Maurizio de Giovanni “Fiori per i bastardi
di Pizzofalcone” Einaudi s.p. (Regalo di Natale della sig.ra Laura)
[A: 25/12/2020 – I: 01/08/2021 – T:
02/08/2021] && e ½
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 262; anno:
2018]
Grazie
alle solite indicazioni alessandrine di Natalizio impulso, ecco che con questo
completo il ciclo dei (per ora) usciti libri dedicati al Commissariato
Napoletano ed ai suoi agenti. Di certo non scopriamo oggi la facilità di
scrittura e la duttilità di de Giovanni. Ne abbiamo una discreta riprova, anche
se, al solito, manca un po’ di scintilla per tornare ai fasti del primo
Ricciardi.
In
particolare, sono due gli elementi che a me hanno disturbato nella trama. I tre
capitoli in corsivo, che servono per inquadrare alcuni elementi della storia,
magari avendo l’illusione di fornire qualche elemento di pensata al lettore che
forse si pensa distratto. Nonché i continui intarsi, che rimandano ai fiori del
titolo, quasi a volerne sottolineare un’importanza (che di sicuro c’è) ed altre
sottigliezze (che per ora non vedo).
A me
robusto lettore della prima ora (che possiede il Ricciardi della Fandango
Libri, tanto per intenderci) sarebbe più congeniale un ricorso all’inserimento
delle stesse notizie, spigolature e sospensioni del racconto, come elementi
scorrevoli della trama stessa. Perché non pensare che Bastijan possa ripetere
le storie di Flora o di Anemone, così come le ha sentite da Nicola, senza così
interrompere lo scorrere temporale. E senza indicarci, quasi a forza, che lì vengono
dette parole importanti.
Come
in un classico “procedural thriller”, invece, prosegue la riscrittura
metaforica dell’87° distretto in chiave napoletana. Quindi, come ci aspettiamo,
abbiamo i due binari che solcano il romanzo: il thriller in senso stretto, dove
cerchiamo di capire chi e perché ha ucciso il buon Nicola Savio, fioraio e
floriculture di settantacinque anni vissuto nel vicolo dove ha il negozio e
dove, per l’appunto, viene barbaramente assassinato; e le storie dei nostri
eroi di Pizzofalcone, sia presi in solitaria, sia in coppia.
Classico
ormai del genere “degiovannesco” è appunto il far girare, come si deve, i
nostri in coppia, così da mettere in risalto i vizi e le virtù ora dell’uno ed
ora dell’altro. Con i soliti scambi di suggerimenti e di aiuti nel momento del
bisogno. Peccato non ci sia Marinella, la figlia del Cinese. Ma il Cinese c’è
(e darà il solito contributo fondamentale alla svolta delle indagini), e c’è il
difficile rapporto con il magistrato Laura Piras. Con la voglia di stare
insieme unita alla difficoltà dovuta ai rispettivi ruoli istituzionali. Entra
marginalmente Romano, il gigante ora diventato buono, ma a parte un fugace
incontro con la bella infermiera, non si approfondisce il discorso del rapporto
con la moglie e la figlia adottiva. C’è ancora, ma quanto andrà avanti, il
rapporto tra Ottavia ed il capo Palma, che non si sa, appunto, se e come si
possa evolvere. Infine, rimangono “Serpico” Aragona, con le sue insicurezze e
le sue intuizioni, che ormai vive con il pensionato Pisanelli, il quale, oltre
ad essere l’unico con il polso del quartiere, riesce a dare un suggerimento
vincente per la soluzione del caso.
Quindi,
questa volta il nostro si concentra sulle due storie rimanenti: Alex e il suo
rapporto-scontro con Rosaria, ed il vice Martini, single con figlia, ma forse
con il ritrovato, seppur non amato, altro genitore. Perché Alex, seppur
innamorata di Rosy, non riesce ad uscire allo scoperto come lei vorrebbe,
portando così il rapporto ad un’impasse. Poi alla rottura, quasi inevitabile.
Ci vorrà un solito incidente con la moto a rimescolare le carte.
Dall’altra
parte Elsa Martini è venuta a Napoli anche per incontrare casualmente il padre
biologico di Vittoria. Dove vediamo il procuratore un po’ in difficoltà, ma soprattutto
ammiriamo la spigliatezza e le capacità deduttive di Vicky, che, per ora, mi
sta assai simpatica. Speriamo riesca a portare a termine i suoi piani di
convergenza.
Poiché
quindi nessuna delle storie ha la sua conclusione, non ci meraviglieremo che a
breve esca una nuova puntata dei bastardi.
