domenica 4 giugno 2023

Tra Nord e Sud - 04 giugno 2023

Una settimana dedicata al giallo italiano, divisa tra un esponente milanese, Diego Crapanzano con il suo commissario Arrigoni, e l’affermato napoletano, Maurizio De Giovanni, sia con la penultima avventura di Sara che con l’ultima uscita del commissario Ricciardi.

Sebbene io sia totalmente a favore di Ricciardi, cui dedico sempre qualche gradimento in più per motivi storici e personali, devo dire che in questa tornata, De Giovanni non si esprime al meglio, mentre, con una scrittura onesta e senza tanti fronzoli, Crapanzano produce alcuni buoni risultati. In particolare, ho apprezzato il tentativo di descrivere la Milano degli anni Cinquanta, nonché le puntata calcistiche sulle milanesi di quegli anni.

Dario Crapanzano “Il giallo di via Tadino. Milano 1950” Mondadori euro 14

[A: 10/09/2020 – I: 13/10/2022 – T: 14/10/2022] &&& + 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 190; anno: 2011]

Dario Crapanzano è stato un giallista tardivo, visto che questa sua prima uscita di successo avviene a più di settanta anni. Ha tuttavia trovato una sua strada interessante, anche se forse non originale. In realtà, sembra che volesse scrivere dei saggi sulla Milano degli anni Cinquanta, poi rendendosi conto che avrebbero avuto poco pubblico, da buon ex-pubblicitario, decide di scrivere romanzi agili, di buona presa, che, tuttavia, riportano momenti dedicati a quel periodo. Così, infatti, nel titolo di questa prima uscita, riporta “Milano 1950”.

In questa, che poi è la sua città, fa nascere le gesta di un bravo ed onesto commissario, Mario Arrigoni. Dato anche che questo è il primo dei nove romanzi dedicati ad Arrigoni, spende buona parte del testo per introdurre il personaggio ed i suoi contorni, pubblici e privati.

Vediamo quindi la storia del nostro personaggio, nato nei primi giorni del secolo, Capricorno come il suo creatore (quindi ipotizziamo entrambi di gennaio), di umile famiglia, si diploma, fa qualche mestiere, poi nel ’22 vince il concorso in Polizia. Studia la sera, in cinque anni si laurea in Giurisprudenza, cosa che gli permetterà di scalare posizioni di responsabilità, aiutato anche dalla sua bravura. Nel ’38, casualmente, incontra una cassiera di bar, Lucia, ex-modella delusa dal mestiere e da un amore sfortunato. Si piacciono, si frequentano, e nonostante la differenza d’età (una decina d’anni, ma che vuoi che siano), decidono di costruire un solido ambiente familiare. Allietato, ai primi anni di guerra, dalla nascita della figlia Cecilia. Arrigoni, pur fedele all’Arma, riesce a barcamenarsi durante il fascismo, uscendone in pratica indenne.

Questa prima indagine lo vede cinquantenne (siamo appunto nel ’50), e ne vediamo le reminiscenze di altri commissari. Fuma, anche se il toscano e non la pipa. Beve, vino e non birra (d’altra parte siamo in Italia). Gli piacciono le osterie fumose, dove incontra varia umanità, sempre utile nel suo mestiere. Lucia è una brava moglie, attenta e premurosa, casalinga ora seppur bella e modella in passato (tutto ciò per rimarcare somiglianze e diversità con il suo modello, Maigret). Della figlia per ora sappiamo poco.

Abbiamo poi i collaboratori: il vice Mastrantonio, scapolo, meridionale, irruento, sempre pronto a conclusioni sbagliate, e Di Pasquale, giovane napoletano, brillante e di sicuro avvenire.

Poi c’è Milano ed il 1950. Per la città, oltre ad alcune storie sul territorio dell’ex lazzaretto, ora di Corso Buenos Aires, c’è una bella descrizione del Palazzo Luraschi (il primo ad avere l’autorizzazione di salire in alto tanto da coprire il monte Resegone, ma in compenso ornando il cortile di 12 tondi con i personaggi de “I Promessi Sposi”). Per il secondo, notizie sportive (la fine del Grande Torino, con la mitica formazione perita a Superga: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar (Martelli), Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola, spigolature calcistiche con il Milan di GreNoLi, l’Inter di Lorenzi detto “Veleno”, la Juventus di Boniperti, il ’49 di Coppi, il primo a vincere in quell’anno Giro e Tour, impresa che solo sei ciclisti riusciranno a compiere). Nonché spigolature varie: la Standa, gli aperitivi in Galleria, le osterie dei Bastioni di Piazza Venezia, i “senguis” (deformazione per sandwich) di Gino, le fiorentine dei “Fratelli di Altopascio”, ed altre piccole cose che mi vengono in mente, ma che avrete il piacere di leggervi da soli.

