Gli scherzi della casualità, mi portano a proporvi, giusto al ritorno dal Sol Levante, una cinquina dominata da narratrici giapponesi. E chiusa da due scrittrici sudamericane. Tutte di livello interessante, anche se ognuna porta delle piccole pecche con sé. Su tutte, svetta Banana Yoshimoto, sia per le tematiche del testo che per alcune frasi che meritano una giusta meditazione.
Michiko Aoyama “Finché non aprirai quel
libro” Garzanti s.p. (regalo di Alessandra)
[A: 25/09/2022
– I: 26/09/2022 – T: 30/09/2022] - &&
+
[tit.
or.: お探し物は図書室まで O sagashi mono wa tosho-shitsu made; ling. or.: giapponese; pagine: 234;
anno 2020]
Non
è una novità che il mondo giapponese ci appare, qui, da lontano, strano, a
volte poco comprensibile, popolato da persone sole, frustrate, spaventate,
travolte da una società sempre più competitiva. E non è quindi strano che anche
un libro che vuole darci consolazione, non possa che far scorrere sotto i
nostri occhi questo mondo diverso, ma poi non tanto.
Il
libro di Michiko si inserisce in questo filone quasi di auto-aiuto (o di aiuto
e basta), come i libri dedicati al bar del caffè caldo, o anche ad un’altra libreria
di cui, forse, si leggerà. Una libreria come è questa dove troneggia il bel
personaggio della signora Komachi.
Ma
prima di entrare nel merito, sottolineiamo la pervicacia degli editor nostrani,
che parafrasano il titolo in modo da rimandare ad altri titoli di successo
recente (come i sopra citati). Quando il titolo originale dovrebbe essere
tradotto con “Per quello che cerchi, vai in biblioteca”. Un’esortazione per la
ricerca di uno scopo nella vita, un consiglio di porsi davanti alla signora
Komachi, ed aspettare che lei ci chieda “Che cosa cerca?”.
A
questa domanda, in vario modo, rispondono i cinque personaggi protagonisti
delle cinque storie che compongono questo agile libro, piacevole invero, anche
se non eccelso. Il meccanismo è leggermente ripetitivo: i cinque vogliono dei
libri, parlano con la signora Komachi, che alla fine stampa la lista dei libri
che cercano, vi aggiunge un libro che non c’entra nulla con gli altri, e vi
aggiunge un piccolo oggetto di lana cardata fatto con le sue mani. Ragionando
sul libro fuori contesto e sull’oggetto i cinque troveranno una strada. Che poi
verrà percorsa o meno, non è materia di questo libro.
Ma
chi sono questi personaggi?
C’è
la commessa Tomoka, fuggita dalla provincia, e venuta nella capitale con
entusiasmo e grandi aspettative, che lavora senza convinzione, solo per
sopravvivere, e per non tornare indietro, là dove i compaesani pensavano fosse
destinata ad un grande avvenire.
C’è
Ryo un contabile con il sogno di aprire un piccolo negozio d’antiquariato, ma
che rimanda il sogno, avendo paura di abbandonare “la strada vecchia per la
nuova”. Magari senza riuscire ad interpretare segnali che gli indicano la
possibilità di intraprendere due carriere parallele
C’è
Hiroya, disoccupato senza arte né parte, da sempre appassionato dei manga, ma i
cui disegni sono “orrorifici” agli occhi di chi distrattamente li guarda.
C’è
Natsumi che ha abbandonato il posto di redattrice di una rivista, per seguire
la gravidanza e la figlia, che si vede, al ritorno al lavoro, portare via non
solo il posto, ma tutte le sue certezze precedenti, mettendosi in discussione
come donna, come madre, come moglie. Forse il personaggio più centrato
dall’autrice, laddove vi si sente (forse) anche qualcosa di personale.
E
per finire c’è Masao, che, andato in pensione, scopre di aver perduto tutti i
suoi punti di riferimento, nessuno più lo cerca, e lui, senza lavoro, e senza
interessi particolari, sta andando alla deriva.