Il
thriller in sé è comunque ben costruito, con quel tanto di incasinamento
iniziale per un delitto apparentemente senza motivo. Potrebbe essere stato il
racket, contro cui Nicola si era scagliato pubblicamente. Ma i boss della mala
negano convincentemente. Potrebbe essere stato l’albanese Basti, come subodora
Aragona nel suo poco velato razzismo interiore. Ma il contorno della vita di
Basti, pur non limpido, poca acqua porta a questo mulino. Certo, la presenza della
famiglia Durante, sodale da anni con Nicola, ci mette delle pulci
nell’orecchio. Ci vorrebbe però una costruzione ben fatta, per coinvolgerla
nell’accaduto.
De
Giovanni riesce a portare a termine un bell’edificio probatorio, ben costruito,
anche se forse abbastanza palese da qualche battuta sparsa qua e là tra le
pagine. Alla fine, se riavvolgiamo il nastro è la parte più facile da
indovinare. Ma è alla fine una costruzione che si regge. Che permette una
lettura veloce ma non svogliata. Forse, se non fosse abusata, direi una lettura
intrigante, per quello che lascia intravedere anche per il futuro.
Massimo Carlotto, Giancarlo De Cataldo, Maurizio
de Giovanni “Sbirre” Rizzoli euro 13 (in realtà, scontato a 10,40 euro)
[A: 07/05/2021 – I: 29/12/2021 – T: 30/12/2021]
&&&
--
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 220; anno:
2018]
Pur ribadendo la mia scarsa passione per
racconti o romanzi brevi, non ho potuto fare a meno, quando per il mio
compleanno ho avuto in regalo una serie quasi completa della “Sara” di de
Giovanni, di comperare questo che contiene in un certo senso il motivo scatenante
della presenza di Sara nella scrittura del bravo napoletano.
Certo, ho dovuto leggere anche gli altri due
autori, che tuttavia non sono mai sgradevoli. Anche se De Cataldo a me convince
sempre un po’ meno, mentre Carlotto, per una serie innumerevoli di trascorsi,
lo trovo sempre di buona leggibilità.
L’assunto da cui parte questa raccolta è
facile e sintetico: “sono donne e sono poliziotti”. Anche se poi, la loro
strada come donne e come poliziotti non è sempre la stessa. Sono tre racconti
(o meglio romanzi brevi), di tre autori distinti, quindi, non è un “libro a sei
mani”, che ognuno è responsabile solo della propria parte.
La prima che ci viene incontro è Anna, una
poliziotta che, per sfuggire alla routine banale e quotidiana, si dedica a una
serata di sesso con Zeno, un collega, lasciando il marito a faccende
domestiche. I due amanti periodici poi sfruttano le reciproche informazioni per
far passare grandi camion di droga fregando piccoli pesci senza protezione.
Peccato che Zeno venga ucciso dalla mafia bulgara. E si apre allora un grande
dilemma: Zeno era corrotto o faceva il doppio gioco? Anna è confusa, ma non ha
più dubbi quando i bulgari la rapiscono, la violentano, e la vogliono al loro servizio.
Si apre allora anche un conflitto con i suoi. Anna si deve fidare dei Servizi,
o anche loro la vogliono fregare? E poi, lo stupro è una ferita bruciante.
Carlotto, al solito a suo agio con le trame
oscure, ci fa ondeggiare tra varie possibilità, per poi portarci verso la
soluzione dei problemi posti, con un finale che ricorda un’aria di Dürrenmatt.
La seconda è invece Alba, che invece è una
poliziotta più nei ranghi, anche se si fida troppo delle sue intuizioni, a
scapito di lavoro di gruppo come ci si aspetta in polizia, e come si aspetta il
suo odioso capo Paolo. La vicenda gialla gira intorno a ragazzi che uccidono
genitori e si suicidano, lasciando messaggi oscuri. De Cataldo prova ad
incuriosirci con accenni alla rete, alla sua pericolosità, ma troppo
superficiale è l’analisi e la descrizione del deep e del dark web.
Alba, visto che il capo le mette solo bastoni
tra le ruote, si butta lei a capofitto nel web, dove riesce a risalire una
catena di siti nascosti, per arrivare a quello dedicato all’Odio. Gestito
cripticamente da un Maestro definito “furbissimo”, ma che a me sembra un
torsolo da web. Fatto sta che Alba si scopre anche lei piena di cattivi
propositi, soprattutto verso il già menzionato Paolo. Riesce anche a combinare
un accordo criptico con il Maestro, per cui capiamo che lui cercherà di uccidere
Paolo, mentre lei, sapendolo, lo catturerà. La domanda è se la cattura avviene
prima o dopo il possibile omicidio. Comunque, con poca credibilità, si intuisce
anche presto dove possa essere il Maestro. Insomma, il meno riuscito dei
racconti.
