ed il di lei fratello George, tossico. Potrebbe essere un nuovo gancio contro il crimine, ma George muore di overdose (provocata) e Astrid prima scompare, poi viene trovata morta. Sherman, con l’aiuto di Van Gelder, arriva ad individuare una rete di spaccio legata ad una setta che promuoverebbe l’emancipazione di donne traviate. La rete usa bambole che vengono fabbricate in un’isola vicino la capitale, e poi convogliate nel magazzino di due loschi figuri.

Una delle assistenti prova ad infiltrarsi nella setta, ma viene scoperta ed uccisa infilzata con dei forconi. Fine veramente trucida. Ma risalendo dall’isola alla terraferma, Paul arriva di nuovo al magazzino, dove scopre che è proprio Van Gelder la talpa, e che Trudi non è reduce da overdose, ma è una brava attrice.

Siamo alle scene finali, agnizioni, fughe, controfughe, sparatorie, Trudi che muore, Paul che viene ferito, e Van Gelder che finisce infilzato su di un gancio, di quelli che spesso sono presenti nelle case olandesi, per portare oggetti in casa, laddove scale strette ed altro impediscono un agevole accesso interno.

L’unico punto positivo è la punizione che alla fine toccherà ai cattivi. Ma risulta troppo macchinoso il modo in cui i contrabbandieri fanno circolare la droga. Non solo, ma Sherman è spesso alle strette, tuttavia i cattivi non si risolvono mai a finirlo, anzi sembra che siano alla finestra per vedere i modi che il buono escogita per metterli in difficoltà. C’è poi un fondo di misoginia nel trattare le assistenti di Sherman, che svolazzano in baby-doll nel mezzo delle azioni più complicate. Sembra una brutta copia di un bel film di James Bond. Quindi, non ho rimpianti nel cercare di dimenticare in fretta il libro, e nel consigliare di evitarlo.

William Le Queux “Il mistero del raggio verde” Repubblica Spy 19 euro 7,90

[A: 22/05/2019 – I: 19/09/2021 – T: 22/09/2021] - &

[tit. or.: The Mystery of the Green Ray; ling. or.: inglese; pagine: 205; anno 1915]

Questa lettura inaugura la collana di Repubblica dedicata alle storie di spionaggio. Una collana presa per completezza ma che non mi entusiasmava particolarmente nella lista dei volumi pubblicati. Entusiasmo che si è mantenuto alquanto basso anche con questa prima uscita. Una lettura filologica, se vogliamo, ma assai datata e quasi scevra di spunti interessanti.

L’unico è il recupero di un autore assai noto e prolifico all’epoca, ma abbastanza presto caduto nel dimenticatoio. William Tuffnel Le Queux (un nome che sembra quasi uno pseudonimo) era un londinese, nato nel 1864, che dopo un iniziale interesse per il giornalismo, si dedicò alla scrittura. Ma fu anche un pioniere dell’aviazione e delle trasmissioni radio. Fu anche assai prolifico, scrivendo circa 170 libri, nella maggior parte dei quali descriveva come i cattivi tedeschi si stessero infiltrando in Inghilterra per invaderla. Era anche un patito di pettegolezzi, il cui massimo raggiunse sostenendo di aver visto un manoscritto francese scritto da Rasputin dove si affermava che Jack lo Squartatore era un medico russo di nome Alexander Pedachenko, che aveva commesso gli omicidi per confondere e ridicolizzare Scotland Yard.

Tra l’altro, un’altra particolarità del nostro è di aver inventato il personaggio di Duckworth Drew, membro dei servizi segreti inglesi, bello, solitario, amante delle belle donne, e pieno di gadget all’avanguardia per il suo tempo, come uno spillo con il quale mette fuori combattimento il nemico, o un sigaro che contiene una droga speciale per addormentare l’avversario. Insomma, se non fosse stato scritto da Le Queux nel 1903 sarebbe un perfetto James Bond. O forse Fleming ne ha preso anche degli spunti?

