domenica 5 giugno 2022

Scrittura femminile - 05 giugno 2022

Come capita a volte, eccoci ad una settimana tutta dedicata alla scrittura femminile, ed anche esterofila, con due scritture spagnole (benché sudamericane), due francesi (benché della stessa autrice) ed una inglese (anche qui, eccentrica dato che è irlandese). Alla fine, la Perrin si dimostra tra le più leggibili, anche se non sempre mi convince, seguita a ruota da Isabel Allende, che, devo dire, non delude mai. Un po’ dietro, interessanti nello loro ambito, ma non per le mie corde, ci sono Cecelia Ahern e la messicana Valeria Luiselli.

Valérie Perrin “Les oubliés du dimanche” Livre de poche euro 14

[A: 10/08/2021 – I: 17/08/2021 – T: 20/08/2021] - && e ½

[tit. or.: originale; ling. or.: francese; pagine: 410; anno 2015]

Sempre a causa della vacanza cretese-cretina, mi ritrovai per una spiaggia oscura. Che il libro galeotto era finito. Troppo il riposo, poco lo spazio in valigia. Fortuna che in quel di Matala c’è una fornita libreria per stranieri (a Iráklion c’è una bellissima libreria esteticamente rilevante ma solo con libri greci, una lingua che non mastico benissimo…). Così che per il finale di vacanza, finiti i libri su Spinalonga, nonché chiuso (con qualche rimpianto) il viaggio di Zorba, cosa scegliere? Di greco, nulla. Allora, visto che la Hislop parlava dell’isola dei dimenticati, perché non rifugiarsi nel primo libro dell’ultima moglie di Claude Lelouch? Cambiando l’acqua ai fiori, mi sono anche emozionato. Vediamo che succede a dimenticarsi dei domenicali.

L’impianto generale del romanzo si colloca sempre (come impareremo in seguito) in un’ambiente plurifamiliare problematico, dove qualcuno cerca di trovare il bandolo ad una qualche matassa. Qui, l’eroina è la giovane Justine che da un lato cerca di sbrogliare la propria matassa personale e dall’altro si immedesima nella storia di una vecchia signora ricoverata nella casa di cura in cui lavora. Ne escono fuori, quindi, storie parallele che si intrecciano, ed in cui il punto inziale, e poi finale, è la ricerca del sé della protagonista. Cosa che sembra quindi una costante negli scritti della Perrin.

Dipanando il testo, quindi, abbiamo la storia di Helene, la signora ricoverata. Che ha vissuto una grande e ben complicata storia d’amore con Lucien, incominciata nel lontano 1936. Helene era probabilmente fortemente dislessica, tanto da non riuscire a leggere. Lucien, invece, viene da una famiglia in cui i maschi, dalla pubertà in poi, perdono progressivamente la vista. Lucien, nell’attesa di divenire cieco, impara quindi l’alfabeto braille. Ma non diventa cieco, e quando conosce Helene, le insegna il braille, così che lei possa finalmente leggere.

Nasce così un bel rapporto, di comunione di ideali, di sesso, anche se l’amore è qualcosa che, seppur aleggia, non si esprime. I due gestiscono un bar, nascondono un ebreo durante la guerra, tentano inutilmente di avere una prole. Poi, i tedeschi scoprono il fuggitivo, deportano Lucien a Buchenwald. Dove si salva, ma perde la memoria. Al ritorno, viene salvato da un’infermiera parigina, Edna, con cui andrà a vivere, con cui farà la figlia Rose. Edna, pur sapendo la storia di Lucien, non gli rivela nulla per anni. Poi, all’improvviso, decide di mollare, quando capisce che il legame con Helene è più forte di tutto e di tutti. Edna abbandona Lucien e Rose, fugge a Londra dove si rifà una vita.

Lucien torna da Helene e con lei e Rose vivrà la sua vita, fino alla morte. Helene, alla fine, si rifugerà nella casa di riposo dove lavora Justine, le racconterà la sua vita, che la nostra eroina comporrà in un libro, per donarlo agli eredi di Helene, alla di lei morte. Ricevendone un regalo inaspettato (e non vi dico certo quale). E facendo capire alla fine a Justine quale sia la sua prossima strada.

