O almeno il penultimo della serie pubblicata da Repubblica tre anni fa (circa) che ora sono iniziati ad uscire altri volumi dedicati alla produzione “non-Maigret” dell’autore belga.
Siamo ancora nel periodo americano,
tra il nuovo matrimonio e le vecchie convivenze, mentre l’ultima trama è del
primo scritto al ritorno nel Vecchio Continente. Nelle scritture americane si
nota un po’ di stanchezza, rinvigorita solo da “L’orologiaio di Everton” che si
stacca su tutti. Mentre anche l’ultimo, scritto ormai nella Svizzera che lo
ospiterà per il resto della vita, non riesce a riprendere il volo. Vedremo di
tirare considerazioni più circostanziate con l’uscita degli altri romanzi.
Georges
Simenon “I fantasmi del cappellaio” Repubblica Simenon 19 euro 9,90
[A: 30/01/2020 – I: 19/10/2022 – T: 22/10/2022] - &&&
[tit. or.: Les fantômes du chapelier; ling. or.: francese; pagine: 234; anno 1949]
Come
detto la volta scorsa, la famiglia Simenon rimane a Tumacacori sino all’estate
del ’49. È quindi un periodo di tranquillità, di riflessioni sulla scrittura,
di intenso amore con la sua nuova fiamma, Denyse. Ormai Tigy vive appartata,
dedita soltanto alle cure del figlio Marc. In questo momento senza troppi
scatti, dal 2 al 13 dicembre riprende in mano degli scritti, e tira fuori la
versione definitiva di questo romanzo, ambientato in quel di La Rochelle, che,
nonostante tutto, gli manca tanto. Benché gli accordi con Sven, il suo editore,
prevedano rapide uscite, il testo verrà poi pubblicato solo nell’aprile del
’49.
Questo
romanzo, comunque, ci dà modo di vedere una genesi articolata degli scritti di
Simenon, del modo in cui butta giù delle idee, ci riflette, le modifica, le
amplia. Insomma, il lavoro di uno scrittore nel pieno della sua opera.
Nel
marzo del 1947, Simenon è ancora in Florida, e redige un racconto breve, “Il
piccolo sarto ed il cappellaio” (“Le petit tailleur et le chapelier”),
la storia del sarto e del cappellaio, narrata dal punto di vista di Kachoudas,
il sarto mediorientale, piccolo, pieno di debiti, con una marea di figli a
carico, che cerca di capire l’agire del suo dirimpettaio, il cappellaio Labbè.
Un racconto veloce, ma lasciato nel cassetto, che sarà pubblicato solo nel
1950, in un’antologia intitolata “Les Petits Cochons sans queue” (“I maialini
senza coda”).
Nell’estate
del ’48, ormai in Arizona, riprende il racconto (che era di 4 capitoli), ne
modifica pesantemente il quarto, rovesciando il risultato del rapporto tra
Kachoudas e Labbé, e lo intitola “Benedetti gli umili” (“Bénis soient les
humbles”). Spinto dai suoi amici americani, lo fa quindi tradurre in
inglese, con il titolo “Blessed are the Meek” e lo invia alla rivista “Ellery
Queen’s Magazine”, per partecipare al 48esimo concorso di racconti polizieschi
edito dalla rivista. Simenon sbaraglia il campo, aggiudicandosi il primo premio
di 2000$, e risultando il primo non anglosassone ad aggiudicarsi il premio.
La
vicenda avrà il suo apice nel ’53, quando Igor B. Maslowski nella raccolta “La
douzaine du diable” li pubblica entrambi. Per essere precisi da pagina 15 a 47
riporta i primi tre capitoli comuni alle due versioni. Quindi da pagina 47 a 53
il quarto capitolo di “Benis…” e poi da pagina 54 a 58 la versione de “Le
petit…”. Dove vediamo che appunto solo l’ultimo capitolo è modificato, come
detto, anche pesantemente.
Tuttavia,
Simenon intuisce che il testo ha una sua rilevanza, tale da poter essere
allungato per formare un romanzo a tutto tondo. Cosa che fa, appunto, nel
dicembre del ’49, dove i nodi del romanzo sono gli stessi, ma l’accento viene
messo ora sul cappellaio Labbè, lasciando più sullo sfondo la figura del sarto,
e riconducendo il finale più verso la prima versione, anche se con profonde e
significative modifiche.
