Avrei continuato con una felice battuta (per Tuti …), ma sarebbe stato troppo facile per voi smaliziati lettori arrivare alla soluzione. Quindi lascio i puntini e confesso di aver letto i libri di Ilaria, dopo aver visto lo sceneggiato, interessante seppur non eccelso, con un’ottima interpretazione di Elena Sofia Ricci. Comunque, una buona lettura che presto continuerò con altre opere della scrittrice. Questa volta contornata da un altrettanto buon libro di Massimo Carlotto, che sapete per me parte sempre con un libro di vantaggio. Mentre rimangono defilati un giallo un po’ troppo “mixed” di Pulixi ed una storia d’annata di Facco de Lagarda (anche se poi ne sottolineo la trasposizione in immagini).
Piergiorgio Pulixi “Lo stupore della notte”
Corriere Profondo Nero 17 euro 7,90
[A: 06/11/2019
– I: 09/06/2022 – T: 10/06/2022] &&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 361; anno: 2018]
Avevo
conosciuto il nome di Pulixi quando scriveva nel collettivo “Mama Sabot”, un
collettivo di scrittori nato sotto l’egida di Massimo Carlotto. Non ne avevo
però seguito le tracce quando, diventato autore indipendente, ha messo in scena
alcune scritture seriali che i conoscitori del genere ritengono interessanti.
Lo ritrovo ora con un’opera compiuta ed isolata, con una scrittura interessante
nella prima parte, ma con una troppo complicata e veloce discesa nel finale
verso soluzioni dei drammi inscenati forse poco risolti.
La
trama si sviluppa quasi come in un “procedural thriller”, con un’attenzione
abbastanza corale, sia a chi indaga sia a chi è indagato. Anche se una speciale
attenzione è dedicata a Rosa Lopez, ispettrice di polizia, da sempre impegnata
nella lotta contro il crimine.
La
vediamo nel prologo, con la sua squadra, ingaggiata in una lotta contro la
‘ndrangheta calabrese. Un prologo un po’ sbilenco, che avrà un senso molto più
avanti nella trama. Poi, con un forte salto temporale di circa 15 anni, la
troviamo a capo di un’unità Speciale della lotta al terrorismo, all’interno
della DIGOS di Milano.
La
difficoltà, e poca appetibilità, del narrato è che, per seguire le varie piste
delle procedure poliziesche e delle trame terroristiche, si salta di palo in
frasca capitolo dopo capitolo, una tecnica narrativa che, se non ben
padroneggiata, a volte lascia qualche dubbio nel lettore. Chi agisce qui? Mi
sono perso qualche attore del dramma? In che parte della città siamo?
Abbiamo
quindi dei nuclei narrativi differenziati. C’è la squadra calabrese di Lopez,
che compare nel prologo, e che, salvo qualche telefonata, scompare dal
racconto. C’è la squadra milanese, che, lottando contro terrorismi islamici,
parla correntemente l’arabo. Ognuno con una sua caratteristica: il portavoce
ufficiale, che Rosa non ha dimestichezza con il grande pubblico, l’esperto
informatico, reduce da oscure campagne mediorientali, ed il vice di Rosa, che
ne è anche innamorato, pur non ricambiato. C’è il pool di amanti – amori di Rosa:
Rocco, suo capo in Calabria, ucciso a suo tempo dalla banda calabrese; Giulio,
a suo tempo secondo di Rosa, in coma d due anni per un attentato (non si sa di
chi); Alessandro, il medico straricco e nuovo amante di Rosa. Ci sono i vari
dirigenti delle varie sezioni poliziesche, che ci perderemo a seguirne nomi e
azioni. C’è infine il gruppo americano, emanazione più o meno diretta dei
Servizi Segreti, con una base di “interrogatori speciali” a Milano, e vi lascio
immaginare cosa voglia dire.
Dall’altra
parte, ci sono i “cattivi”. Terroristi o affiliati, ognuno con delle storie
alle spalle, che Pulixi ci narra, un po’ asetticamente, senza entrare in
giudizi particolari (e questo è un bene per la narrazione), ma anche senza
farci entrare in nessun rapporto con le loro vicende pregresse. Narrate ma non
sempre decodificabili. Su tutti, il burattinaio, chiamato il Maestro, che tira
le file dei terroristi e che sta organizzando uno o più attentati sul suolo
italiano. Maestro abile, conoscitore di più cose di quante si possa immaginare.
