domenica 6 agosto 2023

Colin verso la fine - 06 agosto 2023

Siamo ad una grande settimana dedicata ad alcune delle quasi ultime opere di uno dei grandi misconosciuti della letteratura gialla. Per me Colin Dexter è stato una (piacevole) scoperta: gialli garbati, ben costruiti (quelli etichettati “all’inglese”), con una sufficiente dose di ironia ed una grande infornata di rimandi ed enigmi, non ultimi dovuti alle grandi capacità enigmistiche dell’autore.

Dopo di questi, mancheranno solo due libri per avere la collezione completa delle avventure dell’ispettore E. Morse, ed allora ne troneremo a parlare. Rilevo solo che la media di queste letture si attesta su tre libri e mezzo, che è un punteggio decisamente alto.

Colin Dexter “Il segreto della camera 3” Sellerio euro 14 (in realtà, scontato a 13,30 euro)

[A: 15/02/2022 – I: 23/01/2023 – T: 25/01/2023] - &&&& 

[tit. or.: The secret of annexe 3; ling. or.: inglese; pagine: 332; anno 1986]

Prima di quello della camera, il mistero è la data del libro. Ora, generalmente, gli editori nelle prime pagine di un testo riportano i necessari riferimenti ai diritti d’autore, agli anni di pubblicazione, ai traduttori, insomma a tutte quelle notizie che noi amanti dei libri riteniamo nella nostra memoria per collocare il libro in una giusta luce, anche storica. Nonostante Sellerio sia solitamente corretta in ciò, il mistero è che indica come anno di pubblicazione il 1983, mentre tutti i testi consultati riportano per questo testo il 1986. Io, come dice la grande libreria online “Open Library” mi attesto su “first published in 1986”.

Fatta questa premessa possiamo tornare con soddisfazione alla lettura degli scritti di Colin Dexter, che, ricordiamo, non fu un autore prolifico, ma che nei tredici romanzi aventi con protagonista l’ispettore E. Morse, mostra una grande capacità di mettere in moto i nostri neuroni. C’è sempre un fascino negli scritti di Dexter, che descrivono, propongono, mettono in moto i personaggi, a volte fanno dei piccoli giri apparentemente di altre parti, per poi convergere verso un finale in cui i nodi, se non già scoperti, sono tutti portati alla luce.

La bellezza della scrittura, più che della trama che comunque è sempre intrigante, è che, da buon enigmista, bisogna seguire le sue parole. Se saltiamo dei passaggi ci troviamo a non capire l’evolversi del “dramma” che stiamo seguendo, non capendo (a volte) come Morse arrivi alle sue conclusioni. Dexter ci dà tutti gli elementi per competere con Morse, ed anche questa volta, io e l’ispettore siamo arrivati molto vicini. Ovvio, che alla fine Morse abbia vinto, ma di poche pagine.

La trama, inoltre, prevede qualche filone da decifrare anche se da corredo al filone principale, che, per brevità e per gusto, neanche menziono. Il filone principale vede all’opera tre personaggi: i coniugi Margaret e Tom e l’amante di lei. Dopo un periodo in cui Margaret e l’amante perseguono la loro tresca, si arriva ad un punto di svolta quando Tom ne scopre le tracce. Ed è Tom che propone a Margaret, che sembra indecisa tra i due, una soluzione drastica. Trovare il modo di eliminare l’amante.

Vediamo quindi svolgersi una festa di Capodanno, dove si presentano, travestiti come richiesto dall’invito, Margaret ed un uomo. Margaret vestita da odalisca e l’uomo da rasta. Non sembrano divertirsi, mangiano poco, solo alla fine c’è un momento diverso, che l’uomo vince il primo premio come miglior travestimento. Poi tutti a nanna. Ovvio, che, come dal titolo, i due sono alloggiati nella camera numero 3. Tardi, il primo dell’anno, dopo che molti ospiti sono andati via, si scopre un morto in quella camera. E già si capisce, non svelo gran che, il morto essere Tom e non l’amante.

Forse il piano di Tom è andato a monte, e l’amante da uccidere ha invece ucciso? Forse Margaret ha cambiato idea ed ha inscenato una controstoria per liberarsi del marito? Oppure altro ancora che non vi sto dicendo, così avete un dubbio in più?

Fatto sta che, basandosi sui pochi indizi presenti, e su piccole scoperte, che a volte sfuggono ad un non attento lettore, Morse deve risalire la china. Intanto deve scoprire chi siano le persone della camera 3, visto che hanno dato nomi e indirizzi falsi. Poi, una volta scoperti, deve trovarli, capire chi sia l’amante, come si è sviluppata la storia d’amore. E soprattutto, se Margaret è stata parte attiva o passiva della vicenda.

Un bel mistero (teniamo conto che siamo negli anni ’80 e non ci sono e-mail con indirizzi fasulli che possono far luce sull’andamento) è lo scambio di missive tra l’hotel e la coppia che ha prenotato. Scambio che avviene per lettera, con un indirizzo di poco differente dal reale, ma differente. E poi ci sono lettere, libri, cartoline, ognuno con un piccolo tassello di verità e di novità.

Morse a volte sembra distratto, a volte prende anche lui cantonate, spesso ribaltandone la colpa sul suo assistente, l’ispettore Lewis. Ma il più delle volte, intorno ad un boccale di birra (ah, piccole reminiscenze di Maigret), imbrocca la strada giusta.

