Una settimana dedicata al giallo italiano, divisa tra un esponente milanese, Diego Crapanzano con il suo commissario Arrigoni, e l’affermato napoletano, Maurizio De Giovanni, sia con la penultima avventura di Sara che con l’ultima uscita del commissario Ricciardi.
Sebbene
io sia totalmente a favore di Ricciardi, cui dedico sempre qualche gradimento
in più per motivi storici e personali, devo dire che in questa tornata, De
Giovanni non si esprime al meglio, mentre, con una scrittura onesta e senza
tanti fronzoli, Crapanzano produce alcuni buoni risultati. In particolare, ho
apprezzato il tentativo di descrivere la Milano degli anni Cinquanta, nonché le
puntata calcistiche sulle milanesi di quegli anni.
Dario Crapanzano “Il giallo di via Tadino.
Milano 1950” Mondadori euro 14
[A: 10/09/2020
– I: 13/10/2022 – T: 14/10/2022] &&&
+
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 190; anno: 2011]
Dario Crapanzano è stato un giallista tardivo, visto che
questa sua prima uscita di successo avviene a più di settanta anni. Ha
tuttavia trovato una sua strada interessante, anche se forse non originale. In
realtà, sembra che volesse scrivere dei saggi sulla Milano degli anni
Cinquanta, poi rendendosi conto che avrebbero avuto poco pubblico, da buon
ex-pubblicitario, decide di scrivere romanzi agili, di buona presa, che,
tuttavia, riportano momenti dedicati a quel periodo. Così, infatti, nel titolo
di questa prima uscita, riporta “Milano 1950”.
In
questa, che poi è la sua città, fa nascere le gesta di un bravo ed onesto
commissario, Mario Arrigoni. Dato anche che questo è il primo dei nove romanzi
dedicati ad Arrigoni, spende buona parte del testo per introdurre il personaggio
ed i suoi contorni, pubblici e privati.
Vediamo
quindi la storia del nostro personaggio, nato nei primi giorni del secolo,
Capricorno come il suo creatore (quindi ipotizziamo entrambi di gennaio), di
umile famiglia, si diploma, fa qualche mestiere, poi nel ’22 vince il concorso
in Polizia. Studia la sera, in cinque anni si laurea in Giurisprudenza, cosa
che gli permetterà di scalare posizioni di responsabilità, aiutato anche dalla
sua bravura. Nel ’38, casualmente, incontra una cassiera di bar, Lucia, ex-modella
delusa dal mestiere e da un amore sfortunato. Si piacciono, si frequentano, e
nonostante la differenza d’età (una decina d’anni, ma che vuoi che siano),
decidono di costruire un solido ambiente familiare. Allietato, ai primi anni di
guerra, dalla nascita della figlia Cecilia. Arrigoni, pur fedele all’Arma,
riesce a barcamenarsi durante il fascismo, uscendone in pratica indenne.
Questa
prima indagine lo vede cinquantenne (siamo appunto nel ’50), e ne vediamo le
reminiscenze di altri commissari. Fuma, anche se il toscano e non la pipa.
Beve, vino e non birra (d’altra parte siamo in Italia). Gli piacciono le
osterie fumose, dove incontra varia umanità, sempre utile nel suo mestiere.
Lucia è una brava moglie, attenta e premurosa, casalinga ora seppur bella e
modella in passato (tutto ciò per rimarcare somiglianze e diversità con il suo
modello, Maigret). Della figlia per ora sappiamo poco.
Abbiamo
poi i collaboratori: il vice Mastrantonio, scapolo, meridionale, irruento,
sempre pronto a conclusioni sbagliate, e Di Pasquale, giovane napoletano,
brillante e di sicuro avvenire.
Poi
c’è Milano ed il 1950. Per la città, oltre ad alcune storie sul territorio
dell’ex lazzaretto, ora di Corso Buenos Aires, c’è una bella descrizione del
Palazzo Luraschi (il primo ad avere l’autorizzazione di salire in alto tanto da
coprire il monte Resegone, ma in compenso ornando il cortile di 12 tondi con i
personaggi de “I Promessi Sposi”). Per il secondo, notizie sportive (la fine
del Grande Torino, con la mitica formazione perita a Superga: Bacigalupo,
Ballarin, Maroso, Grezar (Martelli), Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik,
Gabetto, Mazzola, Ossola, spigolature calcistiche con il Milan di GreNoLi,
l’Inter di Lorenzi detto “Veleno”, la Juventus di Boniperti, il ’49 di Coppi,
il primo a vincere in quell’anno Giro e Tour, impresa che solo sei ciclisti
riusciranno a compiere). Nonché spigolature varie: la Standa, gli aperitivi in
Galleria, le osterie dei Bastioni di Piazza Venezia, i “senguis” (deformazione
per sandwich) di Gino, le fiorentine dei “Fratelli di Altopascio”, ed altre
piccole cose che mi vengono in mente, ma che avrete il piacere di leggervi da
soli.
