Dico quasi che è una settimana per 4/5 dedicata all’esimio scrittore islandese, che vediamo impegnato nelle due scritture seriali che fanno da corredo alla più robusta, e per ora interrotta, serie del commissario Erlendur Sveinsson. Qui Indriđason si cimenta con le due scritture conclusive di una serie che ha avuto poco seguito, ambientata nella Seconda Guerra mondiale, e le due scritture iniziali che lanciano la serie di Konrað. Non eccelse, tuttavia ampiamente sufficienti. Chiude la settimana uno degli ultimi lavori del mago del legal thriller John Grisham, con un libro di racconti molto al di sotto della leggibilità.
Arnaldur Indriđason “Il commesso viaggiatore” TEA euro 12 (in
realtà, scontato a 3 euro)
[A: 01/10/2018 – I: 10/07/2022 – T:
12/07/2022] &&& --
[tit. or.: Þýska húsið; ling. or.: islandese; pagine 239; anno 2015]
Torniamo con piacere agli scritti di Indriđason,
anche se, purtroppo, è ormai finita la serie che mi aveva appassionato verso
l’Islanda, quella del commissario Erlendur. Qui siamo nella seconda serie
dell’autore, in italiano denominata “le inchieste dell’ispettore Flóvent”,
mentre in patria viene etichettata (traducendola in inglese) “Wartime
Mysteries”. Che, in effetti, l’ispettore di cui sopra è il co-protagonista, ma
soprattutto sono “noir” ambientati durante la Seconda Guerra Mondiale.
C’è anche una seconda particolarità, dovuta
anch’essa all’autore, che di questa serie ha prodotto tre libri, scrivendo però
per primo l’ultimo in ordine temporale, e producendo, gli anni successivi, due
prequel. Questo perché ho già letto e scritto del primo uscito (“Sfida
cruciale”) dove quindi già sappiamo l’evolversi dei due personaggi, l’ispettore
Flóvent e l’agente Thorson, canadese di origini islandesi. Qui, per l’appunto,
siamo all’inizio della loro storia lavorativa, dove ne vediamo il nascere e lo
sviluppo durante la prima indagine.
Ma è doveroso fare un passo indietro, e dare
una nota di biasimo agli editor italiani, che cambiano radicalmente l’ottica
del romanzo. Perché è di certo vero che il morto intorno a cui si sviluppano le
indagini è un commesso viaggiatore, ma il titolo islandese riporta “La casa
tedesca”, elemento più che centrale, anzi scatenante di tutta la vicenda.
Per chi avesse mancato la mia prima trama
della serie, ricordo che i due protagonisti sono Flóvent, ispettore islandese,
che con il suo acume e pazienza sarà l’artefice della nascita della polizia in
Islanda, da dove verrà fuori Konrađ (presente nel finale del primo libro) che
diventerà il personaggio centrale di altri quattro libri del nostro, e da lui
“figlierà” il commissario Erlendur primo ed indiscusso protagonista dei noir
islandesi. Ovvio che questa ricostruzione “storica” è completamente fittizia e
parto di Arnaldur.
Il secondo è un militare canadese, Thorson,
spedito in Islanda con le forze di occupazione nordamericane, in quanto parte
della colonia islandese emigrata in Canada (in particolare nella regione di
Manitoba). Anche lui dotato di buon acume, essendo bilingue, fa da ottimo
collegamento tra i locali e gli occupanti.
Perché, e questo è il motivo di fondo di
queste storie, il tratto distintivo del periodo è quello che i locali avevano
battezzato “Ástandið”, cioè “la situazione”. Termine che indicava la
forte promiscuità tra i militari, prima britannici poi americani, ed i locali.
In particolare, le donne. Ricordo che nel periodo massimo di controllo esterno,
i militari in Islanda erano più numerosi dei maschi islandesi. Situazione che
ovviamente genera incontri clandestini, ma anche storie d’amore e (secondo il
governo locale) oltre trecento matrimoni misti.
In
questa situazione si colloca la morte di un commesso viaggiatore islandese,
trovato nella casa di un altro commesso, Frank, misto tedesco e islandese,
ucciso da una pallottola americana. Per questo viene istituita una forza mista
costituita dai due nostri eroi. Che indirizzano le indagini su di un doppio
binario: la storia del morto e quella di Frank.