C’è poi la struttura, semplice ed efficace, della storia in sé: scoperta dell’omicidio, indagini basate essenzialmente su interrogatori, con un finale riempito dalla rivelazione del nome dell’assassino, del movente e delle modalità. Si sente molto un vento di Maigret, come detto, nell’empatia di Arrigoni verso le indagini e gli indagati, nonché un tocco di Montalbano nel suo essere burbero e schivo, ma con un profondo senso della giustizia.

Ho parlato tanto, ma descritto poco. Troviamo allora la povera Clara che precipita dal balcone del quarto piano di una casa di via Tadino (che saprete certo essere parallela a Corso Buenos Aires). Suicidio, disgrazia o omicidio?

Arrigoni comincia ad indagare, insospettito da un urlo poco consono con il suicidio. Indagando, scopre la famiglia di Clara succube della donna, con marito veramente in tono minore, scopre che Clara era una specie di “Bella di giorno” alla Buñuel, piena di uomini (amanti?) rimorchiati in balera, dove si reca insieme alla sua amica Virginia, o anche nel caseggiato (come il giovane Giorgio subornato con finte lezioni di chitarra e distolto dall’amorazzo con la figlia Marcella). Tutto ciò, scoperto da Arrigoni appunto con il suo metodo di interrogatori, interrogatori, interrogatori. Vicenda complicata dalla scoperta del medico legale che Clara è incinta.

Alla fine, il cerchio dei possibili colpevoli si ristringe alquanto: il marito, la figlia, Giorgio, il padre di Giorgio, Virginia, il marito di Virginia. Sarà l’intuito di Arrigoni a trovare il nome giusto nella rosa su citata. Anche se la parte gialla, pur ben congeniata, non è la parte migliore del libro. Che per me rimane l’ambientazione milanese, motivo per cui aspetto con curiosità di leggere successive imprese (che poi saranno finali, essendo il bravo Dario venuto a mancare due anni fa).

Dario Crapanzano “Arrigoni e l’omicidio di via Vitruvio. Milano 1953” Mondadori euro 14

[A: 18/04/2021 – I: 14/11/2022 – T: 15/11/2022] &&&   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 205; anno: 2014]

Ho degli ovvi buchi nell’esegesi dell’esimio Crapanzano, che ho cominciato a leggere da non molto, che ha degli spunti d’interesse, anche se, dal punto di vista “trama” a volte lascia a desiderare. Comunque, qui siamo alla quinta avventura del commissario Mario Arrigoni e della sua squadra di Porta Venezia. Ed è ovvio che i personaggi hanno subito evoluzioni nel corso del tempo.

Non Arrigoni, sempre pronto alla buona tavola, al toscano, al vino ed alle indagini basate quasi sempre sugli interrogatori dei sospettati. Né tanto meno la moglie Lucia, casalinga oculata e adusa a preparare buoni piatti meneghini. La figlia Claudia ora a tredici anni, ultimo anno prima del liceo, e qualcosa in più fa e dice. Il vice Mastrantonio, con cui ha sempre un rapporto conflittuale, qui fortunatamente non compare: nel corso dei precedenti romanzi deve aver conosciuto una bella signora, con cui, ad inizio libro, convola in giuste nozze, per poi scomparire dalla scena. C’è sempre il giovane Di Pasquale, attento amanuense delle vicende, ma anche possibile dongiovanni (anche se no seguiamo le sue conquiste) e di certo con un buon atteggiamento canoro. Compare qui l’ispettore Giovine, probabilmente introdotto nei precedenti libri, che fa da reale spalla al commissario (ricorda molto il Lucas di Maigret).

