Quindi, per continuare la citazione, venite
via con me in questo viaggio.
John Gillard (a cura di) “Quaderno di
scrittura creativa” Repubblica euro 9,90
[A: 06/05/2020 – I: 12/02/2023 – T:
13/02/2023] &&
[titolo: Creative Writer’s Notebook;
lingua: inglese; pagine: 191; anno: 2015]
Durante la pandemia, per ingannare le lunghe
chiusure, sono proliferati libri e scritture diverse che normalmente non
avrebbero attirato la mia attenzione. D’altra parte, leggere di un quaderno (ma
nella prima edizione si parlava anche di “Manuale”) dedicato alla scrittura
creativa mi aveva stimolato all’acquisto. Tuttavia, un primo sfoglio delle
pagine mi aveva anche bloccato dal proseguire, lasciando il testo ad altri
momenti.
Che non sono venuti, fortunatamente. Si è
usciti dai picchi del covid, ci sono state altre ed interessanti e più
coinvolgenti iniziative. Ora, con la calma di aver tempo nel prendere in mano i
libri accumulati, ne ho ripreso la lettura, e con essa, la critica.
Intanto, il libro era originariamente uscito
in Italia per i tipi di Fandango, nell’ambito delle iniziative della benemerita
casa editrice per spingere prima alla lettura e poi alla scrittura. Repubblica,
un po’ cavalcando le onde, lo riprende, anche se la pubblicazione senza una
parola di spiegazione del suo utilizzo porta ad una lettura e ad un eventuale
utilizzo un po’ monco.
L’idea del curatore (almeno da come l’ho
interpretata io) sarebbe quella di presentare un ventaglio di autori di livello
alto, che hanno in qualche modo portato avanti delle innovazioni nella
scrittura. Per ognuno se ne presenta una scheda di due pagine, cercandone i
motivi chiave della scrittura, elencando quali siano le opere chiave
dell’autore e catalogandolo con una tipologia di scrittura come fosse una
chiave di lettura dell’opera.
Così, sotto l’etichetta di modernista abbiamo
James Joyce, Virginia Woolf, Franz Kafka, William Faulkner ed Ernest Hemingway.
Abbiamo il gotico americano sempre con William Faulkner ma anche con Flannery
O’Connor. C’è la ventata postmoderna di Vladimir Nabokov, la beat generation di
William S. Burroughs, la controcultura di Kurt Vonnegut e la cultura pop di Douglas
Coupland. Una ventata di realismo magico con Gabriel García Márquez, Murakami
Haruki e Patrick Süskind. Infine, la scrittura filosofica di Iris Murdoch, la
scrittura autobiografica di Maya Angelou, la narrativa speculativa di Margaret
Atwood, la memoria romanzata di J. M. Coetzee, la narrativa storica di Peter
Carey, l’horror di Stephen King, nonché l’avanguardia (??) di Georges Perec.
Fino a qui, magari con qualche divergenza, ci
potrebbe stare. Poi, qualche svarione, come indicare “Il vecchio e il mare”
come “ultimo romanzo di Hemingway”, magari sarebbe stato utile aggiungere
“pubblicato in vita”, perché da quello in poi ha pubblicato racconti e poi sono
usciti romanzi postumi. E le piccole schede, a volte, condensate come sono in
due pagine, sono riduttive e poco esaustive.
A fronte di ogni autore, il curatore
inserisce alcune pagine di esercizi. E qui siamo proprio nel baratro. Cioè, ci
può stare che, a fronte di Joyce, si chieda di scrivere un “flusso di
coscienza”. Ma come lo posso interpretare io, da solo? Apro a caso, e mi si
chiede, a proposito della scrittura autobiografica di Maya Angelou, di scrivere
un brano sulle mie scarpe infantili. Bene, lo faccio, e poi? Mi ricordo delle
scarpe blu con la fibbia che ho sempre odiato, ne posso parlare, ma qual è il
senso di legarlo alla scrittura di Maya, e ad un libro (“I Know Why the Caged
Bird Sings”) che non è mai stato pubblicato in Italia?
