domenica 22 ottobre 2023

Insoddisfiction - 22 ottobre 2023

Un piccolo tour tra i gialli di vari continenti, tutti poco riusciti, dove alla fine mi trovo a dare la palma del migliore alla scrittura della “mamma” di Harry Potter. Gli altri cominciano poco sotto la sufficienza con l’indiana Anita Nair, e poi vanno in calando con il croato Drago Hedl, con la finlandese Minna Lindgren sino al quasi illeggibile cinese di Mia Jia. Insomma, ho letto di meglio.

Anita Nair “La ferocia del cuore” Repubblica Passione Noir 24 euro 7,90

[A: 25/11/2018 – I: 29/03/2023 – T: 30/03/2023] - && e ½ 

[tit. or.: Cut Like Wound; ling. or.: inglese; pagine: 425; anno 2012]

Dopo aver letto la bella immersione nella realtà indiana delle “Cuccette per signora”, eccoci ad una scrittura che si colloca una decina di anni dopo. Anita Nair ha ben presente il mondo indiano in cui vive, e per parlare di un altro fenomeno radicato nella società indiana, decide di cambiare genere, e di utilizzare il “noir”, dovendo maneggiare una sostanza abbastanza scivolosa. Operazione che, a parte il presente risultato, ha di sicuro dato una buona risposta editoriale, dato che il personaggio principale diventa il protagonista di almeno una seconda puntata. Che purtroppo ho già letto, e quindi forse, tendo a mescolare un po’ i caratteri principali dei due scritti. E dove avete capito cosa intendo per scivolosa.

Intanto, andiamo a menzionare due fatti importanti e preliminari. Benché si classificato come inglese, lo scritto è Indian English, che, molto vicino all’inglese, è comunque l’inglese parlato in India (e molto incomprensibile, soprattutto nella pronuncia). Secondo, il titolo originale parla di un taglio come una ferita, cosa che ha un suo senso nel corso del libro. Mentre il titolo italiano è stranamente vicino al titolo spagnolo (“El corazón es un lugar feroz”), anche se entrambi portano poca acqua alla comprensione del testo (ovvio che potrebbe anche essere il contrario, che lo spagnolo abbia ripreso dall’italiano).

Comunque, ripetendo quanto detto per l’altro libro, qui assistiamo alla nascita del personaggio dell’ispettore Borei Gowda, uomo molto corretto e poco corrotto. Per questo, emarginato nel corpo della polizia, così che si dedica particolarmente a “bere, fumare e mangiare”. Ha un figlio tossico che vive in un’altra città, dove, per la sua carriera e per tenerlo d’occhio, s’è trasferita anche sua moglie Mamtha. I due personaggi che si affiancano a Borei sono poi il giovane apprendista Santosh e la sua vecchia fiamma Urmila, il suo amore di più di venti anni prima, che Borei non aveva dimenticato, e che, ripresentatasi ora, fa rinascere scintille sopite nel nostro.

Il giallo prende le mossa dall’uccisione di un ragazzo che vende il suo corpo, ucciso per strangolamento con un laccio cui sono incollati pezzi di vetro (tipico espediente utilizzato per i lacci usati per le gare di aquiloni, come ci aveva insegnato Hosseini nel suo primo libro). Un’uccisone che lascia un tipico segno di ferita sul collo, come dice il titolo.

A questa prima si accavallano altri omicidi di uguale stampo, e di simile ambientazione. Così che veniamo proiettati nel mondo dei travestiti indiani, gli “hijra”, un fenomeno ben presente nel mondo indiano, tanto che una legge del 2014 ne ha riconosciuto l’ufficialità come terzo sesso. Anche se poi, più che transessuali, si tratta di “khoti”, ragazzi che si vestono al femminile. All’inizio Borei stenta a trovare un fattore comune alle morti, e solo la sua pazienza investigativa porta ad individuare la strada maestra.

Strada che noi già intravediamo dalle prime pagine, anche se Anita tenta di confonderci entrando in descrizioni, anche magistrali, dei rapporti complessi, delle contraddizioni che, pur in un paese teso al futuro, ne legano tradizioni ad un passato difficile da superare. Comunque, nel proseguire delle descrizioni e delle indagini, apprezziamo il bel modo di introdurre e descrivere i personaggi.

