domenica 19 febbraio 2023

Soprattutto Nesser - 19 febbraio 2023

Non tanto, anche se c’è, per la buona riuscita dei suoi scritti, ma perché sono presenti tre suoi libri su cinque. Libri che, dove compaiono i suoi storici personaggi, i commissari Van Veeteren e Barbarotti, hanno un deciso scarto verso l’alto. Lo svedese è accompagnato dall’unico giallo (postumo) di Lucinda Riley (così così) e da un nuovo libro dello scozzese Ian Rankin, una delle stelle della mia biblioteca. Qui in doveroso omaggio anche perché acquistato in un gradevole viaggio nuovamente in Scozia.

Håkan Nesser “Morte di uno scrittore” Repubblica Emozione Noir 38 euro 7,90

[A: 28/02/2020 – I: 05/09/2022 – T: 06/09/2022] - && --

[tit. or.: Rein; ling. or.: svedese; pagine: 188; anno 1996]

Essendo uno storico fan dei due personaggi creati da Nesser, il commissario Van Veeteren e l’ispettore Gunnar Barbarotti, non mi faccio certo mancare (quasi) nessuna uscita delle scritture del maestro svedese. Anche se questa prova l’ho trovata di sicuro meno interessante delle numerose letture che posseggo. A tratti, anche un po’ bruttina. Credo, comunque, che questa impressione vada calata con il contesto del libro, per collocarla nella giusta dimensione.

Intanto, guardando alla data di scrittura, vediamo che si tratta del 1996, epoca in cui aveva scritto i primi tre episodi del commissario, suscitando un discreto interesse, in patria ed all’estero. In quell’anno scrive un romanzone, intitolo “Berins Drejeck” o “Berins triangel”, cioè il triangolo di Berins, come a rimandare al ben più noto triangolo delle Bermude. Cui il libro si accosta quando mette in parallelo le tempeste caraibiche con le tempeste mentali. Il triangolo era composto di tre parti, ognuna con al centro un uomo che affronta situazioni anche psicologicamente complesse. A metà degli anni ’10 il regista svedese Daniel Alfredson, reduce dal successo della trasposizione cinematografica dell’opera di Stieg Larsson, è affascinato dal libro di Nesser. Che allora riprende il triangolo, lo spacchetta e produce tre romanzi, che sono poi le tre parti indipendenti del libro di partenza. Tre romanzi che escono con titoli diversi (Rein, Marr e Alois) ma uniti da un sovra titolo: “Intrigo”. In questo modo, Alfredson produce tre film (usciti in patria dal ’18 al ’20), che, come collegamento al testo di partenza, si intitolano: “Intrigo: Death of an Author”, “Intrigo: Samaria”, “Intrigo: Dear Agnes”.

Insomma, una genesi complessa, di libri che esplorano lati oscuri dei personaggi, e risentono della scrittura di venticinque anni fa, che spesso mascherava con “indecifrabilità” scritture un po’ pretenziose dedicate allo svelamento dei lati oscuri delle persone. Così che, sebbene alla fine si riesca a ricostruire il filo di una trama non dico sempre coerente, ma di sicuro a tratti intrigante, ci sono nel testo passaggi a vuoto, salti temporali, situazioni a volte buttate lì ad effetto, che però non ne producono.

La storia è una sorta di scrittura nella scrittura, una sorta di “mise en abyme”, dove una storia ne spiega un’altra, effettuando rimandi e spiegazioni tra l’una e l’altra.

Il personaggio principale, l’io narrante è David Moerk, di professione traduttore, ed in particolare, traduttore ed esperto del celebre scrittore tedesco Germund Rein. Tre anni prima era sposato con Ewa, con un rapporto molto sbilanciato, e con Ewa molto debole psicologicamente. Ewa si cura dallo psicologo Mauritz Winckler, di cui si innamora, decidendo di mollare David ed andare via con Mauritz. David, non accettando l’abbandono, pianifica il sabotaggio dell’auto di Ewa. Che realmente sparisce con l’auto scendendo da un monte verso un lago.