C’è
poi la struttura, semplice ed efficace, della storia in sé: scoperta
dell’omicidio, indagini basate essenzialmente su interrogatori, con un finale
riempito dalla rivelazione del nome dell’assassino, del movente e delle
modalità. Si sente molto un vento di Maigret, come detto, nell’empatia di
Arrigoni verso le indagini e gli indagati, nonché un tocco di Montalbano nel
suo essere burbero e schivo, ma con un profondo senso della giustizia.
Ho
parlato tanto, ma descritto poco. Troviamo allora la povera Clara che precipita
dal balcone del quarto piano di una casa di via Tadino (che saprete certo
essere parallela a Corso Buenos Aires). Suicidio, disgrazia o omicidio?
Arrigoni
comincia ad indagare, insospettito da un urlo poco consono con il suicidio.
Indagando, scopre la famiglia di Clara succube della donna, con marito
veramente in tono minore, scopre che Clara era una specie di “Bella di giorno”
alla Buñuel, piena di uomini (amanti?) rimorchiati in balera, dove si reca
insieme alla sua amica Virginia, o anche nel caseggiato (come il giovane
Giorgio subornato con finte lezioni di chitarra e distolto dall’amorazzo con la
figlia Marcella). Tutto ciò, scoperto da Arrigoni appunto con il suo metodo di
interrogatori, interrogatori, interrogatori. Vicenda complicata dalla scoperta
del medico legale che Clara è incinta.
Alla
fine, il cerchio dei possibili colpevoli si ristringe alquanto: il marito, la
figlia, Giorgio, il padre di Giorgio, Virginia, il marito di Virginia. Sarà
l’intuito di Arrigoni a trovare il nome giusto nella rosa su citata. Anche se
la parte gialla, pur ben congeniata, non è la parte migliore del libro. Che per
me rimane l’ambientazione milanese, motivo per cui aspetto con curiosità di
leggere successive imprese (che poi saranno finali, essendo il bravo Dario
venuto a mancare due anni fa).
Dario
Crapanzano “Arrigoni e l’omicidio di via Vitruvio. Milano 1953” Mondadori euro
14
[A: 18/04/2021
– I: 14/11/2022 – T: 15/11/2022] &&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 205; anno: 2014]
Ho
degli ovvi buchi nell’esegesi dell’esimio Crapanzano, che ho cominciato a
leggere da non molto, che ha degli spunti d’interesse, anche se, dal punto di
vista “trama” a volte lascia a desiderare. Comunque, qui siamo alla quinta
avventura del commissario Mario Arrigoni e della sua squadra di Porta Venezia.
Ed è ovvio che i personaggi hanno subito evoluzioni nel corso del tempo.
Non
Arrigoni, sempre pronto alla buona tavola, al toscano, al vino ed alle indagini
basate quasi sempre sugli interrogatori dei sospettati. Né tanto meno la moglie
Lucia, casalinga oculata e adusa a preparare buoni piatti meneghini. La figlia
Claudia ora a tredici anni, ultimo anno prima del liceo, e qualcosa in più fa e
dice. Il vice Mastrantonio, con cui ha sempre un rapporto conflittuale, qui
fortunatamente non compare: nel corso dei precedenti romanzi deve aver
conosciuto una bella signora, con cui, ad inizio libro, convola in giuste
nozze, per poi scomparire dalla scena. C’è sempre il giovane Di Pasquale,
attento amanuense delle vicende, ma anche possibile dongiovanni (anche se no
seguiamo le sue conquiste) e di certo con un buon atteggiamento canoro. Compare
qui l’ispettore Giovine, probabilmente introdotto nei precedenti libri, che fa
da reale spalla al commissario (ricorda molto il Lucas di Maigret).