Ad esempio, il Consigliere Ravi Kumar detto “Anna” (parola hindi per indicare la “grande madre protettrice”) corrotto come tutti gli amministratori del distretto di Borei, ritratto nella sua casa-fortezza con tutta la corte di malavitosi che vi girano intorno. O il bel personaggio di Urmila, che, a parte il rapporto tra lei e Borei, ci fa entrare nelle contraddizioni indiane, tra un passato ed un presente permeato di magia, con le rigidità del sistema delle caste, rispetto ad un possibile futuro moderno e “occidentale”.

Ma ovviamente al centro, ritorna la figura di Borei, troppo alcool, troppe sigarette, un cinquantenne trasandato, con la carriera bloccata da superiori corrotti. Una persona onesta, bloccata per la sua onestà, e messa in disparte perché le sue intuizioni mettono quasi sempre sotto accusa personaggi che sarebbe bene “non toccare”.

Fortunatamente, la scrittrice ci riserva un piccolo colpo di scena finale, che dà un tocco di interesse maggiore all’ultima parte, a volte (spesso) troppo in fretta scritta e presentata. Tuttavia, pur essendo un libro con poco suspense, ha un suo interesse per le descrizioni di un mondo di cui difficilmente si sa qualcosa, un mondo di prostituzione che, a leggere i giornali, anche ora, a dieci anni della scrittura, è attuale. Che i casi di stupro e di morte (oltre quelli vicini a noi) riempiono pagine e pagine dei giornali indiani.

Un piccolo inciso finale. Borei viaggia per la città su di una Royal Enfield Bullet, una moto molto diffusa in India, ma nota soprattutto per il tempio “Om Banna” a lei dedicato vicino a Jodhpur. È una storia complessa e molto indiana quella di questo tempio. Ne potete cercare in rete, oppure leggere il piccolo allegato a questa trama.

Drago Hedl “Silenzio elettorale” Repubblica Passione Noir 26 euro 7,90

[A: 07/12/2018 – I: 09/04/2023 – T: 10/04/2023] - &&

[tit. or.: Izborna šutnja; ling. or.: croato; pagine: 362; anno 2014]

Se la memoria, ed i miei file, non dicono menzogne, credo sia il primo libro scritto in croato che entra nelle mie trame. Una nuova lingua, ma sentimenti “antichi”, che, seppur mescolati ad altri, escono con le lingue di tutti i paesi dell’ex-Jugoslavia. Lingue che magari non rispettano l’andamento sociopolitico del territorio, ma che, ad ora, possiamo elencare come: bosniaco, croato, macedone, serbo e sloveno. Più, ovviamente, dialetti riconducibili ai paesi limitrofi.

Qui, per l’appunto, abbiamo uno scritto croato, ed uno scritto post-militare. Non si parla della grande tragedia degli anni Novanta, ma ci si immerge nella vita quotidiana di una cittadina, Osijek, incuneata tra Bosnia, Serbia ed Ungheria. Cittadina che è anche il luogo natale dell’autore, Drago Hedl.

Drago è un giornalista investigativo croato, noto per le sue forti inchieste che spesso hanno fatto tremare i palazzi del potere, e non solo. Dalla metà degli anni ’10 ha completato la sua scrittura con la pubblicazione di alcuni romanzi “gialli”, che cercano (anche) di potere a galla problematiche sociali. Ma che soprattutto sono imperniate su alcune figure investigative interessanti. In particolare, già qui (e ho letto che si ripresenteranno anche in altri scritti) due sono gli elementi cardine: l’ispettore Vladimir Kovač ed il giornalista Stribor Kralj. Dove il secondo sembra ricalcare abbastanza la vita stessa di Drago, soprattutto nel momento in cui Stribor, per una serie di motivi, lascia i quotidiani locali, per passare alla “grande investigazione” nel giornale nazionale “Jutarnji List”, proprio come Drago stesso.