Come nei precedenti romanzi, si accenna alla città, pallino da sempre dell’autore, sia per la collocazione del delitto sia per le storie dedicate al teatro, uno dei punti forti meneghini. Infatti, via Vitruvio è perpendicolare a via Tadino, luogo del primo libro della serie, e quindi sempre nella zona Buenos Aires, delimitata da Porta Venezia e Piazzale Loreto. Il delitto poi è perpetrato ai danni di un attore, regista e proprietario di teatro. Un teatro certo inventato, come ci dice l’autore, ma che non è poi così dissimile dal Teatro Elfo, sito ora proprio in corso Buenos Aires (ovvio come spazio teatrale, non come storia che l’Elfo è un teatro particolare ed interessante). Non mancando accenni alla scena pubblica del tempo, con l’uscita al cinema di “Cantando sotto la pioggia”, e quella, a teatro, della prima commedia musicale italiana, “Attanasio cavallo vanesio”, con Renato Rascel e Lauretta Masiero. Mitici!

Non mancano le digressioni alimentari: l’insalata di nervetti alla milanese o le prime pizze napoletane “a trancio”, il San Colombano DOC (unico vino prodotto in Milano) e gli immancabili “sanguis” di Gino. Ovviamente, essendo ambientata nel ’53, non ci si poteva esimere dal citare la morte di Iosif Vissarionovič Džugašvili detto Stalin (immancabile la citazione “A da venì Baffone!”). Né tanto meno, sul lato sportivo, al sesto scudetto conquistato dall’Inter allenata da Alfredo Foni (intanto la Juventus ne aveva già conquistati nove), citando anche la mitica formazione “catenacciara” di quell’anno: Ghezzi; Blason, Giacomazzi; Neri, Giovannini, Nesti; Armano, Mazza, Lorenzi, Skoglund, Nyers. Piccola altra soddisfazione personale: tre giorni dopo la mia nascita si disputa Juventus – Inter, vittoria della Juve per 2 a 1 con anche un goal di Boniperti.

E poi, quasi senza volerne parlare, c’è la storia. La morte, o meglio, l’uccisione di Flavio Villareale. Attore, proprietario del teatro, “sciupafemmine” con tendenze sado-maso, durante la guerra legato all’OVRA (la polizia segreta fascista) e persecutore di ebrei (arricchendosi con i beni confiscati). Di contorno ci sono il suo socio, Calcaterra, la moglie Francesca da cui si è separato da anni (ma non legalmente) anche lei attrice, forse primadonna, e Serena/Sara, attrice giovane, ma anche ebrea e vittima, con la famiglia, delle azioni di Villareale.

Ovvio che la moglie è indiziata in quanto unica erede della grande fortuna del defunto, con una dovuta accelerazione agli avvenimenti, che Flavio voleva l’annullamento. Anche Serena ha i suoi motivi, per vendicare la morte del padre, e rientrare in possesso di pare dei beni familiari. Calcaterra ha i suoi motivi, che è preso (non corrisposto) da Serena che però potrebbe cedere alle brame di Flavio, ma è anche in combutta con Francesca, sapendo che da socio minoritario conta come il due di coppe. L’intrigo sembra inscindibile che Calcaterra esibisce un alibi abbastanza solido, mentre le due donne non sembra abbiano la forza per arrivare al soffocamento dell’attore.

Saranno gli interrogatori di Arrigoni che, cerchio dopo cerchio, battuta dopo battuta, costringono i sospettati ad ammettere sempre più cose, svelando sempre più aspetti chiarificatori delle dinamiche assassine, arrivando al fine ad isolare chi il delitto lo ha commesso.

Come detto, la trama nera non è la parte forte del romanzo, che tuttavia nel complesso è discretamente gradevole e leggibile.

Dario Crapanzano “Arrigoni e l’omicidio nel bosco. 1953” Repubblica Emozione Noir 35 euro 7,90

[A: 18/02/2020 – I: 01/12/2022 – T: 02/12/2022] &&&   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 206; anno: 2018]

Un nuovo episodio del nostro Maigret allo zafferano, condito a suo tempo con la solita maestria dallo scrittore e pubblicitario milanese, che, purtroppo, or son due anni, ci ha lasciato.