Per ultimo veniamo a Sara, il motivo che mi
ha portato a questa lettura. Anche se le cronologie ufficiali collocano questo
dopo “Sara al tramonto”, in realtà è precedente, perché seguiamo la nascita del
personaggio “Sara”. Qui la poliziotta è in pensione, ma torna sul campo in
seguito alla morte del figlio. Certo, non era un rapporto facile, anzi c’era un’assenza
di rapporti. Che Sara, conosciuto sul lavoro Massimiliano, per lui lascia casa,
famiglia e figlio. Cose che nessuno le perdona. Vive un’intensa vita d’amore
con Massi, fino alla sua morte. Poi si ritira, aspettando. E mentre aspetta, ha
il figlio travolto da una macchina. Incidente? Omicidio?
Sara non sviluppa ancora tutte le capacità
che abbiamo visto nel primo romanzo, ma mette in moto tutte le sue conoscenze e
troverà il bandolo. In cambio, assumerà il ruolo che gli conosciamo e che
vedremo, forse, negli altri romanzi.
Se avevo detto all’inizio “donne e
poliziotte”, i tre autori sviluppano il tema in modo diverso. Carlotto usa
sempre i fuori linea, che però hanno una dirittura. De Cataldo insiste sulle
capacità, anche se non sempre usate correttamente. Solo de Giovanni mi ha fatto
balenare una personalità più umana, e più allineata ai modi che in tutte le sue
opere (a parte l’illeggibile “Guardiani”) porta avanti. Una lettura veloce,
agile, poco impegnativa. Ma tuttavia gradevole.
“Certe passioni, se si ha la fortuna di
provarle, si riconoscono. E che si può scegliere se essere sinceri e seguirle
alla luce del sole, o vigliacchi e consumarle in segreto. Ma a quelle passioni
è impossibile rinunciare.” (204)
Antonio Manzini “Le ossa parlano” Sellerio s.p.
(Regalo di Mario&Ines)
[A: 17/01/2022 – I: 18/01/2022 – T:
21/01/2022] && +
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 397; anno:
2022]
Questa volta non ho dovuto aspettare nessun
suggerimento, che mi è arrivata la segnalazione da Feltrinelli, e l’ho
comperato in prima italiana (due giorni dopo l’uscita) usufruendo del regalo
natalizio dei miei cognati. Non solo, ma l’ho anche subito letto, che Schiavone
merita una pronta attenzione.
Purtroppo, o per fortuna, ci siamo un po’
staccati dalla trama ossessiva della ricerca degli assassini della signora
Schiavone, del morto nel cemento e delle altre trame oscure, che hanno
impegnato buona parte di tutti i precedenti romanzi. Ci sono rimasti accenni,
ma c’è anche un giallo discretamente robusto nell’impianto, ma non nella
riuscita complessiva.
Per la prima parte, finalmente sembra
chiarito il ruolo di Caterina, dedita a smascherare trame oscure, anche se
compare uno strano personaggio, che vediamo nel primo capitolo e di cui si
accenna all’ultimo. Forse comparirà in futuro, che si sa che gli scrittori
seriali mettono qualche zona d’ombra, perché non si sa mai. Così come sembra
chiarito il ruolo di Seba, amico cattivo ma forse chi sa. Rimane sempre quel su
e giù con Marina, che non mi ha mai convinto e che continua a lasciarmi freddo.
Caro Rocco, quand’è che riusciamo a sciogliere questo nodo?
Un nodo che sembrava potersi indirizzare
verso Caterina nelle prime puntate, poi verso Sandra la giornalista nelle
ultime, e che ora si incasina di brutto, che Sandra prende d’aceto al
comportamento di Rocco, e Rocco capisce che con Caterina potrebbe essere sesso
ma non amore.
Quindi, sgomberato il campo dei contorni, che
fortunatamente non occupano tantissimo dello scritto, si può passare al giallo come
ai tempi dei primi scritti aostani.
Il morto trovato in un campo è lo scheletro
di un ragazzo, probabilmente morto cinque o sei anni prima. Lasciato in un
campo, poco sotterrato, gli agenti della terra, forse qualche animale tipo
talpa, o altre cose, lasciano poco per decifrare prima chi sia poi come, quando
e dove sia morto.
La squadra al completo si mette al lavoro,
con tutte le diversificazioni del caso. L’agente gay Deruta si occupa di video,
tabulati ed altro. L’agente Casella degli aspetti informatici, coadiuvato da
Carlo, il figlio della sua compagna. Il vice di Rocco, Antonio coordina in
seconda le indagini. Il vice precedente Italo è invece invischiato nella sua
ludopatia, e sappiamo fina dal secondo capitolo che non finirà molto bene. Il
povero molisano D’Intino c’è ma sempre in secondo piano, che non è stato ancora
perdonato di aver quasi ucciso Rocco qualche puntata fa. Poi c’è il medico
legale, Michela, con le sue ossessioni complottistica, aiutata da una pletora
di suoi amici ed accoliti. Tra i quali spicca una simpatica archeologa, Sara,
che meriterebbe più spazio in future puntate.