Guardando tutti gli esercizi proposti, credo
che uno solo abbia senso per un “creativo solitario” che approcci questo testo.
cioè, l’esercizio 42 relativo a Georges Perec. Lo scrittore francese, che io
ritengo un sommo nel suo genere, con una serie di sodali, tra cui Raymond
Queneau e Italo Calvino, era convinto che bisognasse avere dei vincoli alla
scrittura per poterne far uscire fuori le potenzialità. L’esercizio in
questione propone un vincolo base del gruppo, denominato “S+7”, cioè scrivere
un testo, poi sostituire ogni sostantivo (S) con un relativo sostantivo che
fosse posizionato sette sostantivi dopo nel dizionario. Se volete, provatelo.
Per il resto, come approcciare i piccoli
miracoli quotidiani di Virginia Woolf con le quattro stagioni di Margaret
Atwood? Come il dialogo con il futuro di Kurt Vonnegut con le parole pescate a
caso di Douglas Coupland?
Un ultimo sentito appunto deriva
dall’americocentrismo del testo, che prevede si qualche escursione verso
scrittori non anglosassoni (Perec, Kafka, Marquez), ma nessun italiano, neanche
per sbaglio? Forse non ne avrei messi tanti, ma per la creatività di idee e
scritture, avrei di sicuro messo un accenno a Moravia, a Flaiano, a Calvino e
forse anche ad Eco. Se fossi un editor italiano, ci avrei pensato. Così come,
tanto per dirne una, Sellerio, nel pubblicare “Curarsi con i libri”, ha
inserito Fabio Stassi nella revisione, così che l’ottimo conoscitore della
letteratura italiana ha potuto inserire con cognizione alcuni nomi.
Insomma, non giudico Gillard, che mi pare
abbia fatto poco, giudico decentemente la fatica delle citazioni e dei rimandi,
trovo inutile e troppo commerciale l’operazione complessiva.
Carlo Cottarelli “Pachidermi e pappagalli”
Feltrinelli s.p. (Natale degli Arabini)
[A: 25/12/2022 – I: 01/03/2023 – T:
03/03/2023] &&
---
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 264; anno:
2019]
Un libro utile scritto da una persona che a
me non sta simpatica. Non ho nulla, in realtà, contro il professor Cottarelli,
ma ci sono situazioni di pelle che rimangono pur essendo razionalmente
inspiegabili.
Devo comunque dire che questo suo libro, con
tutti i se e tutti i ma, risulta in un certo suo modo divertente, soprattutto
per la parte che, in maniera quasi teorica, spiega (o cerca di spiegare) la
nascita delle bufale. O, come si dice ora, delle “fake news”. Ed anche per la
nascita del titolo, e per alcuni spunti che cercherò di sintetizzare.
Il titolo viene da una simpatica canzone di
Francesco Gabbani dal titolo omonimo, incentrata appunto sulle “bufale”, tipo
Elvis è vivo, la terra è piatta e l’uomo non è mai arrivato sulla luna. Per
ricentrare il testo sulle “fake news” di cui vuole parlare, Cottarelli aggiunge
un sottotitolo esplicativo: “tutte le bufale sull’economia a cui continuiamo a
credere”.
Vediamo allora, in alcuni ambiti analizzati
nel libro, quali siano le “palle” di maggior successo (così in adolescenza
chiamavamo quelle che in maturità diventarono bufale ed ora fake news).
Lasciando l’euro per ultimo, vediamo allora
la bufala che le banche sono state salvate affossando i conti correnti dei cittadini.
A parte che salvare le banche significa in ogni caso intervenire salvificamente
sull’economia, Cottarelli dimostra, dati alla mano, che i salvataggi tedeschi
sono costati l’11% del PIL, mentre in Italia il prezzo è stato l’1%.