E con un’acuta mente criminale.
Di
sfuggita, Pulixi afferma che ci sono pochi attentati in Italia per una sorta di
filo rosso delle armi e dei sostegni per cui qualcuno, non si sa dove né
perché, fornisce coperture ai terroristi. Quasi che in Italia resistesse il
filone “né con lo Stato né con le BR”.
Dopo
circa trecento pagine di preparazione, al fine l’azione si fa intensa, ma anche
assai affrettata. Riusciranno Lopez ed i suoi a sventare le minacce? Si
scoprirà chi sia il Maestro? Si capirà perché si parlò di Calabria? Ed altre
domande che mi sono fatto, ma che lascio alla dinamica narrativa di farvi
scoprire. La scrittura di Pulixi non è di certo consolatoria, ma crudele e
reale, come lo è il mondo in cui viviamo. Tuttavia, la trama, che vuole essere
aderente alla nostra realtà, alla fine non prende molto. O non mi prende molto.
Come
non mi ha preso dover aspettare centinaia di pagine per capire il senso del
titolo, che fin dall’inizio ho collegato alla bellissima canzone di Mina su
testo di Maurizio Costanzo, ma che, appunto non si riusciva a collegare a
nulla.
Massimo
Carlotto “La signora del martedì” E/O euro 16,50 (in realtà, scontato 11,50
euro)
[A: 30/01/2020
– I: 22/12/2022 – T: 23/12/2022] &&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 212; anno: 2019]
Siamo alla mia lettura del venticinquesimo
libro di Carlotto, uno degli autori più presenti nella mia libreria. Con un
romanzo che risale la china delle ultime uscite, anche se non si raggiungono
ancora le vette toccate dalla serie dedicata all’Alligatore (di cui non parlo,
che chi l’ha letta mi capisce) o delle puntate “politiche” in Argentina.
Anche perché si sa, ed io ne ripeto poco, la
mia propensione personale per questo autore, sia per le sue vicende
giudiziarie, sulle quali entro poco, e solo per quanto concerne questo libro,
sia per le sue scritture quasi trentennali, sia infine per quell’incontro,
all’inizio della sua carriera, in una presentazione presso la libreria Odradek
di Roma. Si era in pochi, ed alla fine si parlò amicalmente a ruota libera. Una
bella serata ed un buon ricordo.
Come spesso nei libri del nostro amico
patavino, anche in questo romanzo i personaggi sono molto “grigi”. Non nel
senso che siano tristi ed incolori, ma che hanno quella mescolanza di buono e
cattivo, che porta ad un effetto misto. Ricordo ancora il mio piccolo amico
Giansi che quando gli spiegai il buono ed il cattivo, lo yin e lo yang, mi
rispose illuminato, “Ah, lo zozzo e il pulito!”.
Forse il meno “mixed” è Bonamente, un attore
porno sulla via del ritiro dalla professione, che anche solo quarantenne ha
avuto un ictus. Gli rimane l’attività di riserva come gigolò, nonché il fatto
di essere accudito dal signor Alfredo, un travestito che gestisce una pensione,
ora anch’essa in declino, ed a suo tempo frequentata da molti simpatici gay.
Al nostro eroe del letto rimane solo una luce
positiva. Il martedì, dalle 15 alle 16, una giovin signora usufruisce delle sue
prestazioni. Da ben nove anni, prima come una routine, poi sempre con più
trasporto, da parte di Bonamente, mentre la signora, a parte delle interessanti
divagazioni sui superalcolici, sembra rimane attestata su di una routine e
basta.
Inciso, anch’io, come l’autore, mi perito di
ringraziare Silvia Rota che ha fornito a Massimo utili suggestioni non solo sul
whisky, cosa abbastanza semplice, ma anche su rum e gin. Buone giuste bevute a
tutti.
La routine si spezza in seguito ad una serie
di concatenazioni possibili se non probabili. Come detto Bonamente, post-ictus,
è accudito dal signor Alfredo, che a sua volta sta invecchiando, ed ha paura di
rimanere solo, o che la signora del martedì faccia soffrire il suo protetto.
Per cui, segue la signora, scopre che vive con un maturo avvocato, che affronta
e dopo un alterco, investe ed uccide.