Per farla breve, comunque, l’indagine rivela
ben presto che siamo sul versante della pedofilia. Il piccolo, che si chiamava
Mirko, è stato brutalmente ucciso e forse altro. Per questo, tutta la squadra
si butta sul versante dei pedofili, e dei pedofili online in particolare. Si
fanno ipotesi, si scandagliano videosorveglianze varie, ma soprattutto sarà il
giovane Carlo che avrà il compito di calarsi nel “deep web” alla ricerca di
tracce che il cattivo ha lasciato (o i cattivi?).
Non è mai facile trattare questa materia,
tuttavia Manzini riesce a districarsi abbastanza bene, senza cadere in derive
splatter, ma procedendo con un’indagine finalmente degna di questo nome.
Sorgono possibili colpevoli, vanno e vengono ipotesi, smontate e poi riprese.
Come in tutti i gialli di buon nome, si arriva all’ultimo capitolo con un
colpevole sottomano. La cui colpevolezza viene sventata in poco tempo, quando,
con un ultimo guizzo, si arriva alla ricostruzione definitiva di chi ha fatto
cosa e come. Con il solo rimpianto, giallisticamente parlando, che, dato si
tratta di un’indagine circoscrivibile in un ambito certo, si suppone la
soluzione già molto tempo prima che Rocco ed i suoi ci arrivino
definitivamente.
Ma lasciamo a voi insaziabili lettori, la
voglia di leggere e di seguire la vicenda nei suoi complicati meandri. Io
vorrei soffermarmi su di un gioco di rimandi e di verità nascoste legate al
profondo web dei pedofili, ai tre nomi che saltano fuori dalle indagini, ed al
gioco che Manzini fa con loro. Gioco intellettuale e di citazioni da un lato, e
gioco per confondere il lettore dall’altro.
I tre pedofili che si rincorrono in rete
hanno, come ovvio, nickname criptici. Uno si fa chiamare Felibro 50, in onore
del poeta valdostano Jean-Baptiste Cerlogne, seguace eponimo della corrente,
francese, del felibrismo, che scriveva poesie in patois valdostano. Poeta, ma
anche uomo di chiesa. Un altro adotta il nome di Cerbiatto, dove si arriva con
facilità a collegarlo a Bambi, ma con difficoltà a risalire (citazione dotta)
all’autore del libro da cui Disney ha tratto il lacrimevole film. Cioè,
l’austriaco Felix Salten. Serve ragionarci sopra, ma anche questo si collegherà
presto al reale. Il terzo infine uso il nome di Wedderburn. Qui si gioca
sporco, che a lungo si associa il nome al matematico scozzese Joseph, autore di
pregevoli teoremi che aprirono campi algebrici interessanti, anche se poi si
isola dal mondo, in una depressione schizofrenica. Ma potrebbe anche essere
collegato al personaggio Winter-Wedderburn, protagonista del racconto di H.G.
Wells “Fioritura di una strana orchidea”.
Io ho delle idee su come siano nati alcuni di
questi giochi (che risolti portano anche alla risoluzione del caso), ma non li
svelo, che sarebbe quasi un portarvi a braccio la soluzione senza leggere il
libro. Che invece, pur nel suo standard medio, merita di essere letto. Sempre
guardando le pagine di Rocco con gli occhi di Marco Giallini.
Aspettiamo il prossimo, Antonio.
“Quando era Natale, dotto’, non era una
cena, sembrava un matrimonio. Faccia il conto: 13 nipoti, più … quattro zii e
quattro zie andiamo a 21, nonno e nonna e fa 23, 24 con zia Italia…” (131) [una
cena spartana rispetto ai nostri Natali; negli anni 2000 eravamo sulla
sessantina tra zii, cugini, nipoti ed altre amenità]
“La responsabilità delle azioni tornano
sempre, magari non subito, col tempo, ma tornano.” (261)
Maurizio de Giovanni “Angeli per i bastardi
di Pizzofalcone” Einaudi s.p. (Regalo di Raul&Vivi)
[A: 02/11/2021 – I: 24/02/2022 – T:
26/02/2022] &&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 246; anno:
2021]
Che intanto, anche qui, già comincia ad
essere pensoso ed un po’ rompipalle.
Visto che inoltre si segue molto il procedere
televisivo, l’autore continua ed amplifica il filo della trama tipico delle
serie su “squadre di poliziotti”. Si segue un’indagine principale, poi c’è una
piccola indagine collaterale, e sullo sfondo il procedere delle vicende dei
componenti della squadra.
La prima quindi si concentra sull’uccisione
di un meccanico di moto e auto di lusso, maniaco dell’ordine, della pulizia, e
dall’intreccio della sua vita con quella di uno dei maggiorenti della città.
