domenica 18 giugno 2023

Una Battaglia per ... - 18 giugno 2023

Avrei continuato con una felice battuta (per Tuti …), ma sarebbe stato troppo facile per voi smaliziati lettori arrivare alla soluzione. Quindi lascio i puntini e confesso di aver letto i libri di Ilaria, dopo aver visto lo sceneggiato, interessante seppur non eccelso, con un’ottima interpretazione di Elena Sofia Ricci. Comunque, una buona lettura che presto continuerò con altre opere della scrittrice. Questa volta contornata da un altrettanto buon libro di Massimo Carlotto, che sapete per me parte sempre con un libro di vantaggio. Mentre rimangono defilati un giallo un po’ troppo “mixed” di Pulixi ed una storia d’annata di Facco de Lagarda (anche se poi ne sottolineo la trasposizione in immagini).

Piergiorgio Pulixi “Lo stupore della notte” Corriere Profondo Nero 17 euro 7,90

[A: 06/11/2019 – I: 09/06/2022 – T: 10/06/2022] && 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 361; anno: 2018]

Avevo conosciuto il nome di Pulixi quando scriveva nel collettivo “Mama Sabot”, un collettivo di scrittori nato sotto l’egida di Massimo Carlotto. Non ne avevo però seguito le tracce quando, diventato autore indipendente, ha messo in scena alcune scritture seriali che i conoscitori del genere ritengono interessanti. Lo ritrovo ora con un’opera compiuta ed isolata, con una scrittura interessante nella prima parte, ma con una troppo complicata e veloce discesa nel finale verso soluzioni dei drammi inscenati forse poco risolti.

La trama si sviluppa quasi come in un “procedural thriller”, con un’attenzione abbastanza corale, sia a chi indaga sia a chi è indagato. Anche se una speciale attenzione è dedicata a Rosa Lopez, ispettrice di polizia, da sempre impegnata nella lotta contro il crimine.

La vediamo nel prologo, con la sua squadra, ingaggiata in una lotta contro la ‘ndrangheta calabrese. Un prologo un po’ sbilenco, che avrà un senso molto più avanti nella trama. Poi, con un forte salto temporale di circa 15 anni, la troviamo a capo di un’unità Speciale della lotta al terrorismo, all’interno della DIGOS di Milano.

La difficoltà, e poca appetibilità, del narrato è che, per seguire le varie piste delle procedure poliziesche e delle trame terroristiche, si salta di palo in frasca capitolo dopo capitolo, una tecnica narrativa che, se non ben padroneggiata, a volte lascia qualche dubbio nel lettore. Chi agisce qui? Mi sono perso qualche attore del dramma? In che parte della città siamo?

Abbiamo quindi dei nuclei narrativi differenziati. C’è la squadra calabrese di Lopez, che compare nel prologo, e che, salvo qualche telefonata, scompare dal racconto. C’è la squadra milanese, che, lottando contro terrorismi islamici, parla correntemente l’arabo. Ognuno con una sua caratteristica: il portavoce ufficiale, che Rosa non ha dimestichezza con il grande pubblico, l’esperto informatico, reduce da oscure campagne mediorientali, ed il vice di Rosa, che ne è anche innamorato, pur non ricambiato. C’è il pool di amanti – amori di Rosa: Rocco, suo capo in Calabria, ucciso a suo tempo dalla banda calabrese; Giulio, a suo tempo secondo di Rosa, in coma d due anni per un attentato (non si sa di chi); Alessandro, il medico straricco e nuovo amante di Rosa. Ci sono i vari dirigenti delle varie sezioni poliziesche, che ci perderemo a seguirne nomi e azioni. C’è infine il gruppo americano, emanazione più o meno diretta dei Servizi Segreti, con una base di “interrogatori speciali” a Milano, e vi lascio immaginare cosa voglia dire.

Dall’altra parte, ci sono i “cattivi”. Terroristi o affiliati, ognuno con delle storie alle spalle, che Pulixi ci narra, un po’ asetticamente, senza entrare in giudizi particolari (e questo è un bene per la narrazione), ma anche senza farci entrare in nessun rapporto con le loro vicende pregresse. Narrate ma non sempre decodificabili. Su tutti, il burattinaio, chiamato il Maestro, che tira le file dei terroristi e che sta organizzando uno o più attentati sul suolo italiano. Maestro abile, conoscitore di più cose di quante si possa immaginare. E con un’acuta mente criminale.

