domenica 1 ottobre 2023

Seriali passati, presenti, futuri - 01 ottobre 2023

Le trame di questa settimana sono dedicate ad alcuni scrittori seriali di stampo giallo-noir.

In testa, e forse irraggiungibile, il compianto Colin Dexter e le storie dell’ispettore Morse, terminate sia le serie che la vita dell’autore. A ruota, e non le conoscevo, le prime puntate di Jeffery Deaver e dell’investigatore tetraplegico Lincoln Rhyme. In coda, e molto distante, l’ultima prova uscita dalla penna di Alicia Gimenez Bartlett, che introduce la presenza di due nuove investigatrici.

Jeffery Deaver “Il collezionista di ossa” Rizzoli euro 7,90

[A: 14/01/2019 – I: 28/04/2023 – T: 30/04/2023] - &&&& -- 

[tit. or.: The Bone Collector; ling. or.: inglese; pagine: 568; anno 1997]

Jeffery Deaver è un nome che ha ballato molto nel retroterra della mia memoria. Sapevo dei suoi scritti con protagonista Lincoln Rhyme, soprattutto per aver sentito parlare spesso e bene del film con Denzel Washington e Angiolina Jolie, ma non ne avevo mai affrontato seriamente un libro. Ora, scoperto anche che è nato il 6 di maggio, pur con qualche anno in più, ho deciso di affrontare il suo primo scritto. Questo.

Intanto, seppur nella bandella si cita come prima indagine di Lincoln Rhyme, ben presto si capisce, e soprattutto si consolida nel finale, che i protagonisti sono due. Lincoln appunto, la mente, e la poliziotta Amelia Sachs, tutto il resto (beh, anche cervello, che altrimenti sarebbe troppo politicamente scorretto). Primo stop: nel film Angiolina viene chiamata Amelia Donaghy, che il cognome Sachs si riteneva troppo assonante con “sex”.

Americani da buttar via.

Lincoln è la mente in quanto, a seguito di un incidente durante un’indagine (una trave di cemento lo intrappola, spappolandogli la spina dorsale) diventa tetraplegico. Pur sapendolo, è interessante scoprirlo nel libro non immediatamente, ma quasi per gradi. Alla fine, ci si rivela: muove la testa ed un dito, tutto il resto è caduto nell’oblio. Solo l’assistente lo aiuta, ed è in grado di tenere in vita ed in ordine il corpo. Secondo stop: nel film l’assistente Thorn (maschio) diventa l’infermiera Thelma (donna), senza motivi apparenti.

Comunque, proprio il personaggio di Lincoln, e tutto un certo sviluppo della vicenda, consente all’autore di parlare di suicidio assistito, parlandone in tempi in cui il problema era ben lontano dai palcoscenici delle cronache. Lincoln ha patito tanto, cerca di trovare motivi per tirare avanti, senza trovarli, e per buona parte del libro è in contatto sia con psicologi sia con personaggio, un po’ ambigui certo, ma esistenti, che si occupano della “dolce morte”. Un argomento che merita comunque riflessione, anche se, personalmente non so bene dove collocarmi, se non sul versante delle persone che soffrono. Credo siano loro che debbano e possano decidere, e non noi per loro. Così come è Lincoln che deve decidere, e non è certo la positiva conclusione delle indagini che può distoglierlo dal bere il whiskey avvelenato. Così, aspetteremo l’ultima pagina per sapere cosa decide l’autore. Dove abbiamo dei sospetti: Deaver, dopo questo, ha scritto venti libri della serie, ma potrebbero essere tutti libri in flash-back. E comunque poco ci interessa, per cui torniamo a questo primo, fortunato episodio.

Dove cominciamo a conoscere i protagonisti della serie e ad affrontare uno spinoso caso molto thriller. Di Lincoln abbiamo detto, tetraplegico con poca voglia di vivere, ma con una mente fuori dall’ordinario, capace di collegare fatti apparentemente disgiunti. L’altro elemento è Amelia, poliziotta in attesa di uscire dalle routine sul campo, con alcuni problemi personali alle spalle, che viene coinvolta quasi per caso nell’indagine. Ma una volta dentro, Lincoln si accorge delle sue potenzialità e da quel momento diventa il corpo in movimento di Lincoln.