Nessun motivo apparente per farlo fuori. Dopo aver facilmente eliminato le
cause più facili di contorno, tipo usurai che avevano prestato soldi ed altre
malavitosaggini di bassa lega, le indagini si concentrano sulla storia di
Nando. Meccanico della famiglia Cortese, con figlia piccola, che cresce,
studia, diventa manager, e si fidanza con il rampollo della famiglia. Il tutto
sotto gli occhi svampiti della mamma del rampollo, con Alzheimer sì, ma con
decisi sprazzi di buona sanità mentale.
È lì che verrà risolta l’indagine, che poteva
mettere in difficoltà, al solito, la credibilità e l’esistenza dei Bastardi, ma
per ora si risolve al meglio.
La seconda, in minore, cerca di risolvere il
problema e/o la malattia della piccola Marida. Che tutti capiscono subito non
essere affetta da otite, bensì vittima di maltrattamenti familiari. Con una
trama che riprende, anche se con minore crudeltà, quella del libro della
norvegese Holt “Il presagio”. Se lo avete letto, capite; se non lo avete letto,
è pur tuttavia discretamente semplice arrivare alla soluzione.
Il tutto, dicevo, condito dalle vicende dei
personaggi.
Lojacono che non capisce l’allontanamento che
avverta in Laura, ma che, avendo visto la TV, sappiamo legato alla richiesta
del magistrato di essere trasferita, ed alle incomprensioni che ne susseguono.
Anche se, in parte, capovolte. Che in Tv era Gassmann che non voleva seguire
Laura, mentre qui è la stessa che si domanda come gestire la situazione.
Alex e la bella dottoressa continuano la loro
storia, e sappiamo che presto sarà alla luce di tutti.
“Serpico” Aragona, lasciatosi alle spalle la
storia con l’ucraina, cerca di fare colpo sulla bella infermierina che aveva
scoperto le problematiche di soprusi sulla minore, con uscite improbabili per
far colpo, ma consone al personaggio. Coinvolgendo la dottoressa che aveva avuto
una piccola ma intensa storia con “Hulk” Romano, quando questi decise di
adottare una bambina.
Qui si apre una storia nella storia, dove
vediamo avvicinamenti e allontanamenti tra Romano e la moglie avendo con
chaperon la piccola. Ed i tormenti sia di Romano che della dottoressa che
sarebbe presi di affetto, ma bloccati dalle conseguenze che una loro storia
potrebbe avere sui destini della piccola.
Poi c’è la storia della nuova entrata, Elsa,
con la figlia super intelligente, ed il genitore biologico che non sa di
esserlo, e tutte le manovre per uscire dalla complicata situazione.
Finendo con la storia anch’essa profonda ma
ben complicata, tra il commissario Palma e la bella Ottavia. Anche qui,
complicata dalle vicende familiari di lei. Che non ha più un buon rapporto con
il marito, ma di mezzo c’è il figlio autistico.
L’altra cifra delle storie di de Giovanni è
l’idea che scatena la storia e le storie. In quelle del commissario Ricciardi
era cominciata con le stagioni e poi proseguita con le feste comandate. Qui, i
Bastardi vengono invece avviati alle loro avventure da un singolo nome. C’erano
stati, cito a memoria, il pane, i fiori, il gelo, i cuccioli, ed altro. Nello
specifico, parliamo in questo romanzo di “angeli”. Intesi per la maggior parte,
come persone “buone” che si occupano di uno o più altri. L’angelo Palma che
veglia su Ottavia. L’angelo Alex che accudisce Rosaria. L’angelo Vicky che
cerca di incollare le vite altrui. L’angelo Susy per tutti i bambini.
Non facendoci mancare però qualche gustoso
intermezzo, quasi dei microracconti nella storia generale. Qui, esempio
eponimo, la diatriba verbale (anche se diatriba la farebbe sembrare una disputa
forte), tra suor Giovanna che, inopportunamente, cerca di spiegare gli angeli
ai suoi piccoli alunni paragonandoli ai supereroi dei fumetti, ed il piccolo
Arturo, che dei supereroi sa tutto, che facilmente ne smonta il costrutto.
Forse non serve a niente nell’economia della trama, ma è un siparietto ben
costruito e ben raccontato.
Però, la verve di de Giovanni sta sempre più
in calando. Si sente, oramai, un po’ troppo il mestiere dietro le sue storie.
Forse dovrebbe cercare di scrivere meno e di scrivere meglio. Vedremo cosa ci
riserveranno le future letture.
Alessandro Robecchi “Una piccola questione
di cuore” Sellerio euro 15 (in realtà, scontato a 14,25 euro)
[A: 14/03/2022 – I: 21/03/2022 – T: 22/03/2022]
&&
+
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 368; anno:
2022]
Se hai visto “Monterossi” su Netflix, ed esce
un nuovo libro di Robecchi, si fanno due cose: si compra ed appena possibile si
legge (magari, mettendo sul CD visto che non ho tanto Bob Dylan, direi un
Guccini d’annata).