E sempre come Maigret, non è detto che la giustizia trionfi sempre e su tutti i fronti. Ma questo è un discorso diverso, che magari affronteremo altrove. Anche se mi piacerebbe continuare con altri esempi dell’acume di Dexter, ma continuo a dirvi soltanto di leggerne. Per il mio gusto, pur scoperto in età avanzata (mia) e dopo la morte di Dexter, è sempre una lettura stimolante.

Un ultimo appunto, invece, merita il traduttore. O meglio un disappunto (mio, che sono fissato). A pagina 307 viene menzionato, per motivi altri, Steve Davis che viene indicato come campione di biliardo. Seppur si tratta sempre di panno verde, Steve Davis è stato un grande campione di snooker, vincendo, tra il 1980 ed il 2010, 28 competizione indicate come le maggiori dello sport, tra cui ben sei titoli mondiali. Nel ranking mondiale di tutti i tempi è secondo dietro al mio mito, il campione indiscusso, che di competizioni ne ha vinte 39 tra cui 7 titoli mondiali (dal 1992 ad oggi, dove, a 47 anni, è ancora il numero 1 del ranking). Va bene, avete capito, a me lo snooker, piace!

Colin Dexter “La fanciulla è morta” Sellerio euro 14 (in realtà, scontato a 13,30 euro)

[A: 23/02/2022 – I: 02/02/2023 – T: 04/02/2023] - &&& 

[tit. or.: The Wench is Dead; ling. or.: inglese; pagine: 268; anno 1989]

Continuiamo nelle letture delle purtroppo poche pagine scritte da Colin Dexter sulle avventure del suo commissario Morse. Rispetto ai libri già letti questo prende un po’ meno dal punto di vista narrativa e di azione, essendo praticamente un esercizio tutto intellettuale dell’autore.

Non c’è, in verità, una vera e propria trama gialla, anche se assistiamo ad un’inchiesta svolta con (quasi) tutti i crismi. Ma è un’inchiesta tutta libresca, anche se l’autore la sviluppa in modo affascinante. L’avvio, l’idea di Dexter è stata quella di tributare una serie di omaggi a libri, autori e personaggi che devono averlo intrigato. Infatti, l’impianto generale è un omaggio alla scrittrice Josephine Tey (pseudonimo di Elizabeth MacKintosh) che scrisse sei romanzi con protagonista l’ispettore Alan Grant. Nel quinto (intitolato “La figlia del tempo”) Grant è in ospedale con una gamba rotta, e per svagarsi indaga sulla figura di Riccardo III, svolgendo una vera e propria indagine.

Abbiamo quindi anche qui, il nostro commissario Morse che, per problemi intestinali dovuti ad eccessi alcolici, è costretto in un letto d’ospedale. Per non annoiarsi, e per diversificarsi dalla Tey, Morse si ingolfa nella lettura di un libretto auto pubblicato da un generale da poco morto, e relativo alla morte di tal Joanna Franks ed al processo dei suoi presunti assassini. Qui, il riferimento è più esplicito, che la vicenda di Joanna si rifà ad un testo di John Godwin intitolato “The Murder of Christina Collins: The Story of the Bloody Steps Murder of 1839 on the Trent & Mersey Canal”, dovutamente omaggiato in ex ergo.

Morse nel suo “letto di dolore”, pur accudito da due simpatiche infermiere, blandito di omaggi dal suo fido secondo, l’ispettore Lewis, e coccolato dalle attenzioni di una signorina che viene a visitare il padre, ma che soprattutto lavora in una biblioteca, legge avidamente la storia di Joanna. Una storia che Dexter ripropone, creando una sorta di libro nel libro. In particolare, mettendo il lettore su di un piano simile a Morse. Noi e lui ne leggiamo. Ma solo Morse viene preso da dubbi, e cerca di approfondire la vicenda.

La storia è piuttosto semplice. Una donna, al suo secondo matrimonio, vivendo in quel di Oxford, decide di raggiungere il marito a Londra, effettuando il viaggio in barca sui canali navigabili. Si sa che i barcaioli son dediti all’alcool, e sulle brache, con una sola donna, possono facilmente cedere alle tentazioni. Fatto sta che Joanna, dopo un inizio sereno, comincia a manifestare preoccupazioni nelle varie stazioni di sosta. Per poi sparire, fino a che ne viene ritrovato il corpo, di sicuro uccisa, e viene riconosciuta dal marito. I barcaioli sono allora incriminati, e dopo due processi, due di loro vengono riconosciuto colpevoli e giustiziati.

Morse, da alcuni accenni del testo, che a me erano sinceramente sfuggiti, si fa venire dei dubbi. Coinvolge allora Lewis ad un’indagine negli archivi della polizia e l’amica bibliotecaria ad una ricerca nelle more dei libri dell’epoca. Che, mi ero dimenticato di accennare, il delitto risulta avvenuto nel 1859. In pratica assistiamo non ad un cold case, ma ad un “ice case”.

Costruendo un castello sulla base di annuari delle ferrovie, libri mastri di navigli naviganti sui canali, estratti enciclopedici sull’andamento della popolazione, ed altri piccoli tasselli, arriva a ricostruire tutta una sua interpretazione della vicenda. Di certo congruente con gli indizi in suo possesso, ma senza alcuna prova tangibile. Prova che tuttavia trova su di un vecchio muro in via di abbattimento, confrontando le misurazioni lì riportate con i dettagli scritti nei referti della polizia del tempo. Una conclusione non solo ragionevole, ma decisamente sorprendente.

