Gabriella Genisi “Lo scammaro avvelenato e
altre ricette” Sonzogno s.p. (Natale di Mario&Ines)
[A: 25/12/2022 – I: 06/01/2023 – T: 07/01/2023]
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[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 183; anno:
2022]
LOBOSCO10
In
occasione delle feste, dovendo scegliere nuovi libri, ed in previsione
dell’inizio a gennaio della nuova serie televisiva dedicata a Lolita Lobosco,
non potevo certo esimermi dall’acquisto dell’ultima avventura dell’avvenente
commissario barese. Anche perché, generalmente, la scrittura di Gabriella
Genisi è di gradevole accompagno ad ore distensive.
Pur
alfine riconoscendo che la scrittrice non delude (molto) le normali
aspettative, devo dire che il risultato finale di questo libro è decisamente
inferiore alle aspettative ed alle potenzialità dei personaggi.
Anche
perché, leggendo attentamente il titolo, poteva venire un sospetto. Rivelatosi
presto certezza. Non è un romanzo, ma un racconto lungo, dove metà delle 180
pagine è in realtà occupata da una serie di ricette. Gustose, certo, in linea
con le modalità con cui si erano editorialmente proposte le prime avventure di
Lolita. Ricordo infatti che i primi libri erano dedicati alle arance, alle
ciliegie, all’uva, e dopo un salto, agli spaghetti.
Ma
un conto è avere un piccolo addendo di ricette, un altro è rimpinzare il testo
come fosse un trattato di cucina barese. Rilevante, per l’interesse culinario.
Tuttavia, fuorviante se acquisto un romanzo e mi trovo tra le mani un trattato
di cucina. Dove, tra l’altro, sono presenti anche ricette non solo non baresi,
che la Puglia in genere va bene, ma anche di altre provenienze marinare (Napoli
e Genova) e perfino limitrofo (ricette della zona del Novese in provincia di
Alessandria). Insomma, una deriva che ci poteva essere risparmiata.
Venendo
al racconto in sé, anche qui ci aspettano sorprese poco gradite. Intanto, i
mitici bracci destro e sinistro di Lolita, cioè l’ispettore Forte e l’agente
Esposito, praticamente non compaiono; sono relegati ad una piccola e marginale
comparsata pur se a sostegno della nostra in un momento di estrema difficoltà.
Neanche
l’amica Marietta si palesa. È invece presente “amoremio” Caruso, pur
continuando il suo tira e molla tra Bari e Manfredonia. Ma è un rapporto che
sta tirando le cuoia. Come direbbe il barese Modugno, “la lontananza sai è come
il vento”. Soprattutto quando Caruso non riesce a tenere fermo il proprio
appetito maschile verso altre bellezze muliebri. Un rapporto che è destinato a
morire, qui e, spero, anche in future prove.
Rimane
la vicenda in sé, che è tutta, in un certo senso, privata. Ruota tutto intorno
a Carmela, la sorella di Lolita. Sappiamo dagli altri libri, che si è separata,
che vive con la madre ed i due figli, che è abbastanza invidiosa della sorella,
e che ha avviato, con successo, un b&b, dal fascino discreto soprattutto
per le doti culinarie della famiglia Lobosco.
In
questo novembre vicino al Natale (la storia si svolge dal 25 novembre al 5
dicembre) nel b&b si è trasferito tal Enrico, millantato scrittore, di
sicuro alla ricerca di intingere il suo maritozzo. Cosa che fa, ma quando vede
Lolita, e quando Carmela si fa più pressante, decide che sarebbe più salutare
una ritirata in buon ordine.
Peccato
che non possa mettere in atto i suoi propositi che, dopo una cena con lo
scammaro, muore avvelenato da un botulino maligno. Ovvio che Carmela è la prima
sospettata, come è ovvio che Lolita debba ritirarsi in secondo piano, essendo
parente della sospettata. Ma il gioco è veramente sporco. Non si può immaginare
Carmela assassina, anche se tutto sembra contro di lei. Ed in particolare, se
il botulino viene da un peperone sott’olio mentre lo scammaro ha solo un
peperone crusco (cioè secco e piccante) ecco che bisogna cercare altrove il
bandolo della matassa.
