Joël Dicker “Il caso Alaska Sanders” La Nave
di Teseo s.p. (prestito di Alessandra)
[A: 25/09/2022 – I: 17/10/2022 – T: 19/10/2022]
- &&&
e ½
[tit. or.: L’Affaire Alaska Sanders;
ling. or.: francese; pagine: 607; anno 2022]
Joël Dicker è
senza dubbio uno scrittore che ha trovato un suo modo di esprimersi, di costruire
romanzi, che è senz’altro originale. Almeno nel risultato che viene presentato
alla fine. Intanto, è completamente autoreferenziale, laddove, scrivendo un
romanzo nella veste di uno scrittore, cita, commenta, ed incastra altri romanzi
nella trama principale.
Certo, sembra che, fin dall’inizio, abbia
inteso scrivere una trilogia, al cui centro pone il suo alter ego scrittore,
Marcus Goldman. Ne aveva iniziato le gesta con “La verità sul caso Harry
Quebert”, di cui ho parlato a suo tempo. Poi ne aveva continuato con “Il libro
dei Baltimore”, la cui azione si colloca antecedentemente, ma che, nella
cronologia di Goldman viene scritto successivamente (libro che ancora non ho
letto). Infine, con questo “Il caso Alaska Sanders” sembra chiudere il cerchio.
Con un andamento temporale cui torno più avanti, ma che finisce, per Goldman,
con il suo trasferimento in una casa in Florida, dove comincia a scrivere il
romanzo dei Goldman di Baltimore.
Dicevo dell’andamento temporale di Alaska. La
vicenda di Alaska si colloca nel secolo scorso, con la punta dell’iceberg il 2
aprile 1999. La vicenda di Harry si colloca, come “cold case” nel 1975, mentre
Goldman ce ne narra durante le indagini nel 2008. Le indagini, che poi riaprono
e chiudono il caso Alaska, si svolgono invece nel 2010. Dando modo a Dicker di
muovere il suo Goldman qua e là nella vicenda, citando le altre vicende come
dicevo sopra.
Il vecchio caso, appunto, riguarda
l’uccisione di una giovane donna, Alaska, avvenuta nella cittadina di Mount
Pleasant nel New Hampshire. La ragazza vi si era trasferita da Salem, che si
trova in periferia di Boston nel Massachusetts, al seguito del suo ragazzo
Walter. Ragazzo problematico, un po’ disturbato dal servizio militare in
Somalia. Walter che ha un caro amico in Eric, anche lui tornato nella cittadina
dopo aver lasciato (per problemi amorosi legati al probabile suicidio della sua
ragazza di allora, Eleanor) Salem.
Le indagini, al tempo, vengono condotte dal
sergente Perry Gahalowood e dal suo partner Vance. Sembra impossibile trovare
un bandolo, ma poi, molti elementi indiziari convergono su Walter. Vance
estorce a Walter una confessione, dove questi coinvolge Eric nell’omicidio, per
poi soccombere in un episodio poco chiaro, dove muoiono Walter e Vance. La
confessione di Walter ed altri indizi “pesanti” fanno alla fine condannare Eric
all’ergastolo.
Questa la storia passata.
Al presente, per circostanze fortuite, Marcus
si trova nella cittadina, rinnova l’amicizia con Gahalowood (insieme al quale
aveva risolto il problema di Harry). Ed alla fine si trova coinvolto nella
riapertura del caso. Una lettera anonima convince la polizia a riprendere in
mano gli elementi. Sui quali, oltre a Marcus e Perry, si muovono Lauren, la
sorella di Eric ora poliziotto, e Patricia, l’avvocato di Perry.
Qui, Dicker ci delizia con un fine gioco di
scatole cinesi. Ognuna ci fa perdere tempo per essere aperta, convincendoci che
al suo interno ci sia la soluzione, per poi scoprire che invece c’è una nuova
scatola da affrontare. In questo, devo dire, Dicker è bravo e coinvolgente,
lega il lettore alla pagina, portandolo a cercare di bruciare i capitoli ed
arrivare il prima possibile verso pagina 600, ed alla soluzione finale.