Ora, passati tre anni, David si imbottisce di alcool e si barcamena nella vita. Quando il suo editore riceve un manoscritto di Rein, con l’ordine di non pubblicarlo in originale ma solo nella traduzione di David. David ascolta un concerto registrato nella città di Rein sentendo un colpo di tosse che, per lui, è inequivocabilmente di Ewa. Decide quindi di recarsi nella cittadina, alla ricerca di Ewa e per tradurre il libro di Rein. Che è un libro ostico, di cui Nesser riproduce passi di dubbia comprensione, solo per dar modo a David di far luce ad un altro mistero.

Nel frattempo, Rein è scomparso, forse suicida. Decifrando il testo, e collegandolo ad altri scritti di Rein (per questo solo David poteva fare la traduzione) capisce che Miriam, la moglie di Rein, ha una storia con Otto, un amico di Rein. Alcuni passi del libro lo portano alla scoperta di lettere compromettenti che indicano i due come possibili esecutori dell’omicidio di Rein.

Contemporaneamente, ed in maniera fortuita, in quella cittadina, trova tracce di Ewa e Mauritz, effettivamente scampati al suo attentato. Il redde rationem porta al processo di Miriam e Otto per la morte di Rein, alla pubblicazione con gran successo del libro di Rein e ad un tentativo, non riuscito, di chiarimento di David con Ewa.

Di certo non vi dico le risultanze processuali, fatto sta che tre anni dopo troviamo David a Cipro (poi vi dirò perché) con un duplice tentativo: scrivere un memoir delle sue avventure tedesche, di cui ha narrato in prima persona nella prima parte, e cercare di trovare uno strano personaggio che si è esiliato nell’isola.

La scrittura svela alcune delle zone d’ombra precedenti (con quel procedere verso l’abisso di cui sopra). La ricerca lo porta a trovare il tipo, che sembrerebbe proprio essere il Rein di tutta la prima parte, come se avesse inscenato tutto per punire gli amanti fedifraghi e vivere in pace la sua vendetta.

Alla fine, forse, qualche d’un altro muore. David o il forse Rein? Entrambi, alla fine, scrittori. Da cui il titolo italiano, che è l’unico, in tutte le traduzioni effettuate per Nesser che si discosta dall’originale. Che giustamente si intitolava “Rein”, così come “Rein” era il titolo al libro di Rein tradotto da David. Una scelta editoriale assai discutibile, come spesso quelle italiane.

Accennavo al fatto di Cipro, che Nesser non cita mai, ma cita la famiglia che ospita David. Che guarda caso si chiama Kazantzakis. Che probabilmente a molti ricorderà l’autore cipriota di “Zorba il greco”.

Ho cercato qui di decrittare la scrittura di Nesser, che per tutto il libro, invece, cerca di imbrogliare le carte, facendoci credere a quello che vediamo, ma che poi non riusciamo a comprendere, cioè facendoci vedere cose altre. Come avrete capito, non sono molto convinto del libro e spero ci sia chi me ne chiarisca meglio lo sviluppo ed il significato.

“Ma cosa sappiamo realmente di ciò che si nasconde nell’animo delle persone che ci stanno vicine e delle loro motivazioni più profonde?” (50)

Håkan Nesser “Il dovere di uccidere” TEA euro 12 (in realtà scontato a 6 euro)

[A: 10/10/2018 – I: 08/09/2022 – T: 09/09/2022] - &&& --

[tit. or.: Münsters fall; ling. or.: svedese; pagine: 310; anno 1998]

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Torniamo ancora una volta ad uno scrittore che ho sempre amato, frutto di una conoscenza iniziata in modo casuale, e proseguita piacevolmente negli anni. Fu infatti mia madre che venne convinta, all’inizio degli anni 2000, dal nostro giornalaio storico del tempo, a comprare e leggere “La rete a maglie larghe”. Come succedeva sempre, lei me lo fece leggere, ed io non mi sono più perso una puntata degli scritti di Nesser.