Di sfuggita, Pulixi afferma che ci sono pochi attentati in Italia per una sorta di filo rosso delle armi e dei sostegni per cui qualcuno, non si sa dove né perché, fornisce coperture ai terroristi. Quasi che in Italia resistesse il filone “né con lo Stato né con le BR”.

Dopo circa trecento pagine di preparazione, al fine l’azione si fa intensa, ma anche assai affrettata. Riusciranno Lopez ed i suoi a sventare le minacce? Si scoprirà chi sia il Maestro? Si capirà perché si parlò di Calabria? Ed altre domande che mi sono fatto, ma che lascio alla dinamica narrativa di farvi scoprire. La scrittura di Pulixi non è di certo consolatoria, ma crudele e reale, come lo è il mondo in cui viviamo. Tuttavia, la trama, che vuole essere aderente alla nostra realtà, alla fine non prende molto. O non mi prende molto.

Come non mi ha preso dover aspettare centinaia di pagine per capire il senso del titolo, che fin dall’inizio ho collegato alla bellissima canzone di Mina su testo di Maurizio Costanzo, ma che, appunto non si riusciva a collegare a nulla.

Massimo Carlotto “La signora del martedì” E/O euro 16,50 (in realtà, scontato 11,50 euro)

[A: 30/01/2020 – I: 22/12/2022 – T: 23/12/2022] &&&   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 212; anno: 2019]

Siamo alla mia lettura del venticinquesimo libro di Carlotto, uno degli autori più presenti nella mia libreria. Con un romanzo che risale la china delle ultime uscite, anche se non si raggiungono ancora le vette toccate dalla serie dedicata all’Alligatore (di cui non parlo, che chi l’ha letta mi capisce) o delle puntate “politiche” in Argentina.

Anche perché si sa, ed io ne ripeto poco, la mia propensione personale per questo autore, sia per le sue vicende giudiziarie, sulle quali entro poco, e solo per quanto concerne questo libro, sia per le sue scritture quasi trentennali, sia infine per quell’incontro, all’inizio della sua carriera, in una presentazione presso la libreria Odradek di Roma. Si era in pochi, ed alla fine si parlò amicalmente a ruota libera. Una bella serata ed un buon ricordo.

Come spesso nei libri del nostro amico patavino, anche in questo romanzo i personaggi sono molto “grigi”. Non nel senso che siano tristi ed incolori, ma che hanno quella mescolanza di buono e cattivo, che porta ad un effetto misto. Ricordo ancora il mio piccolo amico Giansi che quando gli spiegai il buono ed il cattivo, lo yin e lo yang, mi rispose illuminato, “Ah, lo zozzo e il pulito!”.

Forse il meno “mixed” è Bonamente, un attore porno sulla via del ritiro dalla professione, che anche solo quarantenne ha avuto un ictus. Gli rimane l’attività di riserva come gigolò, nonché il fatto di essere accudito dal signor Alfredo, un travestito che gestisce una pensione, ora anch’essa in declino, ed a suo tempo frequentata da molti simpatici gay.

Al nostro eroe del letto rimane solo una luce positiva. Il martedì, dalle 15 alle 16, una giovin signora usufruisce delle sue prestazioni. Da ben nove anni, prima come una routine, poi sempre con più trasporto, da parte di Bonamente, mentre la signora, a parte delle interessanti divagazioni sui superalcolici, sembra rimane attestata su di una routine e basta.

Inciso, anch’io, come l’autore, mi perito di ringraziare Silvia Rota che ha fornito a Massimo utili suggestioni non solo sul whisky, cosa abbastanza semplice, ma anche su rum e gin. Buone giuste bevute a tutti.

La routine si spezza in seguito ad una serie di concatenazioni possibili se non probabili. Come detto Bonamente, post-ictus, è accudito dal signor Alfredo, che a sua volta sta invecchiando, ed ha paura di rimanere solo, o che la signora del martedì faccia soffrire il suo protetto. Per cui, segue la signora, scopre che vive con un maturo avvocato, che affronta e dopo un alterco, investe ed uccide.