Di volta in volta vediamo salire e scendere
le quotazioni di Walter, salvato da una foto che lo colloca fuori tempo, poi
quelle di Eric, dove gli indizi si dimostrano appunto indizi che anche in altro
modo si possono leggere, ed il suo coinvolgimento era stata una vendetta di
Walter. Scopriamo anche la vera successione degli avvenimenti che portano alla
morte di Walter e Vance. Quindi entriamo nel mondo di Alaska, cui apprezziamo
la liquidità sessuale, ma anche la solarità. Al fine, Marcus capisce che per
risolvere il caso, devono capire cosa successe a Salem. Perché Alaska ed Eric
se ne andarono e cosa successe ad Eleanor.
Seguendo la pista di Eleanor arriviamo alla
scoperta del suo amante, il divorziando (all’epoca) psicologo Bradbund, e ad
una nuova pista che ci porta a Rockland nel Maine. Marcus e Perry uniscono
tutti i puntini, sembrano arrivare all’ultima scatola, ma impiegano cinquanta
pagine a capire che, per sciogliere l’ultimo nastro, bisogna coinvolgere anche
l’ex moglie dello psicologo. Solo allora tutti i misteri avranno una soluzione,
tutte le incongruenze saranno sciolte, tutti potranno dire la loro. Ed il caso
Alaska Sanders potrà dirsi, finalmente, chiuso.
L’intrigo che Dicker costruisce è da seguire,
perché, pur avendovi presentato tutti gli attori del dramma, il modo in cui
interagiscono è, velo dopo velo, sempre sorprendente.
Rimangono alcuni punti non dico oscuri, ma
che potrebbero portare a nuovi romanzi. Marcus, alla fine, confessa di amare
sempre una certa Alexandra (che forse si potrà scoprire meglio nel libro
mancante), lasciando a metà una storia con Lauren che sembrava promettente.
Per tutto il libro, inoltre, Marcus cerca di
trovare tracce di Harry, che, alla fine del primo libro, scompare senza
lasciare tracce apparenti. E qui ne scopriremo motivi e conseguenze.
Infine, oltre i giochi ad incastro sopra
elencati, noto sempre una cura nello scegliere i nomi, o meglio i cognomi dei
protagonisti, qui molto legati al mondo delle scene. Con Carrey e Sanders
direttamente dallo schermo e Donovan che non può che rimandarci al cantante.
Per non parlare di Perry, il cui finale di nome non può che rimandare al legno
di agrifoglio (beh, faccio il misterioso anch’io).
Finiamo qui, solo per rimarcare che sì, il
libro è un giallo, e come un giallo ci avvince e ci porta alla sua soluzione.
Ma è anche altro. È una carrellata sulla provincia americana, in particolare
quella della costa atlantica. Con le piccole città, dove una pompa di benzina,
una drogheria ed una chiesa fanno il nucleo, dove tutti si conoscono. Dicker ce
le descrive di passaggio, ma ci rimangono in testa, come piccoli quadri di
Hopper. Non è un caso, che all’inizio, vi abbia riempito con la localizzazione
del romanzo, quasi per costruire un sottotesto sulla vita dell’America lontano
dalle grandi città.
Grazie Dicker, per questa nuova prova e per
gli stimoli che ognuno può trovare nelle pagine. Forse sono io che mi affeziono
troppo, e qui non torno sugli editori vicinia Dicker, purtroppo morti, che
troppo fare aumentare il brodo di queste righe.
“La
nostalgia è la nostra capacità di persuaderci che il passato è stato
fondamentalmente felice, e che di conseguenza abbiamo fatto le scelte giuste.”