Il
primo era stato lasciato da Vera, donna di facili costumi, che si è subito
messa con un militare inglese assai rissoso. Niente di più facile che Vera
abbia agito in modo da indurre il soldato a sbarazzarsi del commesso, così come
Vera aveva fatto con altre sue storie pregresse.
Ma
c’è anche da considerare Frank, il fatto che i due avevano fatto le scuole
insieme, e che Frank è un fervente nazista, sotto la spinta di uno zio medico
tedesco dedito ad esperimento di eugenetica. Questo è l’altro filone che i
nostri seguono, anche perché Frank è anche una piccola spia, forse manipolata
dallo spionaggio inglese per fornire notizie false ai nazisti. Essendosene
accorto, potrebbero essere stati i servizi a decidere di sbarazzarsi di lui, ma
avendo ucciso la persona sbagliata solo perché presente a casa di Frank.
I
nostri, con acume e interessanti interrogatori, arriveranno a derimere la
questione, sciogliendone il nodo gordiano. Ma tutta la storia è anche altra,
basata sulla presenza di filonazisti agli inizi degli anni Trenta in Islanda,
sulle ricerche lombrosiane dello zio di Frank, aiutato anche, al tempo, dal
padre di Frank. Ricerche poi concentratesi in una serie di schedari conservati
nello studio medico del padre di Frank, che era noto, appunto, con il nome di
“casa tedesca”. Così tutto torna.
Il
bello della scrittura di Arnaldur non è solo andare a riproporre momenti tipici
della vita islandese di un periodo di cui dell’Islanda si sapeva poco o nulla.
Ma anche di farci sentire il loro modo di vivere o di affrontare la vita. Il
mito della città (tutti nella capitale dove si guadagna). La vita dura delle
campagne. L’uso del “tu” anche con gli sconosciuti. I rapporti uomo – donna,
locali ed esteri. Nonché, per chi c’è stato, i nomi ed i luoghi pieni di
fascino (e di ricordi). I Fiordi dell’Ovest, Selfoss, le strade di Reykjavík.
Tutti punti a favore di un libro non eccelso ma che aiuta ad entrare in quel
mondo nordico.
C’è
anche un piccolo aggancio personale, che lo zio di Frank era originario dello
Schleswig-Holstein, un land tedesco che per alcuni anni ha occupato il mio
orizzonte lavorativo, quando si fece un partenariato con una società del luogo.
Un’altra piccola madeleine personale.
Arnaldur Indriđason “La ragazza della nave”
TEA euro 10 (in realtà, scontato a 8,50 euro)
[A: 28/09/2019 – I: 22/10/2022 – T:
24/10/2022] &&& ---
[tit. or.: Petsamo; ling. or.: islandese; pagine 331; anno 2016]
Ribadendo
come tutti sanno che ritengo Arnaldur il capofila della nuova letteratura
islandese che poggia le sue basi su di un impianto giallo al fine, comunque, di
tratteggiare modi e vita della comunità isolana, andiamo a vedere questo
romanzo. Che si inserisce nel filone intrapreso dal nostro dopo aver terminato
la lunga serie dedicata al commissario Erlendur.
Una
serie che ha per protagonisti l’ispettore
Flóvent, islandese, e l’agente Thorson, canadese di origini islandesi, e che si
svolge durante la Seconda Guerra Mondiale, in particolare in quella che viene
chiamata localmente “la situazione”, cioè il periodo in cui l’isola fu
praticamente occupata militarmente dall’esercito americano.
Una serie che ha prodotto tre romanzi, con
una genesi rovesciata. Il primo ad essere pubblicato ci narra le ultime gesta
dei nostri due eroi. Il secondo ci fa fare un balzo indietro, alla prima
inchiesta che vede nascere la squadra di Flóvent e Thorson. Questo terzo
episodio si colloca in mezzo ai due.
Come
in uno spaccato di vita, anche in questa storia di Indriđason si intrecciano
diverse trame, la principale, che si collega anche al titolo, ed altre che
nascono come dei rivoli, ma che l’autore riesce a maneggiare sapientemente.
Il
nocciolo viene dall’inizio della guerra, quando molti islandesi sparsi per
l’Europa vengono richiamati in patria, e rimpatriati con una nave che parte dal
porto, allora finlandese, di Petsamo (appunto, il titolo originale; ora la
cittadina appartiene alla Russia e porta il nome di Pečenga. Tra di loro c’è
un’infermiera, Karolina, che ha avuto una storia con un giovane idealista, che
qualcuno ha tradito e fatto arrestare ed uccidere dai nazisti. Sulla nave lei
incontra Manfred, un suo amante, losco, ed Ingmar, un amico del giovane che
sospetta Manfred di essere una spia. Durante la traversata, l’amico sparisce in
mare.