Come
nei precedenti romanzi, si accenna alla città, pallino da sempre dell’autore,
sia per la collocazione del delitto sia per le storie dedicate al teatro, uno
dei punti forti meneghini. Infatti, via Vitruvio è perpendicolare a via Tadino,
luogo del primo libro della serie, e quindi sempre nella zona Buenos Aires,
delimitata da Porta Venezia e Piazzale Loreto. Il delitto poi è perpetrato ai
danni di un attore, regista e proprietario di teatro. Un teatro certo
inventato, come ci dice l’autore, ma che non è poi così dissimile dal Teatro
Elfo, sito ora proprio in corso Buenos Aires (ovvio come spazio teatrale, non
come storia che l’Elfo è un teatro particolare ed interessante). Non mancando
accenni alla scena pubblica del tempo, con l’uscita al cinema di “Cantando
sotto la pioggia”, e quella, a teatro, della prima commedia musicale italiana,
“Attanasio cavallo vanesio”, con Renato Rascel e Lauretta Masiero. Mitici!
Non
mancano le digressioni alimentari: l’insalata di nervetti alla milanese o le
prime pizze napoletane “a trancio”, il San Colombano DOC (unico vino prodotto
in Milano) e gli immancabili “sanguis” di Gino. Ovviamente, essendo ambientata
nel ’53, non ci si poteva esimere dal citare la morte di Iosif Vissarionovič
Džugašvili detto Stalin (immancabile la citazione “A da venì Baffone!”). Né
tanto meno, sul lato sportivo, al sesto scudetto conquistato dall’Inter
allenata da Alfredo Foni (intanto la Juventus ne aveva già conquistati nove),
citando anche la mitica formazione “catenacciara” di quell’anno: Ghezzi;
Blason, Giacomazzi; Neri, Giovannini, Nesti; Armano, Mazza, Lorenzi, Skoglund,
Nyers. Piccola altra soddisfazione personale: tre giorni dopo la mia nascita si
disputa Juventus – Inter, vittoria della Juve per 2 a 1 con anche un goal di
Boniperti.
E
poi, quasi senza volerne parlare, c’è la storia. La morte, o meglio,
l’uccisione di Flavio Villareale. Attore, proprietario del teatro,
“sciupafemmine” con tendenze sado-maso, durante la guerra legato all’OVRA (la
polizia segreta fascista) e persecutore di ebrei (arricchendosi con i beni
confiscati). Di contorno ci sono il suo socio, Calcaterra, la moglie Francesca
da cui si è separato da anni (ma non legalmente) anche lei attrice, forse
primadonna, e Serena/Sara, attrice giovane, ma anche ebrea e vittima, con la
famiglia, delle azioni di Villareale.
Ovvio
che la moglie è indiziata in quanto unica erede della grande fortuna del
defunto, con una dovuta accelerazione agli avvenimenti, che Flavio voleva
l’annullamento. Anche Serena ha i suoi motivi, per vendicare la morte del
padre, e rientrare in possesso di pare dei beni familiari. Calcaterra ha i suoi
motivi, che è preso (non corrisposto) da Serena che però potrebbe cedere alle
brame di Flavio, ma è anche in combutta con Francesca, sapendo che da socio
minoritario conta come il due di coppe. L’intrigo sembra inscindibile che
Calcaterra esibisce un alibi abbastanza solido, mentre le due donne non sembra
abbiano la forza per arrivare al soffocamento dell’attore.
Saranno
gli interrogatori di Arrigoni che, cerchio dopo cerchio, battuta dopo battuta,
costringono i sospettati ad ammettere sempre più cose, svelando sempre più
aspetti chiarificatori delle dinamiche assassine, arrivando al fine ad isolare
chi il delitto lo ha commesso.
Come
detto, la trama nera non è la parte forte del romanzo, che tuttavia nel
complesso è discretamente gradevole e leggibile.
Dario
Crapanzano “Arrigoni e l’omicidio nel bosco. 1953” Repubblica Emozione Noir 35 euro
7,90
[A: 18/02/2020
– I: 01/12/2022 – T: 02/12/2022] &&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 206; anno: 2018]
Un nuovo episodio del nostro Maigret allo
zafferano, condito a suo tempo con la solita maestria dallo scrittore e
pubblicitario milanese, che, purtroppo, or son due anni, ci ha lasciato.
Crapanzano ha scritto nove puntate con il
commissario Arrigoni, ambientate tra il ’50 ed il ’53. Questa è l’ottava
uscita, a rilento dopo il ritmo incalzante delle prime uscite, lentezza data
anche dagli ottant’anni dell’autore al tempo della scrittura. Rispetto alle
altre, seppur gradevole, e ci torneremo, è l’ambiente campagnolo, a me viene a
mancare quel tocco di “milanesità”, quegli inserti dedicati a luoghi, noti o
meno noti, della capitale meneghina, che avevano un loro indubbio fascino nella
ricostruzione della memoria.