Tuttavia, non è un caso che appassiona, anche se Dexter svolazza qua e là riportando le solite manie di Morse: il buon bere, il piacevole mangiare, nonché un occhio sempre pronto verso le bellezze muliebri, che il cinquantenne commissario, anche se un po’ su di peso, è sempre un uomo con del fascino. E non sorprende anche qui acchiappi qualcosa. Per questo, alla fine, la scrittura di Dexter porta il libro ad una sufficienza piena, anche se non raggiunge i piacevoli gradimenti dei libri precedenti.

Per la solita puntigliosità che mi contraddistingue, rilevo un difficile momento di traduzione, nonché un trasversale indizio. Allora, il titolo, visto che Dexter è di sicuro colto e letterato, viene da un passo tratto dal dramma di Christopher Marlowe “L’ebreo di Malta”. Il protagonista, un ebreo di nome Barabba (nome su cui torniamo più avanti) è abbastanza empio e debosciato. Ad un certo punto, accusato di aver fornicato, lui ammette e conclude “e poi, la fanciulla è morta”. Che di certo capite come riferimento al titolo. Ma in inglese, l’originale riporta “wench” che, oltre che per signorina, sta ad indicare una donna dedita alla mercificazione del proprio corpo. Comunque, ed è ovvio, non si poteva intitolare il libro “la prostituta è morta”, sia perché non lo era Joanna, sia perché avrebbe sviato l’attenzione del lettore verso un dettaglio non pertinente.

Finisco infine con l’accenno a Barabba, non tanto per il testo di Marlowe, quanto per l’uso storico che ne viene fatto. In realtà, è un nome molto comune, nella quasi totalità dei casi preceduto da un nome proprio. Infatti, in aramaico (che poi passerà nell’arabo storico) si usa scriverlo come Bar Abba, cioè bar (figlio) di abba (del padre). Qui si potrebbe innescare tutto un filone di ragionamenti interessanti, che sono tuttavia stati ampiamenti esperiti nel libro di Benedetto XVI “Gesù di Nazareth”.

Io ritorno con umiltà al mio bravo scrittore inglese ed alle sue vicende oxfordiane.

Colin Dexter “Il gioiello che era nostro” Sellerio euro 14

[A: 11/03/2022 – I: 10/02/2023 – T: 12/02/2023] - &&& e ½   

[tit. or.: The Jewel that was ours; ling. or.: inglese; pagine: 381; anno 1991]

Eccoci al nono episodio delle avventure (o meglio delle indagini) dell’ispettore capo E. Morse. Dove continuo a seguire l’interessante scrittura di Dexter, sempre attento agli indizi, alle possibilità, all’incrocio degli avvenimenti. Sempre, inoltre, con un tocco di descrizioni altre, che ci portano paesaggi urbani di Oxford e dintorni, non mancando altresì la caratterizzazione dei personaggi che si muovono lungo il romanzo. Ed un pizzico di enigmistica su cui torneremo.

Non è tornato ai livelli dei primi episodi, ma sicuramente migliora rispetto al precedente, il cui interesse, ricordo, era molto più cerebrale e letterario che legato alla storia in sé.

Qui, il plot è invece ben delineato. C’è una comitiva di turisti americani in visita alla vecchia Inghilterra, con un elemento centrale. una coppia ha promesso di riportare ad Oxford un prezioso gioiello: un puntale intarsiato che si incastra perfettamente con una antica fibbia conservata in un museo di Oxford.

Dexter, in ogni caso, prende l’avvio da lontano. Comincia a descriverci il responsabile del museo, Theodore Kemp, impenitente donnaiolo, sia insieme alla sua amente Sheila (addicted sia di uomini che di alcol), sia nelle problematiche familiari. Due anni prima, ubriaco, è uscito di strada, ha investito una donna uccidendola, e la moglie, al suo fianco, è rimasta paralizzata dalla vita in giù. Lui niente, continuando la sua vita di prima. Con le continue schermaglie con il collega Cedric, ipoudente, non disdegnando di fare la corte alla di lui moglie. Un bel caratterino, invero, e comunque al centro delle attenzioni che sarà lui a ricevere il Puntale, che, da storico, sono anni che insegue.

Poi c’è la coppia del puntale, lei, Laura, la ricca, anziana e sempre urlante malata di piedi ed il marito Eric, ex-tanatoprattore (bravura di Colin relativa a chi esegue trattamenti alle salme prima delle esequie) e discretamente succube. C’è Janet l’anziana rompiscatole so tutto io con una borsa alla Mary Poppins. C’è il pavido Philip, un po’ sottomesso alla di cui prima quasi a farne involontariamente il cavalier servente. E c’è il responsabile del tour, John Ashenden, che seguiamo in una vicenda che nulla centra con il romanzo, se non per alcuni squarci sui cimiteri oxfordiani. A parte il rimando letterario che se ne può trarre ricordando che l’impavido agente segreto di Somerset Maugham proprio Ashenden si chiamava (e rimando alla relativa trama per chi ne volesse approfondire i tratti significativi).

Il mistero nasce dal furto della borsetta della signora Laura contente il famoso puntale, dalla seguente morte della stessa, ma per infarto, nonché della morte invece provocata al donnaiolo Kemp. Da qui in poi entra in opera il nostro Morse. Con la solita sequenza di interrogatori, di deduzioni (all’inizio sempre coerenti ma sbagliate), di lettura di deposizioni o di giornali o di rapporti investigativi. Quello che colpisce è il fatto che riesca a trovare sempre errori di ortografia e passaggi capziosi che a noi sfuggono e che a lui portano avanti nelle deduzioni.

Ad esempio, in un testo scritto da un possibile indagato Morse dice di aver rilevato 4 errori. Io, letto due volte, ne ho trovato uno (un “cera” che avrebbe dovuto essere “c’era”).