Tre
anni dopo, comincia la storia vera e propria. Perché Manfred viene trovato
annegato in mare. Suicidio? Omicidio ben congegnato? Karolina viene contattata
dal fratello di Ingmar ed insieme fanno ricerche su Manfred, che intanto si è
sposato con Agneta, un’infermiera. Karolina si finge amante di Manfred, ne
ricostruisce la storia, soprattutto i suoi rapporti con i nazisti. Agneta
scopre la tresca di Manfred, e ne è molto gelosa. Qualcuno alla fine si vendica
con un farmaco che solo delle infermiere sarebbero state in grado di
utilizzare. Ma chi lo ha fatto? Karolina o Agneta?
Mentre
Flóvent indaga su questa storia
(è solo islandese, non ci sono interforze di mezzo), lui e Thorson vengono
coinvolti in un’altra indagine. La morte di un giovane, vestito da militare
americano, che militare non è. I nostri due investigatori scoprono
nell’indagine un mondo di soprusi ed angherie sessuali. Il morto è gay, ha un
rapporto quasi fisso con Tobias, ma si invaghisce di un militare americano. Un
militare che, seppur non direttamente, è coinvolto in una serie di stupri che
prendono di mira donne islandesi che vanno con i soldati.
I
nostri due investigatori, rompendo diversi muri di omertà, smantellano anche
questa storia. Due soldati convincono donne compiacenti ad appartarsi con loro,
le sequestrano, e forse ne uccidono qualcuna. Il morto viene a saperlo dal suo
amico soldato, ma non per questo viene ucciso, che a farlo fuori è solo un
gesto di gelosia che oltrepassa il limite. Ma Flóvent e Thorson, unendo tutti i puntini, portano alla luce tutta la
storia. Peccato che, come in ogni avvenimento che coinvolge sottufficiali, i
militari americani decidono di spedire fuori dall’Islanda i colpevoli, rendendo
impraticabile la giustizia. Che servirà solo a trovare l’assassino del gay.
La difficoltà, nel seguire tutta la storia, è
la sovrabbondanza di nomi, per cui mi sono perso un po’ a seguire chi fa cosa a
chi altro. Anche se, ridotta all’osso e sfrondata, può essere simile a quella
che ho appena narrato.
La bravura di Arnaldur è di trovare il modo
di imbastire storie “noir”, ambientando le sue storie in un posto che ha uno
dei più bassi tassi di criminalità al mondo. E lo fa spaesandoci e trasferendo
il presente in qualche anno ben lontano, dove molto diventa plausibile. Il
secondo punto è la capacità di riprodurci lo spirito islandese, dei posti e
delle situazioni, così che subito mi ritrovo anch’io sulla strada per Selfoss,
a guardare i geyser, a passeggiare sul porto di Reykjavík, a girare su strade
sterrate sperando che non siano gelate, interrotte o allagate.
Inoltre, ha la bravura di ricordarci che i
nazisti, i cattivi, non erano solo in Germania, e non erano solo tedeschi. Una
lezione che dovremmo tenere spesso meglio in mente.
Tuttavia,
nonostante le premesse, la storia di Flóvent
e Thorson non ha decollato, tant’è che sono sei anni che non ne scrive più,
essendo passato ad un nuovo filone narrativo, anche se pur sempre giallo.
Arnaldur Indriđason “Quel che sa la notte”
TEA euro 12 (in realtà, scontato a 10,80 euro)
[A: 18/11/2018 – I: 19/11/2022 – T: 21/11/2022]
&&& --
[tit. or.: Myrkrið veit; ling. or.: islandese; pagine 319; anno 2017]
Credo proprio che la serie dei due poliziotti
nella Seconda Guerra Mondiale abbia fatto il suo tempo, e non porti altri
spunti al nostro caro amico islandese. così, dopo aver abbandonato Erlendur,
abbandona anche loro, e con questo romanzo inizia un nuovo percorso seriale,
tornando, e gli siamo grati, a descrizioni e momenti di vita più vicini ai
nostri tempi attuali.