Un
lettore attento poi, saputo le modalità della morte, e leggendo con un po’ di
neuroni attivi lo svolgimento delle pagine, avrebbe detto a Lolita & co
dove dirigere i sospetti già dalle prime battute. Noi ci leggiamo le novanta
scarse paginette, registriamo che i nostri sospetti sono fermati ed aspettiamo
metà gennaio per vederne la trasposizione televisiva. Dove andremo a vedere
anche come e quanto la resa televisiva si discosta dal testo.
Dispiace
che le esigenze televisive abbiano fatto uscire questa decima indagine forse
prima che la scrittrice riuscisse a maturare compiutamente la trama. Peccato,
anche se, cara Gabriella, ti vogliamo bene ugualmente.
Sarebbe
stato comunque un gentile omaggio al lettore affamato di sapere, far conoscere
l’origine dello “scammaro”. Come si evince dal testo è di certo un piatto
povero, e soprattutto magro. Deriva dal piatto unico servito in convento. Nei
giorni di magro, alcuni monaci, se cagionevoli di salute, potevano mangiare
carne, ma al chiuso delle loro camere. Gli altri mangiavano di magro fuori
dalle camere. I primi erano detti “cammarati” (con la camera) ed i secondi
“scammarati” (senza la camera). Per estensione, quindi “cammaro” è il mangiare
grasso e “scammaro” il mangiare magro.
Marco Malvaldi & Samantha Bruzzone “Chi
si ferma è perduto” Sellerio s.p. (regalo di Natale di Mario&Ines)
[A: 25/12/2022 – I: 08/01/2023 – T: 11/01/2023]
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e ½
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 343; anno:
2022]
Non è il primo libro che scrivono insieme, né
il primo che firmano insieme, ma questo, per i coniugi Malvaldi, è il primo che
esce a firma congiunta per Sellerio, dopo che altri sono usciti per collane per
ragazzi. Le note editoriali sostengono, e noi non possiamo certo andarvi contro
che Samantha ha collaborato anche ad altri libri Sellerio, e di questo possiamo
essere contenti.
Entrambi laureati in chimica, Marco abbandona
presto la carriera universitaria per dedicarsi alla scrittura ed ai fortunati
(e da me amatissimi) libri del BarLume. Samantha rimane di più nella ricerca,
ma credo che ora anche lei abbia rosee prospettive letterarie. La loro
sinergia, in questo romanzo, è palese. Il personaggio centrale è tutto nella
testa e nella penna di Samantha, mentre nell’intreccio giallo si nota bena la
mano di Marco. Ma queste esegesi sono peregrine, per cui noi prendiamo la
coppia insieme ed insieme andiamo a vedere cosa riescono ad imbastire, in un
libro al solito di ambientazione toscana, anzi praticamente pisana.
Come dicevo, l’impianto generale è di pura
derivazione della casa, che si presta molta attenzione alla caratterizzazione
dei personaggi, e ad alcuni aspetti che sono molto italicamente usuali. La
gestione dei bambini, in particolare, e della casa in generale. La scuola,
dove, per mancanza di prossimità i pur laici coniugi Rossi – Martini si
appoggiano alla Scuola Paritaria della Casa Missionaria del Grande Fiume,
gestita dal clero ma con molti insegnanti laici.
La protagonista della vicenda è Serena
Martini, molto modellata su Samantha. Ex-chimica licenziatasi per evidenti
dissapori con la gestione femminile dell’azienda, ha un olfatto particolarmente
sensibile, tanto da aver fatto anche una piccola carriera da sommelier. Ora è
alla prese con la casa, con i due figli, Pietro e Martino, nonché con il
marito, Virgilio Rossi, lui rimasto nella carriera universitaria, ma sempre con
un’anima fricchettona dentro. Tanto che, occupandosi a livello di ricerca di
videogiochi, spesso ha la testa altrove. Non chiude mai la porta di casa,
difficilmente si ricorda di avviare gli elettrodomestici, ed altre piccole
“banalità” (che io da maschio capisco benissimo). Fortunatamente, ha anche
l’intelligenza di conoscere i propri errori e di avere doti laterali di aiuto e
conforto (umorismo e capacità culinarie in primis). Con alcune particolarità,
sempre anche lui modellato, ma su Marco.