(44)
“Un
amico è una persona che conosci bene e a cui vuoi bene lo stesso.” (547)
Douglas Preston & Lincoln Child “La stanza di
ossidiana” Corriere Profondo Nero 23 euro 7,90
[A: 17/12/2019 – I: 13/12/2022 – T: 16/12/2022]
– ½
[tit. or.: The Obsidian Chamber; ling. or.: inglese; pagine: 405; anno 2016]
Molti sono i modi perché un libro risulti
brutto e poco gradevole, e devo dire che questo (cattivo) esempio ne racchiude
molti al suo interno.
Preston & Child sono due scrittori
americani, con attivo anche autonome scritture, ma che nel 1995 decidono di
iniziare una collaborazione con un libro thriller ma anche altro dal titolo
“Relic”. Visto il successo, ne scrivono un seguito, “Reliquary”, poi per cinque
anni si dedicano ad altro. A questo punto viene loro un’idea su di una storia
complessa ed articolato, motivo per cui prendono un personaggio, presente nelle
prime due storie, anche se non da protagonista, e ne fanno il principale attore
della serie. Che ad oggi conta più di venti titoli.
Il personaggio che viene al centro della
scena è l’agente federale Pendergast. Chi legge il libro di cui tramo, senza
conoscerne il retroterra, rimane colpito dall’apparante follia dei
comportamenti dei personaggi, incluso il protagonista. Allora apriamo qualche
spiraglio.
Il nome completo del tizio è Aloysius Xingú
Leng Pendergast, detto XL, e già da questo si capisce che ci sta un po’ antipatico.
Ricco di famiglia, è un agente federale che sceglie i propri casi, vive in
Louisiana, ma spesso e volentieri sta al 891 di Riverside Drive a New York. I
soldi familiari deriverebbero da fortunate imprese farmaceutiche, anche se poi
si scopre che queste, create dal prozio Antoine Enoch, servivano a coprire la
produzione di un elisir di lunga vita (su cui torniamo). XL ha un fratello Diogenes
Dagrepont Bernoulli Pendergast che, in seguito ad un incidente, perde l’uso
della vista dei colori, ma sviluppa una forte coscienza da serial killer.
D’altra parte, tutta la famiglia Pendergast
produce elementi tarocchi. La zia Cornelia avvelena mezza famiglia, Enoch
uccide persone per procurarsi elementi per il suo elisir, Diogenes è un pazzo
criminale, e Alban, uno dei gemelli figli di XL, è un serial killer.
L’entourage significativo del nostro
comprende Proctor, sua guardia del corpo dalle mille misteriose abilità, ma
soprattutto Constance Green. E qui tenetevi forte: Constance è nata nel 1873 ma
utilizzando l’elisir di Enoch è ancora in vita. Peccato che, Enoch morto,
l’elisir non si riesca a produrre, e che quindi XL, per scrupoli vari, diventa
tutore della signorina.
Già da questo excursus si capisce che la
serie è infarcita di elementi fantastici, a volte soprannaturali, che non ne
rendono simpatica la fruizione. Inoltre, in queto sedicesimo volume, poco si
spiega del passato, dato che veniamo immessi subito in una sarabanda senza
senso. Ci si dice che Aloysius è morto nell’episodio precedente, e che, in precedenza,
Constance aveva fatto cadere Diogenes nella Sciara di fuoco del vulcano
Stromboli, punendolo del fatto che l’aveva sedotta solo per far dispetto al
fratello.
Quindi, primo Diogenes non è morto, nelle
prime pagine rapisce Constance, facendo fare il giro di mezzo mondo a Proctor
che si trova, dopo cento pagine, solo nel deserto del Botswana, dove uccide due
leoni (in un corpo a copro!!) e, sparito per il resto del libro, compare vivo
anche se malmesso, nell’ultimo capitolo.