Per rimanere sul PIL, altra bufala è che la
caduta del PIL fu colpa di Monti. Errore: a causa della crisi dello spread
causato dal governo Berlusconi, il PIL stava già in calo nel 2011, e Monti ne
frenò la discesa. Non salvò tutto, ma non furono i tecnici ad affossare il PIL.
Una bufala che mi tocca da vicino riguarda la
pensione, cui in Italia si sostiene andiamo troppo tardi. Ora dati OCSE alla
mano, vediamo che l’età media della pensione in Italia è di circa 62 anni,
contro la media europea che si avvicina ai 64 (anche se rispetto allo scritto
la forchetta si è un po’ ridotta). Non solo, ma anche la durata è una delle più
lunghe. In Italia si percepisce per esempio per oltre 20 anni, poco meno della
Francia e molto di più di altri paesi. Poi ci sono i dati fuori contesto, dove
posso certificare che mia madre ha percepito la pensione per 47 anni, più di
quelli per cui ha lavorato. Bravissima!
Alcuni brevi flash posson riguardare ad
esempio la corruzione che una fake news afferma costarci 60 miliardi di euro
l’anno. Ovviamente costa, ma la Corte dei Conti non ha MAI pubblicato una stima
puntuale. Oppure il fatto che la flat tax farebbe pagare meno, dove, conti alla
mano, farebbe pagare meno solo il 5% dei redditi più alti italiani (quelli
sopra i 100.000 euro di guadagno annuo).
Infine, torniamo sulla prima e fondamentale:
l’euro ha raddoppiato i prezzi. Sbagliato, che l’inflazione al tempo dell’euro
(2002) era del 2,5%, ma il mercato decise di approfittare del cambio per
aumentare i prodotti di consumo giornaliero: esempio chiarissimo, l’aumento del
costo del caffè. Nel 2000, più o meno, costava circa 1200 lire, cioè 62
centesimi di euro al cambio ufficiale. Nel 2004 il prezzo medio era di 78
centesimi di euro (1510 lire). Un aumento del 26% rispetto ad un’inflazione,
nello stesso periodo di 12,5%.
Interessante e da approfondire è la tecnica
di produzione delle bufale, che ovviamente variano a seconda dell’ambito in cui
operano, anche se hanno tutte un fondo comune. Non è facile riconoscerne la
genesi, ma di certo c’è bisogno del nostro aiuto per farla diventare una bufala
consolidata. Se non circola, non diventerà mai news e rimarrà fake. Altro
elemento è la leva che la bufala fa sulle emozioni. Non a caso, molte nascono
in momenti di crisi, quando si cerca un aiuto ad andare avanti. Ma se ne
guardiamo i contorni, dovrebbe essere facile vederne il profilo: notizie
urlate, fondate su dichiarazioni di esperti sconosciuti o fatti passare per
esperti anche internazionali. Se il professor Urbhut (nome inventato) docente a
Oxbridge annuncia di avere le prove del terrapiattismo, si deve prima
decodificare che Oxbridge non è un’università di Oxford e Cambridge, ma
un’invenzione, poi si deve cercare inutili info su Urbhut. Più facile credere e
far circolare la fake.
Ultimo punto, è proprio qui che si biforca la
via tra disinformazione (diffondere notizie false con il preciso scopo di
nuocere) e misinformazione (veicolare false notizie senza sapere che sono tali
e che possono essere dannose). Un esempio super chiaro sono la disinformazione
relativa ai “Protocolli dei Savi di Sion” (un falso documentale creato
dall'Ochrana, la polizia segreta zarista, con l'intento di diffondere l'odio
verso gli ebrei nell'Impero russo, poi ripreso dai nazisti per giustificare lo
sterminio) o la misinformazione della trasmissione “La guerra dei mondi” di
Orson Welles (un panico creato ad arte dai giornali a fronte della
trasmissione, inventando stime di vittime e disastri, per un audience che
risultò clamorosa all’epoca, e che convinse il geniale Orson a fare tre anni
dopo il film “Quarto Potere”).