Il terzo personaggio, che ogni tanto irrompe
sulla scena in prima persona, è il sovraintendente Ana Corinna Stelea, per
tutti Corinna. Poliziotto della zona, incaricata delle indagini, ligia ai regolamenti,
in perenne contrasto con il magistrato titolare dei procedimenti, ma anche
capace di comprendere l’utilità delle doti di Serena, e di utilizzarle al
meglio.
La storia è abbastanza esile, tuttavia,
essendo quasi un pretesto per dipingere scena di casa e di provincia, descritte
sempre con molta ironia. Serena trova il cadavere del professor Caroselli,
docente di musica della scuola di cui sopra. Ucciso da un fucile a pallettoni,
localmente molto usato per la caccia. Incidente di caccia, allora? Pare proprio
di no, che, oltre a stranezze su luogo e posizione del corpo, l’olfatto di
Serena sente sul luogo del delitto un odore di acido isovalerico. Odore che
ritrova anche nel gabinetto della scuola durante un consiglio d’Istituto.
Viene quindi spontaneo approfondire la figura
del Caroselli. Clavicembalista di valore, ma anche ecologista duro e puro, che
rinuncia alla carriera musicale perché si rifiuta di usare mezzi di locomozione
diversi dalla bicicletta. Ha un buon seguito nella scuola, soprattutto per
Gabriele, il figlio del liutaio Cosimo, gran talento musicale emergente. Ma
Caroselli è anche un rompiscatole di prima grandezza, che si fa coinvolgere
nelle beghe del clero della scuola, laddove si accorge che donne di dubbia fama
entrano nel convento annesso alla scuola.
I nostri autori così riescono a mettere molti
sospetti sulla graticola delle ricerca di Corinna. Le stranezze di Caroselli,
lo strano rapporto con il liutaio, le liti con la Madre Superiora, il continuo
inimicarsi con il Padre Spirituale della scuola, la presenza di un bidello con
evidenti ritardi mentali. Saranno le capacità olfattive e chimiche di Serena
che, una volta ristretto il campo, troveranno il modo di capire chi, come e
cosa ha portato all’omicidio del professore.
Ma come detto, la parte più gradevole è il
contorno, la tipicizzazione dei personaggi, le sparate giustamente ecologiche
di Serena, le sue ricette di cucina con applicazioni della chimica, di cui
riporto in finale un esempio. Meno convincenti alcune sparate anticlericali,
che ci possono stare ma forse a volte sono troppo forzate.
Comunque, una lettura gradevole, con ironia,
garbo e che non stanca troppo. Forse sono indulgente che la famiglia Malvaldi a
me sta simpatica, ma io sono un lettore non un critico.
Un ultima domanda, analoga a quella che ho
fatto nella trama del libro di Gesuino Nemus “La teologia del cinghiale”. È un
caso che Gesuino chiami una psicologa esattamente Samantha Bruzzone? Se
qualcuno lo sa…
“Quando ho qualche problema a cui non
riesco a venire a capo, preparo un dolce.” (271)
Perfetta Patatina Fritta della Mamma
chimica.
Numero uno, lavare le patate e tagliarle a
bastoncini, poi asciugarle bene. Mai lavarle quando sono già tagliate,
leverebbe l’amido superficiale che è esattamente quello che diventa croccante
nella patatina fritta.
Numero due, cuocere le patate a vapore per 15
minuti dopo averle pennellate con poca acqua in cui avete sciolto un cucchiaino
di bicarbonato. Questo alza il pH della superficie e facilita lo scioglimento
della pectina, la sostanza che tiene insieme le cellule delle patate. Così
saranno ammorbidite e un po’ ruvide, in pratica aumenta la superficie
disponibile a diventare croccante. Nel frattempo, accendete il forno.
Numero tre, dividete le patate in porzioni.