Secondo, Constance non è stata rapita ma è
consenziente a seguire Diogenes che le promette di cambiar vita e di ridarle un
nuovo elisir. Terzo, neanche Aloysius è morto ma, in un’altra sessantina di
pagine, si fa salvare da una nave di contrabbandieri, che, dopo varie peripezie,
lo vogliono uccidere, e lui ne fa fuori un paio a mani nude, ed altri con
mirabolanti arti di fuoco.
Quarto, Diogenes per produrre altro siero
deve uccidere altre persone, aiutato da una psicopatica che si innamora di lui.
Per finire, Diogenes porta Constance in una stanza, quella del titolo, dove
sono i suoi trofei criminali, in un’isola al largo della Florida. E lì
convergono ance, la psicopatica che vuole uccidere Constance perché pensa che
le ha rubato Diogenes, Aloysius che vuole salvare Constance ed uccidere il
fratello, nonché due battaglioni di forze speciali tanto per far numero e
confusione.
Ci saranno battaglie finali, agnizioni, e
altre stupidaggini che non fanno che allungare il brodo di una libro di cui non
si sentiva la mancanza.
Tra l’altro con scopiazzature evidenti. Come
non pensare che Aloysius e Diogenes ricalchino le vicende di Sherlock Holmes e
di suo fratello Mycroft e del cattivo professor Moriarty, anche se con vicende
ovviamente trasposte ed attualizzate.
C’è inoltre un guazzabuglio di improbabilità,
uno shakeraggio di filosofie orientali, per finire con una affermazione
assolutamente smentibile. Nell’epilogo, il nostro agente poco simpatico si
trova nella sua casa di New York dove legge un libro che i nostri autori
descrivono “l’ottimo, seppur talvolta oscuro, “Gödel, Escher, Bach” di Douglas
Hofstadter”. A parte che io avrei citato il titolo per intero che sarebbe “Gödel,
Escher, Bach: un'eterna ghirlanda brillante”. Che non è un libro oscuro, ma
certo complesso dove, con fare anche scanzonato, si indaga sui meccanismi
neurologici che portano alla creazione di opere d’arte. Cito solo, a memoria
che il libro l’ho letto una quarantina d’anni fa, un paragrafo in cui si parla
degli spiritelli arabi (i Djinn) e a degli accordi musicali (detti tonici), e
che si intitola “Djinn and tonic”.
Comunque, tornando al testo, libro inutile ed
insufficientemente inserito, senza adeguate presentazioni, in una collana
intitolata “Profondo Nero”. Che qui, purtroppo, di profondo c’è stato sola lo
sconforto di un libro deludente.
Shannon
Kirk “Il metodo 15/33” Corriere Profondo Nero 25 euro 7,90
[A:
22/01/2020 – I: 26/02/2023 – T: 28/02/2023] – &&
e ½
[tit.
or.: Method 15/33; ling. or.: inglese; pagine: 276; anno 2015]
Intanto
ci trasferiamo in uno stato americano che conosco poco, l’Indiana. Qui c’è
questa ragazza, dotata di una grande mente, che sa leggere la vita come fosse
un problema di matematica, dove c’è sempre una soluzione. Ha 16 anni ed è
incinta del suo grande amico e sodale Lenny. Non ha detto nulla a casa, dove
vive con la madre, avvocato di successo, e il padre ex-militare, che l’ha
addestrata ad affrontare tutti i problemi della vita avendo questa massima in
mente: “Confida semplicemente nel fatto che vincerai”.
La
nostra eroina ha anche una seconda particolarità, quella di poter accendere e
spegnere gli interruttori delle sue emozioni (un po’ ripreso da “Il diario del
vampiro” di Lisa J. Smith). Quindi, rapita e segregata, comincia ad analizzare
tutto quello che la circonda, numerandolo. Arrivando alla fine a trovare due
oggetti, catalogati come 15 e 33, che potranno esserle utili quando e se
riuscirà a trovare il modo di organizzare una controffensiva verso i suoi
carcerieri.