Qui, in questa prima uscita, vediamo appunto la nascita dei due personaggi. Stribor, con una piccola carriera alle spalle che gli ha fornito molti ed utili contatti, sposato con Lena che all’inizio del romanzo gli confessa di essere incinta. Vladimir invece è più grande, e lo vediamo alle prese con il triste divorzio da Magda, dopo quattordici anni che sembravano dover proseguire per sempre. È Magda che lo lascia, lui rimanendone innamorato, e confortato solo da lunghe chiacchierate e bevute con la collega Vesna. Che fin dall’inizio sembra avere una cottarella per Vladimir, ma sono storie che è ancora troppo presto per sviluppare.

L’altro elemento che appare è un reduce della guerra, Igor, perseguitato dalla vista dei cadaveri incontrati durante i grandi massacri degli anni Novanta, che lo hanno portato ben dentro la follia, da dove un valente psichiatra lo ha tirato fuori (o quasi).

Igor è quello che trova i cadaveri, Vladimir (con Vesna) indaga e Stribor, facendo il suo lavoro giornalistico, collabora con Vladimir e scrive pezzi di fuoco sul giornale.

I cadaveri sono di due giovani, sui quattordici anni, ospitate dall’orfanotrofio locale, che, disinibite e comunque desiderose di accrescere le poche risorse economiche personali, si danno a piccole avventure pseudo-pornografiche. Ma che, ad un certo punto, diventano qualcosa in più. Che Ivana rimane incinta, e viene trovata morta, forse annegata, sulle rive della Drava (il fiume di Osijek). Che Sanja la sua amica e sodale sa qualcosa, ne inizia a parlare a Stribor, prima di finire anche lei, morta sulle rive della Drava, con una siringa sul braccio sinistro (peccato che sia mancina). Tutti puntano su suicidi per varie ragioni, meno i nostri “eroi”.

Il tutto immerso nel clima politico croato. Perché siamo vicini alle elezioni, ed il politico di punta è fin dall’inizio avvolto in torbide faccende. Allora, complotti, sicari, mafie più o meno palesi, con i nostri che, nonostante i colpi che subiscono, non possono che arrivare, stanchi e malconci, alla verità. Di facile immaginazione, anche se con qualche piccolo colpo di scena (ad effetto).

Insomma, un impianto decente, personaggi simpatici, vicenda che promette, ma che alla fine il tutto rimane a livelli di scarsa sufficienza. Con qualche punta poco credibile. Dei sicari che riescono a mettere a segno colpi magistrali, ma che alla fine si perdono in un bicchier d’acqua. Con una vicenda finale venata da colpi rancorosi del tipo visto che non mi aiuti, ti affosso. Quindi, buon inizio ma una vicenda alla fine abbastanza prevedibile.

Sono comunque curioso di vedere come si possano evolvere i personaggi, per cui credo, che, prima o poi, qualche altro romanzo del buon Drago potrà forse entrare nella mia libreria.

Minna Lindgren “Mistero a Villa del Lieto Tramonto” Repubblica Passione Noir 27 euro 7,90

[A: 07/12/2018 – I: 20/04/2023 – T: 22/04/2023] - & e ½

[tit. or.: Kuolema Ehtoolehdossa; ling. or.: finlandese; pagine: 315; anno 2013]

Non sono certo molti gli autori finlandesi sia in generale sia nella mia biblioteca. Ed in genere, più sul versante narrativo in generale (Paasilinna, Waltari e pochi altri). Nella parte “noir” a mente non ne ricordo, come se non fosse un genere usuale. Tanto che anche questo, catalogato come racconto “di indagine”, in realtà, nella parte di studio dei comportamenti criminali risulta essere non dico carente, ma addirittura nullo.

Intanto, visto le nostre poche conoscenze, diciamo che l’autrice, Minna Liisa Gabriela Lindgren, è un personaggio discretamente noto in patria: da sempre all’interno della radio televisione nazionale (Yleisradio, che tra l’altro viene spesso citata nel romanzo e dove ha lavorato sino al 2008, prima di dedicarsi alla scrittura), è un’esperta melomane (ed anche qui, notevoli sono i riferimenti alla musica classica sparsi tra le pagine), autrice anche di libretti d’opera. Tra il 2013 ed il 2015 pubblica tre romanzi, di cui questo è il primo, e che ruotano intorno alle vicende di persone che vivono in un ricovero per anziani, il “Bosco del Crepuscolo”. Erroneamente classificati come “noir”, sono in realtà momenti, schizzi di vita, dedicati a persone anziane, che, per la loro età, non possono che, talvolta, morire. Ma su questo torneremo. Constatando, di passaggio, che in patria i libri sono noti come “Trilogia di Helsinki” (e ci si tornerà anche).