Mentre Carlo Monterossi si aggira per Milano
con la faccia di Fabrizio Bentivoglio, ci si addentra nella storia, dove,
purtroppo, questa volta non ci si solleva troppo. È una storia abbastanza
scontata, pur ben scritta. Ma non scattano i soliti meccanismi “robecchiani”.
Poca ironia, solite tirate contro le televisioni commerciali, rapporti
“statici” tra i personaggi storici della serie. E quasi nullo l’interesse per
la parte gialla della storia. Rimane il rovello che il nostro Carlo continua a ripetere
ogni due pagine. Che cos’è l’amore? Come si declina? Come si interpreta nelle
figure che compaiono nel romanzo?
C’è amore fra il vicecommissario Ghezzi e sua
moglie Rosa, dopo tutti gli anni di vita in comune? C’è amore tra il poliziotto
Carella e la sua nuova fiamma, comparsa solo di sfuggita alla fine, l’insegnante
Stefania? E quale amore, se c’è, è presente nel rapporto tra Carlo e la sua
amante ormai d’annata, Bianca Ballesi?
Gli unici che sembrano sfuggire alle domande
sull’amore, forse, sono i factotum della “Sistemi Integrati”, l’agenzia
investigativa finanziata da Carlo. Là dove si aggirano, pensosi e fattivi,
Oscar Falcone e Agatina Cirielli. Né c’è amore, perché è mostrato davanti a
tutti, ostentato, nelle esibizioni televisive di Flora De Pisis. Che sembra non
aver imparato nulla dalla lezione del precedente romanzo, dal suo rapimento, e
da tutto quello che ne seguì.
Mentre c’è da chiederlo, ancora ed ancora, se
c’è, l’amore, tra i protagonisti del romanzo. Tra il gangster Mino Sanfilippo e
la bella avvocatessa londinese. Ma soprattutto tra coloro che daranno il via a
tutta la storia. Il giovane Stefano, ricco poco più ventenne, e la
ultratrentenne Ana, con tutti i suoi misteri e le sue storie, di certo poco
chiare.
Ma tutti i discorsi di Carlo, le sue domande
sull’amore, su cosa sia l’amore, su perché si ama, su chi si ama, servono a
poco. E soprattutto non servono a demonizzare, come Robecchi vorrebbe, il
mostro mediatico di “Crazy Love”. Che ha come sigla, “anche questo fa fare
l’amore”, ma in questo contesto rimane sterile e poco attrattivo.
Se lasciamo da parte l’amore, cosa rimane
della storia?
Stefano incontra Ana, escort ed altro,
inserita in giri malavitosi grandi e grossi. Nasce l’amore, inopinatamente, e nasce
quindi la necessità per Ana, di tirarsi fuori, di escogitare qualcosa affinché
i due piccioncini possano volare lontano ed essere felici. Ecco quindi nascere
il grande castello del complottone.
C’è un gangster tradizionale, Mino, che
lavora su escort ed usura. Ha avuto un cedimento “sentimentale” ma di poca
durata, seppur di grande ferita. Che lascia sul tappetto un bel gioiello di oro
e diamanti. Gioiello concupito dal gangster rampante Bastiani, per la sua
fiamma-modella Dana. Ovvio che Ana è incastrata da tutti, che per loro ha
lavorato, che di loro sa i segreti, e quindi deve inventare qualcosa.
Ed ecco l’ideona: Mino le chiede di
recuperare il gioiello, lei finge di farselo rubare, sparisce, coinvolge
Stefano a chiedere a Carlo ed i suoi di ritrovarla, ma solo perché così riesce
a fare un patto di ferro con Mino per vendergli Bastiani, ed incastrarlo.
Questo si capisce dalle prime battute. Poi
tutto il resto è un po’ noioso, seppur sequenziale. Oscar e Agatina fanno il
loro lavoro, e trovano fili nascosti nella vita di Ana. Ghezzi e Carella fanno
la loro parte, a valle dell’omicidio di Bastiani. Ovvio che i fili si
congiungono (inciso: ormai è un classico di queste tipologie di noir, dove ci
sono due filoni di indagini cui si presta attenzione, dove noi lettori ne
vediamo subito la convergenza, aspettando che la vedano anche i protagonisti).
Come ovvio che il nostro Carlo-Fabrizio farà la figura dell’omino pensante, e
del “musicalizador” con i suoi Bob Dylan (improprio, che il termine argentino
si riferisce alla milonga, ma io faccio voli pindarici), utili a sottolineare i
momenti topici del dramma.
Però tutto è assai debole, e se non fosse per
l’affetto verso Robecchi ed i suoi trascorsi, direi quasi che non apporta molte
novità e piacere alla lettura. Speriamo in un futuro migliore!