Diventa
quindi un romanzo d’atmosfera, di sensazioni, di rapporti. Ma anche tornando
più e meglio sul pallino dello scrittore. Quel momento in cui il protagonista
attraversa la “sua linea d’ombra”, e tutte le conseguenze che ne derivano.
In
tutte le versioni, ci muoviamo in un piovoso novembre nella città di La
Rochelle, che sappiamo ben presente all’autore. Nel romanzo, seguiamo da vicino
le gesta del cappellaio Labbè. Un maggiorente della città, con un non fiorente
ma di sicura rendita negozio di cappelli. Labbè è integrato nella cittadina, ha
un suo posto nel caffè della città, dove si riunisce ogni sera con i suoi pari,
per giocare o guardar giocare a bridge.
Nella
stradina del negozio, dirimpettaio a Labbé, c’è il sarto Kachoudas, d’origine mediorientale.
Stradina talmente stretta che i due sembrano quasi far parte dello stesso
appartamento. Labbè guarda il sarto chino sul suo lavoro, guarda la sua vita
familiare. Il sarto vede gli strani comportamenti di Labbé, e ne intuisce il
mistero.
Dal
13 novembre una serie di uccisioni di anziane donne sconvolgono nella città.
Nessuno riesce a comprenderne i motivi, e Simenon riesce a darci bene il senso
dell’angoscia cittadina. Solo il sarto intuisce la verità, seguendo ovunque
l’insospettabile assassino. Tanto che, data la pioggia, si ammala e muore (una
delle grandi varianti rispetto ai racconti). Ma noi seguiamo le gesta di Labbé,
il suo percorso interiore, ma anche tutte le piccole astuzie che mette in gioco
per coprire le sue gesta. L’abilità di Simenon, derivata dalle tante storie del
suo commissario, è grande nel costruire le azioni di un personaggio capace di
inventarsi mille trucchi per compiere le sue azioni, per coprirle agli occhi
esterni, financo per irridere i cittadini che seguono la vicenda con
apprensione ma anche con curiosità.
Con
una sorprendente modernità, Simenon ci fa entrare nella mente del killer,
rendendocene la sua duplicità tra il suo mondo interiore, ormai fuori
controllo, al suo mondo esteriore, ordinato ed integrato nella società. Sarà la
morte del suo alter ego, a scardinare questo mondo portando Labbé alla fine del
suo percorso.
Da
ricordare infine che anche da questo romanzo viene tratto un notevole film,
diretto da Claude Chabrol nel 1982 e interpretato in modo mirabile da Michel
Serrault (il cappellaio) e Charles Aznavour (il sarto).
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
La Rochelle |
Léon Labbé, cappellaio, sposato, 60 anni |
Kachoudas, il “piccolo sarto”, originario del
Medioriente Jeantet, giovane giornalista de “L’Echo des
Charentes” I
giocatori di bridge, oltre a Labbé, il dottor Chantreau, l’assicuratore
Lambert, l’editore Caillé, il commissario Pigeac |
Dal 13 novembre al 24 dicembre |
Epoca contemporanea |
Georges
Simenon “I fratelli Rico” Repubblica Simenon 33 euro 9,90
[A: 13/05/2020 – I: 26/10/2022 – T: 28/10/2022] - &&&
[tit. or.: Les frères Rico; ling. or.: francese; pagine: 170; anno 1952]
Come
detto anche altrove, questa collana, pur riportando molti titoli, pubblica solo
35 dei 118 romanzi “senza Maigret”. Deve quindi, a volte, fare dei salti
temporali nella scrittura, come in questo caso dove passano ben tre anni, non
solo dalla pubblicazione ma anche dalla scrittura del precedente romanzo di cui
ho parlato. Anche perché l’amico Sven ormai gli pubblica i libri poco dopo la
scrittura.
Sono
tre anni americani, densi di avvenimenti e di modifiche, anche profonde. Dal
punto di vista logistico, prima di tutto. Dopo aver scritto un nuovo romanzo
nel febbraio a Tumacacori, nell’estate di quell’anno i Simenon tornano alla
villa detta “Desert Sands” a Tucson. Poi da settembre si spostano ancora più ad
ovest, raggiungendo la California a Carmel-by-the-Sea (amena cittadina poco a
sud di San Francisco). Ma solo per alcune motivazioni personali e familiari,
cui torniamo tra poco, infatti dal luglio del ’50 si spostano a “Shadow Rock
Farm” a Lakeville nel Connecticut (circa duecento chilometri a nord di New
York).