Altro e finale punto è il rischio cui si
espone Cottarelli quando, rispetto ad altre analisi pur corrette, si azzarda a
fare piccole ipotesi e previsioni. Che ovviamente possono e debbono essere
discusse, ma apprezzo il pericolo dell’esposizione. Come quando sostiene che
tra austerità e “sperpero” c’è una giusta via di mezzo. O quando propone di
mandare prima in pensione chi ha famiglie più numerose, un modo di incentivare
la natalità senza costi aggiuntivi per lo Stato.
Insomma, non un manuale per la
controinformazione, ma un’utile compilazione che ci stimola a riflettere. Non è
poco.
Gianluca Gotto “Le coordinate della
felicità” Mondadori s.p. (Regalo di Alessandra)
[A: 06/01/2023 – I: 07/04/2023 – T:
09/04/2023] &&&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 376; anno:
2020]
Un libro seppur non pienamente riuscito che è
piacevole leggere, come sempre è piacevole ascoltare qualcuno che parla “di
sogni, viaggi e pura vita” (citazione dal sottotitolo).
In realtà, più che la ricerca di esplicitare
quali siano le coordinate per raggiungere la felicità (una ricetta che nessun
libro riuscirà mai ad esplicitare sino in fondo) è l’autobiografia,
interessante di sicuro, dell’autore, Gianluca Gotto. Studente torinese,
insoddisfatto della vita che stava procedendo verso qualcosa che non lo stava
coinvolgendo, Gianluca decide di provare altro. In questo, sorretto, in qualche
modo complementato, dalla sua compagna Claudia. Una presenza, che se non ci
fosse non avrebbe consentito a Gianluca di essere quello che è. Anche se, nel
testo ha una parte da “attrice non protagonista”, degna di candidatura ma non
riuscita a tutto tondo come il protagonista.
È a tutti gli effetti un inno a quello che
Gesualdi, uno dei ragazzi di Barbiana, battezzò con il termine “sobrietà”. Cioè
quel percorso, interiore ed esteriore, che porta l’individuo a guardarsi dentro
ed a capire di cosa ha bisogno e di cosa piò fare a meno. È un percorso
difficile, che, pur affrontato, non sempre porta risultati giusti (giusti per
chi lo affronta), ma che (e qui sono in accordo con il testo) andrebbe
affrontato con il coraggio della coscienza. Della coscienza di sé senza
l’incoscienza dell’età.
Gianluca e Claudia affrontano il loro viaggio
sobrio verso la loro felicità attraverso una serie di tappe ed una serie di
sconfitte. Cominciano con un visto di lavoro temporaneo per l’Australia, dove,
a Perth, raggiungono alcune tappe importanti: capire che si piò fare a meno di
molto, capire che è bello avere tempo per sé, godere un tramonto, godere della
compagnia degli altri senza barriere. Gianluca affronta alcuni lavori, ma non
ha uno skill che gli consente di trasformare il visto temporaneo in visto
permanente.
Dopo una delusa parentesi italiana, Gianluca
prova una seconda chance in Canada, a Vancouver, dove anche lì aggiunge tappe
alle sue capacità, alle sue possibilità, ma che alla fine si scontrano con
altrettante impossibilità di portare sino in fondo quanto di libertario esce
dal suo carattere (e da quello di Claudia).
Un nuovo passaggio in Italia, altri momenti
girovaghi intorno ad altre terre, fino a trovare una strada che sembra
promettere la sobrietà (e la libertà) che i nostri anelano. Diventare nomadi
digitali. Una tipologia di esistenza che ora, dopo le vicende COVID, capiamo
molto meglio, mentre solo cinque o sei anni fa sembrava una parola astrusa,
praticata da persone altrettanto astruse. Gianluca riesce a trovare il modo di
sfruttare la rete, producendo prima articoli, poi altre situazione “di rete” che
gli consentono di avere i giusti (per lui) introiti che gli permettono una vita
come ha sempre felicemente cercato di ottenere.
Dove, come ed in che modo si completa il suo
percorso, vi consiglio caldamente di leggere, che, soprattutto per noi
viaggiatori, ci sono spunti degni di nota. Tanto che una parola ad un certo
punto pervade il mondo di Gianluca e Claudia, completandone il percorso: Wanderlust.