Collegandomi al nome del ricovero, che in finlandese suona “Ethoolehdon”, diamo anche una tirata d’orecchie ai responsabili editoriali che, a parte il cambio del nome della villa, modificano “Kuolema” che significa “morte”, con un anodino “mistero”. Altro inganno per i lettori, appunto, che di misteri ce ne sono pochi, mentre di morti, provocate, accidentali o naturali, è pieno il testo. La modifica del nome della villa in finlandese è dovuta all’uso delle declinazioni e delle agglutinazioni che in questa lingua sono pane quotidiano. Mentre il titolo originale, più che alle morti siano esse sospette o meno, si riferisce anche agli anziani della casa di riposo che aspettano una morte che sembra non arrivare mai.

Eliminando qui il “noir”, vediamo al centro le nostre tre protagoniste ben al di là dei novanta anni, che trascorrono gli ultimi sprazzi della loro vita nel “Bosco del Crepuscolo”, giocando a carte, bevendo alcolici, prendendo pillole e usando girelli e pannoloni. Abbiamo Anna Liisa puntigliosa ex professoressa di finlandese, Irma estroversa ed imprevedibile e Siiri, la protagonista, riflessiva, metodica, una volta velocissima dattilografa.

Certo, nelle prime pagine c’è un morto, il cuoco Tero, e sembra che dietro la morte ci sia qualche mistero. Ma le nostre tre nonnine non indagano realmente sul crimine, ma su quello che accade nella Villa. Aiutate dal misterioso tassista Mika, le nostre eroine riusciranno, anche in maniera diagonale, a sventare le storture del welfare finlandese, dove, per avere sussidi, i responsabili della Villa aumentano a dismisura i farmaci alle vecchiette, con mancamenti ed improvvise perdite di memoria, che fanno rinchiudere le più “pericolose” (per il sistema fraudolento) nei reparti d’isolamento.

È quindi un viaggio nel mondo degli anziani quello che ci propone Minna. Anziani spesso abbandonati dai familiari che neanche trovano il tempo di andarli a trovare, che vengono relegati in queste strutture solitarie, dove sì cercano conforto reciproco, ma che comunicano un forte senso di disperazione. Dove non ancora peggio, che dietro le belle parole ci sono violenze, fisiche e verbali, un modo infantile di trattare l’anziano, anche quando sembra ragionare ben meglio degli infermieri importati da mezzo mondo. Anziani di cui non ci si fida, anche quando (o soprattutto quando) denunciano queste storture.

Mentre le nostre tre continuano, con accanimento, a vivere una loro vita. Anna Liisa trova l’amore. Irma, superato un brutto periodo, torna a fare la svampita, tra shopping e whisky. Siiri, anche se forse con qualche colpo di demenza senile (a 92 anni!) è quella che dà il colpo giusto alla vicenda, dando fiducia allo sbandato Mika, e trovando la via d’uscita alle situazioni ingarbugliate che si andavano accumulando nella Villa.

Il tutto si scioglie senza un vero finale, laddove Irma finirà con il ripetere ancora una volta il suo ritornello che richiama il tempo che passa: "Tic tac, tic tac, tic tac".

Ci sono due cose finali da sottolineare, che riprendo dal bell’intervento della traduttrice Irene Sorrentino sulle difficoltà e sulle scelte effettuate per tradurre il romanzo. Il primo riguarda la cantilena di Irma, che nell’originale era in svedese (seconda lingua del paese) ed era espressa coma “döden döden döden”, che, come tutti i conoscitori delle lingue, significa “morte, morte, morte”. Nella difficoltà sia di lasciarlo in svedese, sia di tradurlo banalmente, Irene trova questa soluzione, rifacendosi al coccodrillo di Capitan Uncino.