Ciò ci dà modo di entrare nel vivo di altri
due personaggi: Alfonsina detta Nanà, la signora del martedì, e l’investigatore
dagli stivali texani, mai indicato per nome, ma che assume il ruolo di Harvey
Keitel come Mr. Wolf in “Pulp Fiction”.
Nanà è un’ex-prostituta, balzata agli onori
della cronaca come possibile assassina del suo anziano protettore. La gogna
mediatica la condanna, ma lei viene assolta, pur se non pienamente. L’avvocato
che sa chi è il colpevole, ma non può parlare, preso dai sensi di colpa, la
prende sotto la sua ala protettrice. Diventa un padre per lei, e sotto di lui
Nanà rinasce. Trova una sua strada, ma per il sesso si rivolge a Bonamente.
Tuttavia, quando Nanà scopre le malefatte
involontarie del signor Alfredo, sarà il texano a trovare il modo di cancellare
tutte le prove e gli indizi. Meno uno, cui provvederà il travestito, ma che per
quello dovrà fuggire e tornare nel suo amato Portogallo (tant’è che la pensione
si chiamava “Hotel Lisbona”).
E sarà sempre il texano, dopo più di un anno
di quiete, a trovare il modo di risolvere gli ultimi problemi di Nanà e
Bonamente.
Ripeto, i personaggi di Carlotto non sono mai
limpidi, anche se, spesso, sono “travolti da un insolito destino”. Sono tutti
sul sottile filo tra la luce e lo scuro, che la vita non consente (spesso) di
aver sempre la fortuna dalla propria parte. In più, in questo libro che esce più
di 40 anni dopo i fatti di Padova, Carlotto fa finalmente anche i conti con la
carta stampata, accusata di volere la gogna mediatica di un imputato a
prescindere dalla sua colpevolezza o meno. Ma anche fa i conti con certo potere
giudiziario, che usa i giornali per pilotare le inchieste.
Carlotto, e fa bene, si leva qualche
sassolino dalle scarpe. A me, nel fondo, non dispiace che anche in questa
prova, pur senza strafare, riesce ad instillare il dubbio su chi sia veramente
colpevole, e quanto circostanze indiziarie possano portare a stravolgere la
realtà.
Ugo
Facco de Lagarda “Il commissario Pepe” Corriere Noir 20 euro 8,90
[A: 16/12/2022
– I: 20/01/2023 – T: 21/01/2023] &&
e ½
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 124; anno: 1965]
L’ultimo titolo proposto da Carlo Lucarelli
per una selezione di “Noir” pubblicati dal Corriere della Sera. Una selezione
di venti titoli, non tutti veramente dello stesso livello, e spesso molto
altalenanti. Come questo, che credo sia stato inserito per il suo valore
filologico e storico, piuttosto che per un grande momento “noir”.
Anzi, a voler essere pienamente sinceri,
direi che il noir è praticamente assente, mentre si svolge una storia che
dipinge, qui sì con capacità ed ironia, un tipico aspetto dell’Italia del boom
economico. Siamo infatti nell’aprile del 1964 quando il libro entra nel vivo,
per poi uscirne poco dopo il mio undicesimo compleanno.
Di certo, tuttavia, è un libro complesso,
scritto in un italiano forbito e colto, tanto che, andando a cercare
dell’autore, si scopre che per anni è stato direttore di banca. Ma anche
scrittore di poesie di stampo carducciano, nonché partigiano durante la
Resistenza, arrestato dai nazifascisti verso la fine della guerra,
fortunatamente salvatosi. Tra l’altro, molto legato al Veneto, dove vide i
natali a Venezia, e dove ambienta molte opere, tra cui questa che, seppur
nessun luogo è citato, per la descrizione generale sembra proprio possa
trattarsi di Vicenza.
Perché parlo di un buon libro, ma non di un
buon libro giallo? In effetti, non è che, data l’assenza di morti, si debba per
forza escludere il genere. È che, in realtà, seguiamo il commissario Pepe nella
sua indagine, ne vediamo i passi, le difficoltà, la raccolta di testimonianze.