“L’amore è una che ti fa il culo perché
quando fai il caffè incrosti la cucina come un imbianchino pazzo.” (94)
Questo mese, come a volte capita, ha cinque
domeniche, così vi prendete una trama in più. E come altri recuperi, anche un
recupero sull’adolescenza.
Che tra
l’altro mi dà agio di andare a ricordare una frase di David Grossman, un autore sempre a me caro, che in “A un cerbiatto somiglia il mio amore”, fa questo ritratto di un adolescente in cui molti ci si possono ritrovare:
“Sognatore, malato d’amore, di sesso. Si prendeva una cotta per
qualunque ragazza gli passasse nelle vicinanze, non importava chi fosse,
bastava che fosse femmina e lui come minimo avrebbe fatto di lei Brigitte
Bardot.” (68)
Inoltre, è bene approfittare di queste trame
in più, che nei prossimi mesi ce ne saranno di meno. Sia per la difficoltà qui
di scrivere nel riposo toscano con qualche appiglio storico-bibliografico in
meno. Sia, e forse con maggior ragione, che a fine giugno si partirà per una
settimana portoghese.
Che speriamo sia preludio ad altre e più intense vacanze. Per ora, sempre per gli auguri a posteriori (cioè passato il compleanno), mi piace ricordare nonna Anto e mio fratello nonno Paolo, uniti dal mormorio del Piave. Per gli altri non mancano pensieri, abbracci (anche a tutti quelli che ogni tanto si scordano di leggermi).
CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i
“bugiardini” di Giovanni
MAGGIO dell’Ascensione 2022
Nel frattempo, se ne recupera un’altra,
e si occupa lo spazio della quinta trama.
ADOLESCENTI,
ESSERE
Gli ormoni impazzano. Peli
spuntano dove prima era tutto liscio …
Ecco allora una cura omeopatica
I DIECI MIGLIORI ROMANZI PER ADOLESCENTI
Italo Calvino “Il sentiero dei nidi di ragno”
Paolo Giordano “La
solitudine dei numeri primi”
Elsa Morante “L'isola di Arturo”
Robert Musil “I turbamenti del giovane Törless”
Raymond
Queneau “Il
diario intimo di Sally Mara”
Joào Guimaraes
Rosa “Miguilim”
J. D. Salinger “Il giovane Holden”
Robert Louis
Stevenson “L'isola del tesoro”
Boris Vian “La schiuma dei giorni”
Alice Walker “Il
colore viola”
Bugiardino
Ne avevo parlato qualche anno fa,
e poi ripreso dopo un paio d’anni. Ripeto, come allora, di aver letto in
gioventù come somma gioia Salinger e Vian. E sempre in gioventù, con gioia
moderata, Queneau e Stevenson. Verso la prima adolescenza passai senza troppa
gioia a Morante e Musil. Poi, con queste trame, lessi con piacere Walker e con
un po’ meno Giordano. Nella biblioteca di mio padre c’è Guimaraes, ma non
riesco ad aprirlo. Così, posso solo passare a Calvino, che leggo sempre con un
giusto piacere.
Italo Calvino “Il sentiero dei nidi di ragno” Repubblica Calvino 4 euro
9,90
[tramato il 15 aprile
2022]
Era molto tempo che non leggevo qualcosa di
Calvino, e devo dire che leggere un libro sulla Resistenza, in tempi in cui
abbiamo una guerra alle porte è stato un esercizio utile, per capire e per
riflettere. Tra l’altro, come scrivo sopra, non sono soltanto le 150 pagine del
libro, ma c’è anche una suntuosa introduzione (nonché una ben articolata
cronologia biografica).
Della seconda, di cui parliamo qui e non ci
torneremo più sulle altre letture calviniana, ritengo nell’animo alcuni punti
fondanti. La nascita, casuale certo, ma a Santiago de Cuba. Il liceo, dove per
un anno ebbe compagno di classe Eugenio Scalfari. La moglie, l’argentina Esther
Judith ma da sempre soprannominata Chichita. E poi i tempi della letteratura,
su cui si tornerà in altre scritture.
Dalla prima, scritta per la riedizione del
libro nel ’64, porta a ragionare con lo scrittore sulla genesi della scrittura,
sulle modifiche anche ideologiche che avvengono nel tempo. Perché, magari, dopo
anni di altro, si trona sulle proprie parole, e si scopre che non tutte sono
sempre in accordo con il sé stesso di ora. Noi siamo sempre noi stessi, ma la
nostra evoluzione può essere variegata. Calvino non rinnega una virgola di
quanto scritto allora, ma, dopo quasi venti anni, forse avrebbe messo accenti
in posti diversi.
Ma noi abbiamo di fronte il suo testo,
scritto sull’onda della fine della guerra, dall’autore che all’epoca ha solo 25
anni, essendo per inciso nato solo pochi mesi dopo mio padre.