Non
vi dico certo le piccole soluzioni che per ognuno trova la signora Komachi, ma
ve ne sottolineo la riflessione che suscita. I libri hanno il potere magico di
parlarci, anche quando parlano di altro. Sta a noi cogliere quegli spunti, ed
usare “una frase, un rigo appena”, per cambiare la prospettiva da cui guardiamo
ed affrontiamo le cose della vita. Già solo per questo, lo ritengo un libro
utile, se non altro per lo stimolo che ci propone.
Meno
utile e riuscito è il fatto, ovvio ma è bene sottolinearlo, che poi, i libri
che la signora Komachi suggerisce sono intrinsecamente giapponesi, di autori
occidentalmente ignoti, come Rieko Nakagawa (una ottantasettenne scrittrice di
libri per l’infanzia), Yukari Ishii (una giovane astrologa) o Shinpei Kusano
(un poeta, considerato in patria il Walt Whitman dei tranvieri). Oppure di nicchia
come Guy Barter, che si occupa di fiori (anche se nel libro il suo sottotitolo
“problemi fastidiosi” viene reso con un “problemi curiosi”, chissà perché).
Non
siamo quindi nella grande fucina onnicomprensiva del fulgido libro di Sellerio
“Curarsi con i libri”, anche se Michiko si sforza di illustrarci i come ed i
perché di questi libri altrimenti ignoti. Comunque, era un regalo, ed è stato
letto nel lungo ritorno dal Perù. Anche solo per questo gli va reso omaggio.
“Un
giorno mi piacerebbe…” – “Un giorno… […] Guarda che mentre continui a dire “un
giorno” il tuo sogno non finirà affatto. Anzi, continuerà a esserci per sempre,
bellissimo com’è adesso. Se pure non si avverasse, secondo me sarebbe comunque
un modo per vivere. Anche avere un sogno nel cassetto non è mica una cosa
brutta. Perché ci dà gioia nella vita di tutti i giorni.” (62)
“Dopo
essere andato in pensione … ho capito … che a [mettici quello che vuoi, nota
mia] anni si è molto più giovani di quanto pensassi … non sono il vecchio che
immaginavo… mi sento come nella prosecuzione della mezza età.” (188)
Banana
Yoshimoto “Il dolce domani” Corriere Giappone 2 euro 8,90
[A: 13/05/2021
– I: 04/11/2022 – T: 06/11/2022] - &&&
e ½
[tit.
or.: スウィート・ヒアアフター Suwīto Hiaafuta; ling. or.: giapponese; pagine: 102; anno 2011]
Banana
Yoshimoto è un’autrice ben presente nelle mie letture. Amo particolarmente lo
stile garbato in cui pone le sue parole sulla carta, le tematiche dei rapporti
interpersonali, la semplicità delle frasi, anche quando affronta situazioni non
semplici. Fatto sta che questo è il sedicesimo libro che leggo della
scrittrice, e devo dire che riesce a porsi tra quelli di cui meglio è rimasta
in me una traccia.
Questo
libro ha anche una valenza in più, che ho scoperto leggendo la postfazione
dell’autrice. Infatti, è stato scritto di getto poco dopo il disastro
(terremoto più tsunami) avvenuto l’11 marzo 2011 in Giappone, con il duplice
scopo di rendere omaggio alle vittime e fungere da consolazione ai
sopravvissuti.
La
struttura è semplice, come spesso in Banana. Sayoko e Yoichi, fidanzati ma non
conviventi (lei vive a Tōkyō e lui a Kyōto) tornano da uno onsen (il termine
giapponese esteso per bagno termale), ascoltando una canzone di Leonard Cohen
(“Lover, lover, lover”). Hanno un incidente di macchina, Yoichi muore e Sayoko
rimane gravemente ferita.