Nella parte personale, Justine tenta di capire come e perché siano morti i suoi genitori e quelli di suo cugino Jules, periti in uno strano incidente d’auto, il 6 ottobre del 1996 (è importante ricordare la data). A forza di mettere insieme tessere del puzzle, l’incidente si rivelerà molto più che strano, come strano tutto il suo contorno. Ma questa è la storia principale, direi, che lascerei scoprire a chi ha voglia di leggere.

Leggere un libro dove, ancora una volta, si nota il tocco di Lelouch nella sensibilità di Valérie, che riempie il testo di rimandi suoi personali, che a volte hanno toccato anche me. Quando si narra che Lucien è un patito di Brassens (a lui piaceva “Les sabots d’Helene” a me “La jeune Margot”) un cantautore che adoro. Quando Roman, un nipote di Helene, parte per il Perù per fare foto alle isole Ballestas, che sono da trent’anni nel mio immaginario ed a cui tornerei volentieri anche domani. Quando cita a più riprese Milena Agus ed il suo bellissimo “Mal di pietre”, un romanzo da leggere assolutamente. Quando, infine, per riprendere un discorso, fa dire ad un personaggio “revenons à nos moutons”, una frase iterativa di uno dei primi testi francesi noti, “La farce de Maître Pathelin”, il pallino fisso della mia insegnante liceale di francese, la mitica ed inarrivabile professoressa Mangione.

E poi ci sono i suoi rimandi. Laddove il protagonista Lucien fa di cognome Perrin, come il nonno della nostra. E dove la nonna di Valérie fa di cognome Hal, come Helene. Ed un’altra nonna Géant, come un ricoverato nella clinica. Veniamo infine al 6 ottobre, data dell’incidente mortale. Ma anche giorno della nascita di Janet Gaynor, la prima attrice ad avere l’Oscar nel 1929, la cui foto seguirà Helene per tutta la vita. Ricordo ai non addentro al cinema, poi, che la faccia di Janet venne utilizzata come modello per disegnare la Biancaneve di Disney.

Insomma, avete già capito, tutto all’insegna di Lelouch e del suo tocco. Ma va bene così, pur non essendo all’altezza del secondo, ha una sua leggibilità giusta. Chissà come sarà il terzo libro dell’autrice francese.

“Être vieux, c’est être jeune depuis plus longtemps que les autres” (9) [Essere vecchi vuol dire essere giovani più a lungo degli altri]

Cecelia Ahern “P.S. I love you” RCS Media Group euro 8,90

[A: 25/03/2019 – I: 15/10/2021 – T: 17/10/2021] - &&   

[tit. or.: PS, I love you; ling. or.: inglese; pagine: 411; anno 2004]

Avevo sentito parlare di questo libro di Cecelia Ahern come uno dei preferiti in adolescenza di Benedetta. Ora ne leggo in questa sezione dedicata ai libri da cui sono stati tratti film di successo. Per fortuna è l’ultimo, non perché sia particolarmente brutto, in fondo non lo è. Ma l’ho trovato un po’ sopravalutato. In fondo, la scrittrice irlandese prende un po’ di “Love Story”, ci aggiunge qualche brano di “Ghost” ed un po’ di “Sex and the Cities”, e confeziona un prodotto sicuramente ben fatto per i poco più di vent’anni che aveva al momento della scrittura.

Fortunatamente, per non aver un giudizio che stava andando sotto lo zero, dopo pagine e pagine un po’ ripetitive ed un po’ sotto le righe, ci si inventa un finale che riscatta (anche se solo in piccola parte) un libro leggermente mieloso.

La storia ci narra il risorgere alla vita di Holly. Lei e Gerry sono felici, giovani, innamorati. Complementari negli atteggiamenti, con tanto amore che riscatta i normali momenti bassi della vita. La loro vita insieme è tuttavia di breve durata, che una malattia porta via Gerry, lasciando Holly sola e disperata per quello che poteva essere e non è stato.