Numero quattro, nel frattempo portate l’olio
d’arachidi a 175°. È importante che l’olio resti caldo, è per quello che si
dividono le patate in piccoli mucchietti, se ce le mettete tutte insieme l’olio
si raffredda.
Numero cinque, friggete le patate a 175° per tre
minuti tre e quando dico tre minuti intendo centottanta secondi.
Numero sei, nei tre minuti tra una frittura e
l’altra prendete le patate appena scolate dall’olio, appoggiatele su un piatto
con carta cucina e mettetele immediatamente nel forno a 180°. Se le lasciate
scolare mentre raffreddano, il vapore acqueo presente nelle cavità delle patate
improvvisamente condensa ad acqua liquida e crea il vuoto, nel quale l’olio
superficiale viene risucchiato. Invece, con la procedura appena descritta,
scolando e asciugando le patatine calde, la maggior parte dell’olio
superficiale viene via.
Davide Longo “Il caso Bramard” Einaudi 14
(in realtà, scontato a 13,30 euro)
[A: 19/03/2021 – I: 01/02/2023 – T: 02/02/2023]
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[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 273; anno:
2014]
Un po’ di tempo fa c’è stato un buon battage
pubblicitario su Longo e la sua serie di gialli, tanto che Einaudi lo ha
ripubblicato dopo un’uscita in sordina avvenuta con Feltrinelli nel 2014. Tutto
perché, come si può evincere dalla fascetta, il buon Baricco si è messo di
punta per sponsorizzarle. Cosa che mi ha messo la pulce nell’orecchio, pulce
che sono riuscito a togliermi dopo aver scoperto che Davide Longo è anche un
docente della Scuola Holden.
Comunque, essendo io curioso come un cervo,
ho comprato la trilogia, ed ora ne ho letto la prima puntata. Dove inizio con
un secondo lamento: certo, nelle pagine compare con una solida presenza il
commissario Vincenzo Arcadipane, ma non certo in veste di solutore dei problemi
del protagonista. Aiuto certo, sostegno anche, ma l’ex-commissario ci mette
molto del suo (ed anche della simpatica pseudo-Salander che lo accompagna).
La serie si sviluppa intorno a Corso Bramard,
ex-commissario della Omicidi di Torino, che, seguendo un caso di serial killer
sviluppatosi lungo una serie di anni (almeno cinque o forse sei), incappa nel
killer che gli uccide la moglie e forse la figlia (di questa non si sa più
nulla e non si trova il copro). Distrutto Corso si ritira sui monti limitrofi,
e fa altro (tipo insegnare, salire sui monti senza protezione, intavolare,
forse, una storia con la rumena Elena, parlare a lungo anche senza parole, con
l’amico Cesare). Altro che ora, quando incominciamo a leggere, sono passati
venti anni dai fatti.
Ma non sono passati invano, cioè il killer è
sempre lì, con una sua astuzia strana, che fa recapitare periodicamente lettere
a Corso, con brani di una canzone di Leonard Cohen. Perché in quest’ultima c’è
un capello come se il killer fosse distratto? O forse ha fatto apposta per
scatenare una nuova caccia, un nuovo divertimento?
Fatto sta che Corso coinvolge il commissario
che ha preso il suo posto a Torino, il buon Arcadipane, tutto fuori dalle righe
salutiste, al contrario di Corso. Che Bramard non fuma, beve poco, cammina
molto e Vincenzo è su di peso e accende una sigarette dopo l’altra. Ma sono una
bella accoppiata da indagine, anche se, come detto, Corso è l’anima pensante
mentre Vincenzo è l’anima agente.
Comunque, il capello mette in moto tutta una
serie di micro-avvenimenti che ci fanno fare piccoli passi avanti. Intanto, il
capello rimanda alla prima vittima del killer, l’unica che non è stata uccisa,
ma che è rimasta talmente colpito da andare fuori di testa. Donatella è ora
ricoverata in un ospedale para-psichiatrico, mentre la famiglia è andata in
pezzi: mamma suicida dal balcone, fratello morto in un incidente
automobilistico in Grecia, padre morto di malattia.