Perché
non solo la nostra si vuole liberare, ma vuole anche vendicarsi dei suoi
carcerieri. Pensava di essere stata rapita per chiedere un riscatto, ma poi si
rende conto che l’obiettivo è quanto porta in grembo. Che non solo il
carceriere le porta da mangiare, ma viene visitata da un dottore che si vuole
sincerare delle condizioni del parto. E da una coppia che è interessata a
“adottare” il bambino.
Noi,
fortunatamente, sappiamo che qualcosa è andato per il verso giusto, visto che
stiamo leggendo quanto scrive l’ex-signorina di cui sopra, diciassette anni
dopo i tragici avvenimenti. La scrittura, per rendere la storia avvincente, si
alterna con quella del detective Roger Liu, della squadra dell’FBI che sta indagando,
insieme alla sua collega Lola, sulla sparizione di una ragazza incinta.
Usando
quindi tutte le sue caratteristiche, la nostra riuscirà ad escogitare un piano
di fuga, ed anche ad attuarlo, per poi rendersi conto che la situazione è ben
più complessa di quanto lei (ed in fondo anche noi) si aspettasse. Tutto ciò
non la ferma, e lei prosegue lancia in resta verso una sua vittoria.
Ne
seguiamo anche alcuni stralci di dibattimenti processuali, dove, tra bugie e
mezze verità, riesce nel suo scopo. Che ovviamente non vi dico quale. Vi posso
però dire, senza tema di scoprire gran che, quanto alla fine ci riserva la
storia. La nostra metterà in piedi un’agenzia di supporto alle strutture
poliziesche (e spesso anche un po’ avanti) nella lotta al crimine. Anche qui,
forse, con un pizzico di scopiazzatura, che la nostra eroina sembra il clone di
Lisa, la nipote dell’anatomopatologa forense Kay Scarpetta. Se non avete letto
i romanzi di Patricia Cornwell, mi dispiace per voi, non posso certo mettermi
qui a riparlarne.
In
ogni caso, mentre per larghi tratti, il romanzo si barcamena sulle soglie della
buona riuscita, senza mai sfondare, le invenzioni e le rivelazioni finali danno
la possibilità di mettere quel mezzo voto in più che non guasta. Laddove anche
noi diciamo, niente in questa storia è come sembra, forse neanche questa trama,
dove (e non è certo un caso) non uso mai battezzare i protagonisti (a parte
l’FBI, ovvio).
Quello
che fa piacere nelle idee di Shannon Kirk è il fatto di rovesciare
l’atteggiamento del rapito. Non ci si trova, come al solito, davanti ad una
persona tremante che cerca di instillare pietà ai rapitori. Vediamo una persona
che vuole lottare, anche a costo di affrontare pericoli superiori a quanto
pensava. Dobbiamo, com’è ovvio, subito dire che non è facile trovare persone
dalla fredda capacità analitica come la nostra eroina. Né tantomeno dei
rapitori in fondo assai più pasticcioni del necessario.
Una
quasi discreta prova, anche se poi, a parte quanto messo in luce di positivo,
non mi ha coinvolto sino in fondo.
Viveca Sten “Nel
nome di mio padre” Feltrinelli euro 12
[A: 10/10/2020 – I: 09/07/2023 – T:
10/07/2023] - &&
[tit. or.: I Grunden Utan Skuld; ling. or.: svedese; pagine: 407; anno 2010]
Lettura
del primo libro dei misteri di Sandhamn, dopo averne visto la serie televisiva,
anche se in maniera casuale. A parte il gradimento non elevatissimo, ma
comunque di buona leggibilità, i giudizi si abbassano notevolmente a causa
delle intemperanze degli editori italiani.
Prima
di tutto il sottotitolo, che riporta “I misteri di Sandhamn – 1”, così che tu
pensi sia il primo volume della serie, lo leggi in quest’ottica e poi nei
ringraziamenti l’autrice dice di essere grata per aver scritto il terzo volume
dedicato alle isole di fronte a Stoccolma. Cerco allora in rete, e sul sito
dedicato alla scrittrice si conferma: questo è il terzo volume!