Dopo
mesi di convalescenza, la sopravvissuta tenta di tornare alla vita, ma è
sopraffatta dai sensi di colpa. Seguiamo i suoi lenti cambiamenti, Cambia casa,
torna a visitare Kyōto, si aggrappa ai ricordi dell’amato (uno scultore),
organizza con i mancati suoceri una mostra in memoria. Ma non riesce a venirne
fuori.
Frequenta
spesso un bar vicino casa, gestito da Shingai, un giapponese di Okinawa, che le
dice che non potrà uscire da questo suo stato finché non riavrà il mabui che ha
perso nel grande dolore dell’incidente. Il mabui è un concetto chiave nella
religione delle isole Ryūkyū, il gruppo di isole che comprende Okinawa (inciso:
Okinawa è l’isola dov’è nato il karate) e su cui torneremo in finale.
Sayoko,
nella sua razionalità, non accetta la diagnosi, ma le parole di Shingai la
spronano ad affrontare un lungo percorso di accettazione del dolore. Si
costringe a tornare nei posti che videro felici lei e Yoichi, incontra, con nuovi
occhi, anche gli amici comuni. Si apre al mondo, e giorno dopo giorno, ora dopo
ora, comincia a dare un senso alla sua vita senza Yoichi.
Ha
toccato il fondo, ma, con o senza mabui, ha visto che la fine del tunnel del
dolore è raggiungibile e si può ricominciare. Senza rinunciare a tutto quello
che si è avuto, si può portare il proprio dolore dentro di sé. E continuare il
viaggio (come nelle frasi che riporto).
Lo
stile scorrevole di Banana ci porta ad affrontare, con lei e con Sayoko, temi
cruciali della nostra vita. La sofferenza, la fragilità, la solitudine, lo
smarrimento davanti alla morte, la memoria ed il suo apporto cruciale alla
nostra vita, il coraggio di ricominciare, senza mai dimenticare. Solo non
rinnegando il dolore del passato, si ritrovare la fiducia nell’oggi (per il
futuro ci vuole più tempo) e trasformare il dolore in forza.
Un
messaggio di una semplicità disarmante viene fuori dal romanzo: ogni giorno ha
qualcosa di buono, se lo vuoi vedere.
Due
considerazioni finali. Il titolo giapponese, secondo le migliori traduzioni,
sarebbe più propriamente traducibile con “dolce aldilà”, anche se il domani del
titolo italiano non è completamente fuori mira. In inglese, infatti, è stato
tradotto come “Sweet hereafter”.
La
seconda riguarda il mabui. Un concetto in realtà né traducibile né
immediatamente trasportabile nella nostra cultura. Il mabui è una specie di
cocktail composto dall’anima (elemento immortale presente in tutte le culture)
e dal mana, un concetto della cultura polinesiana che significa “forza
sovrannaturale” o “forza che viene da dentro”, spesso tradotto come “forza
vitale”. A me piace la definizione hawaiana di forza interiore, che aiuta la
nostra anima (il nostro io) ad andare avanti, a proseguire ancora, ed ancora.
Non
so se il romanzo sia servito ai superstiti dello tsunami, di certo l’ho
trovato, pur nella sua esilità, un racconto che sprona. Almeno, ad essere sé
stessi. E non è poco. Grazie come sempre per le tue parole, Banana.
“Ognuno
di noi vive la propria vita portandosi dietro il dolore che ha provato.” (31)
“Nessuno
sa ancora dove ci porterà questo viaggio, ma ci attendono giorni e notti
meravigliosi.” (98)
Yoko
Ogawa “L’anulare” Corriere Giappone 5 euro 8,90
[A: 07/06/2021
– I: 06/11/2022 – T: 08/11/2022] - &&
e ½
[tit.
or.: 薬指の標本 - Kusuriyubi no hyōhon; ling. or.: giapponese; pagine: 103;
anno 1994]
Yoko Ogawa è considerata la miglior scrittrice
post-moderna giapponese, che cambia le prospettive degli scritti nipponici alla
Yoshimoto, passando dall’ottimismo della bubble economy al pessimismo dei
giovani giapponesi dagli anni ’90 in poi. È molto famosa in patria dove ha
vinto tutti i maggiori premi letterari. In Italia, invece, è praticamente
ignota. In realtà, i suoi scritti sono etichettati come “romanticismo nero”,
dove il romanticismo in genere ottimista viene esplorato da un’ottica cupa e
spesso pessimistica. I suoi critici, in patria, ne esaltano le capacità di
indagini psicologiche sugli aspetti più nascosti della natura umana. Io non ho
letto altro di lei, e ne prendo atto.