Rimane allora solo il ricordo dell’atmosfera
del tempo, condita da sagre paesane, da personaggi appartati, e da immancabili
convivi intorno alla tavola, in cui apprezziamo il sapiente dosaggio delle
pietanze, anche se mi domando come si riesca a mangiare posti completi sia a
pranzo che a cena. Certo erano altri tempi, che se ora ti fai una polenta coi
funghi a pranzo, difficilmente riesce a sostenere non dico un lesso, ma una
cena di pesce. Anche questo ci dà il segno dei tempi.
Forse perché non trovava spunti
architettonici stimolanti, l’autore inventa un escamotage per mettere un po’ di
sale al romanzo. Data la carenza di personale, e la bravura della squadra del
commissario, viene istituita quella che ora si chiamerebbe una “task force”.
Nel caso di delitti in provincia, a rinforzo delle autorità locali, si presta
la squadra commissario Arrigoni e brigadiere Di Pasquale. Un’idea peregrina, ma
che viene subito messa in opera a fronte di un delitto dal carattere oscuro nel
varesotto, intorno al Lago Maggiore.
I nostri specialisti vengono subito spediti
nel fittizio paese di Arbizzone Varesino, dove vanno in supporto alla locale
tenenza dei Carabinieri, al fine di indagare sulla morte violenta di Alberto
Castagna, una delle persone più in vista del posto, e capiremo presto il
perché.
Accolti e coadiuvati dal maresciallo
Partanna, i “milanesi”, come vengono subito etichettati, invece di entrare a
gamba tesa sul problema, si prendono l’agio di inserirsi, di comprendere gli
usi e costumi locali. Si installano nell’unico albergo del posto, “La locanda
del Cervo”, deserta dato il periodo (siamo nell’autunno inoltrato del ’53),
coccolati dalla bella locandiera (ci saranno divertenti schermaglie amorose tra
lei e Ciro, ma sono a latere della vicenda), ma non dai locali che, verso gli
stranieri, al solito si chiudono a riccio.
Ma Arrigoni è un commissario tenace, ed usa i
colloqui con le persone per arrivare a tessere la sua tela dove, prima o poi,
cadrà il ragno assassino. Da questi interrogatori, emerge pagina dopo pagina,
il quadro generale. Castagna, cinquantenne di bella presenza e di buon
patrimonio, ha la sua faccia ufficiale come imprenditore edile. Inoltre, ha da
non molto sposato la poco più che ventenne Marianna, bellezza locale in cerca
di ricca sistemazione. Vengono poi allo scoperto gli aspetti in ombra del
Castagna. Data la vicinanza con la Svizzera, il morto era uno dei più rinomati
contrabbandieri locali (in particolare di sigarette, una delle maggiori fonti
di guadagno all’epoca), attività che gli consente di avere una buona
disponibilità economica, che sfrutta con la sua terza occupazione, prestare
denaro a tassi usurai.
Arrigoni si trova così tre possibili moventi:
i possibili amanti (Marianna ed il giovane edile di Castagna), una lotta tra
contrabbandieri oppure una vittima dell’usura. Ovvio che il metodo Crapanzano
si addentra negli interrogatori della gente del paese, seguita da riassunti con
lui, Ciro ed il maresciallo, intorno ad un tavolo, con un grappino ed un
toscano.
Si parla con Tarcisio, il panettiere che ha
pochi soldi e figli da mantenere. Si parla con Marianna che delucida l’inconsistenza
di un suo coinvolgimento (sarà…). Si parla con Manzana, un marinaio in odore di
contrabbando che si è ritirato sui monti (perché?). Si parla con Angelo,
l’arrogante futuro amante di Marianna. Si parla con il gestore del bar (l’unico
che confessa l’usura). Si parla con il padre di Castagna, che punta deciso il
dito su Marianna. Insomma, si parla con tutti. Ma sarà un dettaglio sfuggito
nelle prime pagine, un accendino, che farà scattare la famosa scintilla di
Arrigoni.
In conclusione, una lettura piacevole, dove
si narra del quotidiano attraverso le gesta normali di personaggi normali.
Niente colpi di scena, nessun supereroe, ma poliziotti normali che affrontano
indagini a volte complicate, seguendo logica e intelletto. Unico difetto è che
la normalità non affascina, e nessun personaggio rimane realmente nel cuore. Ma
va bene così.