Ciò ci dà modo di entrare nel vivo di altri due personaggi: Alfonsina detta Nanà, la signora del martedì, e l’investigatore dagli stivali texani, mai indicato per nome, ma che assume il ruolo di Harvey Keitel come Mr. Wolf in “Pulp Fiction”.

Nanà è un’ex-prostituta, balzata agli onori della cronaca come possibile assassina del suo anziano protettore. La gogna mediatica la condanna, ma lei viene assolta, pur se non pienamente. L’avvocato che sa chi è il colpevole, ma non può parlare, preso dai sensi di colpa, la prende sotto la sua ala protettrice. Diventa un padre per lei, e sotto di lui Nanà rinasce. Trova una sua strada, ma per il sesso si rivolge a Bonamente.

Tuttavia, quando Nanà scopre le malefatte involontarie del signor Alfredo, sarà il texano a trovare il modo di cancellare tutte le prove e gli indizi. Meno uno, cui provvederà il travestito, ma che per quello dovrà fuggire e tornare nel suo amato Portogallo (tant’è che la pensione si chiamava “Hotel Lisbona”).

E sarà sempre il texano, dopo più di un anno di quiete, a trovare il modo di risolvere gli ultimi problemi di Nanà e Bonamente.

Ripeto, i personaggi di Carlotto non sono mai limpidi, anche se, spesso, sono “travolti da un insolito destino”. Sono tutti sul sottile filo tra la luce e lo scuro, che la vita non consente (spesso) di aver sempre la fortuna dalla propria parte. In più, in questo libro che esce più di 40 anni dopo i fatti di Padova, Carlotto fa finalmente anche i conti con la carta stampata, accusata di volere la gogna mediatica di un imputato a prescindere dalla sua colpevolezza o meno. Ma anche fa i conti con certo potere giudiziario, che usa i giornali per pilotare le inchieste.

Carlotto, e fa bene, si leva qualche sassolino dalle scarpe. A me, nel fondo, non dispiace che anche in questa prova, pur senza strafare, riesce ad instillare il dubbio su chi sia veramente colpevole, e quanto circostanze indiziarie possano portare a stravolgere la realtà.

Ugo Facco de Lagarda “Il commissario Pepe” Corriere Noir 20 euro 8,90

[A: 16/12/2022 – I: 20/01/2023 – T: 21/01/2023] && e ½   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 124; anno: 1965]

L’ultimo titolo proposto da Carlo Lucarelli per una selezione di “Noir” pubblicati dal Corriere della Sera. Una selezione di venti titoli, non tutti veramente dello stesso livello, e spesso molto altalenanti. Come questo, che credo sia stato inserito per il suo valore filologico e storico, piuttosto che per un grande momento “noir”.

Anzi, a voler essere pienamente sinceri, direi che il noir è praticamente assente, mentre si svolge una storia che dipinge, qui sì con capacità ed ironia, un tipico aspetto dell’Italia del boom economico. Siamo infatti nell’aprile del 1964 quando il libro entra nel vivo, per poi uscirne poco dopo il mio undicesimo compleanno.

Di certo, tuttavia, è un libro complesso, scritto in un italiano forbito e colto, tanto che, andando a cercare dell’autore, si scopre che per anni è stato direttore di banca. Ma anche scrittore di poesie di stampo carducciano, nonché partigiano durante la Resistenza, arrestato dai nazifascisti verso la fine della guerra, fortunatamente salvatosi. Tra l’altro, molto legato al Veneto, dove vide i natali a Venezia, e dove ambienta molte opere, tra cui questa che, seppur nessun luogo è citato, per la descrizione generale sembra proprio possa trattarsi di Vicenza.

Perché parlo di un buon libro, ma non di un buon libro giallo? In effetti, non è che, data l’assenza di morti, si debba per forza escludere il genere. È che, in realtà, seguiamo il commissario Pepe nella sua indagine, ne vediamo i passi, le difficoltà, la raccolta di testimonianze. Ma tutto velato da un senso di altro. Tanto che ho il sospetto che l’autore sia stato più interessato appunto a questo “altro”, piuttosto che a scrivere un giallo. Che tra l’altro, venendo poco dopo Gadda, sembrava avere tutte le possibilità per inserirsi in un filone inedito, uno spaccato dell’Italia vista da un’ottica istituzionale, o quasi.