La
scrittura prende subito dal primo impatto con la voce narrante, una ragazza
senza nome che, in un suo lavoro precedente, perde la punta dell’anulare in un
incidente di lavoro. Cercando un nuovo posto di lavoro, si imbatte nel misterioso
laboratorio del signor Deshimaru, dove si impiega come primo contatto con i
clienti del laboratorio (e poi come segretaria e catalogatrice degli oggetti
del laboratorio).
Nel
laboratorio si producono “esemplari” di qualsiasi oggetto (in inglese, avendone
cercato in rete, il termine usato sarebbe “specimen” cioè campione di un
oggetto, una sua instansazione unica che ne riproduce le caratteristiche). Il
cliente porta al signor Deshimaru un oggetto da cui, per motivi personali, si
vuole separare, lo vuole portare in un oblio altro. L’oggetto viene quindi
trattato dal signor Deshimaru, incapsulato in provette di vetro, conservato
nell’ampio magazzino, dove il cliente sa che c’è ma non verrà mai a ritrovarlo.
Perché
la trasformazione ha come il potere di scindere il cliente dalle emozioni
negative, dal dolore che è legato all’oggetto stesso, provocando, nel distacco
e nella campionatura un effetto liberatorio per il cliente stesso. Sarebbe ben
poco se per “oggetto” nel libro non si intendesse qualsiasi cosa che il cliente
porta: una cicatrice, ad esempio, o una melodia, dove vediamo trasformato non
lo spartito del suono da riprodurre, ma la musica stessa che nasce dallo
spartito.
Vediamo
così che la voce narrante ci narra episodi vari di campionatura, ma anche un
progressivo avvicinarsi tra lei ed il signor Deshimaru.
Comincia
un gioco erotico – feticista, con la ragazza che viene omaggiata di un
bellissimo paio di scarpe, che le viene chiesto di non togliersi mai. Un gioco
che porta i due a degli asettici amplessi consumati nella vasca da bagno del
laboratorio. Con l’abilità di Yoko nel descrivere la sessualità dei gesti con
una algidità che ne toglie tutto il sapore erotico.
Non
si riesce mai a comprendere sino in fondo cosa faccia, cosa sia il signor
Deshimaru. Mentre vediamo la ragazza sempre più presa dal rapporto con lui,
sempre più dipendente dalle richieste del capo, sempre più pensierosa sui
clienti e poi su sé stessa, sulla sua perdita, quella della falange
dell’anulare. Fino a richiedere, come dono finale, un esemplare dell’anulare
mancante. Certo, lei si domanda dove sia finita la segretaria precedente, anche
lei con sempre indosso le famose scarpe, o la ragazza della cicatrice. Ma non
si tira indietro, e si avvia verso la sua personale campionatura.
In
effetti, il titolo originale recita “Esemplare di anulare”, leggermente più
aderente alla scrittura. E su quello si gioca tutto il testo, che porta spunti
di riflessione su varie tematiche: la perdita, il ruolo della memoria, il
tentativo, da parte di chi ha subito una forte sofferenza, di dare una forma
altra ai propri sentimenti dolorosi, quasi ad archiviarli. Come se il
laboratorio fosse una sorta di “camera psicologica” dove poter elaborare, in
forma concreta, i propri lutti. Un modo esteriorizzato di dare una forma a
quanto una forma non può averla. Come, appunto, quella cicatrice che deturpa il
volto di una ragazza, e che si vuole esorcizzare, donandole un posto diverso dalla
propria faccia.