Altro punto è le (forse eccessive) gite in tram di Siiri, che servono a Minna quasi a farci fare un giro turistico in Helsinki, parlandoci delle strade, ma anche delle case e degli architetti. In questa edizione non rende molto, mentre, come ho potuto vedere in libreria, nell’originale Sonzogno, corredato da una mappa della città, ha una ben altra resa. Peccato queste scelte.

Per la parte “personale” spero che l’accenno a pagina 48 “Avrebbe dovuto leggere “La vita, istruzioni per l’uso” di Georges Perec, ma non lo aveva finito tanto era noioso, prolisso e macchinoso”, sia ironico, altrimenti il giudizio finisce molto sotto lo zero.

Rimane un libro intrinsecamente finlandese, quindi anche con qualche difficoltà per noi “sudisti” di entrare in questo tipo di ironia. Che tra l’altro scatta con difficoltà. Mentre però in altri autori la verve riscatta il tutto, qui, alla fine, rimane tutto un po’ piatto.

Mai Jia “Il fatale talento del signor Rong” Repubblica Spy 11 euro 7,90

[A: 27/03/2019 – I: 24/06/2023 – T: 26/06/2023] - &   

[tit. or.: 解密 - Decoded; ling. or.: cinese; pagine: 379; anno 2002]

Ecco un altro prodotto che non soddisfa né le premesse né si modifica nell’andar di lettura, risultando anzi lento e fuori centro. Ma andiamo con ordine.

Non capita sovente di leggere di autori cinesi – cinesi, cioè escludendo gli espatriati ed i fuggitivi. In realtà, l’unico che ho veramente letto è il Nobel Mo Jan, e non mi piacque. Come scrissi per Mo, altra caratteristica dei cinesi è l’uso di pseudonimi nella scrittura. Veniamo così a sapere che il nostro si chiama Jiang Benhu, è un sessantenne, a lungo arruolato nell’Esercito e che scrisse questo testo in dieci anni, dal ’91 al ’01. Ed in effetti, la struttura del romanzo è assai complessa, e possiamo quindi capirne la difficoltà di nascita.

Il primo elemento che mi ha prima storto e poi reso difficile una piena comprensione del testo è la sua vicenda editoriale. Intanto, qui viene inserito in una collana di spionaggio dopo essere stato portato in Italia, con grande sforzo, dalla casa editrice Marsilio. Che nella sua edizione confessa di aver usato la traduzione inglese del testo cinese. Ho visto altre volte questi passaggi, e li ho sempre trovati forieri di impoverimento alla fruizione del libro.

Il secondo mal punto, sempre nell’ottica editoriale, è il titolo, che in italiano sottolinea una delle caratteristiche fondamentali di quello che si rivelerà il protagonista della vicenda. Ma sia in inglese che in cinese (stando ai traduttori online) il titolo tradotto in italiano sarebbe “Decifrato”. Un titolo ovvio meglio aderente all’idea del testo, che parla (ma vedremo come) di crittografia. E dove, forse, la decrittazione non attiene solo ai codici segreti, ma anche al personaggio stesso del romanzo.

Venendo al testo, è vero che l’autore si industria di utilizzare molte forme di scrittura, come ad esempio l’uso, molto da feuilleton francese dell’Ottocento, di finire i capitoli con delle frasi che dovrebbero portare il lettore a chiedersi: e dopo? Mi si dice, ma non sono un esperto, che è una tecnica cinese millenaria. Come cinese è l’uso del sogno in quanto rivelatore di verità nascoste, anche questo tipicamente usato nei racconti cinesi del XV secolo.

Giò tutto ciò porta pesantezza al testo. Se poi aggiungiamo che non c’è un briciolo di tensione in tutte le circa quattrocento pagine del testo, e che i personaggi paiono al più dei bassorilievi piuttosto che degli attori a tutto tondo, abbiamo ulteriori elementi di criticità. Perché in fondo certo sembra che lo spionaggio debba avere dei momenti nella trama, visto che si parla a lungo, ma solo dopo la metà del libro, di codici crittografati, dai nomi “colorati”, Porpora e Nero. Ma a che servono? Come vengono impiegati? Qual è lo sforzo del signor Rong per entrare nel codice e svelarlo? Nulla di tutto ciò esce dal racconto, ed allora, che spionaggio è?