Io poi trovo sempre una spigolatura che mi
solletica la memoria, come qui, quando parlando di quell’anno eponimo, durante
una cantata di Ciro, esce finalmente fuori una canzone che mi riporta alla
grande il mio io bambino. Si parla infatti di “Vecchio scarpone” di Gino
Latilla (ricordo per i più giovani il ritornello: “Vecchio scarpone, quanto
tempo è passato, quanti ricordi fai rivivere tu”.)
Spezzo infine la mia lancia contro gli
esperti di mercato che hanno messo in quarta di copertina la frase che dovrebbe
acchiappare il lettore distratto: “una vicenda in cui dietro le apparenze si
cela una terribile verità”. Sfido chiunque a trovarne un riscontro in tutto il
libro.
Maurizio
de Giovanni “Un volo per Sara” Rizzoli s.p. (regalo di Alessandra)
[A: 24/06/2022
– I: 25/12/2022 – T: 26/12/2022] &&
e ½
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 251; anno: 2022]
SARA6
Credo solo Simenon e Camilleri, e forse Agatha
Christie, siano più presenti di de Giovanni nella mia libreria. Comunque,
questo è il trentasettesimo volume che leggo dell’autore, e l’ultimo, in ordine
di uscita, della serie dedicata a Sara, capostipite di una delle sottoserie
rispetto al successo maggiore, quello del commissario Ricciardi, di cui
aspettiamo la prossima uscita.
Una serie cominciata in sordina, con un
tentativo d’assaggio, che però ha dato i suoi frutti, tanto da convincere
l’autore di progredirne nella stesura. Il problema, ora, dopo aver
caratterizzato i personaggi maggiori, è un’inutile ripetizione ciclica delle
storie. I soliti capitoli in corsivo, che rimandano ai periodi precedenti alla
storia che stiamo seguendo, non fanno altro, purtroppo, che ripercorrere
vicende note. Come in questo caso, che, a noi fedeli lettori, poco apportano di
nuovo. Che ci viene riproposto, anche troppo lungamente, il percorso che portò
a suo tempo la protagonista, Sara, ad abbandonare marito (non amato) e figlio
(per necessità), in modo da seguire il suo cuore, improvvisamente persosi per
Massimiliano.
Noi poi già sappiamo, dalle puntate
precedenti: che Sara e Massimiliano hanno vissuto una lunga ed appagante storia
d’amore, conclusasi con la morte per tumore di Massi, che Sara, dopo quella
morte, cerca di ritrovare Giorgio, il figlio lasciato, e lo ritrova solo quando
questo muore in un investimento (descritto nel primo libro), che, morto il
figlio, trova però la nuora, Viola, incinta, e che darà alla luce un vispo
pargoletto.
Sempre dalle puntate precedenti vediamo
introdursi nel mondo di Sara e Viola, l’ispettore Davide Pardo, l’unico sempre
dalle parti della giustizia, probabilmente “innamorato” della giovane Viola, di
sicuro colmo di affetto per il piccolo, ma accompagnato da un cane improbabile,
Boris, un Bovaro del Bernese, che adotta il piccolo come sua pecorella. Per vie
traverse ed imperscrutabili, Sara, con l’analisi dei comportamenti delle
persone, Viola, con il suo limpido talento da fotoreporter, e Davide, con la
forza della legge e delle conoscenze nell’ambiente, costituiscono, nel corso
del tempo, un trio investigativo di prim’ordine.
A completare il mondo dei buoni, dal passato
di Sara, emergono poi Teresa, la sua inseparabile compagna fin dai tempi
dell’Unità investigativa guidata da Massimiliano, e che ora ne è diventata il
responsabile. E Andrea, un cieco (ma lui si definisce ancora ipovedente) che
utilizza i quattro sensi rimastigli molto meglio di tutta la gente cosiddetta
normale.
Nelle pieghe, si infila anche un rumeno, tal
Nikolaj Popov, coinvolto in passato in oscure trame, salvato da Sara, sparito
nell’ombra, ma diventato un medico di prim’ordine, l’unico che con un
intervento rischioso riesce a salvare la vita del piccolo di Viola. Ne parlo
qui, perché in questo volume, c’entra di sfuggita, con alcuni passi (inutili
per la trama principale), ma che rimangono in sospeso, così che se ne può
ipotizzare l’uso in un prossimo futuro.