Ma
non manca, non può mancare, l’analisi di un rapporto amoroso (io direi più
erotico) tra i due protagonisti, che non viene mai risolto, che si lascia
intorno un alone di indecifrabilità.
Ecco
allora presenti i tre elementi che possono in un certo senso caratterizzare gli
scritti di Yoko Ogawa: il sesso, il mistero e (immancabile nella scrittura
giapponese) il cibo. Di cui non ho parlato, ma che compare qua e là nel testo,
lasciandomi un dubbio su cosa possa essere, su che sapore possa avere “una
limonata calda servita con noccioline ricoperte al cioccolato”.
Insomma,
un testo intrinsecamente giapponese, scritto da una scrittrice eponima del
paese, che tuttavia, alla resa dei conti, non mi ha soddisfatto come sembrava
promettere.
Silvina Ocampo “La promessa” Repubblica Latinoamericana 19 euro 9,90
[A: 09/06/2020 – I: 08/11/2022 – T: 10/11/2022]
- &&
e ½
[tit. or.: La promesa; ling. or.: spagnolo; pagine: 120; anno 1989-2010]
Silvina
Ocampo è un personaggio importante del panorama letterario argentino. Sorella
minore di Victoria, personaggio centrale della cultura sudamericana, inizia con
la pittura, per poi dedicarsi alla poesia e, occasionalmente, a racconti. Ad un
certo punto sposa Adolfo Bioy Casares, sodale di Borges. Ma rimane sempre
nell’ombra, per una ritrosia congenita, dove, come racconta Alberto Manguel
(che ricordo era un lettore per Borges cieco), scriveva quasi al buio, che
pensava di avere una brutta faccia, tenendo in vista solo le gambe, che
riteneva belle e degne di essere guardate.
Questo
romanzo rimane nelle carte di Silvina per decenni. Lo inizia a metà degli anni
’60, continuando a lavorarci ad intermittenza, senza riuscire a trovare il modo
di portarlo ad una conclusione. Che, come vedremo, più che un romanzo è un
affastellarsi di racconti, che, come Sherazade nelle “Mille e una notte” non
riescono mai ad avere una fine. Solo nel 1989, la salute compromessa dalla
malattia che l’avrebbe portata via in pochi anni, riesce a correggere la sua
versione “finale” del libro. Ma non riesce a trovare la forza di farlo
pubblicare. Tanto che il romanzo vedrà la luce solo postumo nel 2010 (come ho
scritto nelle note in alto).
La
struttura complessa nasce dall’idea di partenza dello scritto: il personaggio
che parla in prima persona è una donna che, durante una traversata in nave,
cade in modo accidentale nell’oceano, e stando a galla, nuotando, e riflettendo
ad alta voce, chiede a Santa Rita di salvarla ed in cambio, come un ex-voto,
scriverà dei suoi ricordi, facendone un abecedario. Ovviamente, Santa Rita
perché viene considerata la santa degli impossibili ed a lei si ricorre
affinché interceda nei casi che sembrano disperati.
Si
snocciola così questo non-romanzo attraverso un percorso dei ricordi della
donna in mare, con i pensieri che rivanno alle storie che ha vissuto.
Pensandole, rivivendole, quasi creandole di nuovo, in un mondo che più che dal
reale dipende dalla sua memoria. E se ci si domanda quanto i suoi ricordi siano
aderenti alla realtà, si fa un percorso sbagliato, che non è la realtà quella
che ci viene incontro ma il vissuto di chi quella realtà ricorda.
Ci
sono così due ordini di personaggi che affiorano dalle bolle della memoria. I
personaggi secondari, quasi periferici, con le loro storie, a volte conchiuse
in sé stesse. Poi ci sono i tre personaggi principali: Irene, Gabriela la
figlia, e Leandro, la cui vita viene e ritorna, attraverso il boccheggiante
narrato della naufraga.