Anche qui, il protagonista è un poliziotto,
anzi un ex-poliziotto, Konrað, che entra a poco a
poco nella vicenda per poi occuparne la scena centrale. Konrað è chiuso nella
trappola di una vita che lo ha portato lì, ma quasi senza volerlo. Era un
poliziotto valente, poi uno sfortunato episodio lo porta quasi al
licenziamento, in un periodo in cui avviene la scomparsa di un imprenditore,
Sigurvin. Della presunta morte è accusato Hjaltalín, socio in affari di
Sigurvin. Ma Konrað, quando riprende l’indagine, non è convinto. Tuttavia,
senza cadavere e senza prove tutto finisce nei “cold case” islandesi.
Intanto, Konrað tradisce la moglie Erna, cui
comunque è affezionato. Ma quando lei si ammala di cancro, decide di andare in
pensione e rimanere accanto a lei. I momenti che ci racconta degli ultimi
giorni di Erna sono da manuale della commozione. Ora sono sei anni che Erna è
morta, Konrað vede ogni tanto i vecchi compagni delle indagini, nonché
dottoresse e pubblici ministeri (e sono quasi sempre donne).
Tutto sembra portare a poco quando, per il
riscaldamento globale anche i ghiacci islandesi cominciano sciogliersi (ed io li ho visti quest’estate a
luglio, e mi hanno dolorosamente colpito), e dai ghiacci emerge il corpo di
Sigurvin. Anche se non vuole, un po’ per curiosità, un po’ perché sente di aver
lasciato qualcosa a metà, Konrað si affianca alle indagini, e poi comincia a
lavorarci quasi a tempo pieno.
Qui Arnaldur fa un lavoro veramente di fino,
che (non l’avevo ancora detto) sono passati trent’anni dalla scomparsa di
Sigurvin. Quindi, è abbastanza chiaro che indizi, prove, conoscenze, ricordi
sono labili da trovare. Konrað scopre piccole crepe nella costruzione degli avvenimenti,
e prende ogni piccolo filo per aggiungere tasselli alla ricerca della verità.
Hjaltalín, malato di cancro, muore non senza
aver proclamato a Konrað la sua innocenza, confermata dall’alibi che non aveva
mai voluto raccontare. Infatti, Konrað scopre casualmente che la notte
dell’omicidio il socio non era in compagnia dell’amante, ma era in compagnia
della moglie di Sigurvin, in via di separazione. A questo primo filo si
aggiunge la richiesta di una donna, forse un po’ provata dall’alcool, che,
saputo del ritrovamento, chiede a Konrað di indagare sulla strana morte,
avvenuta anch’essa da diversi anni, del fratello. Che aveva sempre sostenuto
che la notte dell’omicidio, aveva visto e riconosciuto un tipo losco in una
zona malfamata. Lui aveva nove anni, ed il tipo lo aveva minacciato di morte se
avesse parlato.
Vent’anni dopo, viene travolto da un pirata
della strada. Altro piccolo filo, che all’inizio sembra non portare a nulla,
non essendo facile collegare gli avvenimenti, legati, forse, solo da parole che
non sono più verificabili. Ma Konrað prende in cura anche questo filo, cerca di
capire chi potesse avere, all’epoca, macchine da ghiacciai. Risale alla
Protezione Civile (o a qualcosa islandese di analogo), a persone che vi avevano
lavorato, e sale a ritroso nel tempo, trovando una strana coincidenza: l’amante
di Hjaltalín, Sigurvin, ed altre due persone, Bernharð e Lúkas, avevano fatto
le scuole insieme. Poi i tre maschi avevano anche fatto un anno di scout, dopo
il quale Sigurvin si era lanciato in altre attività. Mentre Bernharð e Lúkas
avevano continuato lo scoutismo per sfociare entrambi nella Protezione.
Ma Sigurvin era un abile affarista ed aveva
fatto fortuna. Bernharð era diventato un abile ma squattrinato meccanico e
Lúkas aveva passato vari anni su navi mercantili. Konrað sente tuttavia che
questa è una pista promettente, soprattutto quando una donna descrive il tizio
che il fratello dell’alcolizzata incontra poco prima della morte.
C’è tutto un meccanismo complicato che si
mette in moto, ma sono pagine da “noir” ed io non vado narrando più di questo.