Perché
dicevo motivazioni varie per la California? Il 29 settembre 1949, nasce Johnny,
il figlio di Georges e Denyse. Ma i due non sono sposati, ed i bigotti
americani minacciano scandali ed anche prigione per gli adulteri. Così la
famiglia allargata si trasferisce in California, prepara tutti i documenti, ed
il 21 giugno ’50, a Reno Simenon divorzia da Régine. Il giorno dopo, sempre a
Reno, Georges sposa Denyse, e tutto torna nella norma americana. Peccato poi
che Régine ed il figlio Marc si stabiliscono a Lime Rock, meno di dieci
chilometri da Lakeville.
Per
lo scrittore è un periodo prolifico (saranno 11 romanzi in poco più di un anno
e mezzo), ma anche di lutti (morte di alcuni parenti, ma soprattutto dell’amico
Gide). Al fine di esorcizzare il vento cattivo, nel marzo del ’52, con la
famiglia, si imbarca sul “Liberté” ed effettua un giro trionfale in Europa. È
accolto calorosamente al Quai des Orfevres, visita la madre a Liegi, è eletto membro
dell’Accademia del Belgio. Al ritorno in America, nel luglio, nella solita
settimana di scrittura produce questo testo.
Proprio
per sottolineare la sua attuale distanza dal Vecchio Mondo, è un testo
fortemente americano, dove Simenon affronta un tema altrettanto forte: la dura
legge della mafia americana.
Ci
presenta così la storia della famiglia Rico che, sebbene di ascendenze
italiane, è profondamente americana. Seguiamo le sorti dei tre fratelli: Joseph
detto Eddie, il primogenito, Gino, il secondo, e Tony, il terzo. Cresciuti a
Brooklyn, coinvolti come tutti gli immigrati, anche di seconda generazione,
nelle spire della mafia, fanno scelte diverse, all’interno dell’organizzazione.
Eddie diventa contabile, e viene messo a capo di una fiorente industria di
riciclaggio in Florida. Gino diventa un sicario, mentre Tony fa l’autista per i
raid mafiosi.
La
routine dei Rico è sconvolta da due avvenimenti: Tony è coinvolto in un
regolamento di conti andato a male, e subito dopo, conosciuta la bella Nora, decide
di fare “il pentito”, sparendo dalla circolazione. La mafia non può
permetterlo, e costringe il mite Eddie a rintracciare il fratello, con la
promessa (ovviamente falsa) di un salvacondotto per la Sicilia. Per seguire i
pellegrinaggi di Eddie, Simenon si inventa una descrizione del territorio
americano, farcendola di considerazioni anche sulla locale presenza della
mafia. Si parte dalla Florida, il territorio di Eddie, dove tra paludi di
alligatori e ville in riva al mare con potenti motoscafi, prospera il gioco
illegale. Si passa poi in Pennsylvania, mai amata da Simenon, che la descrive
sporca e deprimente. Si arriva a New York, e a Brooklyn, con i bar, i flipper,
i jukebox, le sale da gioco da poveri, e dove Eddie incontra la madre. Per
finire in California, sole, macchine di ogni tipo, dalle vecchie Ford T alle
lussuose Cadillac.
Qui
finalmente Eddie ritrova Tony e capisce due cose: che il fratello si è ormai
allontanato dal mondo malavitoso e che l’organizzazione non consentirà mai che
Tony ne esca vivo. Quale sarà la scelta di Eddie? La famiglia e gli affetti o
la vita che si è costruito, passo dopo passo, laddove si sente in pace con il
mondo, quando Angelo, il suo numero due, lo chiama “Boss”?
Non
è il miglior Simenon che leggo, che gli ambienti lontano dall’Europa non sempre
riescono a rendere il carattere dei personaggi, come lui vorrebbe. Certo, anche
qui c’è la sottile “linea d’ombra” che Eddie deve decidere se attraversare o
meno. Un tema ormai costante in questi romanzi.
Molto
americano è anche il taglio della storia, che non sorprende pochi anni dopo sia
diventato un film, per la regia di Phil Karlson, regista poco noto ma molto
amato da Martin Scorsese, con Richard Conte, a noi noto per la sua
partecipazione a “Il padrino”, nella parte di Eddie. Film che però non ha
varcato con successo l’oceano.
“Ho
sessantotto anni, figliolo. Posso affermare di aver avuto una vita intensa e
ritengo che non sia ancora finita.” (153) [posso condividere?]