Vediamo
allora, attraverso le storie altrui, anche la storia della narratrice, una vita
a suo modo intensa, piena di tanto, illusioni, presenze, assenze, amori,
pericoli. Tutto quello che c’è stato, e che stimola anche noi lettori a
ricordare quello che abbiamo vissuto. Quanto ricordiamo del reale, e quanto, di
quel reale, è trasformato dalle nostre percezioni soggettive!
Ogni
ricordo, poi, è delimitato, inquadrato, dal nome del protagonista della piccola
o grande storia. Ed ogni storia riporta a Silvina parti del suo passato, come
luci che illuminano la propria esistenza. Un altro tratto accomuna molti
personaggi, specialmente quelli femminili. Una fisicità che allontana, quasi
sgradevole, come a sottolineare, a ricordare la propria di fisicità, come
l’episodio che ho narrato all’inizio.
E
tuttavia parlando degli altri, di quelli che per un solo istante hanno sfiorato
la sua vita, Silvina ci parla di sé. Sono le persone che hanno sfiorato la sua
vita, quei personaggi secondari che dicevo prima: Marina Dongui, Aldo Bindo, Alina
Cerunda, Leandro Alvarez, Roberto Ruso, Mirta Lamberti, Rosina Lopez e Rosina Diaz,
e via elencando sino a Sara Conte, nomi che suonano, nomi che prendiamo il
nostro cellulare, apriamo i contatti, ed andiamo leggendo. Quanti sono ancora
“con noi”? Quanti ci hanno o abbiamo lasciato per strada, dove prendiamo strade
diverse? Di quanti ancora ricordiamo qualcosa?
Il
finale è, come voleva l’autrice, un non-finale. La scrittura della naufraga si
fa confusa, diventa la scrittura di Silvina stessa che vuol mantenere la promessa,
e ci lascia confessando che, alla fine, rimarrebbe volentieri in un mondo di
tanti animali, senza tutti quegli uomini e quelle donne cui, nonostante il
male, non si è mai abituata.
Mi è
molto piaciuta l’idea, mi ha interessato il modo di procedere della scrittrice,
non sempre, però, le sue storie sono diventate le mie. Ripenso ancora
all’immagine (mia) del cellulare e rimango a pensare.
“[le
scarpe] i primi giorni fanno male … poi ci si abitua. Come per tutte le cose.” (72)
Marcela
Serrano “Il giardino di Amelia” Repubblica Latinoamericana 5 euro 9,90
[A: 28/02/2020
– I: 25/11/2022 – T: 27/11/2022] - &&
e ½
[tit.
or.: La novena; ling. or.: spagnolo; pagine: 232;
anno 2016]
C’è stato un periodo che pensavo fosse
messicana, che lì viveva con il terzo marito. Poi, approfondendo la scrittura e
la conoscenza, l’ho collocata nel giusto panorama cileno. Marcela fugge anche
dopo il golpe di Pinochet, e, tra l’altro, vive alcuni anni anche in Italia.
Ne avevo apprezzato la scrittura quando si
cimentava con tematiche legate alle donne, sempre ovviamente inserite nel
contesto storico e sociale che costituisce il suo retroterra. Qui mi ha invece
un po’ deluso. Certo, affronta temi che sono corde dolorose e sempre presenti
nel panorama cileno, ma non ne esce sempre con facilità. Anche perché,
volutamente, usa una pluralità di voci, sia in alcune soggettive (Miguel,
Amalia, Mel) sia in momenti da narratore esterno. Alla fine, tenta di giustificare
il tutto per la difficoltà, sono parole di Mel, di riportare tutto in una
dimensione comprensibile al lettore e giusta per i protagonisti. Ma rimane il
fatto che ci sono su e giù di scenari che indeboliscono la presa sul lettore.
In particolare, quando cerca di mettersi in
soggettiva con il personaggio centrale, Miguel Flores, dove la scrittura
femminile non riesce a riprodurre in tutte le sfaccettature la difficile
esistenza maschile di Miguel.