Fatto il ricapitolo, la storia in sé cerca di
collegarsi ad uno dei tanti misteri italiani legati a tangentopoli. Corruzione,
collusione, e prove che spariscono. Così che, su di un jet privato che si
inabissa nel Tirreno, era presente una segretaria proveniente da quegli anni
Novanta. Da dove ne uscì indenne, così come il suo capo, ma con un bagaglio di cassette
che, se rese pubbliche, farebbero scoppiare bolle ormai sopite.
Poiché a suo tempo la allora signorina era
stata quasi al centro di indagini, poi abbandonate, ora alla sua morte, Sara ed
i suoi accoliti sentono puzza di bruciato. Ma, al solito, Teresa non può
indagare, ordini dall’alto. Ci penseranno Andrea, che ascoltando brani
televisivi scopre alcuni altarini. Viola, che con il suo teleobiettivo riesce a
captare immagini compromettenti, che Sara, con la capacità di leggere i
labiali, interpreterà per unire tutta una serie di puntini.
Le trame dei cattivi saranno grandemente
sventate, ma i cattivi più cattivi rimangono sempre, e i nostri, di sicuro, chi
più chi meno, sono nel mirino per fare una brutta fine. Che non sarà di questo
libro, cosa che rimanda a possibili nuove uscite.
Purtroppo, rispetto agli ultimi due romanzi,
che, in qualche modo, si legavano a fatti avvenuti o di possibile avvenimento,
qui si ripercorre una strada abbastanza trita. I legami tra potere e
corruzione, senza portare particolari elementi di interesse. Una trama gialla
abbastanza scontata, anche se, pure qui, si aprono spiragli di future nuove
puntate. Viene meglio la parte privata, i profili personali e psicologici dei
vari personaggi, principali e non, con una scorrevolezza che ci mostra come de
Giovanni, superati qualche impasse, possa tornare a scrivere in maniera
egregia, come ci aveva abituato ad inizio carriera.
Pregherei
infine, come ho già detto in altre recensioni, gli editor della Rizzoli di
evitare i siparietti finali, con le descrizioni dei personaggi, e delle loro
piccole storie. Primo, non siamo a scuola che dobbiamo redigere sunti e
commenti senza scordarci chi fa cosa. Secondo, ma questo è anche colpa
dell’autore, leggete i serial alla Michael Connelly. Si spandono per decenni
della vita dei protagonisti, ma non ne viene fatto di certo un bignamino
finale.
Maurizio
de Giovanni “Caminito (Un Aprile del commissario Ricciardi)” Einaudi s.p.
(regalo di Francesco)
[A: 24/12/2022
– I: 01/01/2023 – T: 02/01/2023] &&&
e ½
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 269; anno: 2022]
RICCIARDI14
Ci sono voluti tre anni perché l’esimio de
Giovanni riuscisse a staccarsi dai personaggi secondari, dalle serie di
contorno, e tornasse alle storie che lo hanno lanciato, nel mio cuore, ma anche
in quello di moltissimi lettori. Eccoci allora, come indicato sopra, al
quattordicesimo volume della serie dedicata al commissario Ricciardi.
Una ripresa pensata e discretamente ben
realizzata (credo merito della maturazione dello scrittore) anche se più votata
alle storie personali dei personaggi che ad una storia “noir” o poliziesca, la
cui trama, pur presente, non prende molto, e soprattutto si risolve in un
finale abbastanza veloce.
Rilevo con piacere che sono stati ridotti
all’osso (ce n’è solo uno) gli inserti in corsivo, mentre tutta una parte della
storia, molto legata al titolo, si riduce ai tre capitoli introduttivi di ogni
sezione del testo, senza che ne aumenti l’interesse. Anzi, sembrano quasi
capitoli posticci, forse utili ad un successivo e prossimo libro. Ma su questo
torneremo in seguito.
I filoni del romanzo, come detto, seguono
molto l’evolversi dei personaggi, ed un piccolo loro intreccio con il filone
poliziesco. Per questa parte c’è la scoperta di una coppia uccisa mentre era in
corso un amplesso in un luogo appartato. Potrebbe essere un delitto spurio,
magari di un voyeur o simili, se non fosse che l’uomo, tal Paolo, è un
ufficiale della marina civile, ma soprattutto un corriere che recapita
biglietti e notizie dal confino di Ventotene alla terraferma. La donna, tal
Teresa, è una bella figliola popolana, di una famiglia sull’orlo della
bancarotta, che sta tramando affinché Teresa si accasi con tal Carlo, un
possidente nonché contrabbandiere e camorrista ben in vista nella periferia
cittadina. Anche se queste notizie impiegheranno duecento pagine per arrivare
al nostro commissario.