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
Santa
Clara e Miami (Florida), Brooklyn (New York), El Centro (California) |
Joseph Rico, detto Eddie, americano da genitori
siciliani, sposato, tre figli, 38 anni |
Gino Rico, secondogenito, celibe, 36 anni Tony Rico, il piccolo, da poco sposato, 33 anni Nora Malaks, moglie di Tony, 22 anni Sid
Kubik e Phil Boston, membri dell’organizzazione da cui dipende Eddie |
Alcuni giorni |
Epoca contemporanea |
Georges
Simenon “La scala di ferro” Repubblica Simenon 32 euro 9,90
[A: 06/05/2020 – I: 29/10/2022 – T: 30/10/2022] - && e ½
[tit. or.: L’escalier de fer; ling. or.: francese; pagine: 180; anno 1953]
Fatte
salve le considerazioni sull’uscita dei romanzi in questa collana, qui
affrontiamo un nuovo “roman dur”, che, seppur sempre scritto a Lakeville, torna
finalmente in un’ambientazione più consona per Simenon. Siamo infatti di nuovo
a Parigi, e per l’esattezza a Montmartre.
Intanto,
registriamo che dal luglio ’52 a questa scrittura, Simenon produce solo 4
romanzi. Anche perché le vicende familiari hanno preso il sopravvento in questo
periodo. Non si tratta di spostarsi da est a ovest in America (la famiglia
Simenon sarà diversi anni ferma a Lakeville), quanto di due avvenimenti
“personali”. Da un lato, Denyse comincia, periodicamente, a dare segni di
instabilità, che ancora sono solo a livello latente. Dall’altro il 23 febbraio
del ’53, nella clinica di Sharon, nasce Marie Georges Simenon, detta Marie-Jo,
l’unica figlia dello scrittore, che tanto dolore fare nascere in famiglia. Ma
questo sarà molto più tardi. Per ora constatiamo la nascita, nonché la poco
consueta elezione dello stesso Simenon a presidente dei “Mystery Writers of
America”.
Altro
elemento che rende importante il romanzo è il fatto di essere stato scritto
nella settimana che verrà ricordata come quella della nascita del sottoscritto.
Non
è un romanzo riuscitissimo, anche se ne apprezziamo la costruzione della
storia, quasi fosse una discesa verso l’abisso della storia stessa. Inciso
dotto: con “mise en abyme”, da Gide in poi, ci si riferisce a storie che si
incastrano su sé stesse, quasi ripetendosi all’infinto, come la presente di Étienne
e Louise che potrebbe aver ripercorso la storia di Louise e Guillaume e
potrebbe ripercorrere quella di Louise e Roger. Facendo una traslazione per
alleggerire la tensione, ricorda le scatoline dei formaggini francesi “La vache
qui rit”, dove è presente in primo piano la vacca di cui sopra, che porta due
orecchini che riproducono la scatolina stessa, con la vacca che porta due
orecchini. E così via, “en abyme”.
L’altro
espediente degno di nota, è che il libro si concentra tutto sull’angoscia di Étienne,
sulle sue ipocondrie, sui suoi ansiosi pensamenti. Spostando di fatto su di lui
l’attenzione che invece meriterebbe Louise, forse il motore primo di tutta la
vicenda.
Louise
eredita dal padre una cartoleria ben avviata, che gestisce insieme al marito
Guillaume. Étienne è invece un solitario venditore “porta a porta” di beni di
cartoleria e di contratti per la produzione di lettere e cartoncini. Étienne è
disperatamente solo, più che solitario. Così che, incontrata Louise, si
attaccherà a lei, ne diventerà il giovane amante. Nonché vedrà ammalarsi
Guillaume, deperire per poi lasciare Louise vedova ed erede.
Così
Étienne diventa il secondo marito di Louise, rimanendo tuttavia a fare il
procacciatore di affari per la cartoleria. Finché comincia a sentirsi male, ed
a passare sempre più tempo nel suo letto, dentro la casa posta sopra la
cartoleria, e ad essa collegata da una scala di ferro. È qui che incontriamo il
nostro, e ne seguiamo l’evoluzione/involuzione dei pensieri.
Sempre
più solitario e senza amici, segue dal suo “letto di dolore” le vicende della
cartoleria attraverso i rumori che salgono su via la scala. E come tutti i
solitari nonché ipocondriaci, comincia a farsi mille domande, cui si dà sempre
le peggiori risposte. Ma una è la domanda fondamentale: Louise ha forse un
nuovo amante? Louise cerca forse di avvelenarlo somministrandogli giornalmente
piccole dosi di arsenico? Magari, aumentando la dose in maniera impercettibile,
così da non far nascere sospetti nel momento del possibile trapasso?