La storia comunque ruota intorno a Miguel,
che incontriamo negli anni ’80, giovane ribelle contro Pinochet, arrestato e
confinato, guarda caso, nelle terre della non più giovane Amalia. I due, dopo
attimi di diffidenza, entrano in sintonia, con Amalia a far da mentore a
Miguel, sia indottrinandolo attraverso la lettura, sia narrando (e qui c’è la
grande mano di Marcela) i momenti salienti della propria vita.
Tutto sembra scorrere fino ad un momento
topico: i militari irrompono nella proprietà per arrestare Miguel, che riesce a
scappare. Non Amalia, che, trovate armi nel giardino, viene arrestata e
torturata per quindici giorni. Amalia è comunque un’aristocratica, ed i
militari sono costretti a rilasciarla. Lei si rintana nelle sue terre ma non
sarà più quella di prima.
Miguel invece, dopo la fuga, riesce a riparare
in Inghilterra, scrive, si laurea, conosce Sybill, la cugina di Amalia, che gli
racconta delle traversie di lei. Miguel è sconvolto, ma continua la sua vita.
Con successo, anche. E con il successo ed il passare degli anni, si allontana
da quel giovane rivoluzionario che era, anche se non dimentica di inviare una
camelia ogni anno in settembre ad Amalia. Per tornare al fine in Cile, dove
partecipa al funerale di Amalia.
E dove, finalmente, riesce ad avere un lungo
colloquio, forse meglio direi un lungo scontro con Mel, la figlia di Amalia.
Miguel non si pente del tradimento che ha fatto, ma, forse, insieme a Mel
riesce ad elaborarne i contorni. Che faranno sempre male ad entrambi, ma, come
ben sappiamo, meglio dirle, le cose, che rimane in silenzio.
Come dicevo, c’è molto Cile nel romanzo. C’è
Pinochet, c’è la guerriglia, c’è la speranza di una rivoluzione, c’è la
rassegnazione, c’è la ripartenza, c’è l’allontanamento da quel che si è stati,
c’è la speranza, sempre, di un futuro diverso. Che spesso, non a caso, passa
nella speranza che le nuove generazioni riescano a fare ciò che a noi non è
riuscito. Non tutto riesce bene a Marcela, ma di certo mette carne al fuoco che
dovremmo assaggiare prima di farla bruciare.
Vorrei chiudere ricordando come nel romanzo
si usano molto due elementi per sottolineare stati d’animo e prese di posizione
di vita che sono ben presenti nel mio presente (scusate la ridondanza). C’è
tutta la descrizione del rapporto di Amalia con la natura in genere e con i
fiori in particolare, che non sempre capisco, ma che segue con passione
tampinando la botanicità di Alessandra. E c’è il rapporto con i libri (come
dalle due belle frasi che riporto) che non può che farmi sentire in sintonia
con Marcela. La lettura, le citazioni di passaggio, nonché il forte impatto sui
protagonisti di un libro ottocentesco (“Mary Barton” di Elisabeth Gaskell, un
libro del 1848, imperniato sulle difficoltà di vita dei meno abbienti nella
Manchester della prima metà di quel secolo). E tutto ciò fa risalire un giudizio
che stentava a decollare.
Questa volta finisco, invece di cominciare
come mio solito, con la periodica domanda sulla necessità di stravolgere i
titoli dei libri. Ora Amelia ha un giardino, e vi passa ore di intensi scambi
con Miguel. Ma non è, o non è solo, il punto centrale della storia. Che invece
ha senso quando si passa al titolo originale, “La Novena”. Sia perché è il nome
della terra dove vive Amelia e dove si svolgono le parti fondamentali del
romanzo, sia perché è attraverso la novena, cioè i nove giorni di preghiere
rivolte ad un caro defunto, che consente di rilasciare, nell’animo di Miguel,
sia la dipartita di Sybill che, soprattutto quella di Amalia. Rimango tuttora
perplesso.