Come dicono i dizionari, la Wanderlust indica il desiderio di andare altrove,
di andare oltre il proprio mondo, di cercare qualcos'altro. Ma anche, in senso
stretto, la semplice voglia di viaggiare (e posso ben dirlo io che ne sono
pieno).
Ora, non voglio entrare sul percorso
personale della ricerca della felicità, che altrimenti avremmo pagine e pagine
per discutere e controbattere i diversi pareri. Molto sinteticamente, appunto,
credo che la felicità sia nel proprio percorso personale, che ognuno troverà
guardando sé stesso con tutta la cattiveria e la sincerità possibile. Non so,
non riesco a quantificarlo, se io stesso sono felice, ma ho la certezza di aver
provato a fare tutte le cose che mi hanno creato piacere in tutti questi anni.
Voglio invece tornare al libro per la parte
viaggi, che in alcuni punti ha toccato corde in me molto sensibili,
risvegliando echi, non solo positivi, purtroppo. Ma di certo, ho apprezzato,
intorno a pagina 137 la vita canadese, in particolare ritrovandomi con Gianluca
nella bellezza di Vancouver Island e più precisamente affacciandosi sul mare da
Tofino. Ancor di più mi sono sentito coinvolto, verso pagina 235, nelle loro
avventure asiatiche. Meno nella parte thailandese, ma molto nel Laos, ad Angkor
Wat o in Vietnam. Anche se, personalmente, il mio ricordo di Luang Prabang è
abbastanza distante dal suo. La trovai una città molto gradevole, molto
“Marguerite Duras”, e niente affatto caotica. Tra l’altro con un bar di una
simpatia unica, dove gustai, ancora una volta, l’ottimo “kopi luwak”.
Infine, quando parla delle problematiche di
persone care che si ammalano tu lontano, ricordo, con un dolore che non sarà
mai sopito, la Patagonia del febbraio 2018.
Se poi vogliamo continuare a parlare di
viaggi, credo che anche qui si aprano scenari ed orizzonti praticamente senza
fine.
Mentre, se volete seguire gli attuali
percorsi di Gianluca Gotto, comunque, vi consiglio di affacciarvi al suo blog
“Mangia Vivi Viaggia”.
“L’unico
viaggio di cui ti puoi pentire è quello che non hai mai fatto.” (197)
Silvia Benvenuti “In viaggio con i numeri”
EDT s.p. (Regalo avventuroso)
[A: 08/01/2023 – I: 18/04/2023 – T:
20/04/2023] &&&&
---
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 450; anno:
2022]
Un alto voto per la parte matematica,
altrettanto per la parte turistica, con tanti “meno” ancora per la matematica,
come poi vedremo.
Cominciamo intanto a completare il titolo,
che finisce recitando: “Dieci passeggiate per mateturisti curiosi”. Dove,
appunto, si calca molto la mano su quel “mateturisti”, neologismo dell’autrice
per indicare “turisti con il pallino (professionale o meno) per la matematica”.
In effetti, con tutta la buona volontà dell’autrice, molte parti si addentrano
in meandri matematici che non tutti possono o vogliono esplorare. Per questo,
se mi fossi stato richiesto un parere sulla resa editoriale del testo io ne
avrei suggerito una diversa distribuzione.
Cioè, da una parte abbiamo le dieci
passeggiate, che magari avrei anticipato con una piccola mappa per collocarle
all’interno della città (ne riparliamo poi per Bologna). Da questi itinerari,
avrei estrapolato le particolarità matematica che ci interessa illustrare.
Intendendo, e qui sono in completo accordo con Silvia, tutto quanto si può
legare alla matematica. Che, per l’appunto, non sono solo numeri, ma figure,
espressioni, geometrie, anche fisicità.