Per venire al romanzo, collocato temporalmente all’inizio della Grande Guerra, come tutti i più triti romanzi di spionaggio comincia in modo molto flebile. Ronald Ewart è un giovane avvocato inglese che, iniziata la guerra, pensa di arruolarsi. Prima però vuole concedersi una breve vacanza andando a salutare la sua fidanzata Myra, che vive in Scozia, nei pressi di un bellissimo golfo marino. Vive con il padre, che vede di buon occhio Ronald, e ha un bel cane.

La quiete marina è solo disturbata da uno strano americano che ha affittato una casa dalla parte opposta del golfo. Americano fino all’osso, con la presupponenza e l’invadenza che gli europei ritengono (e non a torto) sia un tratto distintivo dei cugini d’oltreoceano.

Tutto sembra tranquillo e pacifico, se non che, durante una passeggiata con Ronald, Myra diventa improvvisamente cieca. Vengono chiamati i più illustri luminari che si occupano di oculistica, ma nessuno trova motivi plausibili all’incidente accaduto a Myra. Ritengono possa essere un fenomeno naturale, tanto che sostengono che da lì a breve, Myra potrà rivedere.

Ronald è poco convinto, anche perché anche il cane di Myra diventa improvvisamente cieco. Un fatto è casuale, due sono un indizio. Tre diventano una prova, che il cane viene misteriosamente rapito. Altri due fatti si aggiungono ai misteri. Myra sostiene di aver visto una luce verde prima di diventare cieca. L’americano va e viene per il golfo, a sincerarsi delle condizioni di Myra, ma comportandosi in modo che l’autore non esita a farci subodorare sospetto.

Ai misteri si aggiungono barchette alla deriva, piccoli natanti che si aggirano per il golfo, guidati da personaggi con accenti improbabili. Perfino con marinai che non sembra capiscano l’inglese. Alla fine, comunque i buoni capiscono chi siano realmente i cattivi, ovviamente tedeschi che vogliono invadere l’Inghilterra. Nelle pagine finali Le Queux si lancia in un’astrusa spiegazione sulla nascita di questo famoso raggio verde, sulle sue proprietà al limite del fantascientifico, quando non proprio al di là. Come la capacità di deossigenare l’aria, di funzionare come un enorme telescopio naturale ed altre invenzioni che sarebbero potute diventare plausibili se manipolate da un bravo scrittore, alla Giulio Verne, ma che in mano al nostro diventano soltanto risibili.

Di passaggio, ricordo che Verne scrisse realmente un libro intitolato “Il raggio verde”, ma si trattava di un fenomeno naturale che accade al tramontar del sole. La particolarità è che Verne sostiene sia maggiormente visibile in Scozia. Il libro fu scritto nel 1883, e dato che Le Queux era bilingue (padre francese, madre inglese) di sicuro ne avrà avuto notizia, onde collocare la sua vicenda proprio in Scozia. Partendo per la tangente, ricordo poi che dal libro, venne tratto nel 1986 un bellissimo film con la regia di Eric Rohmer.

Lettura quindi filologica, ma trama assolutamente inconsistente con un autore forse abbastanza giustamente dimenticato.

Laura Lippman “La donna del lago” Bollati Boringhieri s.p. (Prestito di Fako)

[A: 07/09/2021 – I: 10/11/2021 – T: 14/11/2021] && e ½

[titolo: Lady in the Lake; lingua: inglese; pagine: 374; anno: 2019]

In realtà, stavo per mandare maledizioni apotropaiche al mio carissimo amico odioso, che l’inizio di questo ennesimo prestito (sempre gradito, comunque) mi sembrava non portare da nessuna parte. Invece, ad un certo punto, il meccanismo ingrana. Non sarà un capolavoro, ma funziona, con alcuni pezzi di bravura e con risvolti non sempre scontati.

Anche perché la scrittrice, pur non essendo sempre nelle mie corde, sa districarsi, nella trama e nel mondo che descrive. Laura Lippman è infatti figlia di un giornalista (e le domande che fa sul mestiere ne risentono positivamente) e di una libraia (da dove apprese l’amore per la scrittura), oltre ad essere lei stessa passata per il giornale, ed averne sposato un redattore. In realtà, è meglio conosciuta per un personaggio seriale, Tess Monaghan, cui dal ’97 in poi ha dedicato 12 romanzi. Qui, invece, abbiamo un giallo a sé.