Personaggio centrale e cruciale, è il commissario Gennaro Pepe, nordicissimo nonostante il nome poco veneto, dovuto ad un’immigrazione che si perde nella notte dei tempi, e ad un uso di riproporre nomi aviti ai nuovi nati. Gestisce il commissariato senza voler troppo dannarsi, aiutato dal vice Cerveteri e dal maresciallo Zanon. Pepe è dedito al basso profilo, solo accontentandosi di periodiche visite alla signora Matilde, signora benestante e compiacente alle reciproche voglie.

In tutta una prima parte, lo scrittore ci immerge nel clima di questa cittadina, governata da cinque miliardari e da un Vescovo, ma che presenta tutti gli strati della popolazione italiana. I potenti appunto, economicamente o per ceto, una borghesia che si sta arricchendo, ed uno strato popolare che, a volte, stenta ad arrivare alla fine del mese, con conseguenti arrangiamenti vari. Insomma, una tipica cittadina italiana negli anni del boom economico.

Qui, appunto, il 30 aprile 1964 scoppia la bomba. In base a denunce anonime, Cerveteri e Zanon presentano al commissario un dossier su presunti scandali sessuali. Due luoghi di scambi di favori, a fronte di compensi vari, “Villa Norma” frequentata dalla buona società e “Piazza Cavour 113” ritrovo della piccola e media borghesia.

Il commissario indaga, chiedendo ospitalità alla sua Matilde per aver mano libera nelle indagini senza dover passare per una questura che avrebbe messo tutti in difficoltà. Il romanzo trascorre le sue pagine seguendo le indagini del commissario, gli interrogatori, le ammissioni, e le scoperte anche più sorprendenti. Festini con giovanotti vestiti da donna, case d’appuntamento in cui sono coinvolte delle minorenni, industriali pederasti, sportivi sessualmente compiacenti, contesse trasformatesi in tenutarie. Un gran calderone dove tutti sono coinvolti, anche parenti prossimi dei suoi sottoposti.

Pepe è combattuto tra far scoppiare la bomba o tacere. Prenderà la sua decisione in base a due elementi che sopravvengono nella seconda metà del breve testo. La scoperta di una sua possibile brutta malattia e quella di foto osé della sua Matilde. Ovvio che non vi dico quale sarà la sua scelta.

Ribadendo la buona scrittura, ma anche la poca ricettività che ebbe all’epoca della sua prima uscita, forse perché toccava tasti troppo dolenti dell’Italia in crescita (Facco de Lagarda non risparmia proprio nessuno), lo considero in ogni caso un buon libro, poco noir.

Non è quindi un caso che l’attento Ettore Scola ne fece un bel film nel 1969, interpretato dal sempre solido e nella parte Ugo Tognazzi. Dove contesto a Scola aver scelto di cambiare il nome di Pepe da Gennaro ad Antonio, ma plaudo al regista nella scelta di affidare la colonna sonora ad Armando Trovajoli.

Ilaria Tuti “Fiori sopra l’inferno” Corriere Profondo Nero 9 euro 7,90

[A: 13/09/2019 – I: 13/02/2023 – T: 15/02/2023] &&&   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 363; anno: 2018]

Visto che è cominciata la relativa serie TV, mi sono affrettato a leggere il primo libro dei casi di Teresa Battaglia, che sono sempre curioso di capire la trasformazione di un libro in un prodotto diverso. Anche se probabilmente dovrò rimandare il giudizio comparativo a quando tutto il serial sarà stato trasmesso.

Allora, per ora, ci possiamo dedicare al libro, alla scrittrice ed ai personaggi.

Ilaria Tuti, intanto, mi stava già simpatica essendo friulana di Gemona (oltre ad essere giovane, e quindi, spero, promettente scrittrice). Secondo motivo è la vicinanza con la mia amica Luana, che anche Ilaria comincia come illustratrice, sia di fumetti che di libri per ragazzi. Per poi arrivare al successo ed alla (giusta) fama con questo libro, e con i seguenti dove imposta una miniserie (per ora di quattro libri) imperniata sul commissario – profiler Teresa Battaglia.