Si vede però, da tale presentazione, che
appunto sono due i filoni possibili di indagine: un’esecuzione fascista, data
la natura di Paolo, o una vendetta (o simile o casuale) data la presenza di
Teresa. Per rimpolpare il testo, il nostro scrittore ci presenta siparietti
della vita dei due, attraverso le parole di altri marinai o di compaesane di
Teresa, financo le illuminazioni della sorellina di lei, Nunziatina, che forse
sa più di quanto sembri, ma non sa cosa farne.
Lo spirito antifascista di Paolo permette di
inserire nel contesto sia un minimo di ribellione al sistema del simpatico
dottor Modo, anche se i suoi pochi interventi sono un po’ sopra le righe e non
sempre ben centrati. Ma consente anche di riprendere la figura del responsabile
ombra della polizia politica, che avevamo conosciuto in episodi precedenti.
Un filone trasversale al testo riguarda la
famiglia Maione, quella del brigadiere aiutante del commissario. Anche qui, da
precedenti puntate, avevamo visto i nostri adottare la piccola Benedetta,
rimasta orfana. Ora assistiamo all’arrivo dei parenti americani che la vogliono
con loro, con molta arroganza e prosopopea. È una dura lotta, tra sentimenti e
magari possibilità di migliorare la propria precaria condizione. Una lotta che
verrà presa in carico e risolta dalla ormai famosa Bambinella, uno dei
personaggi più simpatici del lotto.
Rimane da prendere in mano la famiglia
Ricciardi. Il precedente romanzo finiva con la morte di parto di Enrica, e con
la nascita di Marta. Ora sono passati cinque anni, siamo nell’aprile del ’39, e
Marta cresce. Accudita in casa dalla tuttofare Nelide e cresciuta
nell’educazione dalla contessa Bianca, una quasi ex-fiamma di Ricciardi, che
dedica una parte significativa della sua vita a Marta, aiutata dalla maestra
Edna, e da uno strano ragazzo, Federico, coetaneo della piccola. Seguiamo tutti
gli inni d’amore che Ricciardi rivolge alla sua morta Enrica, ed al timore
(suo) che Marta abbia ereditato quella che chiama la maledizione dei Malomonte,
quello di vedere e sentire le ultime parole dei morti di morte violenta.
Ci mette tutto il libro per capire se
sottoporre Marta ad una prova dirimente il problema, con un risultato buono per
tutte le stagioni. Che si capisce, ma da pagina dieci, che forse i problemi
sono altri.
Tra l’altro, le famose parole che Paolo e
Teresa pronunciano saranno decifrate nel famoso veloce finale, ma non sono
utilizzate come nei primi romanzi, dove avevano un impatto ed un significato
molto maggiore.
Finiamo adunque con il titolo. La canzone
viene per la prima volta citata nell’undicesimo romanzo, “Rondini d’inverno”,
quello in cui Ricciardi si dichiara ad Enrica. Per poi ritrovarsi, fidanzati
prima e sposati poi, a percorrere una stradina (il “caminito”) e sedersi a
ragionare. Ora, sebbene anche qui Ricciardi torni alla stradina e vi trovi la
forza per uscire dalla sua tristezza e riaffrontare la vita, questo non giustifica
il titolo messo (mentre il sottotitolo ci sta).
Per cui Ricciardi si inventa quelli che ho
citato prima, i capitoli argentini dove una donna in fuga dall’Italia (e noi
dalla seconda riga sappiamo già che posso essere) si reiventa cantante a Buenos
Aires, e de Giovanni ci appalla a lungo sull’esegesi del tango, su come si
canta, sui sentimenti di chi la canta. Capitoli inutili, se non, appunto, per
aprire scenari futuri agli sviluppi narrativi.
Tra l’altro, e con molta più aderenza, la
canzone è presente nel bellissimo libro di Osvaldo Soriano, “Un’ombra ben
presto sarai”, dove, quando ne parlai, mi presi una lunga parentesi proprio per
questo tango. Di cui riporto solo una notizia, per i miei amici viaggiatori. La
strada “Caminito” è una delle più belle e colorate del quartiere de La Boca a
Buenos Aires. Ma è la strada ad aver preso il nome dal tango, e non viceversa.