Il problema maggiore è collegare il furto del puntale alla morte di Kemp, cosa che sembra in prima istanza improbabile. Ma Morse (ed il suo fido Lewis) sono poliziotti di buone risorse, ed anche se rischiano di andare un paio di volte fuori strada, alla fine il rompicapo comincia a ricomporsi. La capacità di Dexter sta nel non perdersi alcun dettaglio. C’è un sospetto che prende il treno? Ecco che parte una ricerca sugli orari, le coincidenze, gli scioperi, le locomotive. Insomma, un lavoro investigativo coi fiocchi. Se tu non stai attento ti perdi, oppure decidi che Dexter è più in gamba di te, e lasci che Morse lavori.

Ovvio anche che ci sia una profusione di bevute (che Morse senza pub sarebbe inutile), alcuni tentativi di approcci para-sessuali (che in fondo Morse non è di legno), ma soprattutto un rigirare tra possibili colpevoli, per arrivare al fine alla giusta ricostruzione di tutti i fatti.

Dexter mi soddisfa proprio per questo suo non lasciar cadere nulla, e per dare risposta a tutte le domande che vengono in mente a noi poveri lettori. C’è un passaggio, in particolare, che illustra il modo di pensare dell’enigmista Dexter. Parlando di cruciverba (di cui è un accanito risolutore), Morse ne ricorda uno in cui ogni definizione poteva essere risolta con due diverse parole. Con un’abilità tale che tutti si incastravano rendendo (quasi) possibile una soluzione alternativa. Solo ad un certo punto, una soluzione, per una lettera, andava in fuori gioco, rimettendo il solutore al piede di partenza per ricominciare da capo. Così nelle indagini di Morse descritte da Dexter: spesso i dettagli vanno al loro posto, meno uno che costringe Morse a ripensare tutto da capo. Un gioco enigmistico che avrebbe reso felice il mio compianto amico Peres.

Il risultato finale, comunque, se come detto migliora, ancora non torna ai massimi livelli, che una delle pagliuzze risolutive non può essere dedotta se non accedendo ad informazioni che noi lettori non potremmo mai avere. L’abilità dello scrittore è nel farci comunque arrivare alla soluzione (che avevo pensato, anche se non ne capivo gli incastri) per poi, svelando quella pagliuzza, farci contenti del castello ben ricostruito.

“Ho sentito dire che gli ultrasessantacinquenni possono avere una vita sessuale molto intensa.” (227) [no comment]

Colin Dexter “La strada nel bosco” Sellerio euro 15 (in realtà, scontato a 14,25 euro)

[A: 02/03/2022 – I: 20/02/2023 – T: 22/02/2023] - &&& e ½   

[tit. or.: The Way Through the Woods; ling. or.: inglese; pagine: 468; anno 1992]

Altro interessante caso che la penna di Colin Dexter sciorina nelle sue pagine con al centro il sempre più enigmistico ispettore Morse. L’intreccio non è al massimo delle potenzialità della serie, certo non ai livelli delle prime uscite. Tuttavia, ha un bel piglio, un discreto guazzabuglio di intrighi e possibilità, qualche punto oscuro e forse rimasto tale, ed una sapiente miscela di narrazione e di misteriosità.

Per il secondo punto devo tuttavia confessare che credo solo un buon cultore della lingua inglese riesce realmente ad apprezzare i molti passaggi enigmistici dell’autore (o forse sarebbe più corretto dire enigmatici). Il più tipico esempio è la poesia centrale per la trama cui un enigmista di razza (un Peres inglese) avrebbe potuto comprendere che nelle cinque strofe (giustamente citate in inglese) era presente l’anagramma di una località cruciale per le indagini. Dexter è sufficientemente attento a farci comprendere il messaggio, ma credo che lì, ed in altre parti, qualcosa possa sfuggire a noi non-anglofoni.

È comunque un giallo che avvince anche (e soprattutto) per questi contorni “non gialli”, per la capacità di Dexter di portarci lontano da Londra (un bene), ed immergerci nell’andamento lento della vita a Oxford e dintorni, con le sue piccole cittadine, le strade nel verde, di certo i boschi, ed i pub dove si va a passare la vita, incidendo su dei tassi alcolici che mettono pensiero. Li ho visti, gli inglesi e non solo, bere, mangiucchiare, e poi bere, riuscendo ad introdurre nei loro corpi, ogni volta, una quantità di liquidi che credo mi sia sufficiente per una vita.

Qui, se da una parte il mistero è ben avviato, Dexter riesce a costruirci intorno tanti piccoli torrenti che solo la sua capacità riesce alla fine a far defluire nel giusto alveo.

Morse, stranamente ed in maniera episodica, è finalmente in ferie, a fare un tour per le campagne inglesi, sulle orme letterarie di Jane Austen, per le scogliere del Dorset teatro de “La donna del tenente francese”, seguendo i luoghi giovanili di Coleridge. Tanto per essere poco colti!

Lì incappa in Claire, una intrigante signora, anche brillante, che attira la sua attenzione (maschile) ma anche quella poliziesca che nel giornale da lei in lettura, legge una poesia che sembrerebbe riaprire uno strano caso rimasto in sospeso l’anno precedente.

Il caso di Karin Eriksson, giovane svedese, misteriosamente scomparsa nei boschi intorno ad Oxford. Da qui comincia l’epifania di Morse. Che segue il caso, leggendo e commentando le lettere ai giornali che seguono la pubblicazione della poesia. Ma che è riluttante a buttarsi sul caso stesso a capofitto. Da qui, comunque, inizia il caso della Fanciulla Svedese.