Anche se, oltre la trama gialla, affronta altri temi scottanti: il ruolo della donna in una società maschile (o maschilista?), data anche l’ambientazione nella Baltimora del 1966; o anche il significato di essere giornalisti, oggi, quando la protagonista prende in mano la storia poliziesca di un’altra persona, ci si getta a capofitto, fino a farla diventare la sua storia e non più quella della “Donna del Lago” (che non era così chiamata finché Maddie non la battezza così nei suoi articoli).

Altro elemento di interesse, ma anche dio difficoltà di lettura, soprattutto nei primi capitoli, è il fatto che la narrazione avviene in terza persona quando seguiamo direttamente Maddie, intervallata da capitoli in prima persona dove seguiamo vari personaggi di contorno che, con le loro riflessioni, alla fine, riescono a darci il quadro complessivo. Uno di questi “intarsi” poi è corsivato, con elaborazioni e pensieri della persona scomparsa.

Ma andiamo con ordine. Infatti, si inizia quasi con un tono altro. Vediamo una cena organizzata a casa Schwartz, dove Maddie incontra un suo vecchio conoscente, a suo tempo di scarse capacità, ma ora presentatore di successo. Maddie, invece, era al vertice (reginetta del ballo, giornalista in erba). Ora lei è solo la moglie di e la madre di. Da qui, nasce la sua “ribellione”.

Si separa, va a vivere da sola, con evidenti difficoltà economiche, per inseguire il suo sogno: entrare nel giornalismo. In un mondo in cui l’uomo detta legge (allora come ora) lei entra dalla porta di servizio, si occupa più o meno di fotocopie. Saranno le storie di due donne che le spalancheranno, a poco a poco, altri orizzonti.

La prima è una ragazzina, Tessie Fine, scomparsa. Partecipando alla sua ricerca, seguendo per istinto delle vie poco battute, sarà proprio lei ad imbattersi nel suo cadavere. Questo le fa fare il primo salto di qualità.

Il secondo avviene per la sua caparbietà, che Maddie comincia a seguire un caso che non interessa a nessuna: la scomparsa, avvenuta due mesi prima, di Cleo Sherwood, una bellissima afroamericana. Se fosse stata una donna bianca, tutti avrebbero voluto scriverne. Ma è di colore, ed oltre tutto, non di grande moralità. Ma Maddie si intestardisce.

Affronta entrambi gli omicidi con una sensibilità tutta femminile (uno dei tratti migliori che ci fa vedere la scrittrice). Indaga sui possibili moventi, frequenta i familiari delle vittime, ne ricostruisce le mosse, si aggira nei luoghi dove le due donne hanno passato gli ultimi giorni della loro esistenza. E dopo Tessie, trova anche un corpo, nel lago (la donna del titolo) per chiudere il cerchio anche su Cleo.

Non basta però trovare dei corpi, e Maddie continua il suo giornalismo investigativo, per scoprire come si sono svolti i fatti, chi è l’assassino. Arrivando ad una soluzione che fa salire il tono del romanzo ed il suo gradimento.

La complessa scrittura dell’autrice, alla fine ci porta ai noccioli delle questioni: la scissione tra quello che le donne del romanzo (ed in particolare Maddie) volevano essere e quello che gli uomini volevano che fossero. Un sussulto di femminismo, vivacizzato dalla voglia di emancipazione. Ma anche dei bei colpi al razzismo neanche tanto nascosto del tempo del racconto (e Baltimora due anni dopo l’epoca del racconto sarà uno dei più violenti centri delle rivolte successive all’assassinio di Martin Luther King).

Un ultimo cenno, ad un momento che mi ha divertito: quando parla della cena che sta preparando per i suoi ospiti, ad inizio libro, Maddie confessa di preparare il suo stufato di manzo con molto vino (che ne copre il sapore) e due lattine di zuppa Campbell. Non so voi, ma io ne mangiai di queste lattine. Erano orrende. Buona lettura, in ogni caso.