Ma Corso non demorde: Donatella sembra essere
visitata periodicamente da qualcuno che rimanda al possibile killer. E perché
il killer dovrebbe visitare la sua prima vittima? In concomitanza (roba di
targhe) si scopre la presenza di tal antiquario nelle vicinanze e nei tempi
concordi delle visite. Antiquario specializzato in cose orientali e soprattutto
giapponesi. Antiquario che era anche amico della famiglia di Donatella.
Affiancato, per ordine di Arcadipane,
dall’agente Isa, maga del computer, Corso risale le fila delle varie
frequentazioni, aiutato, almeno nell’idea, da tal madame Gina che gli parla di
una casa di appuntamenti mutuata da “La casa delle belle addormentate” del
premio Nobel Yasunari Kawabata. Poiché il testo è molto noto non mi addentro
nelle possibili sinergie tra questo e gli avvenimenti, rimandando solo al
pensiero, già più volte sviluppato durante le indagini di Corso, di un
collegamento forte con il Giappone.
Fatto sta che collegando il libro, dei fiori
di una camelia giapponese nel giardino del suicidio della madre di Donatella
nonché una composizione di petali di fiori riprodotta sulla schiena delle
vittime, Corso, aiutato dalle ricerche di Isa, riesce a ricongiungere i
tasselli del problema, arrivando ad un finale dove il killer già sappiamo chi
sia e chi possa essere e perché sta facendo quello che sta facendo, scoprendo
anche rivoli imprevisti questi sì sorprendenti ed intriganti.
Alla fine, il romanzo risulta abbastanza
gradevole, lasciandoci tuttavia alcune perplessità. La prima relativa a termine
per me ignoti, come le caramelle sucai (di cui Corso è ghiotto) e che non
conoscevo. Sono caramelle morbide senza gomma animale al gusto liquirizia. La
seconda è relativa a tutte le vicende legate a tal Mancinelli che compare a
tratti nella narrazione e che sembra messo un po’ senza troppo filo nel corso
della trama. Infine, la soluzione del giallo avviene un po’ troppo
frettolosamente, quasi si fossero saltati passaggi. Si cerca una macchina con
targa svizzera e la pagina dopo Corso incontra il killer. C’è veramente una
parte mancante o l’idea dell’autore è di saltare passaggi, lasciando noi a
costruire i pezzi saltati?
Idea che rimane anche in altre parti. Il
rapporto tra Corso e il cugino, ad esempio, o tra Corso ed Elena, o la
provenienza dell’agente Isa Mancini, di cui si dice essere figlia di tal agente
Mancini, come se noi si dovesse sapere chi è e cosa ha fatto il tizio.
Per ora un giudizio positivo, sperando le
altre letture della trilogia illuminino meglio le vicende.
Marco Malvaldi “Oscura e celeste” Giunti
s.p. (Regalo di Paola&Ferdinando)
[A: 07/05/2023 – I: 08/05/2023 – T: 09/05/2023]
&&&
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[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 348; anno:
2023]
Un gradito regalo compleannico, che
va a rendere sempre più completa la mia collezione dell’opera omnia del
simpatico pisano. Certo, non è il Malvaldi del BarLume, non è l’autore dei
gialli della squadra Sellerio, ma è, in ogni caso, un libro interessante,
poliedrico, di difficile collazione, veramente, anche se, alla fine, direi che
lo colloco onorificamente tra i gialli d’autore.
In effetti, nella produzione di
Malvaldi si incontrano sovente personaggi “storici” che vengono immessi in
situazione “di indagine poliziesca”, anche se con alcune notabili
particolarità. Da un lato, abbiamo i Pellegrino Artusi, dove l’indagine ha un
suo peso, e ne vediamo l’uscita per i tipi di Sellerio. Dall’altra, i Leonardo,
o come qui, i Galilei, dove c’è anche una forte componente scientifica e
divulgativa, e non a caso, vengono pubblicati da Giunti.
Siccome il Leonardo non l’ho ancora
letto, debbo comunque restringere il campo a questo scritto focalizzato su di un
anno specifico della vita di Galileo Galilei, il 1631. Malvaldi ha così modo di
intervenire e divulgare sia alcune particolari scoperte ed intuizioni del
grande toscano, sia farci toccare con mano l’insipienza di un certo tipo di
potere, in massima parte di derivazione cattolica. Tuttavia, non potendo
esimersi da porre anche un piccolo rompicapo all’interno della narrazione, il
tutto è condito anche da una vicenda “noir” che dobbiamo risolvere, insieme
all’autore ed a Galileo.