Poi
il titolo, o meglio, la traduzione, visto che in svedese il titolo suona “Nella
fossa senza colpa”. Che, anche ad un occhio distratto, non sembra essere
paragonabile al titolo italiano.
Date
queste premesse (che però vengo a posteriori rispetto alla lettura) l’episodio
in sé è abbastanza godibile, anche se facevo fatica fin dall’inizio a seguire
alcuni intrecci tra i personaggi. Ovvio, visto che erano già due episodi che
andavano distribuendo le loro attività tra le isole e la vicina capitale (per i
non svedesi, ci vogliono 25 minuti di traghetto ed un percorso che in treno è
di circa 1 ora).
Facendo
un po’ di tara su quanto letto, direi che uno dei personaggi principali è
l’ispettore Thomas Andreasson. Una volta sposato con tal Pernilla, poi, in
seguito alla morte nella culla della loro figlioletta, si sono lasciati. Penso
siano passati un paio d’anni, e qui, nella parte privata, sembra che i due
abbiano cominciato ad elaborare il lutto, ed a provare a rivedersi in maniera
civile. Comunque, Thomas è l’ispettore che segue i casi delittuosi, essendo di
stanza in una postazione intermedia tra le isole e la capitale. Nel suo lavoro
investigativo viene aiutato da Margit, che penso sia stata presentata altrove,
e qui ha solo un ruolo di supporto.
Il
secondo personaggio centrale della storia, lato investigativo e privato, è Nora
Linde. Sposata con Henrik, due figli, Adam e Simon. Non so degli antefatti, ma
qui scopre il tradimento di Henrik, ed in una storia che si sviluppa tra il 23
febbraio ed il 4 marzo, decide di trasferirsi nell’isola dove ha sia una casa
che un villino lasciatole in eredità da una sua cara zia.
Dato
questo contesto di personaggi, ci possiamo immergere nella storia, che, ahi ahi
ahi, come spesso accade, rimbalza spesso tra passato e futuro. Un passato che
risale addirittura al 1899! Mi ripeto anche qui, ma questi su e giù sono ormai
diventati una moda e non apportano più notizie utili. Da quando appaiono,
capiamo che c’è qualcosa che si innesta nella trama del presente, ed aspettiamo
solo di capire cosa, come e quando.
Nel
passato di Sandhamn, seguiamo la parabola della famiglia di Gottfried, cupo ed
inquieto personaggio, all’inizio quasi simpatico, poi sempre più odioso. Si
sposa con Vilenda, senza capire (siamo agli inizi del Novecento) che la bella
signorina ha un handicap: non sa leggere. Se ne vergognerà per tutta la vita.
Difendendo, inutilmente, il primo figlio Thorwald e lasciando la seconda
Kristina diventare la pupilla del padre. Il maschio fuggirà per non soccombere
e né il padre né la sorella lo perdoneranno mai.
Nel
presente, prima vediamo sparire una ragazza. Poi i figli di Nora ne trovano un
pezzo. Ma il mistero sembra non avere un barlume di chiarezza, neanche dopo
lunghi interrogatori e ricerche fatte da Thomas. Unico passo avanti: la
scomparsa pare avesse un senso di colpa per la morte di Sebastian, dopo una
collisione, guarda caso, con la barca guidata da Thomas.
I
nostri investigatori girano molto a vuoto, avendo un nuovo caso dopo poco, la
morte (forse suicidio) della madre di Sebastian, mai ripresasi dalla morte del
figlio.
In
tutto ciò, è Nora che, nonostante i casini familiari, riesce a far fare passi
avanti alle indagini: tra la lettura dei diari della prozia (che ripercorrono i
tempi di Thorwald) e l’intuizione che un corpo smembrato possa essere conservato
in un capiente congelatore, fornisce a Thomas gli elementi per risolvere il
caso.