Fatta la premessa personale, veniamo a questo che è il penultimo libro dedicato al commissario Van Veeteren che avrò modo di leggere, dato che Nesser ne ha scritto un altro che leggerò, per poi passare ad altre scritture. Come vedete anche dall’indicazione, cronologicamente è anche il sesto dei dieci romanzi più uno dedicati al commissario. Dove, al solito, cominciamo ad essere insofferenti fin dal titolo.

Tradotto anodinamente, dato che l’originale riporta “Il caso Münsters”, dove si potrebbe leggere anche, “Un caso per Münsters”, dal nome del sovraintendente di polizia al centro del romanzo e delle indagini. C’è poi un sottotitolo inventato, che riporta “Un caso per il commissario Van Veeteren”, che non solo non entra in scena prima di pagina 150, ma che, oltre a due bevute di birra con Münsters ed una bellissima scena d’amore con Ulrike, non fa molto altro (pur arrivando alle stesse conclusioni di Münsters, anche se con qualche attimo di ritardo)

Comunque, mettiamo anche un po’ d’ordine che questo libro, tuttavia gradevole, esce in Italia solo nel 2018, venti anni dopo la pubblicazione in patria. Ed è comunque un tassello delle storie della polizia di Maardam, motivo per cui, più che “Serie del commissario Van Veeteren”, io avrei titolato la serie “Storie di Maardam”, dove ricordiamo che Nesser, ad ora, ha scritto dieci romanzi ad essa dedicati, nonché un undicesimo, definito “crossover”, che lega Van Veeteren all’altro poliziotto nesseriano, il commissario Gunnar Barbarotti.

Allora veniamo a questa indagine della polizia di Maardam. Nesser comincia abbastanza lontano dai protagonisti poliziotti. Ci presenta Waldemar Leverkuhn, Borger e due loro amici che festeggiano una vincita al lotto. Chiacchiere, bevute, allegria. Poi… Waldemar viene trovato pugnalato a morte nel suo letto e Borger scompare.

Münster, che a collegare i due fatti impiega del tempo, una volta appunto collegati pensa che sia facile fare due più due. Con uno e due scomparsi o morti, la vincita può essere divisa in modo diverso. Peccato che i superstiti abbiano alibi di ferro. Inoltre, si aggiunge un nuovo mistero, che nel bosco cittadino, sparse in sacchetti di plastica, vengono rinvenuti parti del corpo di una nuova vittima, Else van Eck, vicina di casa di Waldemar.

La squadra della polizia si attiva al completo: c’è chi segue la pista dello scomparso Borger, c’è chi approfondisce la morte di Else, mentre Münster e Moreno (ispettrice che abbiamo incontrato in un altro romanzo della serie a lei dedicato) continuano ad indagare su Waldemar.

Sembra che tutto si possa risolvere, quando la moglie di Waldemar confessa di essere stata lei a perpetrare i barbari assassini, e dopo aver confessato, quasi a non voler più essere coinvolta nel caso, si toglie la vita.

L’ispettore Münster non è convinto, continua ad indagare, chiedendo aiuto anche al suo vecchio capo, l’ex-commissario Van Veeteren. Che invece si sta godendo la pensione lavorando, finalmente, in un ramo che adora, una bottega antiquaria, ed instaurando un bellissimo rapporto d’amore con Ulrike.

Ma è il suicidio della moglie di Waldemar che induce Münster (e Van Veeteren) ad indagare più a fondo sulla famiglia Leverkuhn. Sul figlio, forse gay, di sicuro fragile, sulla prima figlia, impazzita da chissà quanti anni, sulla seconda figlia, dichiaratamente lesbica. Scoprendo, ma non ci meravigliamo più di tanto, che Else è una loro vicina di casa.