Facendo un salto personale all’indietro,
quello che mi legò, adolescente, alla matematica fu la scoperta che con
opportune espressioni era possibile descrivere tutti gli oggetti del creato. Mi
ricordo che guardai il comodino di mio padre e cominciai a pensare su come potesse
essere descritto con equazioni e sistemi rappresentativi fatti a tale scopo.
Tornando al testo, una volta introdotti i
luoghi e le loro peculiarità, allora sì che mi sarei addentrato nelle
specifiche, oserei dire “tecniche” che i più interessati avrebbero ben seguito
(anche appassionandosi, come faccio io quando ne leggo). Sarebbe quindi stato
un libro da diversi gradi di lettura: un turismo interessato alle particolarità
dei luoghi, un turista che cerca di legare quelle particolarità ad elementi
matematici, un matematico (vero o appassionato) che si sarebbe tuffato nel
terzo livello. E quest’ultimo, a questo punto, avrebbe avuto la mente sgombra
da altro, così da poter seguire il percorso mentale e storico che sottende a
molte bellezze italiche.
Così possiamo allora tornare a seguire il
percorso consigliatoci dalla dottoressa Benvenuti. Cominciando da Pisa, ovvia
fucina di matematici usciti dalla sua Scuola Normale, ma anche patria del
mate-letterato Marco Malvaldi (che segue in ogni sua espressione letteraria
trovandolo sempre quanto meno gradevole) e soprattutto sede di meraviglie a
partire dall’eccelsa Piazza dei Miracoli.
Per poi proseguire verso Torino, Bologna,
Milano, Urbino, due volte Roma (forse anche per la Città del Vaticano),
Venezia, Napoli e Firenze. Ecco un altro punto dolente del discorso. Va bene
cominciare da Pisa, ma allora avrei anche fatto un percorso geometrico
all’interno dell’Italia, proseguendo con Torino, Milano, Venezia, Bologna,
Urbino, Firenze, Roma e Napoli. O al massimo, volendo fare un cerchio da Urbino
si prosegue con Napoli, Roma e Firenze.
Per ogni città, ci sono cose che all’occhio
dell’appassionato (ma anche del profano) non posson che sembrare “del creato
meraviglia”. Le proporzioni pisane, le prospettive leonardesche dell’Ultima
Cena, gli splendori dei Montefeltro (e di Raffaello) ad Urbino. Se ne
potrebbero elencare a iosa. Ma io, per stuzzicare la vostra curiosità ne cito
solo alcuni.
Innanzi tutto, per sfatare la leggenda che la
pianta di Piazza San Pietro nel Vaticano sia ellittica. In realtà, la sua
figura è un “ovato”, cioè una pseudoellisse costruita raccordando quattro archi
di circonferenza. Da qui, facendo in modo che i quattro ordini di colonne siano
non esattamente paralleli e leggermente decrescenti in altezza, si ottiene
quell’effetto ottico che tanto meraviglia i turisti. Meraviglia che potete
proseguire andando a vedere le due chiese vicine ma rivali di Sant’Andrea al
Quirinale del Bernini e di San Carlo alle Quattro Fontane del Borromini, su di
cui rimanderei al dotto scritto di mio cugino Alessandro “Il genio e
l’architetto”.
Ma non dimenticherei mai la serie di
Fibonacci in quel di Pisa, nonché le lezioni pisane e milanesi di quel gran
matematico che fu fra’ Luca Pacioli (maestro di numeri per Leonardo ed autore
di un libro esimio dal titolo “Divina Proportione”), finendo magari con
l’analisi minuta e ben dotta della “Scuola di Atene” di Raffaello. Per i più
patiti poi, segnalo approfondimenti vari su trompe l’œil, simmetrie,
prospettive, coniche, poliedri regolari ed altre bellezze matematiche.