Noi entriamo subito in pieno marasma. Sappiamo subito della morte di Gerry, e di come si sente Holly, ventinovenne persa e sola. Qui Cecelia ci fa vedere i due motori che porteranno Holly ad un ripensamento della sua vita, per approdare a quel finale di speranza non banale cui accennavo.

Da un lato ha due amiche meravigliose che non la lasciano sola, anzi sono a volte un po’ invadenti nel tentativo di farla uscire dalla tristezza cui si abbandono. Amiche, ma anche una famiglia, forse a volte bizzarra, ma sempre unita e presente (qui si sente molto il retroterra irlandese della scrittrice, dove sappiamo essere forti i legami familiari).

Dall’altro sarà proprio il morto che l’aiuta nel suo percorso. Gerry, sentendo avvicinarsi la fine, e sapendo di Holly forse più di Holly stessa, si inventa una sorta di gioco dell’oca, che poi è il motore del libro. Scrive dodici lettere alla sua amata, ognuna contraddistinta da un mese, ognuna con qualche riga di commento, qualche suggerimento, qualche richiesta di impegnarsi in qualcosa (dalla ricerca di un nuovo lavoro ad attività che Holly non pensava di intraprendere). Ogni lettera, poi, per ribadire il legame indissolubile tra i due, termina con la scritta del titolo. Seguendo i dettami del marito, Holly riesce a ripensare a sé stessa in termini nuovi, e ad uscire dal baratro cui era piombata. Non per dimenticare Gerry, ma per portarsi in un nuovo momento di vita, in cui lei è Holly senza Gerry accanto, ma con sempre Gerry nel cuore e nella testa. Saranno le lettere di Gerry che la porteranno a riaccettare di vivere.

È senza dubbio un romanzo d’amore, anche se non piatto o stupidamente melenso, sorretto da una scritturale scorrevole, dove si nota la ricerca di un linguaggio non piatto, con frasi e parole sovente poco utilizzate in questi contesti. Ma è anche un libro sull’elaborazione del lutto. Su come riconoscere, alla fine, che Gerry è morto, e su come comprendere, proprio grazie a Gerry, che invece Holly è viva, e che solo accettando la morte di Gerry potrà accettare di vivere.

Tanto per ricordare che non è solo un volo di lacrime, tra le pieghe delle pagine vediamo anche fisicamente il metro e settantatré di Gerry che abbraccia il metro e sessantacinque di Holly. Vediamo Gerry in forma ed atletico, prima, poi deperito, sciupato, malato quasi fino a vergognarsi di esserlo, ma forte, dentro del suo amore di Holly. Vediamo Holly rotondetta nella vita coniugale, poi dimagrire a vista d’occhio con i pantaloni che ballo. Con la poca cura di sé, che l’amica nota la ricrescita scura sotto i capelli biondi. Sono forse banalità, ma denotano attenzione all’azione che si svolge, e cura nel coinvolgere il lettore in ogni suo senso.

Non ho di converso visto il film, quindi non faccio paragoni anche se, leggendo soltanto che l’azione viene spostata dall’Irlanda in America, mi sa di operazione un po’ troppo di mercato.

Quindi, un’onesta lettura, di un onesto prodotto, che non vi cambierà la vita, ma che in estate davanti a placide onde di mare, può far trascorrere qualche ora piacevole. E magari riflessiva, che, purtroppo lo sappiamo anche se non ci crediamo, non tutti sono eterni.

“Era stato stupido sprecare così tanto del loro prezioso tempo insieme. Non gliel’aveva detto nessuno che sarebbe stato così poco.” (121)

Valeria Luiselli “La storia dei miei denti” Repubblica Latino-americana 7 euro 9,90

[A: 13/03/2020 – I: 24/01/2022 – T: 26/01/2022] - && e ½   

[tit. or.: La historia de mis dientes; ling. or.: spagnolo; pagine: 169; anno 2013]

Continuiamo un po’ saltabeccando a guardare alla letteratura del mondo latino-americano, con questa giovane scrittrice messicana. Di origini italiane, nasce meno di quarant’anni fa a Città del Messico, e dopo la laurea in filosofia, si dedica alla scrittura, ed ora vive tra il Messico e New York con marito e figli. In questo suo terzo libro si dedica, con diletto, anche se con risultati alterni, a mescolare tutte le sue conoscenze, realizzando un libro tutto sommato divertente, anche se di maggior impatto se leggiamo prima l’epilogo e poi la cronologia inserita come capitolo aggiuntivo dalla sua traduttrice americana (e redattrice del capitolo) Christina MacSweeney.