Quello che i nostri devono affrontare è un caso abbastanza spinoso. Un killer si adopera per rapire personaggi quasi in modo casuale, ma non per ucciderli direttamente, quanto per metterli in condizione di estremo mortale pericolo, lasciando in giro degli indizi che, se ben interpretati, consentirebbero a Lincoln e compagnia di arrivare per salvare il malcapitato di turno. Questa è senz’altro la parte migliore, dove anche noi vediamo gli indizi, ma è solo la mente di Lincoln ed il braccio di Amelia che salvano alcuni dei malcapitati. Anche se non tutti.

L’intrigo è ben congeniato, con i soliti sottofinali che portano a parziali soluzioni, tutte ugualmente plausibili, ma ovviamente sbagliate. Per arrivare, nel solito concitato finale, a quella che mette a posto tutte le situazioni, sempre con il dubbio che vi avevo detto sopra. Sapremo tutto, scopriamo i misteri, ma che deciderà Lincoln?

Devo dire in questa prima lettura, che Deaver ha una buona capacità nel ritrarre gli attori del romanzo, dipinti a tutto tondo, con una trama di buon ritmo, soprattutto dopo un inizio non veloce, ma decisivo per inquadrare i vari personaggi, l’arrogante Lincoln in prima linea. Ma anche l’intrigante Amelia, nonché i personaggi di sfondo, dall’aiutante alla squadra di polizia di supporto. Certo, con l’occhio di oggi ci sono passaggi che risentono del tempo che passa (in primis la tecnologia che ha fatto in venti anni passi da gigante).

In complesso, un buon risultato, ed anche, personalmente, una discreta fotografia della New York degli anni ’90, prima delle Torri. Penso che ne leggerò ancora.

Jeffery Deaver “Lo scheletro che balla” SuperPocket s.p. (prestito di Soriano)

[A: 08/05/2023 – I: 15/05/2023 – T: 17/05/2023] - &&& 

[tit. or.: The Coffin Dancer; ling. or.: inglese; pagine: 412; anno 1998]

Come annunciato nella trama precedente, detto e fatto. Anche perché ho trovato questa seconda puntata della serie di Lincoln Rhyme, nella capiente biblioteca sorianese, in mezzo ai libri ereditati dalle letture genitoriali. Per cui, scoperto, preso e letto in fretta, in modo da avere freschi nella mente i primi passaggi del nostro detective tetraplegico, così che se ne possa scoprire l’evoluzione nel breve periodo.

Dato il successo dei libri di Deaver, non possiamo che confermare la capacità si scrittura nonché le doti inventive e descrittive dell’autore. Anche in questo secondo capitolo riesce a muoversi su diversi binari, senza perdere troppo l’equilibrio. C’è la storia privata dei personaggi principali, ci sono gli approfondimenti tecnici, sia relativi alle indagini sia alla tipologia di trama (qui si parla molto di aerei), c’è infine una trama ben congeniata, discretamente mozza fiato con degli sviluppi interessanti. Unica pecca, forse, un finale troppo veloce e che non dà modo di riannodare con calma i fili sparsi lungo il testo.

Per la parte personale, vediamo una piccola evoluzione del tetraplegico C4 Lincoln Rhyme. Passate le pulsioni suicide del primo libro, sembra aver acquistato una sua andatura (metaforica) nel mondo della criminologia. Inoltre, approfitta di innovazioni tecnologiche, come una sedie a rotelle ed un computer, entrambi a comando vocale. Credo che con l’andare degli episodi riuscirà a fornirsi di altre “diavolerie”, magari meglio funzionante. Qui ha un grosso momento di difficoltà quando il computer non riesce a riconoscere i suoi comandi vocali.

In parallelo, si approfondisce il rapporto mente – corpo con la simpatica Amelia. Che è certo il 100% del corpo surrogato di Lincoln, ma è anche una mente di primordine, che supporta il nostro, rendendo complementare il loro rapporto. Non mancando peraltro, pur nell’impossibilità fisica, di sviluppare un possibile rapporto d’amore cerebrale.

Ci sono gli approfondimenti tecnologici. Sia per quanto riguarda gli strumenti d’indagine, dove Lincoln riesce a tirare fuori da micro-indizi, e da gascromatografi, microscopi ed altre innovazioni, elementi per portare avanti le indagini. Sia nell’ambito del mondo in cui si muovono i personaggi. Un punto importante è la presenza di una compagnia aerea privata, dove la responsabile ha un bello scambio di informazioni tecniche sia con i suoi compari, sia con Amelia (che sappiamo essere sempre interessata a qualsiasi cosa abbia una forte velocità, anche se fino ad ora l’abbiamo solo vista alla guida spericolata di macchine rombanti).