Étienne
cerca di esorcizzare i suoi funerei presentimenti prima andando da diversi
medici, che ovviamente gli confermano la presenza di sostanze tossiche nel suo
sangue. Poi, pedinando e controllando la vita quotidiana di Louise. Ovvio che
anche qui avrà la conferma del tradimento della sua “dark lady”, pronta, pare,
a concedersi a Roger, un nuovo e banalmente molto più giovane amante.
Ma
non è, credo, la vicenda nera che interessa Simenon. Non sapremo mai realmente
se gli incubi di Étienne siano realtà. Simenon ci vuol portare per mano
nell’evolversi di un’ossessione, ci porta a guardare il nostro solitario
protagonista quasi come se noi fossimo scienziati e lui un topolino in gabbia
sottoposto a misteriosi trattamenti, che lui non sa né capisce. Vediamo, pagina
dopo pagina, crescere l’ansia, confermarsi i timori, montare un rancore che
corrode dentro il già debole personaggio. Lui che aveva pensato di trovare la
serenità nel matrimonio, si sente al contrario sempre più solo e abbandonato.
Anche da Louise, su cui aveva riposto tutte le sue speranzi. Tutto si corrompe.
Fino
a che il nostro antieroe varcherà la sua linea d’ombra, per portarci ad un
comunque tragico finale, il cui perdente sarà solo lui.
Seppur
nella cupezza della trama, personalmente mi hanno rischiarato i lampi
d’ambiente che compaiono. Non solo Montmartre, con i suoi alti e bassi, ma i
dintorni. Place de Clichy, boulevard de Batignolles e tutto il XVII°
arrondissement, dove poi si spazia sino all’altra parte della città, seguendo
la direttrice Jardin du Luxembourg, Montparnasse, sino al Parc Montsouris.
Forse qualche ricordo…
Un
commento trasversale ci fa apprezzare la riusabilità dei personaggi di Simenon.
Qui hanno un ruolo di spalla i coniugi Leduc che in un successivo romanzo (“Il
grande Bob”, non compreso in questa collana), con i nomi cambiati diventeranno
i protagonisti di una diversa storia.
Eccellente
risparmio, Georges!
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
Parigi
(Montmartre) |
Étienne Lomel, sposato senza figli, viaggiatore di
commercio, 40 anni |
Louise Birard, moglie di Étienne, 46 anni, vedova
di Guillaume Garin e proprietaria della cartoleria Birard Arthur Leduc, 48 anni, senza fissa professione, e Mariette,
la sua sposa, sarta, amici dei Lomel |
Alcuni giorni (nella prima parte) ed altri
alcuni mesi dopo |
Epoca contemporanea |
Georges
Simenon “L’orologiaio di Everton” Repubblica Simenon 23 euro 9,90
[A:
28/02/2020 – I: 18/11/2022 – T: 19/11/2022] - &&& e
½
[tit.
or.: L'horloger d'Everton;
ling. or.: francese;
pagine: 167;
anno 1954]
Dopo
il ritorno del lungo viaggio trionfale europeo, Simenon passa mesi e mesi nel suo
rifugio di Lakerville, scrivendo e dedicandosi alla famiglia. Lui, Denyse, John
e Marie-Jo a Lakeville, Tigy e Marc poco lontano. Unica interruzione,
nell’estate del ’53, un mese di vacanza a Edgartown, sull’isola di Martha’s
Vineyard.
Dal
precedente libro del maggio ’53 a questo del marzo ’54 scrive 5 libri, 3
Maigret e 2 “romans durs”. Ma è la vita familiare che lo porta a riflessioni
varie, che, pensiero dopo pensiero, lo fanno arrivare a questo romanzo, tutto
basato sull’analisi di un rapporto tra padre e figlio.
Per
una comprensione più attento del romanzo, bisogna intanto risalire all’infanzia
di Georges, che nasce da Desiré, contabile, ed Henriette Brull, commessa.