“Quando
si legge non si impara qualcosa, ci si trasforma in qualcosa.” (43)
“Imparo
più cose sulla natura umana dai romanzi che dalle creature in carne ed ossa.”
(67)
“Nonostante
tutto … non cambierei la vita che mi è toccata … Indipendentemente dalle
ferite, quello che conta è la vita che è valsa la pena di vivere.” (226)
Già un nuovo mese è iniziato, ed allora
eccoci nuovamente alle massicce letture di gennaio. Dove svettano il solito,
sempre caro Simenon insieme ad una nuova puntata delle indagini del capo
ispettore Morse e ad un garbato libro sui libri, gradito omaggio natalizio di
Flavio.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Maurizio De Giovanni |
Caminito |
Einaudi |
s.p. |
3,5 |
2 |
M. C. Beaton |
La quiche letale |
Repubblica Brivido Noir |
8,90 |
2 |
3 |
Annie Ernaux |
Guarda le luci, amore mio |
L’Orma editore |
s.p. |
2 |
4 |
T.
R. Richmond |
Tutto
ciò che resta |
Corriere Thriller |
7,90 |
1 |
5 |
Gabriella Genisi |
Lo scammaro avvelenato |
Sonzogno |
s.p. |
2,5 |
6 |
Georges Simenon |
La camera azzurra |
Repubblica |
9,90 |
4 |
7 |
Marco Malvaldi & Samantha Bruzzone |
Chi si ferma è perduto |
Sellerio |
s.p.
|
3,5 |
8 |
Melba Escobar |
La casa della bellezza |
Repubblica Emozione Noir |
7,90 |
2 |
9 |
José Saramago |
L’autore si spiega |
Feltrinelli |
s.p.
|
3,5 |
10 |
Guillaume
Musso |
Salvami |
La Nave di Teseo |
12,50 |
2,5 |
11 |
Hakan Nesser |
La confraternita dei mancini |
TEA |
s.p. |
3,5 |
12 |
Paola Soriga |
Dove finisce Roma |
Repubblica Resistenza |
7,90 |
3 |
13 |
Luca Randazzo |
L’estate di Giacomo |
Repubblica Resistenza |
7,90 |
2,5 |
14 |
Ugo Facco de Lagarda |
Il commissario Pepe |
Corriere |
8,90 |
2,5 |
15 |
Hiraide Takashi |
Il gatto venuto dal cielo |
Corriere Giappone |
8,90 |
3 |
16 |
Guillaume Musso |
Skidamarink |
Le Livre de Poche |
s.p. |
3 |
17 |
Colin Dexter |
Il segreto della camera 3 |
Sellerio |
14 |
4 |
18 |
Officina Saggiatore |
Piccolo galateo illustrato per il corretto
utilizzo dei libri |
Il Saggiatore |
s.p. |
4 |
19 |
Louise Penny |
La via di casa |
Repubblica Emozione Noir |
7,90 |
2,5 |
20 |
Mirko Zilahy |
Così crudele è la fine |
Corriere Profondo Nero |
7,90 |
2,5 |
Ci
sarebbe stata bene una citazione nipponica, ma invece vi propongo una
riflessione italiana, tratta da un Noir di Giancarlo De Cataldo, “Onora il padre. Quarto comandamento”. Un pensiero che faccio subito mio, sperando
di tornare presto su di un aereo: “Alberghi, stazioni, aeroporti …
luoghi di passaggio, insomma: fosse dipeso da lui, vi avrebbe consumata tutta
la vita in un’interrotta sospensione del tempo” (17).
Per il resto, ovvio che si sia letto meno, visto che in marzo ho passato ottimo tempo (ed in ottima compagnia), ben lontano dall’Italia. Mentre ora, il mese di aprile sarà dedicato ad altro, che per ora non dico. Si aspetta comunque la Pasqua, sperando in messaggi di pace che tardano, ma colmando l’attesa con abbracci.
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