La trama gialla, che cronologicamente si dovrebbe collocare alcuni mesi dopo la fine del primo episodio, parte dallo scoppio durante la fase di atterraggio di un aereo, con la conseguente morte del pilota. Il quale, insieme alla moglie e ad un socio, dovrebbero testimoniare a breve in un processo contro un presunto boss del traffico di armi.

Una serie di indizi, portano i nostri investigatori a sospettare, e poi ad essere certi, che il killer è un assassino prezzolato, noto con il soprannome di “Scheletro che balla” per un macro-tatuaggio sulla sua spalla. È un pianificatore sopraffino, capace di prevedere molte mosse degli avversari, basandosi sulla sua tecnica di “pianificare, ingannare e colpire dal di dentro”.

Comincia così una lotta senza esclusione di colpi tra lo Scheletro e Lincoln. Uno scontro titanico tra due menti, una che può anche agire di persona ed una che deve lottare contro sé stesso oltre che contro lo Scheletro, dovendo anche convincere qualcuno ad agire per conto suo. Una sorta di costruzione da iper-Sherlock Holmes, diviso tra i due: uno legge ogni frammento di prova come fosse un libro aperto utilizzandola per anticipare le mosse dell’avversario, l’altro, camaleonte sopraffino, capaci di creare inganni superbi.

Quindi, tra la terra ed il cielo, Lincoln ed i suoi cercano di salvare i testimoni, lo Scheletro prova ad ucciderli. Ci sono scoppi, sparatorie, nonché una mirabile traversata aerea, con un’idea di bomba di rara intelligenza criminale. Certo, qualche innocente non arriverà alla fine del libro, e, come se non bastasse, quando tutto sembra aver trovato una sua collocazione, un colpo di scena inaspettato ci fa divorare le ultime venti veloci pagine in cerca di capire, prima di Lincoln, cosa stia succedendo.

Tuttavia, la trama in sé è talmente ben congeniata che parlarne più di così rischia di svelare più del dovuto. Accontentiamoci quindi di questi accenni. E del tentativo, sghembo, di Deaver di colpire anche altri bersagli. Un colpo contro l’egoismo, a favore di una lotta unita verso una meta comune. Un ragionamento sulla forza che ci fa andare avanti anche quando sembra non ci sia nessuna ragione per farlo. Una lancia spezzata verso il moralismo di chi vede sempre e soltanto amori patinati, laddove ci può essere tanto amore in situazioni che noi neanche possiamo pensare ci siano.

Rimane la distanza venticinquennale con la scrittura, che risulta a volte datata, anche in alcune soluzioni tecniche che, ora, potrebbero essere affrontate in altro modo. Ma la lettura scorre e piace vederne lo sviluppo.

Colin Dexter “La morte mi è vicina” Sellerio s.p. (Regalo di Raul&Viviana)

[A: 07/05/2023 – I: 25/05/2023 – T: 27/05/2023] - &&&&  

[tit. or.: Death is Now My Neighbour; ling. or.: inglese; pagine: 456; anno 1996]

Ed eccoci quindi arrivati al dodicesimo e penultimo episodio delle “avventure” dell’ispettore capo E. Morse, uscito dalla brillante penna dell’oxfordiano nonché enigmista nonché cultore delle belle lettere Colin Dexter (era stato a lungo insegnante di geco e latino a Leicester). L’autore non aveva un piano programmatico, e scopriremo solo all’ultimo volume perché ne cessa la scrittura.

Certo è che il nostro non fece un proclama ferreo come gli ottimi Sjöwall e Wahlöö che decisero a tavolino l’uscita dei dieci romanzi imperniati sul commissario Martin Beck, per stigmatizzare la deriva della società svedese. Sarà interessante se riusciremo in futuro a farne un parallelo.