Un rompicapo che Malvaldi, con la sua
nota capacità di mescolare Storia e storia, intreccia nelle godibili pagine del
testo. Da una parte c’è il mistero, fittizio, della morte di Suor Agnese, suora
di clausura nel convento di San Matteo, laddove sono rinchiuse anche le figlie
di Galileo. Dall’altra, la Storia, tutta la vicenda legata alla pubblicazione
del capolavoro di Galileo, il “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”,
intrecciata a dotte ma comprensibili escursioni nel mondo delle invenzioni e
del pensiero galileiano.
Galileo è anziano, per l’epoca (67
anni), ha bisogno di aiuto nello scrivere, sorretto dalla figlia Suor Maria
Celeste, ed aiutato (fittiziamente) dalle revisioni di Suor Agnese. La quale,
esperta di scienze, si ingegna all’invenzione di apparecchi meccanici atti
sperimentalmente a sorreggere le tesi del maestro. Per questo viene
inopinatamente uccisa, scatenando la ricerca del colpevole all’interno di una
non facile indagine data la peculiarità del convento. Un’indagine, che non
approfondisco, ma che Galileo, attraverso ragionamenti logici, porta alla
felice conclusione. Un solo esempio, Galileo dimostra l’impossibilità del
suicidio attraverso lo studio della caduta dei corpi, una trentina di anni
prima degli studi di Newton sulla gravitazione universale.
Ben più interessante è la
ricostruzione storica della genesi del “Dialogo”. Galileo ne ottiene
l’imprimatur papale prima di averlo pubblicato, e, stante la situazione del
dilagare della peste in Italia in quegli anni, si procura i mezzi per
pubblicarlo a Firenze invece che a Roma. Tuttavia, la congrega gesuitica a
guardia della “vera fede” farà in modo di incriminarlo per aver propagato
dottrine contrarie alla teoria tolemaica del geocentrismo. Impagabile la
diatriba sul passo della Bibbia nel Libro di Giosuè (“fermati o sole …”
[10:12;13]). I gesuiti imputavano a Galileo un‘eresia perché, se fosse stata
vera la teoria eliocentrica, le dimostrazioni di Galileo avrebbero negato la
Bibbia. Partendo da questo cavillo, viene istituito il famoso processo, la
forza abiura dello scienziato, nonché il suo esilio nella cittadina di Arcetri
sino alla morte.
Ora noi, e Malvaldi, sappiamo che
Galileo era nel giusto, ma è godibile tutta la costruzione dello scrittore
intorno alla polemica, alla sua nascita, alla presenza di spie che cercano di
sottrarre i manoscritti a Galileo, alle riunione della commissione
esaminatrice. Insomma, a tutto quanto di risibile sorse intorno allo scritto.
Devo per completezza chiosare con due elementi di grande rilevanza. La Chiesa
ha riabilitato Galileo dalla condanna solo nel 1992, sotto la spinta di papa
Giovanni Paolo II. Inoltre, attenti lettori della Bibbia in aramaico, nonché
fini scienziati, hanno ritradotto il testo come “sole cessa di splendere”,
frase che sarebbe in accordo con il fatto che il 30 ottobre 1207 a.C., epoca
della battaglia di Canaan, nei luoghi della battaglia, si verificò un’eclissi
solare, motivo che porta di conseguenza alla cessazione della luminosità
solare.
Non voglio entrare in ulteriori
particolari scientifici, lasciandovi l’amenità di leggerne. Vorrei solo
sottolineare come Galileo, togliendomi le parole di bocca, afferma che “la
natura è scritta in caratteri matematici”. Caratteri che vanno letti,
intrepretati, e che danno una visione omogenea alle leggi universali. Il tutto
senza che venga messo in discussione né la Bibbia né i credi religiosi, che i
misteri di fede sono ben altri che il moto dei pianeti e delle stelle.