L’abilità di Arnaldur è di riuscire a
raccontarci le sue storie senza mai alzare la voce, senza mai suonare la carica
dicendo: “ecco che arriva un colpo di scena”. Perché Arnaldur è intrinsecamente
islandese, e sa che la sua isola non è per tutti, non tutti la possono capire,
anche se, dopo che ci si va, non può non rimanere nel cuore. Una nazione,
un’isola dove in realtà si sente forte la solitudine e la lotta, giornaliera,
per non essere sopraffatti dalla natura. E quando le forze vengono meno, ecco
che i più deboli si danno all’alcool (c’è un alto tasso di alcolisti anche in
Islanda) ed anche alle droghe. Ma tutto questo affiora senza che lo scrittore
si senta in dovere di giudicare. Ed anche quando Konrað risolve il caso
sappiamo che non tutto è venuto alla luce.
Konrað non è, ancora, simpaticamente nel
cuore del lettore, ma di certo ha un suo successo e un suo spazio, che sappiamo
essere usciti altri libri con lui come protagonista. Vedremo.
“Soprattutto, e questo era ciò che lo
lasciava più stranito, era un pensionato, senza però sentirsi affatto vecchio.”
(167)
Arnaldur Indriđason “La ragazza del ponte”
TEA s.p. (Regalo di Emilio & Fako)
[A: 07/05/2022 – I: 04/12/2022 – T: 06/12/2022]
&&&
[tit. or.: Stúlkhan hjá brúnni; ling. or.: islandese; pagine 346; anno 2018]
Evidentemente
il personaggio Konrað, come accennato,
ha un suo spazio, così che ecco il secondo episodio delle sue gesta. Devo anche
dire, che, una volta tolta un po’ di ruggine, la storia è più gradevole. Anche
perché, visto che pochi sono i misteri islandesi checché ne dica Ragnar
Jonasson, il nostro Arnaldur si rifugia in misteri del passato, avviando i suoi
protagonisti verso indagini strampalate.
Non è certo facile, infatti, indagare su
qualcosa che avviene trenta o quaranta anni prima, dove i testimoni sono quasi
tutti morti, e quelli in vita rischiano di essere fuori di testa o altro. Ma il
nostro dosa sapientemente gli ingredienti, tira fuori dal cilindro qualche
risultanza inaspettata, ed alla fine, molto, se non tutto, viene allo scoperto.
Forse non sempre i colpevoli saranno puniti (spesso sono già morti), tuttavia i
viventi avranno un quadro migliore davanti.
Intanto, rispetto a quasi tutte le traduzioni
dall’islandese, questa volta si riesce a mantenere il titolo originale. Si
parla di una ragazza, di un ponte ed è da lì che si comincia a svolgere un
primo mistero. Giusto quindi mantenerne la traccia.
La capacità di Arnaldur è di mettere in scena
molteplici inchieste, di portarle avanti senza dimenticarne pezzi per strada,
ed alla fine, non a tutte ma a molte, portarci alla loro conclusione e
spiegazione.
La storia di fondo, che anche qui non si
conclude, ma che si irrobustisce di ulteriori dettagli, riguarda il mistero
legato all’animo di Konrað. Una caratteristica dei personaggi centrali del
nostro è avere un nodo irrisolto nel passato. Per Erlendur era la scomparsa del
fratello in una notte di tempesta. Per Konrað è la morte del padre,
accoltellato una cinquantina d’anni prima. Non che ne voglia vendetta, che Konrað
non aveva mai amato il padre, quanto per capire, cosa che il nostro poliziotto
in pensione non smette mai di perseguire.
Ed in questa ricerca comincia a frequentare
sempre di più la sua coetanea Eygló, figlia del sodale del padre nelle loro
imprese truffaldine, legate a false sedute spiritiche. L’unione dei loro
ricordi e delle loro investigazioni, portano i due nostri anziani a mettere
insieme qualche altra tessera del rompicapo, ma senza ancora arrivare ad un
disegno complessivo degli avvenimenti (che, poco dopo il padre di Konrað, anche
il padre di Eygló muore in modo sospetto).
Ma il loro incontro porta anche allo
svelamento di alcune turbe di Eygló che non aveva mai confessato. Certo, qui
entriamo in un ambito che non mi vede particolarmente ferrato né favorevolmente
impressionato. Parliamo di spiriti, di sedute spiritiche, di persone che
compaiono senza lasciare tracce sulla moquette, di signore in nero che
camminano con il collo apparentemente spezzato. Insomma, fenomeni paranormali
che non mi coinvolgono tanto.