Farei solo un ultima digressione prima di una
considerazione finale e personale. Siamo a Bologna e come mateturisti non
possiamo mancare i visitare Palazzo d’Accursio (per le unità di misura), la
Loggia dei Mercanti (con la misura della tagliatella), la basilica di San
Petronio (e la meridiana di Cassini), e poi la Basilica di Santo Stefano, il
Portico dei Servi, la Torre degli Asinelli e la piazza di Re Enzo. Se noi li
rappresentiamo su di un piano e li numeriamo, possiamo avere la
rappresentazione di un grafo che illustra il “teorema del commesso
viaggiatore”, al fine di risolvere quale sia il cammino minimo per raggiungere
tutti questi luoghi. Soluzione che, come ogni buon matematico sa, non esiste.
Non posso che terminare, citando infine che
molte e giuste volte viene illustrata la bellezza e la potenza del numero
sette. Penso che tutti sanno quanto io stesso sia legato al sette, cui
dedicherò quanto prima una dotta disquisizione. Qui lo ricordo solo per i sette
nani e per il fatto che è scomponibile come somma di due numeri a lui inferiori
ma sempre diversi: 1 + 6, 2 + 5, 3 + 4. Se non c’è bellezza in tutto ciò…
Alan
Bennett “Arresti domiciliari. Diari della pandemia” Adelphi s.p. (Regalo di Raul&Viviana)
[A: 07/05/2023 – I: 11/05/2023 – T:
11/05/2023] - && e ½
[tit. or.: House Arrest. Pandemic
Diaries; ling. or.: inglese;
pagine: 63; anno 2022]
Ero curioso, a fronte di citazioni
dei supplementi letterari dei maggiori giornali italiani, di visitare ancora
una volta uno scritto del simpatico “vecchietto” gay della letteratura inglese.
Che Alan Bennett, a parte i suoi orientamenti che non entrano nel merito di
nessun discorso, si avvia, il prossimo 9 maggio 2024 a compiere novant’anni.
Pur essendo eminentemente un autore,
ed in particolare di teatro, ho sempre letto con un buon gradimento i suoi
scritti, arguti, spesso ironici, sempre in ogni caso con qualche tocco che ci
permette di usare i nostri pochi neuroni. Qualche pennellata di umanità e molte
stoccate verso un modo di vita inglese non sempre rispettoso degli altri, siano
essi donne, emarginati o altro.
Fatta questa premessa, anche in virtù
dei sottotitoli e dei lanci pubblicitari, mi aspettavo, pur nell’ovvia brevità
dello scritto, qualche riflessione sul momento che tutti abbiamo attraversato,
e da cui, spero, credo, possiamo ben dirci, ora, vaccinati.
Le brevi note di Alan si focalizzano
proprio in uno dei periodi più duri della pandemia, dal febbraio 2020
all’autunno del 2021. Purtroppo, toccano solo marginalmente i nodi del periodo,
rimanendo invece molto legati al personale ed al personaggio.
Certo, da un quasi novantenne non ci
aspettava un rimpianto forte rispetto ad uno stravolgimento della propria vita
come è potuto essere il lungo lockdown mondiale. Bennett non aveva certo una
mobilità paragonabile anche a persone di venti anni di meno. Aveva già una vita
regolata, e ben inquadrata, fatta di colazioni, di scritture, di passeggiate
con il compagno. Quello che anche lui nota fin da subito è un certo isolamento.
Fisico, anche se poi contatti ci possono essere, con telefoni, con computer ed
altro. Ma anche a lui, si sente, manca quella fisicità che a tutti venne tolta
nel marzo di tre anni fa.
Il suo diario, tuttavia, è più
riempito da note verso possibili nuove iniziative, magari in video, se i teatri
non potevano essere aperti. Riprende vecchi testi, ripensa a momenti di scena,
ne cita brani (a volte seguiti da noi non anglosassoni con qualche difficoltà,
visto che non sempre seguiamo le televisioni estere).
In alcuni punti la pandemia emerge.
Quando il governo inglese annuncia il primo lockdown, ed Alan commenta che in
questo modo il suo normale stile di vita viene reso obbligatorio a tutti, quasi
allora che si senta “celebrato” nella sua quotidianità. Ed entrano anche,
veloci, con cenni che non sempre si riesce a cogliere, critiche al governo
Cameron, insofferenze verso il governo Johnson, parole dure verso la Brexit. E
rimpianti, ad esempio, per i cari amici che muoiono, anche non per il
coronavirus, ma che, nella morte, non possono essere accompagnati verso gli
ultimi passi.