Crapanzano ha scritto nove puntate con il commissario Arrigoni, ambientate tra il ’50 ed il ’53. Questa è l’ottava uscita, a rilento dopo il ritmo incalzante delle prime uscite, lentezza data anche dagli ottant’anni dell’autore al tempo della scrittura. Rispetto alle altre, seppur gradevole, e ci torneremo, è l’ambiente campagnolo, a me viene a mancare quel tocco di “milanesità”, quegli inserti dedicati a luoghi, noti o meno noti, della capitale meneghina, che avevano un loro indubbio fascino nella ricostruzione della memoria.

Rimane allora solo il ricordo dell’atmosfera del tempo, condita da sagre paesane, da personaggi appartati, e da immancabili convivi intorno alla tavola, in cui apprezziamo il sapiente dosaggio delle pietanze, anche se mi domando come si riesca a mangiare posti completi sia a pranzo che a cena. Certo erano altri tempi, che se ora ti fai una polenta coi funghi a pranzo, difficilmente riesce a sostenere non dico un lesso, ma una cena di pesce. Anche questo ci dà il segno dei tempi.

Forse perché non trovava spunti architettonici stimolanti, l’autore inventa un escamotage per mettere un po’ di sale al romanzo. Data la carenza di personale, e la bravura della squadra del commissario, viene istituita quella che ora si chiamerebbe una “task force”. Nel caso di delitti in provincia, a rinforzo delle autorità locali, si presta la squadra commissario Arrigoni e brigadiere Di Pasquale. Un’idea peregrina, ma che viene subito messa in opera a fronte di un delitto dal carattere oscuro nel varesotto, intorno al Lago Maggiore.

I nostri specialisti vengono subito spediti nel fittizio paese di Arbizzone Varesino, dove vanno in supporto alla locale tenenza dei Carabinieri, al fine di indagare sulla morte violenta di Alberto Castagna, una delle persone più in vista del posto, e capiremo presto il perché.

Accolti e coadiuvati dal maresciallo Partanna, i “milanesi”, come vengono subito etichettati, invece di entrare a gamba tesa sul problema, si prendono l’agio di inserirsi, di comprendere gli usi e costumi locali. Si installano nell’unico albergo del posto, “La locanda del Cervo”, deserta dato il periodo (siamo nell’autunno inoltrato del ’53), coccolati dalla bella locandiera (ci saranno divertenti schermaglie amorose tra lei e Ciro, ma sono a latere della vicenda), ma non dai locali che, verso gli stranieri, al solito si chiudono a riccio.

Ma Arrigoni è un commissario tenace, ed usa i colloqui con le persone per arrivare a tessere la sua tela dove, prima o poi, cadrà il ragno assassino. Da questi interrogatori, emerge pagina dopo pagina, il quadro generale. Castagna, cinquantenne di bella presenza e di buon patrimonio, ha la sua faccia ufficiale come imprenditore edile. Inoltre, ha da non molto sposato la poco più che ventenne Marianna, bellezza locale in cerca di ricca sistemazione. Vengono poi allo scoperto gli aspetti in ombra del Castagna. Data la vicinanza con la Svizzera, il morto era uno dei più rinomati contrabbandieri locali (in particolare di sigarette, una delle maggiori fonti di guadagno all’epoca), attività che gli consente di avere una buona disponibilità economica, che sfrutta con la sua terza occupazione, prestare denaro a tassi usurai.

Arrigoni si trova così tre possibili moventi: i possibili amanti (Marianna ed il giovane edile di Castagna), una lotta tra contrabbandieri oppure una vittima dell’usura. Ovvio che il metodo Crapanzano si addentra negli interrogatori della gente del paese, seguita da riassunti con lui, Ciro ed il maresciallo, intorno ad un tavolo, con un grappino ed un toscano.

Si parla con Tarcisio, il panettiere che ha pochi soldi e figli da mantenere. Si parla con Marianna che delucida l’inconsistenza di un suo coinvolgimento (sarà…). Si parla con Manzana, un marinaio in odore di contrabbando che si è ritirato sui monti (perché?). Si parla con Angelo, l’arrogante futuro amante di Marianna. Si parla con il gestore del bar (l’unico che confessa l’usura). Si parla con il padre di Castagna, che punta deciso il dito su Marianna. Insomma, si parla con tutti. Ma sarà un dettaglio sfuggito nelle prime pagine, un accendino, che farà scattare la famosa scintilla di Arrigoni.