Dexter non ha una prospettiva marxista-leninista come gli svedesi, ma riesce, con garbo, a delineare squarci della vita e del mondo anglo-sassone, visto dalla prospettiva della cittadina universitaria di Oxford, che lui ben conosce. Ma poi prende altre strade, dedicandosi a quell’erudizione che gli è proprio. Il personaggio Morse, come l’autore, ama le parole crociate criptiche, la letteratura inglese, la birra inglese e la musica di Wagner. E tutti i libri ne sono pieni. In particolare, qui abbiamo una bevuta ogni quattro pagine di racconto, con birra, preferibilmente bitter, svariati whisky, pure un ‘whiskey’, champagne a iosa, sherry, porto.

Inoltre, è un mago delle citazioni ad inizio capitolo, dove ogni volta ci propone un esergo. Ed è anche qui criptico, laddove spesso cita frasi quasi vere, citazioni incrociate, sovente complicate. Qui, per mio grande scorno essendone poco ferrato, parla ad un certo punto di aoristo congiuntivo, poi passa anche alla consecutio temporum latina. Spesso anche citando un falso lessicografo, Diogenes Small, del quale Dexter si innamora tanto da costruirne una fasulla bibliografia.

Come ci si aspetta ormai da Dexter, il “mistero” è preso alla lontana. Ci introduce nell’ambiente universitario, laddove si avvicina l’elezione del nuovo rettore, e dove sono presenti due soli candidati, entrambi interni. Non solo, entrambi sposati, con le mogli che farebbero, e fanno, di tutto per spingere i mariti all’alta carica, non escluso entrare ed uscire da letti altrui.

Inoltre, compare all’inizio una giovane infermiera, che poi verrà ignorata per quasi trecento pagine, poi la signorina Rachel James, prima vittima nonché amante di uno dei due papabili rettori, ed infine un giornalista di “gossip” che abita al palazzo accanto di Rachel. Cosa importante, che Rachel è la prima vittima, dove però non sembrano esserci motivi apparenti per la sua uccisione.

A questo punto, entra in campo il nostro Morse, con la sua andatura sorniona, con lo sguardo su tutto e con le sue strampalate teorie, che saranno tutte buttate all’aria dai fatti (e dalla solerzia del suo aiutante l’agente Lewis). Fino all’ultima e definitiva che porterà alla soluzione del caso.

Morse si fissa su di una foto che mostra Rachel con un uomo e su di un messaggio criptico che potrebbe indicare un appuntamento. Nel frattempo, rimane anche colpito dalla solerzia e dalle troppe informazioni in possesso del giornalista. Altri colpi d’ala del nostro lo portano a sospettare del giornalista. Una breve incursione non autorizzata, porta il nostro grande investigatore alla comprensione che il giornalista è più che altro un ricattatore, che ha prove contro molta gente, incluso uno o tutti e due i rettori. Ma il più giovane papabile si tira fuori per altri problemi che non vi dico. Mentre il secondo ha un alibi abbastanza solido, in località distanti dagli avvenimenti. Anche quando pure il giornalista muore.

Ma Morse ha una grande abilità nell’analizzare le scene criminali. Guardando e pensando, riesce a ricostruire possibili accadimenti ed altre connessioni utili. Come la scoperta che le due case vicine dei morti hanno numeri contigui, ma manca uno dei precedenti. E sia Rachel che il giornalista hanno i capelli legati in una treccia. Vuoi vedere…

Non sono autorizzato a dirvi altro di realmente utile alle indagini. Rimarco solo che, come negli ultimi romanzi, la salute di Morse si va aggravando (ed in parallelo anche quella di Dexter), tanto che viene nuovamente ricoverato per problemi diabetici legati al troppo alcool (vedi sopra). Unica consolazione, l’incontro con una piacente caposala con cui finirà il libro in maniera soddisfacente (almeno per Morse). Non solo, la gentile signorina convince il nostro orso ad essere gentile con il povero Lewis, inviandogli una cartolina firmata, finalmente, con il suo nome. Nome di cui parleremo nel corso dell’ultimo libro.

Un piccolo inciso di cultura varia. Nell’elenco delle cause di esclusione alla carica di rettore, redatte secondo Dexter in un impossibile latino, compaiono due elementi atipici e congruenti con la trama: il candidato deve essere in buona salute (cosa sempre auspicabile) e non deve aver commesso reati in Gran Bretagna (se poi fosse stato condannato per omicidio plurimo in Thailandia, potrebbe tranquillamente partecipare alla gara).