Ma tutto velato da un senso di altro. Tanto che ho il sospetto che l’autore sia
stato più interessato appunto a questo “altro”, piuttosto che a scrivere un
giallo. Che tra l’altro, venendo poco dopo Gadda, sembrava avere tutte le
possibilità per inserirsi in un filone inedito, uno spaccato dell’Italia vista
da un’ottica istituzionale, o quasi.
Personaggio centrale e cruciale, è il
commissario Gennaro Pepe, nordicissimo nonostante il nome poco veneto, dovuto
ad un’immigrazione che si perde nella notte dei tempi, e ad un uso di riproporre
nomi aviti ai nuovi nati. Gestisce il commissariato senza voler troppo
dannarsi, aiutato dal vice Cerveteri e dal maresciallo Zanon. Pepe è dedito al
basso profilo, solo accontentandosi di periodiche visite alla signora Matilde,
signora benestante e compiacente alle reciproche voglie.
In tutta una prima parte, lo scrittore ci
immerge nel clima di questa cittadina, governata da cinque miliardari e da un
Vescovo, ma che presenta tutti gli strati della popolazione italiana. I potenti
appunto, economicamente o per ceto, una borghesia che si sta arricchendo, ed
uno strato popolare che, a volte, stenta ad arrivare alla fine del mese, con
conseguenti arrangiamenti vari. Insomma, una tipica cittadina italiana negli
anni del boom economico.
Qui, appunto, il 30 aprile 1964 scoppia la
bomba. In base a denunce anonime, Cerveteri e Zanon presentano al commissario
un dossier su presunti scandali sessuali. Due luoghi di scambi di favori, a
fronte di compensi vari, “Villa Norma” frequentata dalla buona società e
“Piazza Cavour 113” ritrovo della piccola e media borghesia.
Il commissario indaga, chiedendo ospitalità
alla sua Matilde per aver mano libera nelle indagini senza dover passare per
una questura che avrebbe messo tutti in difficoltà. Il romanzo trascorre le sue
pagine seguendo le indagini del commissario, gli interrogatori, le ammissioni,
e le scoperte anche più sorprendenti. Festini
con giovanotti vestiti da donna, case d’appuntamento in cui sono coinvolte
delle minorenni, industriali pederasti, sportivi sessualmente compiacenti,
contesse trasformatesi in tenutarie. Un gran calderone dove tutti sono
coinvolti, anche parenti prossimi dei suoi sottoposti.
Pepe
è combattuto tra far scoppiare la bomba o tacere. Prenderà la sua decisione in
base a due elementi che sopravvengono nella seconda metà del breve testo. La
scoperta di una sua possibile brutta malattia e quella di foto osé della sua
Matilde. Ovvio che non vi dico quale sarà la sua scelta.
Ribadendo
la buona scrittura, ma anche la poca ricettività che ebbe all’epoca della sua
prima uscita, forse perché toccava tasti troppo dolenti dell’Italia in crescita
(Facco de Lagarda non risparmia proprio nessuno), lo considero in ogni caso un
buon libro, poco noir.
Non è
quindi un caso che l’attento Ettore Scola ne fece un bel film nel 1969,
interpretato dal sempre solido e nella parte Ugo Tognazzi. Dove contesto a
Scola aver scelto di cambiare il nome di Pepe da Gennaro ad Antonio, ma plaudo
al regista nella scelta di affidare la colonna sonora ad Armando Trovajoli.
Ilaria
Tuti “Fiori sopra l’inferno” Corriere Profondo Nero 9 euro 7,90
[A: 13/09/2019
– I: 13/02/2023 – T: 15/02/2023] &&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 363; anno: 2018]
Visto
che è cominciata la relativa serie TV, mi sono affrettato a leggere il primo
libro dei casi di Teresa Battaglia, che sono sempre curioso di capire la
trasformazione di un libro in un prodotto diverso. Anche se probabilmente dovrò
rimandare il giudizio comparativo a quando tutto il serial sarà stato
trasmesso.
Allora,
per ora, ci possiamo dedicare al libro, alla scrittrice ed ai personaggi.
Ilaria
Tuti, intanto, mi stava già simpatica essendo friulana di Gemona (oltre ad
essere giovane, e quindi, spero, promettente scrittrice). Secondo motivo è la
vicinanza con la mia amica Luana, che anche Ilaria comincia come illustratrice,
sia di fumetti che di libri per ragazzi. Per poi arrivare al successo ed alla
(giusta) fama con questo libro, e con i seguenti dove imposta una miniserie
(per ora di quattro libri) imperniata sul commissario – profiler Teresa
Battaglia.