Se poi seguiamo il testo, vediamo che per buona metà ci viene narrata la saga familiare della famiglia Rong, a partire dalla capostipite, Nonna Rong, e dalla trasferta in America del nipote per diventare un esperto analista di sogni. Nonna muore, e Rong, cambiato il suo nome in Vecchio Lillie (?), al contrario, diventa un esimio matematico che tornato in patria, fonda una Università dal fulgido prestigio.

Avremo poi tutta una serie di matematici, a partire da una donna dolicocefala, Rong Abaco Lillie, un nipote che segue le orme dei matematici, il Giovane Lillie, fino (e siamo quasi a metà libro) ad incontrare un ulteriore nipote (mi sono perso negli intrecci), Rong Jinzhen. Quasi autistico, anche lui con il cranio sviluppato, capace di ricostruirsi la matematica a partire dalla somma di due numeri. Abbiamo tanto tempo da seguirlo nelle lezioni con un tutore polacco, con la sua laurea in tre settimane, fino al suo arruolamento nell’unità 701, che si occupa, per l’appunto, di decifrazione. Vediamo il polacco riparare in America e sviluppare Porpora. Leggiamo, che non capiamo come, Jinzhen entrare nei segreti di Porpora. Vediamo gli altri (i cattivi?) sviluppare allora Nero. E vediamo come Jinzhen perderà la ragione poco prima di risolvere il problema.

Ma non capiamo chi ci sia, cosa faccia il polacco, perché l’unità 701 è così importante. Insomma, forse il verso mistero da decifrare è chi sia (chi sia stato?) Rong Jinzhen.

Lo scrivente cerca di portarci in tutti questi meandri, con testimonianze, interviste, salti temporali, e tante altre opere d’ingegno stilistico. Non ultimo, con la trascrizione di una serie di appunti desunti dai taccuini di Jinzhen, che avrebbero permesso ad un suo collaboratore di finire l’opera del sommo. Noi li leggiamo, e capiamo solo che, oltre a pensieri sparsi, ci sono citazioni varie, tra cui alcune, pur pregevoli, del “Cantico dei Cantici”.

E il mistero? Lo spionaggio? Poteva benissimo essere inserito in una collana di saghe familiari, o rimanere un testo isolato, senza etichette. Forse ne avrebbe giovato. Come, di certo, avrebbe giovato una sua traduzione diretta dal cinese.

Un ultimo accenno: in un’intervista Mia Jia dice di non conoscere Alan Turing e la sua storia. Primo, mi sembra una bufala. Secondo, se citi ad un certo punto Nash, lo ritengo una bufala. Terzo, se oltre a Nash parli di Intelligenza Artificiale, beh, finisco i commenti.

“Quando la gente parla del proprio paese si riferisce ai parenti, agli amici, alla lingua, al ponte che attraversa quando va a lavorare … non a una particolare fetta di terra delimitata da confini prestabiliti, né agli interessi di un partito … o alla venerazione nei confronti di un demagogo.” (199)

J.K. Rowling (Robert Galbraith) “Bianco Letale” Repubblica Emozione Noir 3 euro 7,90

[A: 01/07/2019– I: 06/08/2023 – T: 09/08/2023] - && e ½  

[tit. or.: Lethal White; ling. or.: inglese; pagine: 839; anno 2018]

Da una decina di anni ormai, la “mamma” di Harry Potter ha dedicato i suoi sforzi letterari alla costruzione dell’universo del detective Cameron Strike. Dopo un buon esordio, ha poi proseguito con libri di alterne fortune, arrivando con questo al quarto episodio. E noi sappiamo che dopo di questo, sono usciti già altri due libri. Che tuttavia non hanno ancora la forza di entrare nella mia biblioteca. Il mondo di Strike è interessante, ben costruito, ma a volte tende ad incartarsi su sé stesso. Come in questo caso.