Essendo il primo volume, anche se in maniera non lineare, cominciamo a conoscere i protagonisti, anche se su Teresa torniamo poi. Il più importante sembra essere l’ispettore Massimo Marini, che ha chiesto il trasferimento dal sud Italia per (ad ora) imprecisati motivi, e che si muove come un elefante in un negozio di cristalli. Si veste da città pur dovendo lavorare in montagna, effettua sempre (per ora) interventi fuori misura, mettendosi in urto con Teresa. Anche se capiamo che il commissario è burbero, scontroso, ma non stupido. Certo, quando Marini non si domanda se il commissario possa essere la donna che ha davanti o quando porta a Teresa bignè fritti, non sapendo lei essere diabetica, fa un po’ una figura barbina. Tuttavia, se instradato e diretto, può rivelarsi un buon cane da tartufi.

Poi ci sono i poliziotti, Parisi e Di Carlo (che nel film saranno uniti in un unico personaggio di simpatica spalla), il patologo Parri, illuminante nelle sue brevi parole sulle morti, ed altri contorni per ora poco evidenziati.

Veniamo ora al commissario. La figura è discretamente potente, intuitiva, ma anche sufficientemente fragile. Dal punto di vista “thriller”, è un buon commissario, ma soprattutto un ottimo profiler, che non si perita di mandare avanti le proprie opinioni, anche con pochi elementi analitici. È chiusa e burbera, forse per mantenere un distacco con il mondo, che sicuramente l’ha ferita. Da alcune parole, direi che deve essere stata sposata con un marito violento, che, probabilmente, a base di percosse, l’ha fatta abortire. Ma queste sono mie illazioni. Deve anche gestire due grossi problemi fisici: è diabetica, ma tende ad ignorare i controlli, tanto da rischiare, a volte, di avere shock ipoglicemici, e, ipotizzo, sta avendo un inizio di malattia degenerativa, probabilmente Alzheimer, che ogni tanto scorda nomi e cose, rimanendo confusa (ed indifesa). Fortunatamente, ha collaboratori che la sostengono, dove, credo, ben presto si inserirà anche il giovane Marini. 

Per quanto riguarda invece la trama gialla, abbiamo un po’ di alti e bassi. In un piccolo paese a nord di Udine, verso l’Austria, si verificano fatti inquietanti. C’è un morto, poi ci sono alcuni attacchi verso altre persone che portano a mutilazioni più o meno profonde. Senza tuttavia, in una prima e lunga fase, riuscire a trovare un nesso significativo.

Come contraltare delle vicende “nere”, seguiamo invece l’amicizia di quattro ragazzini che avranno dieci o forse undici anni. Mathias che ha un padre violento, una madre succube ed un fratellino nato da poco. Diego figlio di un ingegnere di rigidità estrema che ne tarpa qualsiasi moto di indipendenza, con una madre che si sta allontanando verso probabilmente nuove soluzioni di vita. Lucia con una madre che l’ha avuta sedicenne e che è completamente anaffettiva ed un padre discretamente tossico. Oliver, il piccolo, balbuziente, preso di mira dall’orrendo bidello della scuola.

Quando Teresa si accorge che il primo morto è il padre di Diego, che i menomati sono la madre di Lucia ed il bidello, e quando viene rapito il fratello di Mathias, capisce anche che sono loro, i ragazzi che devono essere il filo rosso della trama. Un filo che, e qui devo dire che, al solito, i flashback in corsivo risultano anche troppo espliciti, risale al passato ed a qualcosa che è di sicuro successo tra l’Austria, il paesino, le menzogne che vi girano ed uno strano convento di suore di clausura.

Sarà la capacità di empatia di Teresa e la dedizione alle indagini tradizionali di Massimo che porteranno alla soluzione del caso, aspettata ma in un certo senso anche nuova.

Mentre tutta la prima e seconda parte si regge, e stimola anche il lettore ad entrare nella trama, la risoluzione del caso risulta un po’ troppo scontata (anche se potrebbe aprire scenari per le successive puntate, vedremo).