La cronologia non aggiunge molto alla forma “libro”, tuttavia, per chi non conosce molto la cronistoria politica e letteraria messicana, e per chi fa un po’ di fatica a collocare rimandi temporali a volte astrusi, è un utile ausilio (a meno di non segnarsi tutte le possibili citazioni e dedicarsi ad una lunga sessione su Wikipedia).

L’epilogo, invece, non svela nulla del libro, non essendo un epilogo del testo. Ma svela i meccanismi costruttivi del libro stesso, facendone risaltare meglio una serie di possibili pregi. L’autrice, in effetti, viene incaricata da una fabbrica di succhi messicani, la Jumex, di redigere un tradizionale catalogo per una mostra d’arte contemporanea in una installazione della fabbrica stessa sita a Ecapetec, alla periferia di Città del Messico. Valeria non è certamente priva di ingegno e decide, per una serie di motivi che potete leggere nel capitolo, di scrivere un catalogo “iperbolico”, che tocchi la mostra ma ne interpreti il carattere contemporaneo. Scrivendo un testo a puntate, nella tradizione aulica di Dickens e dei feuilleton francesi. Ogni puntata viene lette coralmente alle maestranze dedite alla costruzione del padiglione, e Valeria ne registra i commenti, le discussioni, utilizzandole per scrivere e modificare i capitoli successivi (e a volte anche i precedenti).

Si costruisce così la storia fantastica di Gustavo Sánchez Sánchez, detto Autostrada (Highway nell’originale e c’è un perché). Gustavo ha una vita tendenzialmente piatta, segnata fin dalla nascita dall’avere denti prematuri, ed ai denti è legata tutta la sua vita. Il padre, nullafacente, passa il tempo a strapparsi le unghie con i denti ed a lanciarle al figlio. Che da questa “tortura” incomincia a collezionare, prima i denti, poi tutto quello che gli capita. Fa il guardiano in una fabbrica (come i lettori della puntata), sposa una donna chiamata “la Magra” (flaca in spagnolo e pensiamo subito alla canzone), ha un figlio. Poi la Magra lo lascia, lui vivacchia, fino a decidere di seguire i corsi di un venditore giapponese, per diventare, in breve tempo, il miglior banditore d’asta al mondo. Talmente bravo di aggiudicarsi in un’asta a Miami, i denti di Marylin Monroe, di sostituirli ai suoi, e di proseguire la vita “con il sorriso in faccia”.

Bravo anche perché si inventa modalità astruse di vendita. Le incontriamo un po’ tutte. Ma le più affascinanti sono le iperboliche e le allegoriche. Nelle prime, lo vediamo vendere un assortimento di denti, vantandone la provenienza da bocche improbabili, da Platone a Petrarca, a Churchill e via inventando. Ed è già di una bella fantasia. Le seconde sono mirabili: non si vende l’oggetto, ma si inventa una storia intorno ad esso, ed è la storia, l’allegoria, ad essere declamata e venduta. Tra l’altro con uno sforzo immaginifico interessante dell’autrice.

Poi Gustavo ha una serie di sventure, che alla fine lo porteranno, triste e solitario, a rinchiudersi in casa, ed a morire lontano da tutti. Non prima di aver incontrato uno futuro scrittore, presentatosi come Jacobus de Voragine, cui Gustavo narra la sua storia per far sì che Jacobus la scriva, iperbolizzandola al massimo.