Comunque, Eygló ricorda una ragazzina che
cercava una bambola, e Konrað riesce a collegarla con l’annegamento
dell’undicenne Nanna insieme alla sua bambola. Un cold case che più cold non si
può. C’è solo il ragazzo (ormai professore in pensione) che scoprì il corpo di
Nanna ancora in vita e qualche parente (fratellastro credo) poco credibile. Ma Konrað
è un cane da tartufi. Sente che c’è del marcio in Transilvania, anche perché
l’inchiesta è stata gestita male, il poliziotto incaricato era una mela marcia,
venne fatta l’autopsia, ma il referto è scomparso.
Dopo una serie di peripezie che non vi narro,
Konrað trova la famosa bambola, con dentro il disegno di Nanna incinta. Ecco il
motivo della morte. Ma fu vero suicidio?
O c’entrano qualcosa il poliziotto (che palpava le donne), uno sciancato
che sembra essere stato visto sul ponte, il medico che ha fatto l’autopsia?
Mentre procede la storia antica, Konrað è
coinvolto anche in un caso “attuale”. La scomparsa e poi la morte di una
giovane, Danní, alla cui ricerca lui viene richiesto dalla nonna di lei, antica
amica della moglie morta di Konrað. Danní è morta, sembra, per overdose o
simili, ed era sicuramente coinvolta in giri di droga, insieme al suo compagno
Lassi. Tanto che, quando lei non consegna la droga arrivata di contrabbando (e
non può essendo morta), i capimafia dello spaccio se la prendono con Lassi,
quasi uccidendolo. Qui, l’indagine è condotta da Marta, la poliziotta amica di Konrað,
ma anche lui ci mette del suo.
Tutto si mescola anche con la comparsa di
Beta, la sorella di Konrað, che scopriamo essere stata abusata dal padre, che
per vendetta, alle parole del fratello, trova il modo di far fare di nuovo
un’autopsia a Nanna. Ovvio che anche Nanna era stata abusata. Intanto, Marta
trova anche poca chiarezza nelle parole dei nonni di Danní, scoprendo che la
giovane voleva mettere delle storie in rete. E solo Lassi, in coma, ne sa
qualcosa.
Alla fine, con un colpo di teatro magistrale,
Arnaldur riesce a collegare con un filo doloroso tutte le storie: quella di
Nanna, di Danní, di Beta. E noi, ovvio, si pensa a tutte le storie attuali che
leggiamo purtroppo ogni giorno sui giornali, di abusi e femminicidi vari.
Di sicuro, almeno Nanna e Danní avranno le
loro storie risolte. Credo che dovremmo aspettare un po’ per arrivare a
sciogliere il mistero del padre di Konrað e di quello di Eygló.
Non è da ora che professo il mio amore per
Arnaldur e le atmosfere islandesi. Qui, nonostante alcuni critici lo neghino,
c’è sempre tanta isola, anche se non è facile capirne i contorni. Si parla
della capitale, delle sue strade, di luoghi non lontani dalla capitale stessa,
verso l’attuale aeroporto. Solo chi vuole bene a quella terra riesce, forse, a
coglierne i collegamenti. In una scrittura che, senza fronzoli e senza
svolazzi, continua ad essere gradevole.
Con un ulteriore elemento di cross-link tra
le scritture. Che a pagina 188 si cita un’indagine svolta tanti anni prima da
un certo Thorsen. Che non è altro il poliziotto canadese di origini islandesi
protagonista della serie intitolata in Italia al commissario Flovent, e di cui
ho recensito tutti e tre i libri usciti. Arnaldur collega tutto, che l’isola è
comunque sempre piccola.
Inoltre, ha un occhio, partecipe e da me
partecipato, verso la sofferenza delle donne, che a qualsiasi età, soggiacciono
alla violenza degli uomini. Sempre piacevole la sua lettura.
John
Grisham “Gli avversari” Mondadori s.p. (regalo della sig.ra Laura)
[A: 14/08/2022
– I: 22/08/2022 – T: 23/08/2022] - &
e ½
[tit.
or.: Sparring Partners; ling. or.: inglese; pagine: 292;
anno 2022]
Sono rimasto un po’ deluso da quest’ultimo
libro uscito di Grisham. Primo, perché è una raccolta di tre racconti, che già
normalmente mi fan storcere il naso; a maggior ragione quando sono nel genere
thriller o noir, dove trovo il romanzo l’unica dimensione che può dar respiro
al testo. Secondo, perché li ho trovati tutti e tre un po’ mosci ed un po’ poco
risolti. Forse solo il terzo ha qualche spunto, tanto che lo vedrei allungato
in un romanzo. Mi ero abituato troppo bene, sia con i romanzi “storici” di
Grisham, sia con quelli dedicati ai giovani, e per questo, probabilmente, il
giudizio è stato anche più severo.