Eric Ambler “Epitaffio per una spia” Repubblica Spy 4 euro 7,90

[A: 04/02/2019 – I: 31/01/2022 – T: 01/02/2022] - &&&-

[tit. or.: Epitaph for a Spy; ling. or.: inglese; pagine: 233; anno 1938]

Secondo appuntamento con le spy stories di Repubblica, dove facciamo un discreto balzo in avanti nel gradimento, in gran parte dovuto all’autore. Eric Ambler è infatti considerato il maestro del genere, cui faranno sincero omaggio le storie di spionaggio di Graham Greene e di Ian Fleming, anche se spesso le sue storie sono tinte di giallo. Non sempre per la presenza di morti, quanto per l’intrico che viene imbastito e per la sua soluzione. Per me, infatti, rimarrà per sempre legato a “La luce del giorno”, da noi meglio conosciuto con il nome del film che ne fu tratto: “Topkapı”, anche se devo riconoscere che la sua miglior prova di spionaggio è il suo quinto libro “La maschera di Dimitrios”.

Questo è il suo terzo libro, pubblicato verso i suoi trent’anni, ancora pieno di un sentimento di sinistra che lo accompagnerà fino alla disillusione del patto Stalin – von Ribbentrop del ’39. Qui si gustano in pieno i due tratti distintivi della sua prima produzione: l’utilizzo di personaggi ordinari, venutisi a trovare in situazioni più grandi di loro, dei veri antieroi, ed il sentimento di ribellione verso il baratro verso cui correva l’Europa in quegli anni. Non a caso, in questo libro le spie, che pur ci sono, sono legate agli ambienti fascisti italiani. Non a caso vengono stigmatizzate le iniziative tedesche avvenute dopo il ’33, con un accenno, sicuramente ante-litteram ai campi di concentramento per chi si oppone a quel regime. Non a caso, per bocca di un rifugiato antinazista sentiamo una bella tirata sulla socialdemocrazia tedesca di Weimar, degna quasi di un libro di storia ma pronunciata con ritegno da un personaggio costretto a giustificare la propria doppia identità.

Qui, il nostro antieroe è una specie di apolide: Josef Vadassy, nativo di Szabadka, ora meglio nota con il nome di Subotica. Alla nascita, era una città ungherese, poi per il trattato di Trianon che dissolse il vecchio Impero Austro-Ungarico, venne data alla Jugoslavia (ed ora è cittadina della Serbia). Per questi motivi Vadassy non ha un passaporto regolare, e vive in Francia, precariamente, come insegnante di lingue. Dato che conosce ungherese, tedesco, francese, inglese ed italiano.

Vadassy si concede ogni anno una piccola vacanza nel sud della Francia, questa volta a La Ciotat, piccola cittadina tra Tolone e Marsiglia. È un appassionato fotografo naturalista, con una costosa macchina fotografica al seguito. Tutto comincia quando, inviando un rullino allo sviluppo, si scopre che contiene foto delle difese navali di Tolone. Accusato di spionaggio, ci si accorge ben presto che ci deve essere stato uno scambio di macchine. I Servizi Segreti francesi, allora, lo incastrano: deve trovare la spia, altrimenti verrà espulso, cosa che dato il suo stato incerto, potrebbe costargli la vita.

Si capisce allora che, più che un romanzo di spie, è un giallo dove l’antieroe Vadassy deve risolvere il rebus: chi degli ospiti del suo hotel può essere la spia? Ambler ha qui il modo di sviluppare la descrizione dei diversi personaggi presenti sulla scena, e di farci ammirare le peripezie del nostro sfigato alla ricerca di risolvere il mistero. Vadassy prende sempre le decisioni sbagliate, mettendo sé stesso anche in pericolo. Ovvio che essendo un eroe per caso, alla fine troverà il modo di dare un suggerimento giusto alla polizia, che provvederà non tanto all’arresto della spia (l’investigatore francese sapeva sin dall’inizio il nome della spia) quanto, attraverso la spia, allo smantellamento della piccola rete spionistica antifrancese.