Si sente, in trama più che in
esplicite parole, il vissuto della pandemia. Soprattutto nell’ultima parte,
quando, nell’autunno del ’21, si può uscire di nuovo, senza mascherine, magari
salutandosi non da lontano, ma con, di nuovo, delle strette di mano. Nella
descrizione della passeggiata liberatoria di fine lockdown, Bennett ci porta
per le strade della sua Londra, ce ne narra i nomi, gli incroci, i palazzi, quasi
che si potesse in questo modo riportare a nuova vita quello che per quasi due
anni era stato sopito.
È un breve ma intenso lamento, ripeto
tuttavia più sussurrato, più accennato, che esplicitato e meditato. Non mi
aspettavo di certo una riflessione come quella del mio amico Paolo e dei suoi
sodali, sulle implicazioni globali che questo periodo ha portato. Ma mi
aspettavo, almeno, qualche riflessione personale, su quanto, questo stesso
periodo ha inciso sullo scrittore, sull’uomo di mondo e di relazioni.
Non nego che avrei voluto, appunto,
confrontarmi con quelle mancate parole. Che, seppur personalmente, ha portato
cosa mai pensate nella mia vita, è stato in ogni caso un periodo che mi ha
tolto anche molto. Stare fermo, non viaggiare per due anni è stato durissimo,
ad esempio, ma non per i viaggi in sé, quanto per il fatto che, avendo ormai
anch’io un’età da tenere in considerazione, due anni pesano molto di più. E
sono irrecuperabili.
“Lucian Freud: le tue opere dicono
alla gente che sei stato vivo.” (34)
Ovvio che in una trama sregolata, possa venir
bene un florilegio di citazioni tratte dal libro “Un mondo senza regole” di Amin Maalouf, un autore franco-libanese da me amato sin dai tempi dei suoi libri
sulle crociate viste dagli arabi.
Qui abbiamo qualche riflessione, sull’immigrazione
e sulle sue conseguenze: “Contrariamente a quanto si ritiene di solito,
l’errore secolare delle potenze europee non è stato quello di aver voluto
imporre i propri valori al resto del mondo, ma esattamente l’inverso: di aver
rinunciato costantemente a rispettare i propri valori nei loro rapporti con
i popoli dominati.” (58); “Ciò che cerco di dire è che si passa accanto
all’essenziale ogni volta che si tralascia di vedere l’emigrato dietro
l’immigrato. E che si commette un grave errore strategico quando si valuta lo
status degli immigrati in funzione del posto che occupano nelle società
occidentali, cioè spesso in fondo alla scala sociale, anziché in funzione del
ruolo che hanno, e che potrebbero avere cento volte di più, nelle loro società
di origine, quello di vettori di modernizzazione, di progresso sociale, di
liberazione intellettuale, di sviluppo e di riconciliazione” (248).
Sulla
vita civile e sui pensieri che vanno e tornano: “Ogni essere ha bisogno che gli
si fissino dei limiti. Ogni potere ha bisogno di un contropotere per proteggere
glia altri dai propri eccessi, e anche per proteggersi da sé stesso.” (183); “Una
grande lezione del secolo da poco conclusosi è che le ideologie passano e le
religioni restano” (207).
Per
finire con una frase che metterei in testa a tutte le discussioni sull’ambiente:
“Quando un paese è in pieno marasma, si può sempre cercare di emigrare. Quando
l’intero pianeta è minacciato non si ha l’opzione di andare a vivere altrove.
“(200).
Volevo infatti darvi qualche spunto in più di pensieri disordinati in vista di una o due settimane in cui tornerò a non farmi sentire. Una nuova pausa di cui vi parlerò al ritorno. Per ora continuerò a leggere, a scrivere, ad abbracciarvi.
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