Se poi, prima di tornare sullo scrittore e su “Autostrada”, la scrittrice infarcisce le pagine di parenti e amici di Gustavo, che, ad esempio, si chiamano Giacomo Sánchez Joyce, Marcelo Sánchez Proust, Juan Pablo Sánchez Sartre e via discorrendo. Capite quindi il gioco intellettuale che c’è dietro. Poi, Jacobus de Voragine, il nome del fantomatico scrittore, non è altro che la dizione spagnolo del beato Jacopo da Varazze, vescovo ligure, famoso per un suo dottissimo tomo sulla vita dei santi. Inoltre, è di Varazze come mia nonna, il che non guasta.

Infine, Gustavo era un patito della musica country, e di un gruppo di ferro del genere composto da Johnny Cash, Willie Nelson, Waylon Jennings e Kris Kristofferson. Gruppo che aveva nome “Highwaymen”. Collegamento che si perde nella traduzione.

Il libro, purtroppo non sempre con esito felice, scorre tra malinconia ed ironia, tra invenzioni esilaranti e dotte citazioni. Al punto che finzione e realtà si mescolano, e non si comprende più cosa sia vero e cosa sia falso. Alla fine, tuttavia risulta un po’ troppo aulico e colto, e la sua fruizione diventa di difficile digestione. È però una scrittrice colta, che stuzzica la voglia di giocare a riconoscere i fili della narrazione, al di là dello scritto.

Chiudo citando un “gioco” che avrebbe deliziato i membri dell’Oulipo. Per sciogliere la parlantina, Gustavo si inventa scioglilingua non citando le parole al contrario, allo specchio (troppo facile), ma divide le parole nella loro sillabatura, e pronuncia le sillabe in ordine inverso, come dall’esempio che riporto sotto.

“Tocetpuccap” (42) [cappuccetto con sillabe invertite]

“Viaggiare è molto meglio che leggere diecimila libri” (99)

Isabel Allende “Violeta” Feltrinelli s.p. (Regalo di Alessandra)

[A: 14/02/2022 – I: 18/03/2022 – T: 21/03/2022] - &&&  ---

[tit. or.: Violeta; ling. or.: spagnolo; pagine: 356; anno 2022]

Con questo ho, finalmente, esaurito tutti i regali ricevuti nell’ultimo anno, e non sono stati pochi. Un finale piacevole, che la scrittrice cilena è da me letta sempre con piacere, per la facilità di scrittura, nonché per la presenza, spesso e volentieri, di tematiche politiche e sociali, oltre al lato personale ed intimo, cosa di per sé gradita.

Questa prova, tardiva e matura, ha lasciato in me una sensazione “a due facce”. Sempre bella lettura, scorrevole, e difficile da abbandonare prima di arrivare alla fine. Tuttavia, la parte sociale, non ha più la forza delle prime scritture. Pur narrando, anche, di periodi presenti in altri suoi lavori, questa parte non ha più la forza dirompente che so de “La casa degli spiriti”. Anche se, per caso, per scelta, c’è di certo un rimando. Visto che lì nasceva tutto dai primi ricordi della grande vecchia, nonna Clara del Valle, srotolandosi dal 1899 ai primi anni ‘80. Qui, seguiamo la vita, lunga e cilena, di Violeta del Valle, nata nel 1920 e dipartita centenaria.

Ma non ho interesse, né fulgide capacità critiche, per tracciare altri paralleli e rimandi. Che qui si segue un diverso filone narrativo. Facile, come detto, ma denso, visto appunto che Violeta ci parla di tutta la sua vita, proseguendo sempre in parallelo, anche se non sempre palese, con la storia del suo paese.

Abbiamo così molta parte dedicata alla vita “privata” di una donna che attraversa tutto il XX secolo. Una donna nata da famiglia agiata, che viene travolta dal crollo del ’29, per cui dalla capitale si dovrà trasferire nella Patagonia cilena. Una donna che non ci narra di tutte le sue avventure amorose, ma solo delle quattro importanti.