Malvaldi, da buon toscano e da esimio
divulgatore, ci fa calare nel mondo di Galileo, dei Medici e del papato, con
una fedele ambientazione ed una plausibile ricostruzione. Come dice lui stesso,
tuttavia, è un romanzo non un trattato di storia, e quindi gli permettiamo
piccole invenzioni, ma soprattutto gli concediamo quella libertà di battuta che
rendono ancora più godibile il testo.
In conclusone, certo, io rimango
fedele a Massimo ed al BarLume, ma continuerò, come spero farete anche voi, a
leggere del nostro (magari ancora in altre prove con Samantha).
Antonio Manzini “ELP” Sellerio euro 17 (in
realtà, scontato a 16,15 euro)
[A: 07/06/2023 – I: 26/07/2023 – T: 28/07/2023]
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e ½
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 533; anno:
2023]
ROCCO12
In attesa che in autunno esca un
nuovo libro di Malvaldi e dei suo BarLume (versante noir-ironico), ecco che
esce un nuovo episodio di Rocco Schiavone, di cui ringraziamo sempre la lucida
padronanza di Antonio Manzini che, nonostante alcuni intoppi, continua a
sfornare avventure del nostro simpatico amico commissario (anzi vicequestore)
in trasferta permanente in quel di Aosta.
Come ormai tradizione nei gialli
seriali, il filone narrativo continua a svilupparsi sui due piani di
svolgimento intrecciati ma in molti casi solo paralleli. Rimane sempre, ed a
volte si fa più vivo, il filone privato. Si trova, ma non sempre con la
necessaria profondità di sviluppo, una trama noir che faccia da filo
conduttore. Quando poi, come in questo caso, alcuni passaggi suggeriscono che
le due scelte si invertono.
Abbiamo così i personaggi ormai
consueti, che continuano la loro vita, e che affrontano nuovi momenti del loro
percorso. Italo, quello che si era ormai dedicato al poker ed alle truffe, è
stato “bevuto”, come dice Rocco, ed ora è al gabbio (carcere mandamentale
cioè), in attesa di processo e giudizio conseguente. Un’assenza che non ci pesa
che il personaggio aveva fatto il suo tempo.
A fare da secondo a Rocco, avanza
quindi prepotentemente Antonio, che qui viene messo alla prova da Rocco.
Antonio ha bisogno di soldi per aiutare il fratello. Rocco gli propone alcune
soluzioni, sempre al di fuori della legge. Magari aiutato dai suoi sodali
romani. Antonio dovrà fare una scelta ed un percorso: andare una volta fuori
dai ranghi potrebbe essere consentito, ma per cause eccezionali. Se si prova il
gusto dell’adrenalina, si farà la fine di Italo. Staremo allora attenti alle
scelte di Antonio.
Due sottoposti procedono i loro
percorsi ormai rodati: Casella è ben avviato nella sua storia con Eugenia,
pensieroso solo dei possibili comportamenti antagonisti del di lei figlio
Carlo; Deruta è al sicuro con il suo fidanzato-panettiere, con il solo obbligo
di rifornire la Questura di paste fresche ogni mattina. Riflettendo a
posteriori, nelle puntate precedenti, ogni sottoposto di Rocco, prendeva per un
po’ la luce dei riflettori, portando a compimento il suo percorso.
Qui è il caso di D’Intino, quello
imbranato che aveva ferito accidentalmente Rocco. Riprende i contatti con una
sua vecchia fiamma di paese, spera di poter riallacciare un rapporto ora che la
belloccia è vedova. Solo che lei si presenta ad Aosta con madre e nove valige.
D’Intino prova a ribellarsi, trova poco solidarietà, ma alla fine avrà modo di
capire quale sia la sua strada, e la seguire con tutta la brutalità del caso.