Se a questo quadro uniamo i ricordi di abusi giovanili del morto verso i figli, il quadro si completa. Se ne legge la fine, ripensando, come Van Veeteren, che, conoscendo Shakespeare, tutto sarebbe stato chiaro fin dall’inizio.

La scrittura di Nesser è sempre gradevole, le storie scorrono, non ci sono grandi colpi di scena, perché, spesso, non ce ne sono neanche nella vita. Non è neanche sgradevole l’alternarsi di diversi punti di vista, durante la narrazione.

Ultimo appunto, in questo penultimo romanzo del commissario: non viene mai chiamato, in questi dieci libri, con il nome proprio. Mistero.

“Tutti devono avere una storia … E per quelli che non ce l’hanno, bisogna inventarne una.” (202)

Håkan Nesser “La confraternita dei mancini” TEA s.p. (Regalo di Emilio&Fako)

[A: 07/05/2022 – I: 16/01/2023 – T: 17/01/2023] - &&& e ½  

[tit. or.: De vänsterhäntas förening; ling. or.: svedese; pagine: 511; anno 2018]

VV11 & GB06

Anche se a distanza di molti mesi dal regalo compleannico dei miei grandi sodali, eccoci ad un libro interessante. Un crossover, come si dice tra quelli che parlano di letterature. Perché compaiono, con  intensità e non come comparse, i due grandi personaggi delle storie di Nesser.

L’autore, sebbene non conosciutissimo, è forse uno dei migliori epigoni del giallo svedese, quello di Per Walöö e Maj Siöwall e di Henning Mankell, in particolare con le due serie cui ha dedicato tempo e spazio nel corso degli anni. La prima, iniziata nel ’93, vede come protagonista l’ispettore Van Veeteren, che seguiamo sia nelle ultime indagini, sia quasi come consulente esterno, una volta andato in pensione. La seconda, invece, inizia nel 2006, quando Nesser si prende una lunga pausa sulla prima, ed ha al centro l’ispettore Gunnar Barbarotti.

Nel 2018, dopo quindici anni in cui Van Veeteren è scomparso dalla penna di Nesser, con questo romanzo, torna sulla cresta dell’onda. Anche per dare una spinta a Barbarotti, che in effetti erano sei anni che “dormiva”. Dopo di che il primo torna a riposare, mentre ogni due anni esce un libro del secondo.

Comunque, in questo libro sono presenti entrambi, con pari dignità, come si dice. Con una lunga parte iniziale dedicata al primo, una seconda parte incentrata sulle evoluzioni del secondo, ed una parte finale in cui i due lavorano di conserva, arrivando alla soluzione del caso in parallelo e con le stesse modalità ragionative.

A parte la vicenda gialla, si riprendono così le storie dei commissari. Van Veeteren in questo libro compie settantacinque anni, ed è sempre più vicino e sodale alla bella Ulrike. I due fanno una coppia anziana ma affiatata nella diversità e nella sinergia dei pensieri. Barbarotti, pur sempre dolente per la morte della moglie, si avvicina sempre più alla collega Eva, con cui c’è un proficuo scambio di attenzioni reciproche, sempre attenti alle rispettive sfere.

L’azione si svolge principalmente nella zona della cittadina di Maardam (poi ci torneremo) dove la scoperta di un cadavere riapre indagini relativi ad un incendio di una ventina di anni prima. Dove erano morte carbonizzate quattro persone, sodali un tempo, tutte mancine, che per l’appunto, in gioventù, avevano creato un sodalizio, la confraternita dei mancini del titolo. C’erano tre ragazzi nella confraternita, cui si aggiunsero più tardi le gemelle Clara e Birgitte. Cui si aggiunge un quarto maschietto, Qvintus, e si aggirano intorno altri ragazzi, in particolare lo strano Zink. Le gemelle sono anche baby sitter della piccola Madelaine e, ma solo per presenza, del di lei fratello Ludwig, maniaco dell’ordine. Clara e la confraternita decidono di fare dei soldi inscenando il finto rapimento di Madelaine, senza dir nulla a Birgitte. Prendono i soldi, ma poi Zink sparisce con Madelaine.