Ilaria Tuti “Ninfa dormiente” TEA euro 9,90 (in realtà, scontato a 4,45 euro)

[A: 26/08/2020 – I: 19/02/2023 – T: 20/02/2023] &&&   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 475; anno: 2019]

Spinto dalla serie televisiva, non ho potuto fare a meno di passare subito al secondo libro di Ilaria Tuti, per avere caldo il pensiero sulle imprese di Teresa Battaglia, commissario di polizia. Un risultato, in questo secondo passaggio, interessante, di buon livello, con alcuni squarci positivi, ma anche con alcune zone d’ombra aumentate. Il bilancio è sempre in attivo, ma, sinceramente, mi aspettavo qualcosa in più.

Intanto c’è il mondo privato dei protagonisti che sempre più “invade” la quotidianità del racconto. Rimangono i due poliziotti supporter che sanno e non parlano, Parisi e Di Carli (ricordo che nella serie, per economia, vengono unificati in un solo personaggio). Ci sono patologi e medici vari, con un loro ruolo, ma sempre sullo sfondo. Ovvio che c’è l’alter ego di Teresa, l’ispettore Massimo Marini, di cui cominciamo a scoprire le ombre che sapevamo esserci, che lui stesso, con il suo comportamento, ci fa capire che ci siano. La strana morte del padre, di cui si sente colpevole tanto che è fermamente convinto di non avere interesse a proseguire la stirpe dei Marini. La presenza di Elena, già sua fidanzata, ma prima lasciata per i sensi di colpa relativi al rapporto con gli altri, poi qui ripresa quando si presenta a Udine, innamorata ed incinta. Andrà avanti la gravidanza? Andrà avanti il rapporto? Di questo leggetene.

C’è una new entry nel clan Battaglia, anzi una doppia entrata. Sono Blanca e Smokey. Lei ipovedente, lui cane da ricerca reperti insanguinati (nonché cane-guida di Blanca). Certo, un po’ sembra quasi volerci far entrare la simpatica Blanca di Patrizia Rinaldi (che ne pubblicò la prima puntata nel 2009 e che nel 2021 era l’eroina di una interessante serie televisiva). Fatto sta che Blanca è sicuramente problematica, ma, come tutti i ciechi, ci vede meglio di molte persone cosiddette normali. Darà una mano decisiva alle indagini, e penso (spero) ci sarà nelle altre avventure di Teresa.

Infine, c’è lei, il commissario, con tutti i suoi problemi attuali (diabete e sospetto di inizio di Alzheimer) ma anche con quelli passati (ex-marito violento che la malmenava e che le ha procurato l’aborto di cui porta dentro di sé tutti i segni). Proprio sull’aborto e sull’ex-marito si appunta l’attenzione quando compare un nuovo magistrato inquirente, Alberto. Noi si sospetta sia l’ex, ma lei nega. Tuttavia, il rapporto conflittuale tra i due è palese e molto forte.

La storia parte dal ritrovamento di un quadro che tutti credevano smarrito: la “Ninfa dormiente”, dipinto il 20 aprile 1945 dall’allora giovane Alessio Andrian. Un dipinto bellissimo, che colpisce tutti quanti, ma che è al centro della dolente storia del romanzo. Dalle analisi, risulta dipinto con il sangue, e dalle fattezze si risale all’identità della donna, Aniza, una valligiana scomparsa proprio al tempo del dipinto. Alessio potrebbe svelare i retroscena, ma da quel giorno non dice più una parola, restando seduto in poltrona a guardare il bosco in cui dovrebbero essere avvenuti i fatti.

Si risale così fino ai tempi della guerra e dentro la bella valle che fa da contorno alle indagini. Bella come tutte le valli friulane, e carica di significati, come poi torneremo più avanti.

I nostri indagatori si trasferiscono allora in Val Resia, per portare avanti le indagini. Lì trovano Alessio, muto, e ne sanno la storia. Partigiano con le bande di montagna, ma anche grande talento pittorico. A raccontare le storie c’è Raffaello, il fratello di Alessio, bimbo di sei anni all’epoca dei fatti, che lo avevano coinvolto insieme alla sua coetanea Ewa, nonché sorella di Aniza, che risulta morta da poco tempo. Come è morta Hanna, la figlia di Ewa. Nelle valli si aggirava anche un altro partigiano, grande solista di violino.