Il primo marito, l’oriundo tedesco Fabian, sposato un po’ per noia, un po’ perché non sembrava esserci altro. L’amante focoso per il quale lascia Fabian, Julian l’avventuriero. Dal quale avrà due figli. Il serio ed impegnato Juan Marin e l’alternativa Nieves. L’amante tranquillo e lontano, Roy, quello che risolve i problemi. Infine, il secondo marito, quello della maturità (e si sa che le seconde nozze, se meditate, sono le migliori), il norvegese Harald.

Lo scandire del tempo è anche lo scandire degli uomini e dei rapporti. I primi vent’anni di formazione. I secondi con Fabian, il tristo, e poi scoppiettanti con Julian. Che rimarrà spesso e volentieri anche oltre il tempo suo, che Violeta, nonostante lo sappia violento ed un filino troppo reazionaria, farà molta fatica a distaccarsene.

Poi ci sono gli anni dei dolori: Nieves che si droga, Violeta e Roy che la cercano in lungo ed in largo per gli Stati Uniti, Nieves che rimane incinta, e muore dando alla luce Camilo.

Mentre tutta la tragedia personale avvolge Violeta, arriviamo agli anni del Colpo di Stato, dei generali, dei desaparecidos. Di Juan Marin che lotta, ma che deve scappare, prima in Argentina, e poi in Norvegia dove troverà pace, rifugio e famiglia.

Violeta all’inizio è esterna a tutti i sommovimenti cileni, fino a che non avrà necessità di metterci la testa, di capire, di farsi coinvolgere, a diventare, dopo i settant’anni, una paladina dei diritti delle donne. Vedremo anche quello che succede dopo la caduta della dittatura. Vedremo al volo anche le storie degli ultimi venti anni. E poiché il libro viene scritto ora, Violeta avrà anche modo di far cenno alla pandemia.

Il tutto è comunque una lunga lettera al nipote Camilo, di cui scopriamo le carte molto lentamente, tanto che non vi dico che carte sono.

La capacità, indubbia, di Isabel è farci ritratti potenti di figure simbolo della storia quotidiana. Il cattivo, l’ignavo, la femminista, il prete operaio, e tanti altri. Ma non avviene lo scatto politico, come se si riuscisse a vivere un secolo stando quasi alla finestra. Si vedono cose, si partecipa emozionalmente, ma tutto passa e tutto, prima o poi finisce. Certo, l’ottantenne scrittrice è assai disincantata anche lei dalle vicende umane che ha visto nei suoi lunghi anni. E questo disincanto porta quasi a sopire passioni e moti dell’anima forti. Ci sono tante cose, forse troppe, ed io, alla fine, non sono riuscito ad appassionarmi a qualcosa, a farmi coinvolgere di pancia.

“L’unica cosa che leggeva erano le pagine sportive dei giornali e i gialli in edizione tascabile” (295)

“Non c’è cammino, il cammino si fa andando.” (318)

Valérie Perrin “Tre” E/O s.p. (prestito di Alessandra)

[A: 27/04/2022 – I: 12/05/2022 – T: 15/05/2022] - &&&

[tit. or.: Trois; ling. or.: francese; pagine: 616; anno 2021]

Spinto dai giudizi dei lettori e da quello di Alessandra, laddove a tutti è piaciuto, con giudizi da molto a moltissimo, mi sono accinto alla lettura del poderoso terzo libro di Valérie Perrin, che, anche se per altri motivi, si chiama proprio “Tre”. Anche se questo bel numero primo è qui riferito ai tre protagonisti del romanzo.

Un libro che collocherei sopra il primo scritto, ma un po’ sotto il secondo. Insomma, una bella storia intrecciata, che scorre facilmente, che pone delle domande (una su tutte, costante della Perrin: chi siamo? Qual è il nostro io vero e profondo?), ma che, cercando di sorprendere fa un piccolo buchino nell’acqua. Che se mi intitoli tre il libro, che mi dici che i protagonisti sono tre, Nina, Etienne e Adrien, e poi cominci a parlare di quattro persone che si aggirano per la cittadina, io prima penso di aver capito male, poi ragiono, e, decrittando il problema, mi si para davanti un libro leggermente meno “sorprendente” di quanto voglia l’autrice.