Da rivedere soltanto alcune omissioni di informazioni, di cui cito quella che mi ha più impegnato nella ricerca: i trimestri delle lezioni universitarie. Qui, infatti, tutta la storia si svolge nel “trimestre Hilary”. Ora bisogna essere un oxfordiano ferrato per sapere che i trimestri universitari ad Oxford (e non in tutta l’Inghilterra) si nominano intorno alla festa di Sant’Ilario di Poitiers, il 14 gennaio. E vengono chiamati “trimestre Michaelmas” (dal nome della festa di San Michele arcangelo il 29 settembre) dalla 13^ alla 5^ domenica prima di St. Hilary, “trimestre Hilary” che si estende dalla 1^ alla 9^ domenica dopo la festa e “trimestre Trinity” (dal nome della Domenica di Pentecoste) dalla 15^ alla 21^ domenica dopo la festa. Una nota esplicativa sarebbe stata utile.

Un ritorno, comunque, ad un buon livello del sempre ottimo scrittore.

Colin Dexter “Il giorno del rimorso” Sellerio s.p. (Regalo di Raul&Viviana)

[A: 07/05/2023 – I: 11/06/2023 – T: 13/06/2023] - &&&& 

[tit. or.: The Remorseful Day; ling. or.: inglese; pagine: 510; anno 1999]

Eccoci al fine arrivati al tredicesimo ed ultimo libro della saga dell’ispettore capo E. Morse scritta da Colin Dexter. Come sappiamo avendoli letti tutti, Dexter comincia a scrivere il primo nel 1975 e finisce con questo ventiquattro anni dopo, scrivendone in pratica uno ogni due-tre anni. Nel ’99 l’autore ha quasi settanta anni, è da anni colpito da una crescente sordità (come aveva descritto nel terzo libro, “Il mondo silenzioso di Nicholas Quinn”). Inoltre, ha un diabete sempre più debilitante. Per questo decide che, avendo scritto come voleva scrivere ed avendo guadagnato più di quanto pensasse, era ora di chiudere la serie.

Una chiusura definitiva, visto che, anche lui diabetico, ma incapace di resistere alle chimere di alcool e sigarette, verso la fine del libro, Morse, già più volte ricoverato nelle ultime avventure, serenamente muore, non senza aver risolto questo suo ultimo caso. Forse anche per questo, Dexter non ebbe, fuori della sua patria, una risonanza corrispondente alla gradevolezza dei suoi scritti. Morse è contraddittorio, spesso antipatico, ma, onestamente, fornito di quella intelligenza che solo i grandi detective possiedono.

È anche sanguigno, si butta a capofitto in probabili soluzioni che si rivelano spesso sbagliate. Ma osserva tutto, accumula informazioni, le elabora, aggiusta il tiro, ed alla fine, con il suo ragionamento deduttivo, risolve il problema poliziesco che gli si è presentato. Servendosi spesso del suo sottoposto, il sergente Lewis, poliziotto metodico, che segue le regole di accumulare prove, interrogare sospetti, esaminare alibi. E fornire a Morse una spalla su cui esercitare i loro ping-pong verbali, quelli che consentono al nostro di arrivare a formulare l’ipotesi risolutiva.

In questo ultimo atto, la polizia di Oxford viene sollecitata a riaprire il caso di un’infermiera uccisa un anno prima, mentre praticava sesso “bondage”, cosa che lei stessa in un iniziale cammeo dichiara. La particolarità è che quelle dichiarazioni sono fatte all’ispettore Morse, al tempo ricoverato. Ed anche se, forse, Morse non diede seguito alle proposte erotiche di Yvonne, è certo che, proprio per quei pregressi, il nostro è restio ad occuparsene.

Yvonne era sposata con Frank, un banchiere londinese, anche se ognuno praticava uscite sessuali fuori del matrimonio spesso e volentieri. I due hanno due figli: Sarah, dottoressa specializzata in diabetologia, che ha Morse tra i suoi pazienti, e Simon, colpito da precoce sordità (come Dexter) e molto legato alla madre. Per tutta una serie di motivi, tuttavia, i tre sembrano avere alibi inattaccabili: Frank era a Londra in dolce compagnia, Simon al cinema con una ragazza e Sarah ad un congresso medico.