Alla fine, sarà un caso ben complesso. Karin, giovane e disinibita, a corto di soldi, si allontana da Londra, per recarsi proprio ad Oxford, attratta dal miraggio di un servizio fotografico discinto e ben remunerato. Incappando in una villa frequentata da voyeur, che, intreccio dei casi, da un lato sono tutti personaggi che prima o poi compaiono sulla scena nei dintorni del famigerato bosco di Wytham (quello anagrammato nella poesia iniziale), dall’altro si intrecciano con altre storie.

Ad esempio, Claire è l’amante di tal Hardinge, che risulta essere uno dei frequentatori della casa. Come lo è il guardaboschi che, casualmente o meno, fa scoprire un corpo nel suddetto bosco, anche se è uno scheletro maschile e non femminile. E niente vale anche la missione della spalla di Morse, l’agente Lewis, in quel di Stoccolma, in visita alla famiglia Eriksson. Da dove torniamo con alcuni flash della capitale (ben colti da Dexter) ed una domanda sul reticente comportamento della famiglia della scomparsa.

Non vi porto a lungo intorno al mistero, che Morse, imboccando ogni volta una traccia sbagliata, alla fine riuscirà a risolvere. Saranno bei colpi di teatro la soluzione del mistero della Fanciulla Svedese, la risoluzione di una serie di morti legate al mistero, nonché quello delle lettere ai giornali. Un buon giallista, che mescola tanto, riuscendo (e questa volta con successo) a confondere il lettore, tanto che anche io sono rimasto sorpreso dalla soluzione finale.

Come detto, quindi, multiforme è la presentazione del testo al lettore. Ed in questo Dexter riesce a districarsi abilmente. C’è la narrazione, ci sono diari, ci sono interrogatori e resoconti di interrogatori, ci sono articoli di giornale, ci sono citazioni in ogni inizio di capitolo e soprattutto ci sono le lettere dei lettori ai giornali, che intervengono nel caso e ne disquisiscono “coram populo”. Sono questi due ultimi punti che vorrei ancora sottolineare. Le citazioni, ogni volta corredate dal nome dell’autore e dal testo di riferimento. Ma sono sempre vere? Bisognerebbe avere la cultura di Dexter per decifrarle tutte, anche perché, sappiamo, che ogni tanto ne inserisce una riferita al lessicografo Diogenes Small, che invece è un personaggio inventato dallo stesso Dexter (con tutta la citazione stessa inventata).

L’altro punto, senza entrare nel merito delle lettere di cui ho già narrato, Dexter, già nel ’92, si lamentava della sovraesposizione mediatica che i giornali (allora) o altri mezzi di comunicazione ora (televisioni, internet e via dicendo) offrono agli eventi di cronaca, siano o meno eventi di cronaca nera o di mondanità. Una lancia che trent’anni fa il buon professore buttava nell’arena, e che, ora, è ancor più d’attualità.

Ed ora avviamoci verso la lettura dei suoi ultimi romanzi.

Colin Dexter “Le figlie di Caino” Sellerio s.p. (Regalo di Emilio&Fako)

[A: 07/05/2022 – I: 22/03/2023 – T: 24/03/2023] - &&& e ½   

[tit. or.: The Daughters of Cain; ling. or.: inglese; pagine: 468; anno 1994]

Con questa siamo all’undicesimo romanzo dell’ispettore Morse uscito dalla felice penna del compianto Colin Dexter. Una lettura che porta sempre un discreto piacere, nell’affrontare le impervie montagne che l’autore ci presenta prima che si riesca ad arrivare alla soluzione del caso. Soluzione che, spesso e qui non fa eccezione, porta a comprendere ciò che è successo, ma non sempre porta a condanne ed altro. In fondo, Dexter ha in mente la lezione di Simenon, dove si cerca di capire chi ha fatto cosa e perché, ma non sempre c’è interesse alla vendetta.

Questo, tra l’altro, ci porta ad una parte della decifrazione del titolo, che, come ci dice la Genesi, Dio pose un segno sopra Caino affinché fosse riconosciuto e condannato per l’eternità. Non a caso la lega per l’abolizione della pena di morte si è battezzata “Nessuno tocchi Caino”, indicando con quella frase la necessità di una giustizia senza vendetta.

Comunque, a noi intanto fa piacere tornare nel mondo dell’ispettore capo E. Morse e del suo sottoposto Lewis. Anche perché, pure in questo undicesimo titolo non viene svelato il significato dell’iniziale del nome del nostro. Mistero che rimarrà tale fino all’ultimo titolo.

Siamo al solito ad Oxford, Morse sta invecchiando, e l’abuso di alcool e sigarette minano sempre più il suo fisico, tanto che anche questa volta sarà costretto ad un breve passaggio ospedaliero. Morse si avvicina anche ad un’età pensionabile, che ora guarda con possibilità più che sospetto, confessando a Lewis che nel caso diventasse un pacifico pensionato, avrebbe il solo rimpianto di non lavorare più con il sottoposto.

Continua inoltre, il nostro Morse a lanciarsi in ipotesi svariate e strampalate per tutto lo sviluppo del caso. Ipotesi che Lewis potrebbe raccogliere in un saggio su “Gli errori del mio capo”. Errori che, combinati ad elementi reali, portano sempre i nostri a raddrizzare il tiro e ad arrivare a capo delle matasse che si srotolano per le più di 400 pagine del testo.