Questo segna la fine del sodalizio, i mancini non si ritroveranno se non ventidue anni dopo, nella pensione Molly. Dove Birgitte, visto che sono uguali e omozigoti, sostituisce Clara che ha una fuga d’amore. Peccato che quattro muoiono bruciati, e Qvintus sparisce. È il suo corpo, trovato appunto dopo altri vent’anni che riapre le indagini. Cui Van Veeteren si ritrova coinvolto, un po’ per curiosità, un po’ perché era stato lui a chiudere l’inchiesta.

C’è tutta una parte, lunga ma ben costruita, in cui i tasselli della vicenda si accumulano come pezzi di un lego. Non vi dico molto, solo che Clara si è finta la sorella, e si è trasferita in Svezia. Qui si aggiunge il nuovo tassello. Nelle prossimità dei luoghi di Clara viene trovato un altro morto, sulla cui dipartita viene incaricato di indagare ovviamente Barbarotti.

Anche qui, a Kymlinge (anche qui ci si torna) oltre alla vicenda gialla, seguiamo l’evolversi della vita personale di Gunnar ed Eva. Comunque, come è ovvio, ad un certo punto tutti i poliziotti capiscono che i due eventi sono collegati, Barbarotti & co raggiungono allora Van Veeteren & co, e tutti insieme cominceranno a ragionare sul chi, come e cosa di tutta la vicenda. Come detto, i nostri due commissari arriveranno al fine a comprendere e decifrare la vicenda, che un attento lettore, forse, avrà già capito lui stesso.

Ma la storia è ben costruita, si regge fino alla fine, e non pesano le oltre cinquecento pagine della scrittura. Con dei bei spunti di riflessione. Van Veeteren che parla di Kant e dell’imperativo categorico verso la giustizia, che però mitiga con il pensiero di un filosofo polacco naturalizzato svedese, Leon Rappaport, che introduce il concetto di “determinante”, un pensiero che spinge a fare la cosa giusta. Sull’altro lato c’è Barbarotti che invece instaura un dialogo con Dio nei suoi momenti di riflessione. Dove l’ateo Gunnar, all’inizio chiede, nel suo monologare con Dio, che questi dimostri la sua esistenza. Un dialogo che, dopo la morte della moglie, rende Barbarotti più attento al dibattito, che al fine viene anche usato dallo scrittore come espediente per parlare d’altro.

Si diceva infine delle città. Maardam non è logisticamente identificata, anche se si pensa sia più sul versante olandese del Nord, anche perché, quando cita il filosofo Rappaport, sopra indicato, il nostro dice che non legge lo svedese. Anche l’altra città, Kymlinge non è di certa collocazione, anche se, per tutta una serie di rimandi, è sicuramente in Svezia.

Credo che un giorno o l’altro riuscirò a prendere in mano i venti romanzi delle due serie ed a parlarne in modo più costruttivo. Per ora, continuo a tenere Nesser nello scaffale dei libri di gradita lettura.

Lucinda Riley “Delitti a Fleat House” Giunti s.p. (Prestito di Alessandra)

[A: 30/08/2022 – I: 13/09/2022 – T: 14/09/2022] - && e ½  

[tit. or.: The Murders at Fleat House; ling. or.: inglese; pagine: 486; anno 2022]

Non penso che avrei letto questo libro se a) Lucinda Riley non fosse una delle autrice cult di Alessandra e b) questo non fosse, rispetto agli altri libri dell’autrice, un libro giallo. Magari non sempre ben riuscito, ma di certo confezionato con la consueta abilità che ha sempre dimostrato la scrittrice. Purtroppo, la Riley è morta lo scorso anno, e questo è un omaggio, pubblicato postumo quest’anno, per volere dei figli della scrittrice. Figli che, in gioventù, avevano frequentato college nel Norfolk, simili a quello qui descritto, anche se sono sicuro con conseguenze meno nefaste e devastanti.