In conclusione, una lettura piacevole, dove si narra del quotidiano attraverso le gesta normali di personaggi normali. Niente colpi di scena, nessun supereroe, ma poliziotti normali che affrontano indagini a volte complicate, seguendo logica e intelletto. Unico difetto è che la normalità non affascina, e nessun personaggio rimane realmente nel cuore. Ma va bene così.

Io poi trovo sempre una spigolatura che mi solletica la memoria, come qui, quando parlando di quell’anno eponimo, durante una cantata di Ciro, esce finalmente fuori una canzone che mi riporta alla grande il mio io bambino. Si parla infatti di “Vecchio scarpone” di Gino Latilla (ricordo per i più giovani il ritornello: “Vecchio scarpone, quanto tempo è passato, quanti ricordi fai rivivere tu”.)

Spezzo infine la mia lancia contro gli esperti di mercato che hanno messo in quarta di copertina la frase che dovrebbe acchiappare il lettore distratto: “una vicenda in cui dietro le apparenze si cela una terribile verità”. Sfido chiunque a trovarne un riscontro in tutto il libro.

Maurizio de Giovanni “Un volo per Sara” Rizzoli s.p. (regalo di Alessandra)

[A: 24/06/2022 – I: 25/12/2022 – T: 26/12/2022] && e ½    

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 251; anno: 2022]

SARA6

Credo solo Simenon e Camilleri, e forse Agatha Christie, siano più presenti di de Giovanni nella mia libreria. Comunque, questo è il trentasettesimo volume che leggo dell’autore, e l’ultimo, in ordine di uscita, della serie dedicata a Sara, capostipite di una delle sottoserie rispetto al successo maggiore, quello del commissario Ricciardi, di cui aspettiamo la prossima uscita.

Una serie cominciata in sordina, con un tentativo d’assaggio, che però ha dato i suoi frutti, tanto da convincere l’autore di progredirne nella stesura. Il problema, ora, dopo aver caratterizzato i personaggi maggiori, è un’inutile ripetizione ciclica delle storie. I soliti capitoli in corsivo, che rimandano ai periodi precedenti alla storia che stiamo seguendo, non fanno altro, purtroppo, che ripercorrere vicende note. Come in questo caso, che, a noi fedeli lettori, poco apportano di nuovo. Che ci viene riproposto, anche troppo lungamente, il percorso che portò a suo tempo la protagonista, Sara, ad abbandonare marito (non amato) e figlio (per necessità), in modo da seguire il suo cuore, improvvisamente persosi per Massimiliano.

Noi poi già sappiamo, dalle puntate precedenti: che Sara e Massimiliano hanno vissuto una lunga ed appagante storia d’amore, conclusasi con la morte per tumore di Massi, che Sara, dopo quella morte, cerca di ritrovare Giorgio, il figlio lasciato, e lo ritrova solo quando questo muore in un investimento (descritto nel primo libro), che, morto il figlio, trova però la nuora, Viola, incinta, e che darà alla luce un vispo pargoletto.

Sempre dalle puntate precedenti vediamo introdursi nel mondo di Sara e Viola, l’ispettore Davide Pardo, l’unico sempre dalle parti della giustizia, probabilmente “innamorato” della giovane Viola, di sicuro colmo di affetto per il piccolo, ma accompagnato da un cane improbabile, Boris, un Bovaro del Bernese, che adotta il piccolo come sua pecorella. Per vie traverse ed imperscrutabili, Sara, con l’analisi dei comportamenti delle persone, Viola, con il suo limpido talento da fotoreporter, e Davide, con la forza della legge e delle conoscenze nell’ambiente, costituiscono, nel corso del tempo, un trio investigativo di prim’ordine.

A completare il mondo dei buoni, dal passato di Sara, emergono poi Teresa, la sua inseparabile compagna fin dai tempi dell’Unità investigativa guidata da Massimiliano, e che ora ne è diventata il responsabile. E Andrea, un cieco (ma lui si definisce ancora ipovedente) che utilizza i quattro sensi rimastigli molto meglio di tutta la gente cosiddetta normale.

Nelle pieghe, si infila anche un rumeno, tal Nikolaj Popov, coinvolto in passato in oscure trame, salvato da Sara, sparito nell’ombra, ma diventato un medico di prim’ordine, l’unico che con un intervento rischioso riesce a salvare la vita del piccolo di Viola. Ne parlo qui, perché in questo volume, c’entra di sfuggita, con alcuni passi (inutili per la trama principale), ma che rimangono in sospeso, così che se ne può ipotizzare l’uso in un prossimo futuro.