Intanto, cominciando a leggere si notano subito una triplice dedica che ci apre alcuni mondi della scrittrice. Il libro ha in fatti per destinatari: Pascale Romiszvili, fioraia, amica di Valerie, deceduta tre anni fa (ed i fiori ci rimandano al secondo libro), Yannick Perrin, regista di film pornografici (è uno pseudonimo che rimanda ad un film francese degli anni ’80, “Il sostituto”, dove il protagonista è un calciatore accusato di stupro che fa di cognome Perrin) e Nicola Sirkis, musicista, anima dei testi del gruppo musicale francese “Indochine”. Qui c’è un altro doppio salto mortale: il gruppo si chiama così in onore di Marguerite Duras, dagli ottimi ma anche a volta sessualmente ambigui scritti, nonché uno degli album di maggior successo del gruppo si intitola “3” (ma dai?), dove i testi di Nicola si incentrano sull’omosessualità e sull’androginia, tanto che il pezzo d’apertura si intitola “Il terzo sesso”. E gli Indochine saranno la colonna musicale del libro di Valerie, che ne cita testi e musica a profusione.

C’è anche un’altra costante negli scritti di Valerie, questo andare su e giù nel tempo. Che forse qui è a volte meno fastidioso che altrove, ma che, come già sapete, non sempre mi trova concorde. Qui, i piani temporali sono in effetti due: la storia dei nostri tre eroi, dal momento del loro incontro, nel 1987, e dove il racconto scorre, fino a congiungersi con il presente, il 2017, dove Valerie salta per aggiornarci su alcune vicissitudini dei tre.

Andando su e giù nel tempo, allora, vediamo la storia dei tre. Etienne, il bello, quello che andava avanti a scuola copiando, che aveva tutte le ragazze. Fino a rimanere invischiato con Clotilde, che ad un certo punto scompare lasciando un grosso punto interrogativo. Adrien, il timido, quello preso di mira, soprattutto da un insegnante, che poi seguirà una sua strada nella scrittura, di romanzi e di teatro, per poi sparire. Nina, l’estroversa, sempre in cerca dell’amore, con grandi capacità di disegno, che vuole andare a Parigi per dipingere, ma sarà frenata dalla morte del nonno. E trovandosi sola si rifugia nell’uomo sbagliato, Emmanuel, il riccone del paese, che sposa, ma che le rovinerà la vita.

Ognuno dei tre farà la sua evoluzione, che seguiamo per capire come mai ora, trent’anni dopo, la loro amicizia sembra essersi allontanata. Adrien, appunto, sparendo. Etienne si sposa, ma ha un cancro e non si vuole curare. Nina riesce a fuggire dal marito violento, rifugiandosi nell’amore degli animali, e nel suo canile per cani abbandonati (tocco alla vicenda personale di Valerie, anche lei animalista convinta e seria).

La scintilla che ci permette di rannodare i fili è il ritrovamento di un’auto finita in acqua da tanti anni, e con un corpo femminile dentro. La giornalista Virginie, ritrosa e di poco chiara figura, viene incaricata di seguire le indagini. E scopre che la morta è proprio la Clotilde di Etienne. Ma la sua indagine porterà alla verità ed allo scagionamento di Etienne, anche se per molto tempo il lettore si domanda chi sia Virginie, perché conosca così bene i tre, e perché dalla conoscenza si sia allontanata, anche dolorosamente.

Alla fine, anche per Nina si prospetta un finale diverso, alla Lelouch, trovando in un insegnante da poco trasferitosi a La Comelle (cittadina ai piedi di un parco naturale, tra Digione e Lione) un’anima che riflette meglio la sua. Ed Etienne convincerà i suoi due amici di gioventù ad accompagnarlo in un giro in Italia, dove pensa di morire, ma dove gli amici gli ridaranno la voglia di vivere, e la spinta per curarsi, anche con poche probabilità. E Adrien riuscirà finalmente a conciliare la sostanza dei suoi scritti con la realtà della sua vita.