Anche qui cominciamo si può dire al buio. Lo stimato professor McClure viene trovato assassinato nel suo studio, senza alcun indizio su possibili moventi e colpevoli del fatto. Indagine che arriva nelle mani di Morse per caso (il responsabile deve allontanarsi per problemi familiari), così che Morse, rileggendo i documenti del caso, ci conduce passo dopo passo ad entrare nell’universo scolastico oxfordiano. Dove, anche qui con lentezza, vediamo emergere possibili problemi, se non probabili moventi.

McClure è all’apparenza una persona stimata, senza particolari macchie. Una vita da studioso, un buon rapporto con gli studenti, anche se una deriva di piacere verso l’universo femminile, pur non essendosi mai sposato. Solo nell’ultimo periodo sembra far coppia fissa con una donna come si direbbe “di facili costumi”. Ma all’amor non si comanda.

Scavando nel passato, si scopre solo il professore essere stato coinvolto, seppur solo come testimone, nella morte di uno studente a lui caro. Studente che aveva come amica del cuore la signorina che poi diventerà coppia fissa (o quasi) con McClure. Studente che aveva un carissimo amico che subentrerà nella coppia con la signorina di cui sopra, volendo anche convolare a nozze con lei. Il tutto condito da un guardiano della scuola di Oxford forse coinvolto in questioni di droga. Comunque, la morte viene archiviata come suicidio ed il guardiano si trova un nuovo lavoro nel locale Museo Etnografico.

Poiché Dexter è abile nell’aprire scatole laterali, vediamo che il suddetto guardiano è il marito manesco di tale Brenda, pacifica e sottomessa signora, nonché governante e tutto fare della professoressa Julia, anche lei insegnante ad Oxford, ma colpita da un male grave, incurabile e che la sta portando velocemente all’al di là.

Morse e Lewis brancolano nel buio, che aumenta quando, sospettando del guardiano, ne scoprono prima la scomparsa, poi il ritrovamento in un sacco della mondezza affiorato dal fiume locale. Ucciso con una coltellata, di uno strano coltello che si trovava tra i reperti rhodesiani del Museo dove lavorava il guardiano.

Una matrioska che sembra non finire mai, quando si scoprono anche i trascorsi della signorina allegra. Morse, come detto, continua a fare ipotesi fantasiose sugli avvenimenti, spesso e volentieri indugiando nella sua dieta liquida ad altra gradazione, foraggiata al pub dal borsellino del fido Lewis (sappiamo da altri racconti che Morse ha un po’ il braccino corto).

Come avrete capito, tante sono le donne che affiorano nel corso delle indagini, tutte all’interno di un universo femminile che, al fine, ci riporta al titolo. Che riprendo come promesso, sottolineandone l’affascinante erudizione che ci ricorda la storia di Lemech. Siccome, tuttavia, se ve ne narro più in dettaglio, decifrate anzi tempo il castello romanzesco costruito da Dexter, non dico su ciò una parola in più.

Mi rimane da sottolineare il gradimento delle atmosfere che ci presenta Dexter, con quel tocco di ironia tipicamente inglese che non guasta, e con quell’umanizzare i vari personaggi anche questo con piacevoli elementi di lettura. Anche se, purtroppo, sono lontani i momenti migliori dei primi romanzi. Certo, ci si mantiene alti, ma si vorrebbe sempre di più.

Anche perché questa volta ci sono pochi o nulli svolazzi enigmistici, e se ne sente la mancanza.

Finisco con quello che viene segnalato, ed a ragione, con un doppio errore di Morse. A pagina 326, Morse si lancia in una descrizione delle terne pitagoriche, quelle per cui vale la seguente equazione x2 + y2 = z2. E di cui la terna 3, 4 e 5 è l’esempio classico. Morse dice di aver letto su di una scatola di fiammiferi che queste terne erano conosciute già anche dagli Egizi, e cita la terna 5961, 6480 e 8161 (assai complessa e ne rimando parte ai miei amici di stampo scientifico). Orbene quali sono i due errore? Il primo è che la terna suddetta fu scoperta (e ne è stata ritrovata traccia) in scritture babilonesi e non egizie. La seconda, e più grave, è che così posta è sbagliata. La terna corretta infatti è 4961, 6480 e 8161. Ci si domanda allora (visto che non è un errore di stampa, comparendo così anche nell’originale) se Dexter si sia sbagliato o, più ragionevolmente, se il nostro autore abbia voluto giocare ancora una volta con noi lettori.

Bella domanda senza risposta, ma piena di congetture interessanti.

Ed ora aspettiamo che siano reperibili anche gli ultimi due romanzi.

“Nella vita è più facile affrontare la verità piuttosto che le mezze verità.” (116)

“L’insonnia non esiste … chiunque non riesca ad addormentarsi, non ha veramente bisogno di dormire.” (305)

Come prima lettura del mese di agosto, vi dovete anche sorbire il riepilogo delle letture di maggio, di un buon numero rispetto alla media. E dove non sorprende che abbiamo ancora un Colin Dexter in testa a tutti, ed uno dei poco leggibili libri di spy stories in fondo alla fila (questo mese è Jason Matthews ad aggiudicarsi la maglia nera).

 

#

Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Augusto De Angelis

Giobbe Tuama & C.

Mondadori

6,50

2

2

Simonetta Agnello Hornby

Vento scomposto

Corriere Oggi

8,90

2

3

Erskine Childers

L’enigma delle sabbie

Repubblica Spy

7,90

3

4

Francesco Abate

I delitti della salina

Repubblica Essenza Noir

8,90

3

5

Haruki Murakami

After Dark

Corriere

8,90

3

6

Marco Malvaldi

Oscura e celeste

Giunti

s.p.

3

7

Daniel Silva

L’angelo caduto

Repubblica Spy

7,90

2

8

Alan Bennett

Arresti domiciliari

Adelphi

s.p.