Vediamo allora chi sono i possibili colpevoli. I coniugi Vogel, svizzeri di lingua tedesca, sempre pronti al pettegolezzo. Gli americani Skeleton, forse fratelli, forse cugini, forse amanti, di sicuro hanno segreti. La coppietta fintamente innamorata, lei, Odette, sciacquetta e inconsistente, lui, André Roux, presupponente e decisamente antipatico. Il signor Duclos, che si finge industriale, ma che è solo un piccolo impiegato molto sopra le righe. I coniugi inglesi Clandon-Hartley, lui ex-maggiore e lei italiana, mascherati da benestanti ma realmente squattrinati. Poi c’è Emil Schimler, l’unico che escludiamo subito in quanto rifugiato antinazista.

A parte il divertimento dell’uso dei nomi (dalle varie lingue abbiamo Uccello, Scheletro, Ruggine, Clandestino, quasi a voler ogni volta indirizzare la colpevolezza attraverso nomi che possono essere inventati; nonché il protagonista, non a caso “Schiavo”), Ambler si muove a suo e nostro agio attraverso una trama leggera, ben scritta, forse un tantino scontata alla fine, ma ancora di gradevole lettura.

“Non è naturale che un uomo parli perfettamente più di una lingua.” (136) [e perché?]

Robert Harris “Enigma” Repubblica Spy 13 euro 7,90

[A: 10/04/2019 – I: 05/02/2022 – T: 08/02/2022] - &&

[tit. or.: Enigma; ling. or.: inglese; pagine: 412; anno 1995]

Una trentina di anni fa lessi il primo libro di Harris, “Fatherland”, che trovai interessante nel suo dipingere una ucronia ben delineata, anche se ben lontana dal capolavoro del genere, “La svastica sul sole” di Philip K. Dick. Poi, Harris è sempre stato ai margini, uno di quegli autori che forse si poteva leggere, ma che non trovavo occasione per farlo.

Ecco quindi, che, nella collana delle storie di spionaggio di Repubblica, ho modo di leggere il suo secondo romanzo, che, tuttavia, non solo risente il peso dei 28 anni trascorsi, ma è appesantito anche da una storia spionistica anch’essa leggermente ucronica, e purtroppo, mal rappresentata. Cioè, Harris parte da un fatto reale, il lavoro di crittografi alleati per decifrare codici segreti nazisti, ma ne inventa contorni, personaggi, trame abbastanza poco credibili, anche perché si scontrano con dati di fatto acclarati.

Il retroterra storico, quello reale, è più o meno ben noto: i tedeschi, sulla base di un progetto iniziato nel 1918 e successivamente modificato ed ampliato, costruiscono un apparecchio di codifica abbastanza complicato. Ci sono dei rotori con elementi alfabetici, che vengono innescati secondo codici prestabiliti, e che, in base al modo di innesco, forniscono, per ogni lettera una lettera alternativa. Il ricevente del messaggio, sapendo il codice d’innesco, fa il lavoro inverso e ricostruisce il messaggio. Questa macchina venne chiamata “Enigma”.

Già nel ’32, tuttavia, un’equipe di matematici polacchi riuscì a capirne il meccanismo, e progettò un elaboratore di intercetto, chiamato “Bomba”. Allo scoppio della guerra, i tedeschi usarono diversi tipi di “Enigma” per le varie trasmissioni, sia terrestri che navali. Gli inglesi misero su una squadra di analisti e matematici in località Bletchley Park, sotto la guida del grandissimo Alan Turing, che, facendo fronte alle modifiche tedesche, progetto una nuova macchina e riuscì a trovare il bandolo definitivo per decrittare i messaggi nemici. Elemento che portò notevole beneficio alla vittoria finale degli Alleati, soprattutto nel campo navale.

Ora su questa storia, dove sicuramente in Bletchley Park ci saranno stati elementi di spionaggio (siamo in guerra, che diamine), Harris costruisce il suo scenario fantastico. Pur citando Turing, fa recitare la parte del decifratore massimo al suo protagonista Tom Jericho. Poi inserisce una vicenda di spionaggio che mette in pericolo tutta la strategia alleata, per arrivare ad una soluzione che rende (quasi) tutti felici del successo. Meno ovviamente i cattivi.