L’azione si svolge nell’elitario college denominato St. Stephen’s School. Come spesso le istituzioni inglesi, è vissuto a tempo pieno, così da avere una serie di pensionati ove vivono gli alunni. In uno di questi, Fleat House, si scatenano le vicende che andiamo a seguire.

Si comincia con la morte del diciottenne Charlie Cavendish, un bullo della peggior specie, che stava sui cabasisi a molti, ma anche sofferente di una forma epilettica tenuta a bada da pastiglie serali. Peccato che qualcuno le sostituisca con aspirina, ed essendone allergico, il bullo in poco tempo soffoca e muore. Una morte che torna a visitare Fleat House dopo tanti anni, laddove proprio in quel pensionato un ragazzo, vessato come sono capaci di farlo nei college inglesi, e di debole flemma, si impicca nei sotterranei.

Per non farci mancare un filone parallelo, la Riley introduce per condurre le indagini, l’ispettrice Jazmine “Jazz” Hunter. Una detective molto capace e preparata, che però ha chiesto un anno sabbatico dopo aver scoperto che il marito, poliziotto anche lui, la tradiva bellamente, e approfittava anche delle sue intuizioni, per farsi avanti e fare carriera.

Visto che Jazz è vicina al college, si convince a seguire la vicenda. Sia per lavorare con un suo sodale (simpatico), sia per coinvolgere la sua amica psicologa Issy, sia per star lontano da quello che sta diventando il suo ex marito, sia, infine, per stare vicino al padre, che non sta proprio molto bene.

Jazz entra nel vivo delle dinamiche della scuola e soprattutto nelle reti di bullismo.

Scopre che Charlie bullizzava alla grande il piccolo Rory, figlio di David, un brillante analista di borsa che dopo un errore viene licenziato, nonché lasciato dalla moglie che cerca una sistemazione con molti soldi alle spalle. Dove sembra trovarla in Julian, un professore della scuola di Rory, che però non si accorge della cosa.

Oltre a Julian, incontriamo alcuni personaggi di gestione della scuola stessa. Il preside Robert, più preoccupato del buon nome della scuola che degli episodi nefasti presenti. La direttrice Madeleine, inflessibile tutrice dell’ordine e delle istituzioni, e la sua amica Jenny, tormentata dai sensi di colpa per aver avuto in gioventù una relazione adulterine con parto ed abbandono del figlio (un avvenimento che risale ad una quarantina di anni prima, col che vi rende conto anche dell’età delle persone coinvolte).

Rory è il più indiziato della morte di Charlie, essendo stato lui a portare le pasticche al bullo. Per questo scappa. Ma, lui assente, muore tragicamente anche Julian. Facendo ricerche accurate Jazz scopre che c’erano 4 ragazzi che bullizzavano quel ragazzo impiccatosi tempo addietro. Julian, Harry, un chirurgo, trasferitosi in Australia e trovato morto (ucciso?) in ospedale, Freddie, analista economico trasferitosi in America e suicidatosi (defenestrato?) dalla finestra del grattacielo newyorchese, e Adam, che coltiva vini in Francia ed è l’unico in vita.

Non c’è molto da fare le somme per capire che le morti sono organizzate da un parente della prima vittima. Ma chi sarà? Ovvio che abbia cambiato nome! E come mai ci va di mezzo Charlie? Jazz, con il suo intuito, collega tutti i pezzi, trova mezzi e motivi, ritrova lo scomparso Rory, e, per colpo di fortuna finale, dà nuove speranze a David, il padre di Rory, di entrare in possesso di eredità perdute, mentre giustamente verrà penalizzata la sua ex-moglie, che aspettava a sistemarsi sposando Julian, che muore prima di poterlo fare.