In genere, infatti, il marchio di fabbrica
dell’autore è la costruzione di una trama esterna alle aule del tribunale, per
poi farci entrare mani e piedi nel “legal thriller”, dove più che la ricerca
della verità (che non manca, ma è di altra natura), si disquisisce sul
procedimento, sulle trappole giuridiche, e su tutto quanto, per l’appunto,
ruota intorno alle toghe, ai giudici di carriera, alle giurie popolari ed altre
amenità.
Non è che in questi racconti, che comunque
risulterebbero tutti scritti nell’ultimo anno, manchino le tipicità di Grisham,
ma sono in realtà leggermente annacquate da un contorno spesso di diversa
qualità narrativa.
Incominciamo allora con il primo racconto, “Ritorno
a casa” [“Homecoming”
7-123].
Grisham sembra di tornare all’antico, perché si incontra di nuovo una vecchia
conoscenza, l’avvocato Jake Brigance (quello de “Il momento di uccidere”) che viene
contattato da un suo ex-collega, Mack, che lo coinvolge in una complessa trama
legata al titolo. Mack, con lo studio sempre in crisi, aveva ricevuto una
transazione poco chiara (unica parte “legale”) che aveva utilizzato per andare
in Sudamerica, abbandonando la moglie e le figlie. Per abbandonare tutto aveva
dichiarato fallimento. Ora, per tornare, vediamo la famiglia della moglie, che
muore di cancro, sul piede di guerra, mentre una delle due figlie lo
accoglierebbe di nuovo. Ma i problemi fiscali legati alla transazione di cui
sopra mettono in moto FBI e fisco. Riusciranno Mack e Jake a dribblare gli
ostacoli? Domanda legittima, che aprirebbe scenari dibattimentali interessanti.
Però non ve ne parlo, che sono passate cento pagine e siamo (quasi) alla fine
del primo racconto.
Lascio
il secondo per ultimo, che, per ragioni che poi vi dico, mi è sembrato più
interessanti.
Il
terzo, “Gli avversari” [“Sparring Partners” 175-292], che dà
anche il titolo alla raccolta, è di sicuro più articolato dei precedenti. Forse
anche troppo. C’è uno studio legale gestito dai fratelli Malloy, i soci che si
combattono del titolo, dopo che il loro padre padrone deve scontare dieci anni
di reclusione per l’omicidio preterintenzionale della moglie, nonché loro
madre. I due non hanno le capacità paterne, che tra l’altro sta accumulando
soldi sottobanco anche lì per una transazione milionaria non dichiarata. Lo studio,
quindi, sta andando a rotoli, e l’unico modo per i due è prendersi i soldi
nascosti del padre, sperando che rimanga in prigione. Ma Molloy sr. sta
corrompendo il governatore per ottenere un indulto (tutto il mondo è paese).
Scoperta la magagna, i due cercano di corrompere a loro volta il governatore
con una tangente perché non si faccia corrompere. Il pallino della vicenda
viene allora in mano al gerente dello studio, l’avvocatessa Diantha che deve
decidere se salvare sé e lo studio o solo sé stessa. La decisione e le sue
modalità attuative ve le lascio leggere, anche se, pure qui, non è che sia
coinvolgenti.
Dicevo
che lascio per ultimo “Luna di fragola” [“Strawberry Moon” 125-173]
che non è particolarmente esaltante nella scrittura descrittiva delle ultime
due ore di vita di un condannato a morte. Ore che vi lascio gustare nella loro
tragica bellezza. Quello che è invece interessante in questo veloce scritto è
il problema che pone. Cody ed il fratello Brian fanno una rapina in una casa,
dove gli inaspettati abitanti si ribellano, sfociando il tutto in un bagno di
sangue, con morti i due anziani e Brian. Cody all’epoca del fatto ha 14 anni e
non ha sparato un colpo (non aveva armi). Eppure, le leggi americane lo
condanno a morte. Non solo ma passano quindici anni prima che la sentenza
divenga esecutiva. Ma noi con Grisham ci domandiamo come sia possibile
condannare un ragazzo all’epoca minorenne per un fatto cui ha assistito senza
commetterlo. Certo, aveva programmato la rapina, ma… Il tutto condito dal fatto
che io mi domando sempre la giustezza della giustizia americana con le sue pene
capitali di cui non ho mai capito il senso né l’utilità. Ovvio, questo apre un
dibattito ampio, ed è l’unico motivo che dà una leggera positività a tutta
l’operazione scrittura.