2,5

9

Piero Colaprico

Il fantasma del Ponte di Ferro

Repubblica Brivido Noir

8,90

3

10

Rosa Teruzzi

Ombre sul Naviglio

Feltrinelli

9,50

3

11

Lorenza Gentile

Le piccole libertà

Feltrinelli

s.p.

3

12

Jeffery Deaver

Lo scheletro che balla

SuperPocket

s.p.

3

13

Rosa Teruzzi

Gli amanti di Brera

Feltrinelli

s.p.

3

14

Attia Hosain

La casa delle donne

Garzanti

s.p.

2

15

Daniel Pennac

Capolinea Malaussène

Feltrinelli

s.p.

2

16

Jason Matthews

Red Sparrow

Repubblica Spy

7,90

1,5

17

Colin Dexter

La morte mi è vicina

Sellerio

s.p.

4

18

Manuel Puig

Il bacio della donna ragno

Repubblica Latinoamericana

9,90

3

 

Visto che siamo in relax, e che vi siete sorbiti una spero interessante “dexteriana”, invece della solita citazione settimanale, vi allego due paginette dedicate alle citazioni di uno dei miei autori preferiti, Eric-Emmanuel Schmitt.

Come molti sanno, ripeto che agosto è dedicato al riposo ed alla campagna, per cui siamo cui nella Tuscia, con un tempo che si sperava leggermente più clemente. Tuttavia, va bene così, che il riposo è sacro, e le letture continuano. Ovviamente, essendo qui, ci si dedicherà anche a mettere a posto, per quanto possibile, i libri presenti.

Per cui pensatemi in questo lavoro, come io vi penso, ovunque voi siate.

Citazioni dedicate a Èric-Emmanuel Schmitt

Schmitt è stato ed è uno dei miei scrittori preferiti, che le sue storie, elementari ma ben congeniate, sulla storia delle religioni mi hanno fatto passare bei momenti di riflessione. Per poi potermi dedicare alle sue opere teatrali, dove ritengo le frasi che riporto in finale, uno dei migliori esempi di teatro ben congeniato.

Cominciamo dalle prime citazioni di riflessione dedicate a quello che viene indicato come il “Ciclo degli Invisibili”:

“Milarepa” Magnard euro 5,53

“La differenza tra noi due è che io, le illusioni, le vedo.” (30)

“I dizionari spiegano solo le parole che già conosciamo.” (71)

Monsieur Ibrahim et les Fleurs du CoranMagnard euro 5

“È pazzesco, Monsieur Ibrahim, come le vetrine dei [negozi] ricchi siano così povere… - Questo è il lusso, Momo: niente nella vetrina, niente nel negozio, tutto nel prezzo.” (28)

“Quando si vuole imparare qualcosa, non si prende un libro. Si parla con qualcuno.” (37)

“Ciò che regali, Momo, è tuo per sempre; ciò che conservi, è perduto per sempre.” (38)

“Se vuoi sapere se sei in un posto ricco o povero, guarda la spazzatura. Se non vedi né spazzatura né bidoni è molto ricco. Se vedi i bidoni ma non la spazzatura, è ricco. Se vedi la spazzatura accanto ai bidoni, non è né ricco né povero: è turistico. Se vedi la spazzatura nei bidoni è povero. E se le persone abitano nella spazzatura, è molto, molto povero.” (54)

“Lui mi faceva entrare nei luoghi religiosi con gli occhi bendati per farmi indovinare la religione dall’odore… - Puzza di cera, è cattolico… - Qui, puzza di incenso, è ortodosso…. – E qui puzza di piedi, è mussulmano.” (56)

Oscar et la dame rose Magnard euro 5,53

“Ci sono due tipi di sofferenze, mio piccolo Oscar, quella fisica e quella morale. Il dolore fisico lo si subisce. Il dolore morale, lo scegliamo noi.” (52)

“Le domande più interessanti, rimangono delle domande. Avvolgono un mistero. Ad ogni risposta, si deve aggiungere un 'forse'. Solo le domande banali hanno una risposta definitiva ... Io è quello che penso, Mamie-Rose, non c'è soluzione alla vita se non vivere.” (72)

“Non è la sua lunghezza che dà valore alla vita, ma la sua qualità.” (110)

“Il bambino di Noè” BUR euro 5

“- Tu vorresti sapere quale delle due religioni è vera. Ma nessuna delle due lo è! Una religione non è né vera né falsa, propone un modo di vivere. – Allora perché dovrei rispettare le religioni, se non sono vere? – Se hai in testa di rispettare solo la verità, temo che non avrai granché da rispettare. Due più due uguale quattro, ecco quale sarà l’unico oggetto del tuo rispetto. Tolto questo te la dovrai vedere con elementi incerti: sentimenti, norme, valori, scelte, tutte costruzioni fragili e vaghe. Niente di matematico. Il rispetto non va tributato a ciò che è certificato, ma a ciò che viene proposto” (67-68)

Poi ci sono i romanzi, o le drammatizzazioni:

L’évangile selon Pilate Le livre de Poche euro 6,15

“È l'unica cosa che ci insegna la morte: è urgente amare.” (29)

“Il mio orgoglio più grande e più bello su questa terra è senza dubbio di avere, un giorno, convinto mia madre.” (67)

“Non si vedono mai gli altri come sono. Ne abbiamo solo visioni parziali, tronche, a seconda degli interessi del momento.” (232)

“Dubitare e credere sono la stessa cosa, Pilato. Solo l'indifferenza è atea.” (236)