Una scrittura scorrevole, con un buono slancio finale, che poteva far presagire la volontà della scrittrice di poterne fare una saga di successo, come per le “Sette sorelle”. Purtroppo, fattori esterni ce ne hanno privato. Come hanno privato la scrittrice di effettuare un lavoro di ripulitura e raffinamento del testo, che mostra, a chiazze, momenti di non sempre uguale spinta creativa ed espositiva.

“È raro che il buon Signore ci dia indicazioni sbagliate.” (159) [forse a volte confuse]

Ian Rankin “In a house of lies” Orion euro 9 (in realtà, scontato a 4,50 euro)

[A: 10/11/2022 – I: 15/11/2022 – T: 18/11/2022] - &&& 

[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 428; anno 2018]

Sono contento che il caso, dopo cinque anni, mi abbia rimesso in mano un libro del giallista scozzese Ian Rankin, uno dei maestri del cosiddetto “tartan noir”, molto noto nei paesi anglofoni, ed un po’ meno da noi. Una letteratura che affonda le radici nella letteratura scozzese, si ibridizza con alcuni tocchi di hard-boiled americano e di “procedural thriller”, venendo fuori con le sue caratteristiche: la dualità dell’uomo, la natura del bene e del male, la salvezza e la redenzione. Non a caso si fa risalire il tutto a “Lo strano caso del dr. Jekyll e di mr. Hyde” di Robert Louis Stevenson.

Inoltre, come ho spesso detto, Rankin è uno degli scozzesi (nativi o acquisiti) che gradisco di più, unito, appunto, ad Alexander McCall Smith e a J.K. Rowling. Non a caso, ben 12 titoli sono presenti nella mia libreria, dieci delle diciassette storie dedicate a John Rebus, e due con l’ispettore Rebus in pensione ma presente, insieme ad altri personaggi della polizia scozzese.

Questo, comunque, secondo la genealogia accredita dall’autore, viene indicato come ventiduesima avventure di Rebus e settima di Malcom Fox. Un’indicazione che non mi convince perché Fox, anche qui, come nella terza avventura del detective, compare, anche se più a lungo del precedente che ho letto. Ma soprattutto perché una figura investigativa centrale, ed anche da molti romanzi, è l’ispettrice Siobhan Clarke, che, invece, non viene mai nominata nei titoli di testa.

Qui, la parte “tartan” è spesso data dai luoghi. Edimburgo, gli spostamenti tra Edimburgo e Glasgow, la campagna intorno a Glasgow dove sorge lo Scottish Crime Campus di Gartosch (dove lavora Malcom), ma anche, e soprattutto per noi che le amiamo, le Highlands.

Poiché Rankin è molto attento ai tempi, e poiché sappiamo dal primo racconto che Rebus è del ’47, qui John si avvierebbe ai settant’anni, e quindi, anche se non ci fossero altre motivazioni, sarebbe di certo una persona pensionabile (o pensionata). Tra l’altro ha un enfisema per cui ha smesso di fumare, come ha smesso in pratica di bere alcoolici. Tuttavia, rimane sempre nelle vicinanze delle indagini poliziesche, sia come mentore di Siobhan, sia come persona che ha visto tanti casi passargli sotto le mani (spesso scontrandosi con il boss di Edimburgo, Big Ger Cafferty, con il quale ha anche uno strano rapporto personale).

La costruzione dell’intreccio parte da queste premesse. Viene ritrovato il corpo di un investigatore scomparso dieci anni prima, ed alle indagini, al tempo, era presente Rebus. Essendo in pensione, del caso si occupa una squadra con Siobhan, cui ad un certo punto si affianca anche Malcom (ma non ha un peso tale da giustificarne l’inserimento nei titoli di testa). Molte le complicazioni: il morto era un investigatore gay che stava indagando sui possibili brogli di un affarista, che pochi anni dopo diviene anche onorevole. La polizia trattò male le indagini, e tutto finì nel nulla.