Noi,
alla fine, rimaniamo con alcune domande: Thomas ha avuto una brutta ipotermia e
ci chiediamo se si riprenderà, Pernilla si avvicina sempre più a Thomas e ci chiediamo
se torneranno insieme, Palle (un personaggio di cui non abbiamo parlato) si
avvicina sempre più a Nota e ci chiediamo se per corteggiarla o per farle del
male.
Visto
che abbiamo i prossimi episodi in libreria, prima o poi capiremo come tutto si evolverà.
Per
ora rimaniamo con gli occhi puntati sui paesi scandinavi, sulle isole (anche se
preferisco quelle davanti Helsinki), e sulle atmosfere che, tutto sommato,
escono dalla penna di Viveca. Quello che esce un po’ meno bene è il modo di
affrontare la vita ed i problemi, ma penso che avrò modo di tornarci quando
Nora comparirà di nuovo sulla scena.
Arne Dahl “Il tempo del male” Feltrinelli
euro 12 (in realtà, scontato a 9,60 euro)
[A: 18/10/2019 – I: 31/07/2023 – T: 02/08/2023] - &&&
[tit. or.: Utmarker; ling. or.: svedese; pagine: 410; anno 2016]
Dopo
quasi sei anni troniamo a leggere di Arne Dahl, autore svedese ben noto in
patria (fa parte dell’Accademia che assegna il Nobel), e noto per una prima
serie di gialli, ben riuscita in patria, uscita sotto il nome di “Gruppo A”,
serie che termina dopo 11 libri nel 2008. Da questa fa nascere uno spin-off,
noto con il nome di “Gruppo Op-Cop”, con alcuni personaggi della prima serie, e
di cui pubblica quattro libri (di cui solo due usciti in Italia, e che, per
l’appunto, ho tramato alcuni anni fa). Poi nel 2016 inizia una nuova serie, di
cui ora stiamo parlando.
A
latere, ha anche pubblicato una serie di libri non-fiction, sotto il suo vero
nome, cioè Jan Arnald, ma nessuno è mai stato pubblicato in Italia.
Intanto,
veniamo a questo primo volume. Che, al solito, presenta l’incongruenza della
trasposizione del titolo da “Risorse esterne”, elemento che fa riferimento ai
personaggi del romanzo, a “Il tempo del male”, dove si gioca sul termine
“tempo”, sia perché è un fattore dell’intera storia, che appunto, si spande nel
tempo, sia perché gli orologi (quelli che scandiscono il tempo) hanno una loro
presenza importante nello svolgimento della trama.
Il
secondo elemento di riflessione riguarda il sotto titolo: “Le inchieste di Sam
Berger e Molly Blom”, laddove se Berger è presente sin dalle prime righe,
dovremmo arrivare ad un terzo del libro per incontrare Molly, ed a quasi metà
per capire chi sia e cosa faccia. Rimane anche da capire se il suo nome, Molly
Blom, rimandi casualmente o meno all’eroina di Joyce.
Il
giallo, intanto, comincia in maniera quasi classica: sparisce una ragazza, la
polizia indaga, ma solo il sovraintendente Berger sembra avere qualche carta
per risolvere il mistero. È infatti l’unico che crede non sia un elemento
isolato, ma un serial killer, di cui questo rapimento è solo l’ultimo episodio.
Berger è anche l’unico che trova indizi solidi: rotelle dentate provenienti da
un Patek Philippe Calatrava dal costo iperbolico, stanze nascoste che, ad
analisi accurate, portano a diversi tipi di DNA, nonché piccole costanti
indiziarie che rafforzano la sua idea.
Ma
dopo un terzo di libro, le prospettive che sembravano incanalarsi nel classico
duello a distanza tra investigatore e serial killer improvvisamente si
capovolgono. Quando entra in gioco il secondo elemento del sottotitolo, Milly
Blom. Agente del SAPO (i servizi segreti svedesi) anche lei sta indagando, ed
ha molti elementi in più di Berger non solo per indirizzare le indagini verso
un possibile serial killer, ma anche per ipotizzare che il killer sia proprio
Berger.