Intanto, da protagonista unico, sta correggendo il tiro in un duetto, dove al nostro “cormorano” si affianca un “pettirosso”, la sua ormai socia Robin Ellicott. Sviluppo potenzialmente interessante, che in questo lungo romanzo mostra tuttavia i suoi possibili limiti.

Sappiamo ormai da lunga frequentazione che le serie tendono a sviluppare la loro trama sui due binari maggiori: il personale, che rimbalza di libro in libro, e la trama in sé, che si esaurisce nel corso del romanzo stesso.

Qui, come sempre più spesso nella Rowling, il personale si concentra più su Robin che su Cormoran. Del detective principe sappiamo quasi tutto. Ex-militare, gamba amputata e sostituita da protesi al ginocchio, intelligenza pronta, ma soprattutto un difficile rapporto con l’altro sesso. Ha avuto molte donne (beh, in partica una nuova ad ogni libro), ed anche qui a lungo si rapporta con una poco attraente (letterariamente parlando) Lorelei. Arriverà la rottura, inevitabile, ed un nuovo bivio: compare, come fa a tratti, la sua prima ed indimenticata fiamma, Charlotte, verso la quale ha un conflittuale rapporto, e si rinsalda un rapporto che non è ancora (e forse non lo sarà mai) di amore verso Robin. Riuscirà, prima o poi, la nostra scrittrice a decidere se i due possono fare una coppia fissa?

Sull’altro versante c’è Robin che inizia il libro con il suo matrimonio con Matthew, anche se, per come si comporta il tizio, io avrei divorziato il giorno dopo. Se tu ti permetti di cancellare i miei SMS non hai dignità di condividere la mia vita. Lei invece, pur combattuta, continua per quasi seicento pagine a cercare di rimetterlo in piedi, anche se poi dovrà finalmente arrendersi all’inconsistenza del tizio. Ma a quel punto, nella sua mente, torna il tarlo che la tormenta da libri e libri: “sono forse innamorata di Strike?”. Un dubbio che anche questa volta non avrà una risposta definitiva.

La trama in sé ruota invece intorno ad un bel garbuglio di personaggi, per districare i quali alla Rowling sono necessarie appunto le più di ottocento pagine del libro.

Molto ruota intorno alla famiglia (allargata) di James Chiswell. Lui è un Ministro conservatore del governo britannico. Ha tre figli avuti dalla prima moglie: Freddie, morto in guerra in Iraq, Izzy, nubile e sua segretaria e Fizzy, sposata ma in secondo piano nella trama. Poi c’è un figlio fuori dal matrimonio, Rapahel, da poco uscito di prigione dopo aver scontato una pena per aver ucciso una donna in un incidente automobilistico guidando sotto stupefacenti. Ed anche una seconda moglie, Kinvara, il cui unico interesse pare siano i cavalli.

Allargata anche a due giovani, un tempo alle dipendenze di Chiswell, Jimmy e Billy Knight. Il primo un patetico estremista, dedito a donne e droghe. Il secondo psicotico a seguito di un trauma infantile, del tempo in cui il loro padre faceva cose forse poco limpide per i Chiswell.

Il tutto nasce da Billy, che in una crisi, contatta Cormoran per parlargli di uno strangolamento di un bambino. Poi scompare. Strike e Robin cominciano ad indagare, scoprendo che James è sotto ricatto da Jimmy per una storia che si chiarirà nelle ultime pagine. Da qui comincia la ronda che attraversa tutto il libro. Robin si intrufola nel Ministero, dove scopre alcuni altarini, di interesse laterale rispetto al libro. Ma anche i comportamenti strani dei Chiswell: James sempre alterato, Izzy preoccupata, Raphael piacione verso tutte le donne con un fare un po’ losco, Kinvara con alti e bassi umorali, a seconda di chi le è vicino.