Tom effettua una prima decifrazione dei codici, poi si innamora di Clair, una delle signorine presenti nel luogo, e quando questa lo schizza, lui, tra problemi di cuore e stress lavorativo, ha un collasso nervoso. Viene allontanato, ma poi, ad inizio romanzo, richiamato che gli analisti della squadra si trovano davanti ad un grande problema: i tedeschi, misteriosamente, cambino il codice di cifratura iniziale, quindi i messaggi non sono decodificabili, e si avvicinano importanti missioni transatlantiche con reali pericoli che i sommergibili tedeschi abbiano la meglio.

Tom torna, cerca Claire che però misteriosamente scompare. Abbiamo quindi due livelli di racconto: Tom ed i suoi che cercano di trovare il modo di risolvere il rompicapo cifrato e Tom con Hester, un’amica di Claire, che cerca di capire che fine abbia fatto la ragazza.

Per complicare il tutto, Harris ci fa a lungo credere che Claire sia una spia tedesca che passi informazioni al nemico. Tom, inoltre, essendo matematico è notoriamente per il folklore popolare una persona un po’ fuori di testa, così i suoi tentativi nelle due direzioni, vengono tenute sotto controllo di Servizi Segreti alleati, come se fosse possibile sia lui la spia.

Harris cerca di creare mistero, ma allunga solo il brodo, lasciando poi poche decine di pagine a reggere la vera suspense. Tom, in base ad intuiti ed aiuti da parte di Hester, decifra parte dei messaggi, capisce che si riferiscono a problemi tra polacchi e russi, ipotizza che Claire sia in combutta con il polacco presente a Bletchley Park, e si fa un film in testa.

Alla fine, sia i Servizi che Tom arrivano alla soluzione completa del problema, con Tom che ci porta anche ad una soluzione avanzata, che forse qualcuno sapeva, ma che è l’unico momento di reale interesse di tutto il libro. Perché, come non si dovrebbe fare, tutte le soluzioni vengono al fine trovate senza che il lettore abbia avuto indizi di possibili fatti che a loro portano. Come conigli che escono da cilindri.

Insomma, certo uno scrittore che sa scrivere, ma che traviso molto. Primo, Tom dovrebbe essere una specie di Turing mascherato, visto che gli si attribuisce la soluzione del mistero. Tuttavia, non è credibile che un Tom-Turing cada in depressione per una qualsivoglia Claire, visto che il buon Turing era gay. Secondo, uno degli elementi cardine della soluzione è la decodifica di un messaggio che narra del massacro di Katyn (l’esecuzione di 22.000 polacchi militari e non da parte dell’esercito staliniano). Ora, tutta la storia si svolge ai primi di marzo del ’43. Le prime notizie sul massacro di Katyn furono date solo dopo metà aprile dello stesso anno.

Ci sono anche altre piccole imprecisioni, ma la scrittura è già troppo lunga, per cui ne riporto solo una, che forse è anche dovuta alla cattiva stampante usata. Tra i libri di Tom che si porta a Cambridge, ne viene citato uno di “George Shoobridge Garr”. È un libro esistente, che fornì la base istruttiva per il grande matematico indiano Ramanujan. Peccato che l’autore si chiamasse “Carr”, con la “C”!

Come ormai dovreste sapere la quarta settimana è dedicata ad una trama di passaggio, senza altre aggiunte. Mi piace comunque ricordare una frase di un’autrice a me assai cara, la francese Fred Vargas che nel suo “Dans les bois éternels” sostiene “en amour, mieux vaut regretter ce qu’on a fait que regretter ce qu’on n’a pas fait” (162). Cioè, “in amore, è meglio rimpiangere qualcosa che abbiamo fatto, piuttosto che qualcosa che non abbiamo fatto”.

Per il resto, sembra che, nonostante il clima pesante di guerre e pandemie, qualcosa si stia muovendo. Forse si accumulano altre adesioni all’Islanda estiva. E si avvicinano altri interessanti week-end di riposo e di cultura. Speriamo che tutto si riesca ad appianare, anche se le notizia, intorno al globo, non sono delle migliori. Ma io, lo sapete, sono sempre portato all’ottimismo della volontà. Per cui vi abbraccio di nuovo.

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