Essendo il
primo volume, anche se in maniera non lineare, cominciamo a conoscere i
protagonisti, anche se su Teresa torniamo poi. Il più importante sembra essere
l’ispettore Massimo Marini, che ha chiesto il trasferimento dal sud Italia per
(ad ora) imprecisati motivi, e che si muove come un elefante in un negozio di
cristalli. Si veste da città pur dovendo lavorare in montagna, effettua sempre
(per ora) interventi fuori misura, mettendosi in urto con Teresa. Anche se
capiamo che il commissario è burbero, scontroso, ma non stupido. Certo, quando
Marini non si domanda se il commissario possa essere la donna che ha davanti o
quando porta a Teresa bignè fritti, non sapendo lei essere diabetica, fa un po’
una figura barbina. Tuttavia, se instradato e diretto, può rivelarsi un buon
cane da tartufi.
Poi ci
sono i poliziotti, Parisi e Di Carlo (che nel film saranno uniti in un unico
personaggio di simpatica spalla), il patologo Parri, illuminante nelle sue
brevi parole sulle morti, ed altri contorni per ora poco evidenziati.
Veniamo
ora al commissario. La figura è discretamente potente, intuitiva, ma anche
sufficientemente fragile. Dal punto di vista “thriller”, è un buon commissario,
ma soprattutto un ottimo profiler, che non si perita di mandare avanti le
proprie opinioni, anche con pochi elementi analitici. È chiusa e burbera, forse
per mantenere un distacco con il mondo, che sicuramente l’ha ferita. Da alcune
parole, direi che deve essere stata sposata con un marito violento, che,
probabilmente, a base di percosse, l’ha fatta abortire. Ma queste sono mie
illazioni. Deve anche gestire due grossi problemi fisici: è diabetica, ma tende
ad ignorare i controlli, tanto da rischiare, a volte, di avere shock
ipoglicemici, e, ipotizzo, sta avendo un inizio di malattia degenerativa,
probabilmente Alzheimer, che ogni tanto scorda nomi e cose, rimanendo confusa
(ed indifesa). Fortunatamente, ha collaboratori che la sostengono, dove, credo,
ben presto si inserirà anche il giovane Marini.
Per quanto
riguarda invece la trama gialla, abbiamo un po’ di alti e bassi. In un piccolo
paese a nord di Udine, verso l’Austria, si verificano fatti inquietanti. C’è un
morto, poi ci sono alcuni attacchi verso altre persone che portano a
mutilazioni più o meno profonde. Senza tuttavia, in una prima e lunga fase,
riuscire a trovare un nesso significativo.
Come
contraltare delle vicende “nere”, seguiamo invece l’amicizia di quattro
ragazzini che avranno dieci o forse undici anni. Mathias che ha un padre
violento, una madre succube ed un fratellino nato da poco. Diego figlio di un
ingegnere di rigidità estrema che ne tarpa qualsiasi moto di indipendenza, con
una madre che si sta allontanando verso probabilmente nuove soluzioni di vita.
Lucia con una madre che l’ha avuta sedicenne e che è completamente anaffettiva
ed un padre discretamente tossico. Oliver, il piccolo, balbuziente, preso di
mira dall’orrendo bidello della scuola.
Quando
Teresa si accorge che il primo morto è il padre di Diego, che i menomati sono
la madre di Lucia ed il bidello, e quando viene rapito il fratello di Mathias,
capisce anche che sono loro, i ragazzi che devono essere il filo rosso della
trama. Un filo che, e qui devo dire che, al solito, i flashback in corsivo
risultano anche troppo espliciti, risale al passato ed a qualcosa che è di
sicuro successo tra l’Austria, il paesino, le menzogne che vi girano ed uno
strano convento di suore di clausura.
Sarà la
capacità di empatia di Teresa e la dedizione alle indagini tradizionali di
Massimo che porteranno alla soluzione del caso, aspettata ma in un certo senso
anche nuova.
Mentre
tutta la prima e seconda parte si regge, e stimola anche il lettore ad entrare
nella trama, la risoluzione del caso risulta un po’ troppo scontata (anche se
potrebbe aprire scenari per le successive puntate, vedremo).