Georges ha sempre ammirato il padre e sempre stato in conflitto con la madre,
che a lui preferiva, vistosamente, il fratello Christian, creando una
spaccatura nella famiglia. Anche perché Henriette rimproverava la scarsa
iniziativa a Desiré. Dopo un infarto nel ’18, il padre rallenta l’attività, e
Georges diventa, di fatto, il maggior sostentamento della famiglia. Fino al 28
di novembre del 1921, quando, a soli 44 anni, il padre muore. Il giovane
resiste solo meno di un anno, poi nel dicembre del ’22 parte per Parigi e per
la sua vita propria, lontana dal Belgio, dal fratello e soprattutto dalla
madre. Tanto che nel suo epistolario postumo verso la madre, Georges scrive: “Non ci siamo
mai amati durante la tua vita, lo sai bene.”
In
questo romanzo, Simenon ci introduce il suo protagonista, Dave Galloway,
orologiaio nella cittadina di Everton nello stato di New York. Durante una
serie di “ritorni indietro” dei pensieri di Dave, veniamo a sapere del grande
amore verso il padre, morto lui ancor giovane. Dello scarso rapporto con la
madre, che lascia presto per la sua vita indipendente, sposandosi con Ruth, una
donna forse di costumi un po’ leggeri, ma che per Dave marca una delle sue
silenziose ribellioni verso il mondo. Talmente scarso il rapporto con la madre,
che verrà avvertita del matrimonio, solo alcuni mesi dopo, in una breve nota in
una lettera che parla d’altro. Dave viene anche deluso da Ruth che, una volta
partorito Ben, lo lascia per non comparire più nella sua vita. Il nostro si
trova quindi con un figlio di 6 mesi, che cresce da solo.
Impiantato
il suo laboratorio di orologeria a Everton, vive con Ben in una casetta sopra
il negozio. Notate bene la particolarità delle descrizioni ambientali e
caratteriali che usa Simenon. Sebbene la casa sia sopra il negozio, non c’è
comunicazione e bisogna uscire, fare il giro ed entrare dalla scala sul retro.
Questa mancanza di comunicazione si riflette anche nei rapporti tra Dave e Ben,
il cui massimo slancio è salutarsi con frasi tipo "Goodbye, Dad" e
"Goodbye, Son". Dave è solitario, avendo per solo amico un falegname,
Frank, con cui non scambia parole di troppo, limitandosi ai loro incontri, il
sabato sera, da Frank, per una serie di partite a “jacquet” (ne riparliamo in
finale).
Il passaggio della linea d’ombra, che
ormai sappiamo legata a quasi tutta la produzione di Simenon, avviene un
sabato, dopo le partite con Frank, quando Dave scopre la fuga del figlio. Poco
dopo viene a sapere che Ben è fuggito con la quindicenne Lilian. Sarebbe poco
già questo a rendere infelice Dave, quando scopre, tramite polizia, che Ben e
Lilian, senza soldi, hanno assalito ed ucciso un uomo.
È nata una caccia all’uomo per gli
stati americani, Dave viene coinvolto nella ricerca dalla polizia e dai giornalisti,
facendosi sempre trascinare, anche quando lancia un appello a Ben, perché si
arrenda, quasi mormorando: “Non ti biasimo. Sarò sempre con te, qualunque cosa
accada". Ma la comunicazione padre – figlio, non decolla. Anche quando Ben
viene arrestato, nella cella di Indianapolis, lui si rifiuta di vederlo: "Non
ho niente da dirgli".
Accudito con affetto amicale da Frank,
Dave riflette, assorbe il duro colpo della condanna all’ergastolo di Ben,
lanciando un piccolo, flebile segno di speranza, all’annuncio della gravidanza
di Lilian. Dave si fa incorniciare tre foto da Frank: lui, tra il padre e Ben,
e le guarda, e parla alle foto come mai aveva parlato al figlio, e come spera
di parlare al nipote.
Ho
fatto solo accenni, che ci sono tanti punti da toccare, quasi in ogni pagina,
ma tutti che tornano lì. Rapporto tra padre e figlio, incomunicabilità,
ribellione, presenza/assenza di figure femminili. Un solo ultimo accenno
laterale. Frank è l’unico amico di Dave, ma Dave non gli ha mai chiesto nulla
di lui, della sua vita, della sua famiglia. Solitudine e ritrosia.
In
finale, prima riprendo un accenno fatto sopra. Lo “jacquet” è un gioco popolare
in Francia nel 1800, assai simile al Backgammnon. Stesso tavolo di gioco, con
alcune regole diverse, soprattutto nella gestione delle pedine. Mi domando solo
perché in America si debba giocare ad un gioco prettamente francofono.
C’è
poi un mistero legato alle auto. Ben fugge sul furgone del padre targato
“3M-2437” (a pagina 48) poi ruba una Oldsmobile targata … “3M-2437” (a pagina 100).