Da un certo punto di vista è un testo
semplice, lineare, che ci mostra la difficoltà di essere bambini in un mondo
adulto, la difficoltà di crescere, di trovare un proprio posto nella vita, un
proprio modo di essere. Seguiamo infatti le vicende del piccolo Pin, dodicenne
orfano dei genitori, allevato dalla sorella dedita a quello che viene definito
il mestiere più antico del mondo.
Pin è più avanti dei suoi coetanei, con cui
si trova male, ma si trova male anche con i grandi, che, ovviamente, non lo
accettano. Oltre alle difficoltà di crescita e di vita, il tutto è complicato
dal fatto che siamo in guerra. Ci sono i tedeschi che occupano le città, ci
sono i partigiani che si ribellano sulle colline poco distanti.
Pin, in questo mondo in cui è sempre fuori
posto, si trova coinvolto in una serie di avvenimenti che si concatenano
casualmente, ma che potrebbero (hanno) conseguenze possibilmente devastanti.
Mentre la sorella si accompagna con un tedesco, Pin gli ruba una pistola, che
andrà a nascondere nel suo luogo segreto, il sentiero dopo i ragni fanno le
loro tane.
Subito scoperto, viene malmenato ed
interrogato dai fascisti, rinchiuso in carcere, dove conosce il giovane
partigiano Lupo Rosso. Con lui, organizza e realizza la fuga, ma Lupo lo
abbandona, e lui, vagando per i boschi, si ritrova in una brigata partigiana.
Una brigata atipica, fatta da gente che più
scompaginata non si potrebbe. Accettato come aiuto cuoco, rallegra tutti con le
sue canzoni. Ma tutti, in quella strana compagine, hanno problemi di
comportamento e di socialità. C’è Pelle, dedito all’accumulo di tutte le armi
possibili, che ad un certo punto li tradisce, si arruola in una brigata Nera,
ma morirà in un agguato organizzato da Lupo Rosso. C’è Mancino il cuoco, che
per salvarla porta con sé la moglie. Ma le donne non sono ben viste in
montagna. E lei non è da meno, tanto che farà perdere la testa a Dritto, il
comandante della Brigata, che prima, sbadatamente, farà bruciare l’accampamento,
poi si rifiuterà di andare in battaglia, per concedersi una notte d’amore prima
di finire sotto processo e forse giustiziato.
Pin cerca di barcamenarsi tra le varie
posizioni, trovando conforto solo nel rapporto con Cugino, un ex-alpino
solitario, l’unico che parla poco ed agisce molto. Pin che ha sempre la sua
pistola vicino ai ragni. Pin che vorrebbe confidarne il segreto ma non si fida
di nessuno. Così che si allontana dai partigiani e dalle loro diatribe,
recupera la pistola, e cerca di tornare dalla sorella. Che nel frattempo ha
fatto anche lei il grande salto, cominciando a denunciare i partigiani ed i
loro fiancheggiatori.
Sulla strada di casa, però incontra Cugino,
ed avrà un colloquio quasi da adulto con lui, e con lui, dopo altri avvenimenti
che non vi dico, si avvierà verso un'altra notte.
Come detto sopra, è un romanzo di
iniziazione, un romanzo che ci fa riflettere sui progressi mentali di un
giovane che vuole diventare adulto. Ma anche un romanzo politico, anche se il
solo e vero capitolo politico è l’ottavo dove seguiamo il commissario Kim, uno
che controlla l’andamento delle varie formazioni, che ragiona quasi a voce alta
sui partigiani, sulla lotta, su come è e come sarà (forse) il mondo che verrà.
La forza di Calvino, che qui già si mostra, è sia nella caratterizzazione dei
personaggi, che riesce a fare con poche e mirate parole, sia l’uso del dialogo,
che serve a tirar fuori situazioni e sentimenti, senza star lì a fare tanti
discorsi. Perché una parola diretta, spesso, è meglio di cento descrizioni
esterne.
Infine, ed è questo che mi ha colpito nel
profondo, leggerne ora, in questi giorni di guerra, in questi momenti in cui ci
si solleva l’un contro l’altro, fratello contro fratello, è di una forza
incredibile. La guerra rende tutto brutto ed invivibile, anche la crescita di
un giovane verso l’età adulta. Rende insopportabili anche i più piccoli
risentimenti. Insomma, come dice papa Francesco, “fermatevi, per pietà”.
“Un giorno troverà un amico, un vero amico,
che capisca e che si possa capire, e allora a quello, solo a quello, mostrerà
il posto dei ragni.” (21)
“A fare i reati politici si va in galera come
a fare i reati comuni … ma se non altro c’è la speranza che un giorno ci sia un
mondo migliore, senza più prigioni.” (38)
Conclusioni
Non torno più sull’adolescenza e
sui suoi romanzi, sperando che l’esortazione finale sopra riportata sia di
monito a tutti.
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