Fatto il ricapitolo, la storia in sé cerca di collegarsi ad uno dei tanti misteri italiani legati a tangentopoli. Corruzione, collusione, e prove che spariscono. Così che, su di un jet privato che si inabissa nel Tirreno, era presente una segretaria proveniente da quegli anni Novanta. Da dove ne uscì indenne, così come il suo capo, ma con un bagaglio di cassette che, se rese pubbliche, farebbero scoppiare bolle ormai sopite.

Poiché a suo tempo la allora signorina era stata quasi al centro di indagini, poi abbandonate, ora alla sua morte, Sara ed i suoi accoliti sentono puzza di bruciato. Ma, al solito, Teresa non può indagare, ordini dall’alto. Ci penseranno Andrea, che ascoltando brani televisivi scopre alcuni altarini. Viola, che con il suo teleobiettivo riesce a captare immagini compromettenti, che Sara, con la capacità di leggere i labiali, interpreterà per unire tutta una serie di puntini.

Le trame dei cattivi saranno grandemente sventate, ma i cattivi più cattivi rimangono sempre, e i nostri, di sicuro, chi più chi meno, sono nel mirino per fare una brutta fine. Che non sarà di questo libro, cosa che rimanda a possibili nuove uscite.

Purtroppo, rispetto agli ultimi due romanzi, che, in qualche modo, si legavano a fatti avvenuti o di possibile avvenimento, qui si ripercorre una strada abbastanza trita. I legami tra potere e corruzione, senza portare particolari elementi di interesse. Una trama gialla abbastanza scontata, anche se, pure qui, si aprono spiragli di future nuove puntate. Viene meglio la parte privata, i profili personali e psicologici dei vari personaggi, principali e non, con una scorrevolezza che ci mostra come de Giovanni, superati qualche impasse, possa tornare a scrivere in maniera egregia, come ci aveva abituato ad inizio carriera.

Pregherei infine, come ho già detto in altre recensioni, gli editor della Rizzoli di evitare i siparietti finali, con le descrizioni dei personaggi, e delle loro piccole storie. Primo, non siamo a scuola che dobbiamo redigere sunti e commenti senza scordarci chi fa cosa. Secondo, ma questo è anche colpa dell’autore, leggete i serial alla Michael Connelly. Si spandono per decenni della vita dei protagonisti, ma non ne viene fatto di certo un bignamino finale.

Maurizio de Giovanni “Caminito (Un Aprile del commissario Ricciardi)” Einaudi s.p. (regalo di Francesco)

[A: 24/12/2022 – I: 01/01/2023 – T: 02/01/2023] &&& e ½    

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 269; anno: 2022]

RICCIARDI14

Ci sono voluti tre anni perché l’esimio de Giovanni riuscisse a staccarsi dai personaggi secondari, dalle serie di contorno, e tornasse alle storie che lo hanno lanciato, nel mio cuore, ma anche in quello di moltissimi lettori. Eccoci allora, come indicato sopra, al quattordicesimo volume della serie dedicata al commissario Ricciardi.

Una ripresa pensata e discretamente ben realizzata (credo merito della maturazione dello scrittore) anche se più votata alle storie personali dei personaggi che ad una storia “noir” o poliziesca, la cui trama, pur presente, non prende molto, e soprattutto si risolve in un finale abbastanza veloce.

Rilevo con piacere che sono stati ridotti all’osso (ce n’è solo uno) gli inserti in corsivo, mentre tutta una parte della storia, molto legata al titolo, si riduce ai tre capitoli introduttivi di ogni sezione del testo, senza che ne aumenti l’interesse. Anzi, sembrano quasi capitoli posticci, forse utili ad un successivo e prossimo libro. Ma su questo torneremo in seguito.

I filoni del romanzo, come detto, seguono molto l’evolversi dei personaggi, ed un piccolo loro intreccio con il filone poliziesco. Per questa parte c’è la scoperta di una coppia uccisa mentre era in corso un amplesso in un luogo appartato. Potrebbe essere un delitto spurio, magari di un voyeur o simili, se non fosse che l’uomo, tal Paolo, è un ufficiale della marina civile, ma soprattutto un corriere che recapita biglietti e notizie dal confino di Ventotene alla terraferma. La donna, tal Teresa, è una bella figliola popolana, di una famiglia sull’orlo della bancarotta, che sta tramando affinché Teresa si accasi con tal Carlo, un possidente nonché contrabbandiere e camorrista ben in vista nella periferia cittadina. Anche se queste notizie impiegheranno duecento pagine per arrivare al nostro commissario.