“Che cos’è un mistero? Tutt'altra cosa da un problema o una domanda. Una domanda è una richiesta di informazione che riceve una di risposta. Esempio: In che anno è stato pubblicato “La Principessa di Clèves”? Risposta: nel 1678. Un problema è una domanda che può ricevere diverse risposte. Esempio: Ha un senso la vita? Ci sono risposte molteplici a questo problema, nessuna ci dà una soluzione, nessuna chiude la questione, nessuno può pretendere di essere qualcosa di diverso di una risposta tra le altre. Un mistero è un problema che fa esplodere il quadro razionale, che mina il modo stesso di fare domande, sgonfia la razionalità” (263)

Ed infine, uno dei miei libri “cult” (e credo che l’ordine di archiviazione storica sia una delle migliori invenzioni che abbia mai sentito):

“Piccoli crimini coniugali” E/O euro 7,50

“LISA: Non sopporti che ti metta a posto la scrivania, e chiami il caos in cui ammassi le tue carte ‘ordine di archiviazione storica’. Affermi che una libreria senza polvere è una libreria da sala d'attesa. … Non cambi mai le lampadine fulminate con la scusa che per qualche giorno bisogna portare il lutto della luce. In compenso, dopo quindici anni di studi e vicinanza coniugale sono arrivata alla conclusione che le tue molteplici teorie possono essere raccolte sotto un'unica, fondamentale tesi: non fare un accidente in casa!” (10)

“LISA: Ecco il mondo non è popolato solo di donne della mia età. A vent'anni ci si può permettere di ignorare gli anni che passano; dai quaranta in poi, l'illusione crolla; una donna si rende conto dell'età che ha nel momento in cui scopre che esistono donne più giovani di lei.” (25)

“L'umorismo permette di dire la verità” (28)

“LISA: Ti ho molto amato, Gilles. Molto. GILLES: L'hai detto come se dicessi: ‘Ho molto sofferto, Gilles, molto’. LISA: Forse. Non so amare senza soffrire.” (29)

“Una coppia non è la realtà. E prima di tutto un sogno che si fa insieme, no?” (56)

“Abbiamo dei problemi, questo è chiaro. Ciò nonostante, mi sono reso conto che in fondo tu ami me per quello che sono.” (58)

“Le parole non hanno lo stesso significato per te e per me” (62)

“- Che tipo di uomo sei? - Il tuo tipo? - Decisamente sì. Ogni frase mi provoca un brivido lungo la schiena, mi sento il cervello intorpidito, ho tutti i sintomi di un malessere che si chiama attrazione irresistibile. - Mi dispiace, non ho rimedi. - Ma sei tu il rimedio.” (67)

“Non si può eludere il proprio destino. Tu sei il mio destino. Noi non ci apparterremo mai fisicamente, ma ci apparteniamo mentalmente. Tu ti sei immerso nei miei abissi più profondi, io nei tuoi, siamo schiavi l'uno dell'altra. Anche se non nella carne, sei il mio uomo nei miei ricordi, nei miei sogni, nelle mie speranze. E questo che mi lega a te. Possiamo anche separarci, ma non potremo mai lasciarci. Tutti questi giorni in cui tu non c'eri, eri assente da qui, assente da te stesso, io continuavo a rivolgerti i miei pensieri, a farti partecipe dei miei umori. Sai cosa vuol dire amare un uomo con amore? Vuol dire amarlo malgrado te stessa, malgrado lui, contro tutto e tutti. Vuol dire amarlo in un modo che non dipende più da nessuno. Amo i tuoi desideri e amo anche le tue avversioni, amo il male che mi fai, un male che non mi dà dolore, che passa subito, un male che non lascia tracce. Amare vuol dire avere quella resistenza che ti permette di passare attraverso tutti gli stati con la stessa intensità, dalla sofferenza alla gioia. … [anche se tu te ne andassi] continuerei ad amarti” (82)

“Mi sa che preferisci le storie che si riescono a gestire: forse non sopporti l'abbandono. … che le cose ti sfuggano di mano. Che le situazioni siano troppo forti. Che i sentimenti siano troppo grandi per te. Se si vuole essere sicuri di tutto, bisogna accontentarsi di storie corte. Di legami delimitati chiaramente, riconoscibili, con un inizio, un mezzo, una fine e un percorso segnato da tappe ben precise: il primo sorriso, il primo scoppio di risa, la prima notte, il primo litigio, la prima riconciliazione, la prima seccatura, il primo malinteso, le prime vacanze andate male, la prima separazione, la seconda, la terza e poi la separazione vera. Dopo si ricomincia. … Viene definita una vita piena di avventure, ma in realtà più che avventurosa è una vita in serie. Non è sensato amare sempre, amare a lungo, è follia pura. La cosa più ragionevole è amare finché è gradevole. Si chiama razionalismo amoroso: amarsi finché durano le nostre illusioni; appena crollano, lasciarsi. E appena abbiamo a che fare con persone reali, non più con immagini della fantasia, separarsi. … è contro natura amare per sempre, amare a lungo. … Per fare in modo che duri bisogna accettare l'incertezza, bisogna avanzare in acque pericolose, avventurarsi là dove si precede solo con la fiducia, riposarsi galleggiando su onde contraddittorie, certe volte di dubbio, certe volte di fatica, certe volte di serenità, ma mantenendo sempre la rotta.” (95)

“GILLES: C’è qualcuno nella tua vita? LISA: In questo momento ci sei tu.” (107)

Infine, il nostro è autore di uno dei più bei titoli che mi ricordo: “Quando penso che Beethoven è morto mentre tanti cretini ancora vivono.


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