Rimane il rapporto di Rocco con le
donne. C’è sempre Marina che compare nei sogni e nelle sue proiezioni, un
blocco che Rocco non riesce (o non vuole superare). C’è Caterina, tornata ad
Aosta, ormai chiaritasi con il nostro, e che sembra destinata a convolare con
un collega, non senza aver prima un definitivo incontro con Rocco. E poi c’è
Sandra, quella che potrebbe essere, ma che non riesce mai, che ogni volta
Rocco, quando sta per, si ritrova (almeno mentalmente) Marina, e non fa il
passo che deve fare. Che sa che, facendolo, potrebbe ritrovarsi in una storia
che gli faccia chiudere i conti con il passato. Ma lui, lo vuole?
Rimane poco spazio per la trama nera,
che in effetti è un di cui. Approfittando dell’ondata “alla Greta”, Manzini
inserisce un fantomatico ELP, Esercito di Liberazione del Pianeta. Che si picca
di fare azioni significative per sensibilizzare l’opinione pubblica. Come gli
attivisti verdi. Però gli ELP non si incatenano alle opere d’arte, ma liberano
animali destinati al macello ed altre azioni dimostrative e, fondamentalmente, innocue.
Tuttavia, Manzini gioco sui ruoli istituzionali, mettendo dietro le scene tutta
una serie di forze dell’ordine, di diverso grado, che cercano di venire a capo
di questi episodi.
Ovviamente, qualcuno poi ne
approfitta, ed usando impropriamente la sigla, prima brucia un negozio di
tassidermia, poi piazza una bomba in un plico inviandolo al titolare di una
ditta che potrebbe inquinare, ma che ha tutti i documenti in regola per non
farlo. Nel marasma generale, solo Rocco persegue la strada di un episodio
“privato”, magari scatenato dalla moglie divorziata del morto, o dal primo
figlio che non accettò il divorzio, o del secondo figlio sempre in debito di
soldi o della seconda moglie, magari dedita ad altri amori ancillari, o del
secondo in ditta, magari alla ricerca di una scalata professionale e personale.
Nelle more di tutti gli avvenimenti,
Rocco sarà il solo a trovare il bandolo dell’intricata matassa, risolvendo il
giallo, e facendoci capire che, prima o poi, ci sarà una nuova puntata.
La scrittura di Manzini continua a
mantenersi su buoni livelli, mentre la trama gialla è un po’ zoppicante, anche
se gli attacchi ai distruttori ambientali sono giusti, ben fatti e ben
motivati. Rimane anche quell’attaccamento alla moglie morta, di cui non si
capisce il motivo di riuscirne, come sarebbe il caso visto che sono passati
quindici anni, ad elaborarne il lutto. Ed uscirne.
Questa volta, visto che abbiamo un Marco Malvaldi che
pervade tutto lo scritto, mi permetto di segnalare due sue citazioni tratta da “Il gioco delle tre carte”. Una riguarda i comportamenti umani in
generale: “Uno degli aspetti più fastidiosi dell’essere umano è la
ridicola convinzione che non siamo responsabili delle conseguenze delle nostre
azioni, come testimonia l’infantile disinvoltura con cui troppo spesso
attribuiamo alla volontà del Fato il disastroso esito delle nostre cazzate”
(87).
La
seconda, pur avendo una valenza per il me matematico, la prendo ad emblema di
una riflessione che tutti abbiamo (dovremmo aver) fatto nella vita: “La dote
fondamentale per fare il matematico è l’umiltà. L’umiltà di riconoscere quando
non hai capito una cosa, e di non tentare di prenderti in giro. Se non hai
capito una cosa, o non ne sei convinto, non puoi prenderla per buona. Se fai
così, ti farai solo del male. Devi essere assolutamente sincero con te stesso.
Bene, io per quanto riguardava la matematica ho sempre tentato di essere
sincero con me stesso. E la conclusione che ho raggiunto non poteva che essere
la seguente: non ero abbastanza bravo. Non ero adeguato per quel lavoro. Era al
di là delle mie forze. Se avessi continuato, avrei perso del tempo e mi sarei
preso in giro da solo” (169).
Confesso che erano anni che non avevo un agosto così ricaricante. Certo, non tutto è oro, ci sono tante cose che potrebbero essere migliorate, ma chi siamo noi per continuare a lamentarci, in vista di una ripresa autunnale che ci aspetta intensa? Quindi, bando ai lamenti e via con un abbraccio.
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