Si vede però, da tale presentazione, che appunto sono due i filoni possibili di indagine: un’esecuzione fascista, data la natura di Paolo, o una vendetta (o simile o casuale) data la presenza di Teresa. Per rimpolpare il testo, il nostro scrittore ci presenta siparietti della vita dei due, attraverso le parole di altri marinai o di compaesane di Teresa, financo le illuminazioni della sorellina di lei, Nunziatina, che forse sa più di quanto sembri, ma non sa cosa farne.

Lo spirito antifascista di Paolo permette di inserire nel contesto sia un minimo di ribellione al sistema del simpatico dottor Modo, anche se i suoi pochi interventi sono un po’ sopra le righe e non sempre ben centrati. Ma consente anche di riprendere la figura del responsabile ombra della polizia politica, che avevamo conosciuto in episodi precedenti.

Un filone trasversale al testo riguarda la famiglia Maione, quella del brigadiere aiutante del commissario. Anche qui, da precedenti puntate, avevamo visto i nostri adottare la piccola Benedetta, rimasta orfana. Ora assistiamo all’arrivo dei parenti americani che la vogliono con loro, con molta arroganza e prosopopea. È una dura lotta, tra sentimenti e magari possibilità di migliorare la propria precaria condizione. Una lotta che verrà presa in carico e risolta dalla ormai famosa Bambinella, uno dei personaggi più simpatici del lotto.

Rimane da prendere in mano la famiglia Ricciardi. Il precedente romanzo finiva con la morte di parto di Enrica, e con la nascita di Marta. Ora sono passati cinque anni, siamo nell’aprile del ’39, e Marta cresce. Accudita in casa dalla tuttofare Nelide e cresciuta nell’educazione dalla contessa Bianca, una quasi ex-fiamma di Ricciardi, che dedica una parte significativa della sua vita a Marta, aiutata dalla maestra Edna, e da uno strano ragazzo, Federico, coetaneo della piccola. Seguiamo tutti gli inni d’amore che Ricciardi rivolge alla sua morta Enrica, ed al timore (suo) che Marta abbia ereditato quella che chiama la maledizione dei Malomonte, quello di vedere e sentire le ultime parole dei morti di morte violenta.

Ci mette tutto il libro per capire se sottoporre Marta ad una prova dirimente il problema, con un risultato buono per tutte le stagioni. Che si capisce, ma da pagina dieci, che forse i problemi sono altri.

Tra l’altro, le famose parole che Paolo e Teresa pronunciano saranno decifrate nel famoso veloce finale, ma non sono utilizzate come nei primi romanzi, dove avevano un impatto ed un significato molto maggiore.

Finiamo adunque con il titolo. La canzone viene per la prima volta citata nell’undicesimo romanzo, “Rondini d’inverno”, quello in cui Ricciardi si dichiara ad Enrica. Per poi ritrovarsi, fidanzati prima e sposati poi, a percorrere una stradina (il “caminito”) e sedersi a ragionare. Ora, sebbene anche qui Ricciardi torni alla stradina e vi trovi la forza per uscire dalla sua tristezza e riaffrontare la vita, questo non giustifica il titolo messo (mentre il sottotitolo ci sta).

Per cui Ricciardi si inventa quelli che ho citato prima, i capitoli argentini dove una donna in fuga dall’Italia (e noi dalla seconda riga sappiamo già che posso essere) si reiventa cantante a Buenos Aires, e de Giovanni ci appalla a lungo sull’esegesi del tango, su come si canta, sui sentimenti di chi la canta. Capitoli inutili, se non, appunto, per aprire scenari futuri agli sviluppi narrativi.