Dai racconti, si scopre che la loro cittadina nativa era stata anche teatro di tragici eventi. Un tedesco era stato quasi ucciso da un accidentale colpo di fucile, e come rappresaglia i nazisti avevano sconvolto la cittadina, uccidendo un innocente, ma soprattutto alla ricerca di un’icona che i nazisti stavano trafugando. Icona che vorrebbe il violinista, ma che scompare, e di cui solo Raffaello ed Ewa, forse, sanno qualcosa.

Nella notte di tragedia, Aniza cerca di raggiungere Adrian, mentre tutti gli altri, il violinista, Raffaello, Ewa, si aggirano per i boschi, anche se ognuno per suo conto. Poi, e voi scoprirete come, Aniza muore, Adrian la dipinge sotto le fattezze della ninfa e si chiude nel mutismo, e gli altri attori si dileguano. Chi, come il violinista, torna alla sua città. Chi come Raffaello farà un percorso di aiuto al fratello. Chi, come Ewa, continuerà a vivere nella valle, portando avanti (e qui il testo di Ilaria si fa un po’ fumoso) il matriarcato imperante nella valle stessa.

Affrontando i propri demoni, con l’aiuto di Blanca che troverà i resti di chi serve trovare, con un colpo di scena che coinvolge la figlia di Hanna, nonché nipote di Ewa, nonché sosia vivente di Aniza, con il sostegno di Massimo nei momenti difficili, Teresa troverà come ovvio il bandolo, mettendo (forse un po’ velocemente) i puntini finali alla storia.

Una storia che ovviamente sembra preludere ad altre avventure.

Ho lasciato per ultimo il ritorno nella valle. La Val Resia è in effetti una valle particolare, dove nel sesto secolo si insediarono popolazioni slave, che, restando a lungo isolate, svilupparono una cultura autoctona. Comprensiva di una lingua, riconosciuta dall'UNESCO come lingua in via di estinzione, ed un patrimonio musicale singolare. Musica che viene suonata ora nelle feste, utilizzando chitarra e violino modificati, che appunti si chiamano zitira e bunkula, ed è suonata su tempi dispari invece che pari. Ma soprattutto è la lingua la sua particolarità. Dove, ad esempio, il termine “patata” si dice “kartüfule” e la cittadina di San Giorgio si chiama Bilä. Inoltre, come in molte culture montane, è forte la presenza come ruolo sociale centrale della donna. La donna porta nuova vita, e quando si è isolati di certo è fondamentale.

Come detto, comunque pur con qualche riserva su di una certa omogenizzazione dei personaggi, che non sempre risultano delineati autonomamente, una buona lettura. Vedremo. 

Visto che Massimo Carlotto è presente anche come autore esaminato, mi piace tirare fuori alcune citazioni dal suo libro “La terra della mia anima”. Citazioni legate all’età: “Certe cose vanno fatte al tempo giusto… Ho vissuto 65 anni senza preoccuparmi di mettere a posto le cose nel mio cuore e nella mia testa” (33), Citazioni legati al vissuto: “Ero insoddisfatto e infelice ma non lo davo a vedere. Mai. Non avrei saputo spiegarne i motivi e tantomeno avevo voglia di affrontare il discorso. Temevo che l’anestesia si trasformasse in disperazione… Ogni mattina … mi guardavo allo specchio… e dicevo a voce bassa: Non voglio vivere così.” (132). Ma soprattutto una citazione sulla lettura che condivido in pieno: “Enrico diceva sempre che leggere certi libri ti dà la possibilità di diventare un uomo migliore” (38).

Per il resto sapete già che a luglio si prospetta un breve viaggio turco, sulle tracce di un Capodanno di quindici anni fa. Mentre continuano festeggiamenti di amici (vero Pietro?), e si intravedono altre possibili celebrazioni. Io traguardo la possibilità di avere presto un mese di riposo campagnolo, per cui continuo ad essere allegro nell’abbracciarvi. 

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