Collante a varie vicissitudini, poi, è il bianco del titolo. Primo, perché in diversi punti del libro, i protagonisti si trovano a bere a dei pub che, come spesso accade laggiù, sono dedicati al “White Horse”. Poi, visto che i Chiswell, e Kinvara in particolare, sono legati ai cavalli, c’è il bianco del titolo, il “Lethal White”, che è una sindrome equina, dove i puledri nascono esteriormente normali, ma con il mantello bianco e gli occhi azzurri. Questo indica una anomalia del colon, per cui nel giro di pochi giorni muoiono. Sindrome che è ben rappresentata in un quadro presente nella magione dei Chiswell, che ad un certo punto (forse sì, forse no) potrebbe essere attribuita a George Stubbs. Che tutti voi vi domanderete chi sia. Ho scoperto che è uno dei più grandi pittori di cavalli inglese, ed un suo dipinto ignoto potrebbe valere decine di milioni di sterline.

Ho dimenticato di dirvi che ad un certo punto, James Chiswell muore, e passeremo le ultime duecento pagine prima a capire che è stato ucciso, poi come è stato ucciso e poi da chi è stato ucciso. Questo per rimarcare la forse eccessiva lunghezza della Rowling. Inoltre, come spesso negli altri libri di questa serie, nel finale Robin si mette in situazioni pericolose, dove viene salvata all’ultimo istante dal nostro Cormoran Superman. Che per soprammercato, riuscirà a risolvere anche i motivi delle angosce di Billy.

Ci sarebbero altri rivoli minori da analizzare, ma penso che abbiate capito che la lunghezza del testo è un po’ stancante, anche per noi che raccontiamo le trame. Per cui, con la speranza che la scrittura potteriana migliori, metto anche io un punto fermo.

Non ci si può esimere da ricercare qualche frase utile dall’universo della “crime fiction”, come direbbero gli inglesi. Ecco allora che trovo una serie di frasi ricavate dal libro “Le perfezioni provvisorie” di Gianrico Carofiglio. Che cominciano e terminano con citazioni di citazioni, da Paul Valery a Theodor Adorno, per poi passare a florilegi che toccano l’universo dei libri e quelle delle relazioni tra persone.

“Paul Valéry: il modo migliore per realizzare i propri sogni è svegliarsi” (14).

“Io ho voglia di condividere quello che leggo. Quando ripeto una frase che ho letto, o un concetto, o una poesia, mi sembra un po’ di esserne l’autore” (15).

“Talvolta pensavo che mi sarebbe piaciuto incontrare una persona che mi piacesse come mi erano piaciute loro … Il pensiero mi metteva un po’ di tristezza … [ma mi dicevo] che non potevo lamentarmi. Avevo il lavoro, lo sport, qualche viaggio da solo, qualche uscita, ogni tanto, con amici cortesi e distanti. E poi i libri, naturalmente. Mancava qualcosa, certo. Ma io ero uno che da piccolo restava molto impressionato, quando gli dicevano di pensare ai bambini dell’Africa che muoiono di fame” (48).

“Chi legge troppi libri, speso fa cose di cui non c’è bisogno” (75).

“A volte mi viene da piangere … a pensare che il ricordo delle donne che ho amato non mi fa soffrire. Al massimo mi dà una vaga tristezza, fiacca e remota” (77).

“Tanti anni prima mi riusciva molto facile ripetere a memoria le parole dei film, delle canzoni, dei libri, delle poesie. Poi avevo cominciato a trovarlo sempre più difficile. Niente come assistere allo sgretolamento di un’abilità che davi per scontata riesce a evocare con più forza l’idea inquietante del tempo che passa.” (233).

“L’ultima volta con… Margherita… era stato tre anni prima. Eravamo andati a Berlino … Berlino mi era piaciuta pazzamente e avevo pensato che, se non fosse esistito l’inverno, avrei volentieri vissuto in quella città” (254).

“Come cazzo parli? La prossima volta che esci con una ragazza le chiedi se è propensa a prendere in considerazione la prospettiva di instaurare una relazione implicante anche saltuari intrattenimenti sessuali?” (262).

“Adorno diceva che la forma più alta di moralità è non sentirsi mai a casa, nemmeno a casa propria. Sono d’accordo. Non bisogna mai sentirsi troppo a proprio agio. Bisogna sempre essere un po’ fuori posto” (333).

I tempi esterni sono cupi e non invogliano pensieri sereni. Abbiamo sempre l’ottimismo dalla nostra, ma Gramsci c’è molto vicino. Speriamo che anche questa volta ci salvino i nostri abbracci.

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