La Perrin, usando come sfondo nuovamente un luogo lontano da Parigi, a sottolineare che oltre la città c’è anche la Francia, affronta al solito tanti temi, come quella ambientalista, sempre presente in tutti i suoi scritti. Ma anche quella della famiglia, intesa come unione di affetti, non come sola e semplice famiglia tradizionale. Una famiglia spesso disfunzionale, monoparentale, ma unita da affetti profondi. E la diversità, di tutto, carattere, modi di essere, sessualità, una diversità che non deve conoscere barriere per mostrarci come realmente siamo, chi realmente amiamo, a chi realmente diamo affetto ed amicizia.

Alla fine, non dico mi dispiaccia l’autrice, ma neanche sia in cima a tutte le mie corde. Una bella scrittura, belle idee per gli intrecci (ottime ambientazioni, invero), ma non dà quello struggimento dei sentimenti che ci si può aspettare da questo contesto. Comunque, brava.

“I romanzi servono a scrivere ciò che si è incapaci di fare nella vita vera.” (518)

Siamo alla prima uscita di giugno, quindi facciamo il punto sulle letture di marzo, che sono state copiose, ma non tanto fruttuose. Nessuna lettura si eleva sopra il 3, neanche un 3 e ½. E nulla sprofonda nell’illeggibilità. Unico dato che rimarco che tra regali, prestiti, feste e tornei vari, più della metà dei 19 libri sono entrati in biblioteca senza esborsi pecuniari.

 

#

Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Ronnie O’ Sullivan

Ronnie

Orion

s.p.

2

2

Ben Pastor

La Sinagoga degli zingari

Sellerio

s.p.

2

3

Colin Dexter

Il più grande mistero di Morse e altre storie

Sellerio

s.p.

3

4

Carlo Lucarelli

Leon

Einaudi

s.p.

2

5

Yoyo Maeght

La saga Maeght

Robert Laffont

s.p.

2,5

6

Qiu Xiaolong

Processo a Shanghai

Feltrinelli Marsilio

s.p.

2

7

Simonetta Agnello Hornby

Caffè amaro

Corriere Oggi

8,90

3

8

Eugen O. Chirovici

Il libro degli specchi

Corriere Thriller

7,90

3

9

Louise Penny

L’inganno della luce

Repubblica Noir

7,90

3

10

Michele Caccamo

Fili di rame e d’amore

Elliot

s.p.

1,5

11

Marina Collaci

Scialomm Mussolini

Castelvecchi

s.p.

3

12

Simonetta Agnello Hornby

Piano nobile

Feltrinelli

s.p.

3

13

Piero Colaprico

La strategia del gambero

Repubblica Noir

7,90

2,5

14

Isabel Allende

Violeta

Feltrinelli

s.p.

2,5

15

Alessandro Robecchi

Una piccola questione di cuore

Sellerio

15

2

16

Faye Kellerman

A mosca cieca

Repubblica Noir

7,90

2,5

17

Georges Simenon

Il pensionante

Repubblica

9,90

2

18

Alessandro Perissinotto

L’ultima notte bianca

Repubblica Noir

7,90

2

19

Simonetta Agnello Hornby

La monaca

Corriere Oggi

8,90

2,5

 

Abbiamo detto, prima trama. Che si accompagna con una riflessione che ho sempre fatto, che sottolineò Alicia Gimenez-Bartlett quando, dieci anni fa, lessi “Il silenzio dei chiostri”. E che riporto al vostro giudizio: “L’amore è una pianta delicata che richiede continue cure, contrariamente a quanto ci è sempre stato fatto credere. L’amore vero resiste a tutte le tempeste, diciamo noi spagnoli. Può darsi, eppure rischia di seccarsi se nessuno lo annaffia un pochino tutti i giorni”. (447)

E come detto, ci si avvicina (finalmente) a periodi più viaggiosi. Mettendone in cantiere una alla volta, a cominciare da quello di fine mese verso Lisbona e Porto. Poi si vedrà, ma intanto si spera che la ruota si rimetta a girare. Non scordandoci poi che, tra un viaggio e l’altro avremo modo di riposarci, so ben io dove. Forse, quindi, ci sarà qualche trama in meno, ma poi vedremo. 

 

 

 

  

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