C’erano poliziotti corrotti, stupefacenti che circolavano sotto la regia di Cafferty, il fatto che il morto fosse gay, il fatto che il compagno del morto fosse figlio di un poliziotto. Insomma, tante cose lasciate perdere. Rebus però ha delle idee, coinvolge Siobhan in nuove ricerche, anche a partire dal fatto che la macchina con il corpo viene ritrovata in un posto abbondantemente analizzato dalla polizia. Si riprendono in mano filmati, si studiano movimenti, la squadra, con Rebus nell’ombra a lanciare idee, alla fine imbrocca la pista giusta incastrando l’insospettabile autore del tutto. Ed avete visto che non vi ho detto quasi nulla.

Come in molti procedural thriller, si segue anche un altro caso, in cui è coinvolta Siobhan, ed anche qui Rebus ha l’idea brillante, che porta alla soluzione di un omicidio di una sedicenne. Qui c’è un altro esempio dell’ambito scozzese del testo. Redenzione o condanna? Chi si incolpa è colpevole o copre qualcuno? Interessante dilemma che fomenta una discussione tra Siobhan e John.

Comunque, il fascino del sessantenne Rankin per me è molteplice: inserimento nell’attualità (si parla di Brexit da un’ottica scozzese), pub e birra, musica di cui sono amante, ironia, situazioni personali, intrecci.

Faccio solo due esempi. Per la musica Rebus a pagina 107 ascolta Arvo Pärt, compositore estone capostipite del minimalismo sacro, ed a pagina 216 mette il CD “Moondance” di Van Morrison. Per l’ironia, una parte importante della trama è occupata da una casa di produzione cinematografica fondata da Jackie Ness e John Locke, che, stando in Scozia, si chiama “Locke Ness Production”!!

Insomma, un buon prodotto, corroborato dalla mia indiscussa simpatia per l’autore.

Visto, in fine che si parla molto di Svezia,  farei un grande salto nelle citazioni di uno scrittore che ho citato all’inizio. Vorrei anche qui ricordare Henning Mankell (1948 – 2015) che nel libro “Nel cuore profondo”, sebbene non sia tra i suoi migliori (almeno per me), mi riempieva la memoria di alcune linee di memorie.

Il mare ed i suoi derivati (pensando a Renato, che il protagonista del libro fa il “batinauta”):  “Il mare è un sogno a cui non piace farsi domare” (23); “Stava tracciando rotte per permettere ad altri di navigare sicuri. Ma per sé stesso stava tracciando rotte che non portavano nel posto giusto” (125).

L’amicizia, il rapporto con sé e con gli altri: “Quale altro volto si nascondeva dentro di lui? Sarebbe mai riuscito ad assomigliare solo a sé stesso?” (67); “Si chiese se fosse possibile vivere senza mentire. Aveva mai incontrato qualcuno che non lo facesse? Cercò tra i suoi ricordi, ma non gli venne in mente nessuno” (149); “Essere soli è molto peggio per un animale che per una persona. Forse, però, per un animale è anche più semplice farla finita” (112); “A volte i pensieri erano di nuovo chiari. Capiva allora che non sarebbe mai potuto stare vicino ad un’altra persona, aveva troppa paura di perdere sé stesso” (343).

E perché no, infine l’amore: “L’amore è incomprensibile. Incomprensibile ma forse anche invincibile” (209); “Ho pensato davvero di aver trovato un uomo capace di mantenere fede alle sue promesse” (322); “Non puoi dire la verità almeno una volta?” (327).

Siamo a due settimana dall’ipotesi di viaggio, per cui non ne parlo più. Parlo del freddo (troppo per me che sto anzianando), dei femori malandati, dei tunnel carpali, di chi non sa andare in moto e di chi deve accendere ceri in tutte le chiese che incontra. Quindi, per dar conto di tutto ciò, questa settimana si torna a vedere la campagna, che lì la mente (e non solo il corpo) riposa. Ma anche da qui, di fronte al verde della villa, vi penso e vi abbraccio.

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