Due macchine, stessa targa. Mistero.
Un
altro ricordo, invece, è legato al cinema. Che questo romanzo fu la prima regia
del grande Bernard Tavernier, che lo filmò con il titolo “L’orologiaio di
Saint-Paul” (trasportando la trama in Francia), con Philippe Noiret
protagonista. Un bel film tratto da un bel libro.
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
Everton
(New York), Indianapolis, Liberty (New York) |
Dave Clifford Galloway, orologiaio, divorziato, 43 anni |
Ben Galloway, figlio di Dave, 16 anni Lillian Hawkins, amica di Ben, 15 anni Frank Musak, falegname, amico di Dave |
Tre giorni (nella prima parte) ed altri
alcuni mesi dopo |
1950 |
Georges
Simenon “I complici” Repubblica Simenon 26 euro 9,90
[A: 06/05/2020 – I: 21/11/2022 – T: 22/11/2022] - && e ½
[tit. or.: Les complices; ling. or.: francese; pagine: 156; anno 1956]
Il
’54 si chiude con altri tre romanzi “americani”, tra cui “Il grande Bob”, dove,
come ho già detto, riprende due personaggi minori de “La scala di ferro”. Poi a
ottobre si imbarca su “l'Ile-de-France”
per un viaggio promozionale in Gran Bretagna, con una piccola parentesi a
Parigi, dove conosce Gilbert Sigaux, che diventerà uno dei suoi più grandi
sodali. In novembre poi, ritorna in America, a bordo della “Queen Elizabeth”.
Il
25 gennaio ’55 è una data importante per Simenon: termina a Lakeville il
cinquantesimo ed ultimo romanzo “americano”. Poi, con un colpo di testa
improvviso, il 19 marzo è a bordo de “l'Ile-de-France” per tornare definitivamente in Europa, dove
arriva e sbarca il 26 marzo. Ma Parigi ha perso le attrattive per lo scrittore,
ed anche La Rochelle viene scartata, per istallarsi per alcuni anni nel sud
della Francia. Il primo buon approdo è nelle Alpi Marittime, a Mougins, in una
costruzione rustica, un maso, “La Gatounière”, dove resterà per sette mesi. Una
fattoria che era appartenuta al segretario del Partito Comunista Francese, Maurice Thorez, e che otto anni dopo ospiterà
per un’estate Edith Piaf.
A parte gli spostamenti territoriali, non ci
sono novità dal punto di vista non ci sono novità. Tigy è rimasta in America
con Marc, mentre con Georges e Denyse rimangono Marie-Jo e John.
È comunque a Mougins che Simenon riprende a
scrivere, e dove dal 6 al 13 settembre si dedica alla scrittura di questo
romanzo (che verrà subito pubblicato solo 4 mesi dopo dall’amico Sven), che
viene inserito in una rosa di romanzi, chiamati “i romanzi del destino”, di cui
abbiamo incontrato un più riuscito esempio con “La verità su Bébé Donge”.
Il romanzo si svolge in pochi giorni (salvo
alcuni flash-back per consentire di inquadrare meglio il protagonista), ma il
suo senso, il nocciolo è contenuto nelle prime dieci righe, dove con la
fulminea capacità di Simenon di renderci partecipi della scena e di farci
capire le sue intenzioni nello scrivere le altre 150 pagine, ci si presenta la
scena, i protagonisti, delineandone modi e atteggiamenti di vita.
Un’automobile sta procedendo un po’ a zig-zag
su una delle tortuose strade delle “Corniche” tipiche delle zone costiere delle
Alpi. Alla guida Joseph Lambert, direttore di un’impresa edile fondata dal
padre, la mano sinistra sul volante e la destra tra le cosce della passeggera,
Edmonde, la sua segretaria. Joseph non si accorge dell’arrivo, ad alta
velocità, di un pullman. Non ha tempo né di togliersi né di accelerare, ed il
pullman, per evitare lo scontro, sbandata, finisce fuori strada e prende fuoco.
Lambert comprende l’entità del disastro ma non fa nulla, anzi fugge riuscendo a
non far trovare tracce della sua Citroen sul luogo del disastro. Ed è proprio
un disastro, che il pullman portava una colonia di bambini, che muoiono tutti
nel rogo.