Infatti, il tango come noi lo consociamo venne confezionato unendo un testo ed
una melodia, entrambi esistenti da soli, in una sessione di pensieri e musiche,
in Buenos Aires, e precisamente al numero 300 di calle Florida.
Non posso non finire con una menzione da
universo personale. Da sempre, io, ma anche Ale e Benedetta, siamo golosi di
quel piatto di origine nordica indicato come “ratatouille”. Qui, a pagina 122,
finalmente de Giovanni toglie anche un velo al piatto e lo chiama così come
l’ha sempre chiamato mia madre, che ne era anche lei ghiotta. Nel meridione si
chiama “cianfotta”.
Comunque, il libro l’ho letto di gusto, anche
nelle parti meno convincenti. Dato che proprio l’impianto generale delle storie
di Ricciardi è quello che tiene, senza che l’autore riesca ad indebolirne la
resa, anche quando inserisce parti meno consone al contesto generale.
A quando il prossimo Ricciardi?
Come tutte le prime letture del mese, diamo
uno sguardo ad i libri passati sotto i miei occhi nel mese di marzo. Un buon
bottino (16 libri) anche se tutti molto sulla media di lettura. Se ne stacca,
anche se di poco, una lettura del mio tardivamente amato Colin Dexter, mentre
non mi ha lasciato una grande impressione il libro che raduna una buona messe
di articoli di Leonardo Sciascia.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Carlo Cottartelli |
Pachidermi e pappagalli |
Feltrinelli |
s.p.
|
2 |
2 |
Dino Buzzati |
Bàranbo delle montagne |
Repubblica Montagna |
9,90 |
2 |
3 |
Lalla Romano |
Pralève e altri racconti di montagna |
Repubblica Montagna |
9,90 |
2 |
4 |
Leonardo Sciascia |
Candido |
Repubblica |
8,90 |
3 |
5 |
Alberto Vigevani |
I compagni di settembre |
Repubblica Resistenza |
7,90 |
2,5 |
6 |
Italo
Calvino |
La
speculazione edilizia |
Repubblica |
9,90 |
3 |
7 |
Leonardo Sciascia |
Il mare colore del vino |
Repubblica |
8,90 |
2,5 |
8 |
Andrea Camilleri |
Le pecore e il pastore |
Repubblica |
8,90 |
3 |
9 |
Leonardo Sciascia |
A futura memoria |
Repubblica |
8,90 |
1,5 |
10 |
Haruki Murakami |
Tutti i figli di Dio danzano |
Corriere |
8,90 |
3 |
11 |
Paolo Cognetti |
Il ragazzo selvatico |
Repubblica Montagna |
9,90 |
3 |
12 |
Colin Dexter |
Le figlie di Caino |
Sellerio |
s.p.
|
3,5 |
13 |
Brigitte Glaser |
Assassinio à la carte |
Repubblica Emozione Noir |
7,90 |
2 |
14 |
Andrea Camilleri |
La guerra privata di Samuele |
Sellerio |
s.p.
|
2,5 |
15 |
Anita
Nair |
La
ferocia del cuore |
Repubblica Passione Noir |
7,90 |
2,5 |
16 |
Guillaume Musso |
La ragazza e la notte |
Repubblica Emozione Noir |
7,90 |
3 |
Visto
che abbiamo parlato di gialli italiani, anche le citazioni si adeguano. Anche
se, come tutte le frasi che rimangono nella memoria, poi parlano d’altro. Due
gialli mondadoriani. In uno, “Legame
di sangue” di Roberto Riccardi si parla di sentimenti: “Io i miei
sentimenti li ho ‘messi a fuoco’ da un pezzo. Ti voglio bene. E proprio perché
è così, ti auguro con tutto il cuore di avere ciò che vuoi” (83) e “Tu meriti
di stare con un uomo che nutra i tuoi stessi sentimenti. Quell’uomo non sono
io” (106).
Nell’altro, “La porta sulle tenebre” di Massimo Pietroselli si parla del tempo che scorre: “Chi
dice che il passato è passato? Caso mai è il contrario, il passato non passa
mai.” (94).
E seppur è vero che il tempo passa, anche se il passato rimarrà sempre nelle nostre menti, si deve guardare in avanti, ai prossimi traguardi e, perché no, ai prossimi viaggi, dove pare si ricominci a guardare ad Oriente, con un viaggio che riporta alla mente un Capodanno di quindici anni fa. Motivo per cui abbraccio doppiamente i miei compagni di allora e abbraccio singolarmente tutti gli altri.
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