Tuttavia,
dato proprio il sottotitolo, non ci meravigliamo se, dopo un interrogatorio
chiarificatore, i due facciano squadra, anche contro tutte le forze di polizia
ed anche dell’esercito svedese. Infatti, scopriamo che Berger e Blom erano
stati a scuola insieme (pur se in classi diverse), ed avevano vissuto momenti
pesanti, per la codardia di Berger e per il coinvolgimento di Blom in fatti
poco limpidi (ma che si chiariranno strada facendo).
Purtroppo,
questa svolta, che potrebbe essere interessante, porta il nostro autore a voler
allargare di tanto il raggio delle indagini e delle implicazioni, riuscendo,
nella seconda parte, ad imbastire una nuova serie di indagini e di passaggi che
hanno il solo merito di confondere il lettore e costringerlo a seguire ipotesi
che si allargano a macchia d’olio a tutto il mondo, dalla mafia albanese ai
terroristi dell’ISIS e chi più ne ha più ne metta.
Per
quanto detto, è ovvio che il cattivo che dobbiamo scovare è collegato a Berger
e Blom, ma questo riesce solo a confondere le acque. Con una soluzione del
mistero della sparizione di Ellen (quella che dà il via al romanzo), ma non con
una limpida ricapitolazione dei fatti. Perché i capi dei nostri non sono
convinti che Sam e Molly siano del tutto al di fuori delle trame. Anche perché
qualcuno continua a confondere le acque e porre prove potenzialmente
incriminanti i nostri sulle loro tracce. Tanto che, pur avendo loro
riconosciuto la soluzione del caso, i due sembrano dover porsi nella scia del
titolo (cioè risorse esterne alle forze dell’ordine), con un ultimo colpo di
scena che, nelle ultime pagine, passa il testimone al successivo libro.
Con
quell’addendo relativo agli orologi, cui accenno nel corso di questa trama, che
serve da giustificazione ai titolisti italiani nell’inserire il termine “tempo”
nel titolo. Un tempo scandito dagli orologi, di cui si dovrebbe sciogliere
tutto il mistero, ma così non è.
Avevo
già detto, nelle precedenti trame dedicate a Dahl che la sua scrittura è
altalenante, volendo al fine porre troppi elementi all’attenzione del lettore,
non riuscendo, come insegna il grande Van Dine, a chiarire tutti i misteri al
lettore. Perché le diramazioni sono troppo vaste e non ben gestite dall’autore,
che coinvolge il lettore in tempi di lettura che allontanano dal nocciolo duro
dell’indagine, rimandando il tutto al nuovo libro, quasi (come in alcune
scritture del compianto Stieg Larsson) si andasse a pubblicare in diversi
volumi una storia unitaria. Vedremo in futuro cosa ci riserverà la seconda
puntata.
Visto
che stiamo sotto Ferragosto, non vi voglio appesantire con lunghe citazioni, ma
mi aggancio ad un tema di stagione, legato al clima, ed all’uso di un bene
prezioso in questo periodo: l’acqua. Ebbene, anche un non sospettabile di
rivoluzione come Clive Cussler, scrivendo insieme a Paul Kemprecos
il libro “Oro blu”, ci ammonisce: “Un bene prezioso come l’acqua non
dovrebbe essere controllato da imprese che non devono rendere conto
all’opinione pubblica” (89).
Forse
mi avete pensato troppo in questa libro inventoriatura, ma può andare bene
anche così, scale e sedie permettendo un dribbling accurato tra libri e cadute,
ma non di stile.
Non vi annoio ulteriormente, che ci aspettano altri giorni di riposo, altre gite campagnole, altre visite di amici, insomma tanto ma con molta, moltissima calma. La stessa con cui vi abbraccio.
Nessun commento:
Posta un commento