Cosa ci dice questo inizio? I due sono di
certo amanti, lui pavido e insicuro, lei forte. Anche se poi, scopriremo che la
segretaria Edmonde più che altro è coinvolta in giochi sessuali con Joseph, che
trova un massimo godimento nel carezzare le parti intime di Edmonde e vederla
godere, ma più che forte è assente, quasi anche lei senza carattere.
Tutto il gioco del destino di Simenon ruota
intorno ai tormenti di Joseph. Senza tanti talenti, lui più geometra che
ingegnere, alla guida dell’edilizia paterna, esecutore, laddove Marcel, il
fratello, è quello con le idee brillanti. Sposato per dovere, ma senza figli.
Cerca il piacere un po’ così, che Nicole non sembra proprio interessata, dato
che dedica i maggiori sforzi a fare comunella con le sorelle. Dopo una vita
oscura, Joseph trova questo lampo di luce nella sessualità solitaria di
Edmonde. Ma anche qui, appunto, sono stelle effimere che si incrociano, senza
mai trovare un sole che li riscaldi.
Di certo non l’algida Edmonde, che
praticamente rimane muta per tutto il romanzo. Non il pavido Joseph, che
neanche l’occasionale amante Lèa riesce a scuotere dal grigiore.
L’altro rovello che pervade tutto il romanzo
è poi il senso di colpa di Joseph. Sa di aver fatto una sciocchezza fuggendo.
Passa, come tutti i ciclotimici, dalle stalle alle stelle. Cerca di coprire le
proprie tracce, poi è sicuro che nessuno lo scoprirà, salendo e scendendo dalla
ruota del destino. Si immagina tutte le conseguenze se venisse scoperto, cerca
di trovare ancora una volta un barlume di speranza in Edmonde. Tutto senza
successo. Che il pavido Joseph schiacciato dai sensi di colpa, senza vedere vie
d’uscita, ci comunica, attraverso la bella scrittura di Simenon, tutta la
tensione, accumulata ora dopo ora, fino all’inevitabile conclusione, suggellata
da quel biglietto dove Joseph urla “Non sono colpevole”, e poi …
Tuttavia, non è un bel romanzo, forse uno dei
minori tra quelli che ho letto finora (e devo dire che sono oltre 100 i romanzi
scritti da Simenon che ho letto in questi anni). Solo due elementi sarebbero da
analizzare. Il termine “complici”, che si vorrebbe pensare all’omertà dei due
amanti rispetto all’incidente. E che invece ritengo più consono a rimarcare la
complicità sessuale tra Joseph e Edmonde. Che ci porta al secondo punto da
evidenziare. In fondo, è tutto un romanzo che ruota intorno al sesso. Quello
normale con Lèa, quello mancante con Nicole, quello del fratello Marcel, quello
della moglie del fratello, quello “bestiale” (la definizione è di Simenon nel
romanzo, non mia) con Edmonde. Un giro che non può riportarci alle vicende
sessuali dello stesso Simenon, che ha sempre sottolineato come non passasse
giorno senza sesso, e non passasse donna nelle sue vicinanze, senza un
approccio, più o meno esplicito, di avances sessuali.
Ma ci sono romanzi meno espliciti, molto più
sensuali in Simenon (penso a “Tre camere a Manhattan”), e ci sono molti altri
romanzi del nostro trasposti in film. E questo no. Un caso?
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
Tréfoux (cittadina di provincia nella
Francia meridionale) |
Joseph Lambert, direttore di un’impresa edile fondata dal
padre, sposato, senza figli |
Nicole Lambert, nata Fabre, moglie di Joseph Edmonde Pampin, segretaria di Joseph Marcel Lambert, fratello di Joseph, codirettore
dell’impresa paterna |
Alcuni giorni |
Epoca contemporanea |
Ben
in linea con una puntata francese, imperniata sull’incontinente scrittore belga
(sia per scrittura che per altre performances), ci sta a fagiolo una citazione
tratta dal bel libro di Sue Roe
“Impressionisti”: “Lasciarlo sarebbe crudele, mi accontento di ingannarlo
(Mary che parla del marito al suo amante Edouard Manet)” (274).
Stiamo quindi alla Pasqua, ed iniziamo il mese di personali passioni. Ne vedremo delle belle, ma l’importante è proseguire sulle tracce che ci hanno portato qui dopo tanto tempo. Come dice un blogger viaggiatore conosciuto da poco, l’importante è perseguire la felicità (che non si sa mai se poi si è veramente felici). E come sottolineava Totò, io perseguo. Intanto non posso farvi mancare i miei abbracci.
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