In
definitiva, una lettura da ombrellone, ed un libro che si può lasciare
tranquillamente ai bordi di una piscina se qualcuno ne vuole leggere.
Prima
trama del mese che riporta le quindici letture di novembre, attestata sulla
media rispetto agli altri mesi. Si sollevano un po’ dalla massa un solito
Simenon con il suo orologiaio ed uno scritto della mia cara giapponese Banana
Yoshimoto. Mentre precipitano al solito verso il basso i Thriller del Corriere
con il poco entusiasmante libro di Michelle Frances.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Luigi Meneghello |
I piccoli maestri |
Repubblica Resistenza |
7,90 |
2 |
2 |
Banana Yoshimoto |
Il dolce domani |
Corriere Giappone |
8,90 |
3,5 |
3 |
Yoko Ogawa |
L’anulare |
Corriere Giappone |
8,90 |
2,5 |
4 |
Silvina Ocampo |
La promessa |
Repubblica Latinoamericana |
9,90 |
2,5 |
5 |
Mauro Corona |
Le voci del bosco |
Repubblica Montagna |
9,90 |
2 |
6 |
Donato Carrisi |
Il cacciatore del buio |
Repubblica Emozione Noir |
7,90 |
2,5 |
7 |
Dario Crapanzano |
Arrigoni e l’omicidio di via Vitruvio |
Mondadori |
14 |
3 |
8 |
Ian Rankin |
In a house of lies |
Orion |
9 |
3 |
9 |
Georges Simenon |
L’orologiaio di Everton |
Repubblica |
9,90 |
3,5 |
10 |
Arnaldur Indriđason |
Quel che sa la notte |
TEA |
12
|
3 |
11 |
Georges Simenon |
I complici |
Repubblica |
9,90 |
2,5 |
12 |
Michelle
Frances |
La
fidanzata |
Corriere Thriller |
7,90 |
1 |
13 |
Marcela Serrano |
Il giardino di Amelia |
Repubblica Latinoamericana |
9,90 |
2,5 |
14 |
Mirko Zilahy |
La forma del buio |
TEA |
12
|
3 |
15 |
Donato
Carrisi |
Il maestro
delle ombre |
Repubblica Passione Noir |
7,90 |
2 |
Rimanendo
nel clima nordico scandito dall’Islanda, passo ad una serie di citazioni tratte
da un libro del compianto Henning
Mankell. Leggendo “Il cervello di Kennedy” rimanevano nella memoria due citazioni di
citazioni: una di Aksel Sandemose “Chi non comprende le proprie
sconfitte non porta con sé nulla nel futuro” (7) ed una di Confucio “Meglio
accendere una candela che maledire l’oscurità” (101).
Due invece legate all’età ed all’introspezione:
“Ho cinquantaquattro anni [ora molti di più, nota mia]. Sono arrivata fino a
qui, che direzione devo prendere quando arrivo in fondo alla strada?” (21) “Non
sono mai stato sicuro di niente. I compagni della mia vita sono stati
l’insicurezza e il dubbio” (108).
Ed una considerazione legate ai viaggi: “[sulle
colline greche] ‘Ero in Africa’ – ‘Così lontano… Non è pericoloso laggiù?’ –
‘Cosa intende dire?’ – ‘Tutti quei… selvaggi? ...’ – ‘L’Africa è molto simile a
qui. Ci dimentichiamo troppo facilmente che gli uomini appartengono tutti alla
stessa famiglia. E che ogni paesaggio, per certi aspetti, ricorda quello di
altri luoghi’” (284).
Purtroppo, la prima settimana di febbraio è da orami quindici anni legata a lutti familiari, per cui non sono molto in vena né di altri ricordi né di prospettive a breve. Faccio solo in tempo, dopo aver rivolto il pensiero a chi sa che, ovunque siano, li penso, e quindi ad abbracciarvi.
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