Tra l’altro, e con molta più aderenza, la canzone è presente nel bellissimo libro di Osvaldo Soriano, “Un’ombra ben presto sarai”, dove, quando ne parlai, mi presi una lunga parentesi proprio per questo tango. Di cui riporto solo una notizia, per i miei amici viaggiatori. La strada “Caminito” è una delle più belle e colorate del quartiere de La Boca a Buenos Aires. Ma è la strada ad aver preso il nome dal tango, e non viceversa. Infatti, il tango come noi lo consociamo venne confezionato unendo un testo ed una melodia, entrambi esistenti da soli, in una sessione di pensieri e musiche, in Buenos Aires, e precisamente al numero 300 di calle Florida.

Non posso non finire con una menzione da universo personale. Da sempre, io, ma anche Ale e Benedetta, siamo golosi di quel piatto di origine nordica indicato come “ratatouille”. Qui, a pagina 122, finalmente de Giovanni toglie anche un velo al piatto e lo chiama così come l’ha sempre chiamato mia madre, che ne era anche lei ghiotta. Nel meridione si chiama “cianfotta”.

Comunque, il libro l’ho letto di gusto, anche nelle parti meno convincenti. Dato che proprio l’impianto generale delle storie di Ricciardi è quello che tiene, senza che l’autore riesca ad indebolirne la resa, anche quando inserisce parti meno consone al contesto generale.

A quando il prossimo Ricciardi?

Come tutte le prime letture del mese, diamo uno sguardo ad i libri passati sotto i miei occhi nel mese di marzo. Un buon bottino (16 libri) anche se tutti molto sulla media di lettura. Se ne stacca, anche se di poco, una lettura del mio tardivamente amato Colin Dexter, mentre non mi ha lasciato una grande impressione il libro che raduna una buona messe di articoli di Leonardo Sciascia.

#

Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Carlo Cottartelli

Pachidermi e pappagalli

Feltrinelli

s.p.

2

2

Dino Buzzati

Bàranbo delle montagne

Repubblica Montagna

9,90

2

3

Lalla Romano

Pralève e altri racconti di montagna

Repubblica Montagna

9,90

2

4

Leonardo Sciascia

Candido

Repubblica

8,90

3

5

Alberto Vigevani

I compagni di settembre

Repubblica Resistenza

7,90

2,5

6

Italo Calvino

La speculazione edilizia

Repubblica

9,90

3

7

Leonardo Sciascia

Il mare colore del vino

Repubblica

8,90

2,5

8

Andrea Camilleri

Le pecore e il pastore

Repubblica

8,90

3

9

Leonardo Sciascia

A futura memoria

Repubblica

8,90

1,5

10

Haruki Murakami

Tutti i figli di Dio danzano

Corriere

8,90

3

11

Paolo Cognetti

Il ragazzo selvatico

Repubblica Montagna

9,90

3

12

Colin Dexter

Le figlie di Caino

Sellerio

s.p.

3,5

13

Brigitte Glaser

Assassinio à la carte

Repubblica Emozione Noir

7,90

2

14

Andrea Camilleri

La guerra privata di Samuele

Sellerio

s.p.

2,5

15

Anita Nair

La ferocia del cuore

Repubblica Passione Noir

7,90

2,5

16

Guillaume Musso

La ragazza e la notte

Repubblica Emozione Noir

7,90

3

 

Visto che abbiamo parlato di gialli italiani, anche le citazioni si adeguano. Anche se, come tutte le frasi che rimangono nella memoria, poi parlano d’altro. Due gialli mondadoriani. In uno, “Legame di sangue” di Roberto Riccardi si parla di sentimenti: “Io i miei sentimenti li ho ‘messi a fuoco’ da un pezzo. Ti voglio bene. E proprio perché è così, ti auguro con tutto il cuore di avere ciò che vuoi” (83) e “Tu meriti di stare con un uomo che nutra i tuoi stessi sentimenti. Quell’uomo non sono io” (106).

Nell’altro, “La porta sulle tenebre” di Massimo Pietroselli si parla del tempo che scorre: “Chi dice che il passato è passato? Caso mai è il contrario, il passato non passa mai.” (94).

E seppur è vero che il tempo passa, anche se il passato rimarrà sempre nelle nostre menti, si deve guardare in avanti, ai prossimi traguardi e, perché no, ai prossimi viaggi, dove pare si ricominci a guardare ad Oriente, con un viaggio che riporta alla mente un Capodanno di quindici anni fa. Motivo per cui abbraccio doppiamente i miei compagni di allora e abbraccio singolarmente tutti gli altri.

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