Ilaria
Tuti “Ninfa dormiente” TEA euro 9,90 (in realtà, scontato a 4,45 euro)
[A: 26/08/2020
– I: 19/02/2023 – T: 20/02/2023] &&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 475; anno: 2019]
Spinto
dalla serie televisiva, non ho potuto fare a meno di passare subito al secondo
libro di Ilaria Tuti, per avere caldo il pensiero sulle imprese di Teresa
Battaglia, commissario di polizia. Un risultato, in questo secondo passaggio,
interessante, di buon livello, con alcuni squarci positivi, ma anche con alcune
zone d’ombra aumentate. Il bilancio è sempre in attivo, ma, sinceramente, mi
aspettavo qualcosa in più.
Intanto
c’è il mondo privato dei protagonisti che sempre più “invade” la quotidianità
del racconto. Rimangono i due poliziotti supporter che sanno e non parlano,
Parisi e Di Carli (ricordo che nella serie, per economia, vengono unificati in
un solo personaggio). Ci sono patologi e medici vari, con un loro ruolo, ma
sempre sullo sfondo. Ovvio che c’è l’alter ego di Teresa, l’ispettore Massimo
Marini, di cui cominciamo a scoprire le ombre che sapevamo esserci, che lui
stesso, con il suo comportamento, ci fa capire che ci siano. La strana morte
del padre, di cui si sente colpevole tanto che è fermamente convinto di non
avere interesse a proseguire la stirpe dei Marini. La presenza di Elena, già
sua fidanzata, ma prima lasciata per i sensi di colpa relativi al rapporto con
gli altri, poi qui ripresa quando si presenta a Udine, innamorata ed incinta.
Andrà avanti la gravidanza? Andrà avanti il rapporto? Di questo leggetene.
C’è
una new entry nel clan Battaglia, anzi una doppia entrata. Sono Blanca e
Smokey. Lei ipovedente, lui cane da ricerca reperti insanguinati (nonché
cane-guida di Blanca). Certo, un po’ sembra quasi volerci far entrare la
simpatica Blanca di Patrizia Rinaldi (che ne pubblicò la prima puntata nel 2009
e che nel 2021 era l’eroina di una interessante serie televisiva). Fatto sta
che Blanca è sicuramente problematica, ma, come tutti i ciechi, ci vede meglio
di molte persone cosiddette normali. Darà una mano decisiva alle indagini, e
penso (spero) ci sarà nelle altre avventure di Teresa.
Infine,
c’è lei, il commissario, con tutti i suoi problemi attuali (diabete e sospetto
di inizio di Alzheimer) ma anche con quelli passati (ex-marito violento che la
malmenava e che le ha procurato l’aborto di cui porta dentro di sé tutti i
segni). Proprio sull’aborto e sull’ex-marito si appunta l’attenzione quando
compare un nuovo magistrato inquirente, Alberto. Noi si sospetta sia l’ex, ma
lei nega. Tuttavia, il rapporto conflittuale tra i due è palese e molto forte.
La
storia parte dal ritrovamento di un quadro che tutti credevano smarrito: la
“Ninfa dormiente”, dipinto il 20 aprile 1945 dall’allora giovane Alessio
Andrian. Un dipinto bellissimo, che colpisce tutti quanti, ma che è al centro
della dolente storia del romanzo. Dalle analisi, risulta dipinto con il sangue,
e dalle fattezze si risale all’identità della donna, Aniza, una valligiana
scomparsa proprio al tempo del dipinto. Alessio potrebbe svelare i retroscena,
ma da quel giorno non dice più una parola, restando seduto in poltrona a
guardare il bosco in cui dovrebbero essere avvenuti i fatti.
Si
risale così fino ai tempi della guerra e dentro la bella valle che fa da
contorno alle indagini. Bella come tutte le valli friulane, e carica di
significati, come poi torneremo più avanti.
I nostri
indagatori si trasferiscono allora in Val Resia, per portare avanti le
indagini. Lì trovano Alessio, muto, e ne sanno la storia. Partigiano con le
bande di montagna, ma anche grande talento pittorico. A raccontare le storie
c’è Raffaello, il fratello di Alessio, bimbo di sei anni all’epoca dei fatti,
che lo avevano coinvolto insieme alla sua coetanea Ewa, nonché sorella di Aniza,
che risulta morta da poco tempo. Come è morta Hanna, la figlia di Ewa. Nelle
valli si aggirava anche un altro partigiano, grande solista di violino.
Dai
racconti, si scopre che la loro cittadina nativa era stata anche teatro di
tragici eventi. Un tedesco era stato quasi ucciso da un accidentale colpo di
fucile, e come rappresaglia i nazisti avevano sconvolto la cittadina, uccidendo
un innocente, ma soprattutto alla ricerca di un’icona che i nazisti stavano
trafugando. Icona che vorrebbe il violinista, ma che scompare, e di cui solo
Raffaello ed Ewa, forse, sanno qualcosa.
Nella
notte di tragedia, Aniza cerca di raggiungere Adrian, mentre tutti gli altri,
il violinista, Raffaello, Ewa, si aggirano per i boschi, anche se ognuno per
suo conto. Poi, e voi scoprirete come, Aniza muore, Adrian la dipinge sotto le
fattezze della ninfa e si chiude nel mutismo, e gli altri attori si dileguano.
Chi, come il violinista, torna alla sua città. Chi come Raffaello farà un
percorso di aiuto al fratello. Chi, come Ewa, continuerà a vivere nella valle,
portando avanti (e qui il testo di Ilaria si fa un po’ fumoso) il matriarcato
imperante nella valle stessa.
Affrontando
i propri demoni, con l’aiuto di Blanca che troverà i resti di chi serve
trovare, con un colpo di scena che coinvolge la figlia di Hanna, nonché nipote
di Ewa, nonché sosia vivente di Aniza, con il sostegno di Massimo nei momenti
difficili, Teresa troverà come ovvio il bandolo, mettendo (forse un po’
velocemente) i puntini finali alla storia.
Una storia
che ovviamente sembra preludere ad altre avventure.
Ho
lasciato per ultimo il ritorno nella valle. La Val Resia è in effetti una valle
particolare, dove nel sesto secolo si insediarono popolazioni slave, che,
restando a lungo isolate, svilupparono una cultura autoctona. Comprensiva di
una lingua, riconosciuta dall'UNESCO come lingua in via di estinzione, ed un
patrimonio musicale singolare. Musica che viene suonata ora nelle feste,
utilizzando chitarra e violino modificati, che appunti si chiamano zitira e
bunkula, ed è suonata su tempi dispari invece che pari. Ma soprattutto è la
lingua la sua particolarità. Dove, ad esempio, il termine “patata” si dice “kartüfule”
e la cittadina di San Giorgio si chiama Bilä. Inoltre, come in molte culture
montane, è forte la presenza come ruolo sociale centrale della donna. La donna
porta nuova vita, e quando si è isolati di certo è fondamentale.
Come detto,
comunque pur con qualche riserva su di una certa omogenizzazione dei
personaggi, che non sempre risultano delineati autonomamente, una buona
lettura. Vedremo.
Visto che Massimo Carlotto è presente
anche come autore esaminato, mi piace tirare fuori alcune citazioni dal suo
libro “La terra della mia anima”.
Citazioni legate all’età: “Certe
cose vanno fatte al tempo giusto… Ho vissuto 65 anni senza preoccuparmi di
mettere a posto le cose nel mio cuore e nella mia testa” (33), Citazioni legati
al vissuto: “Ero insoddisfatto e infelice ma non lo davo a vedere. Mai. Non
avrei saputo spiegarne i motivi e tantomeno avevo voglia di affrontare il
discorso. Temevo che l’anestesia si trasformasse in disperazione… Ogni mattina
… mi guardavo allo specchio… e dicevo a voce bassa: Non voglio vivere così.”
(132). Ma soprattutto una citazione sulla lettura che condivido in pieno: “Enrico
diceva sempre che leggere certi libri ti dà la possibilità di diventare un uomo
migliore” (38).
Per il resto sapete già che a luglio si prospetta un breve viaggio turco, sulle tracce di un Capodanno di quindici anni fa. Mentre continuano festeggiamenti di amici (vero Pietro?), e si intravedono altre possibili celebrazioni. Io traguardo la possibilità di avere presto un mese di riposo campagnolo, per cui continuo ad essere allegro nell’abbracciarvi.
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