Ma Frank viene chiamato da qualcuno al telefono dicendogli che la moglie sta male, prende il treno, un taxi, e si precipita ad Oxford, dove trova la moglie morta. Intorno al luogo del delitto, poi, si palesano tre individui: il tassista, ovvio, un rapinatore di case che sta ispezionando la zona per effettuare qualche ruberia, un muratore che, oltre a ricostruire il garage di Yvonne, è stato spesso visto negli ultimi tempi ronzare intorno alla bella signora.

Stranamente, poco dopo la sollecitazione, i tre di cui sopra, in circostanze diverse, ma tutte non naturali, trovano la morte. A questo punto Morse, benché storto, e soprattutto poiché pungolato dal suo capo, non può esimersi dall’affrontare il caso. Che sarà per l’appunto complicato e costellato di trappole proprio per il carattere esuberante di Yvonne e per le sue frequentazioni.

Anche qui Morse parte a spron battuto su alcuni sentieri, subiti rivelatisi fallaci. E non lo aiutano neanche le lunghe sedute in birreria, a tracannare le sue “bitter ale”. Che avranno il solo scopo di aggravare inesorabilmente la salute dell’ispettore. In una fosca notte (che Snoopy avrebbe definito buia e tempestosa), Morse scrive un lungo memoriale, ricapitolando il caso, e fornendone l’ingegnosa soluzione. Di cui, prima di essere ricoverato, fornisce alcuni dettagli a Lewis che consentono al sergente di chiudere il caso.

Il libro finisce con Lewis che legge lo scritto di Morse, cogliendone a pieno tutti i passaggi, nonché leggendoci il testamento dell’Ispettore, che riflette più che altro quanto lo stesso Dexter vorrebbe poter scrivere (o scriverà) nel suo.

Ci vuole un bel coraggio per far morire un protagonista. Cosa, ad esempio, che non riuscì a Sir Arthur Conan Doyle. Ma Dexter, come detto, ritiene che quando un cruciverba è risolto, si possa chiudere il giornale. E così ha fatto.

Finiamo anche noi, con qualche caratterizzazione del personaggio, che ci illumina anche sulla contorta natura dell’intelligenza dexteriana. Anche se sarebbe interessante poi riprendere in toto il personaggio e farne un protagonista come è stato “il mio Maigret”.

Qui intanto sveliamo che, benché durante il servizio militare, Dexter sia stato un operatore addetto alle trasmissioni in alfabeto Morse, il cognome dell’ispettore (come lo stesso Dexter confessò) è preso dal rivela di Dexter nella costruzione di complicati cruciverba, Sir Jeremy Morse. Perché, se non l’ho già citato, Dexter era un “Bartezzaghi” inglese, per chi sa di enigmistica. Inoltre, anche il sergente Lewis è un contrappasso di quel mondo, avendo preso il nome da un’altra enigmista, Mrs. B. Lewis).

Dopo undici reticenze, nel finale del libro precedente, Morse inoltre svela a Lewis il suo nome, sino ad allora indicato solo con la lettera “E”. Per esteso, Endeavour. Secondo le ammissioni di Morse, deriverebbe dal fatto che la madre era quacchera, e prediligeva nomi significanti (e questo sta spesso per indicare uno sforzo, un tentativo ad andare avanti) ed il padre era patito del Capitano Cook, la cui nave era appunto la HMS Endeavour. Secondo gli analisti dell’opera di Dexter, invece, deriva dal fatto che di fronte all’attracco navale sulle rive del Tamigi, che Dexter usava per passeggiare e concentrarsi, c’è un edificio, il “TS Endeavour”.

Ultimo accenno, per ora, altro tratto comune tra Morse e Dexter, oltre al diabete, sono le loro passioni feroci: le parole crociate criptiche (come detto), la letteratura inglese (ed i libri sono pieni di citazioni, vere o inventate), la birra inglese (una pinta ogni due o tre pagine, ora) e la musica di Wagner.

Peccato aver letto tutto di Dexter, ma spero di tornarci ancora (o quanto meno di tornare a visitare Oxford).

Alicia Gimenez Bartlett “La presidente” Sellerio euro 16 (in realtà, scontato a 13,60 euro)

[A: 08/01/2023 – I: 16/06/2023 – T: 18/06/2023] - && ---    

[tit. or.: La presidenta; ling. or.: spagnolo; pagine: 407; anno 2022]

Abbandonata da un po’ la bella figura di Petra (e se non lo avete visto, guardatene la serie con Paola Cortellesi), la grande scrittrice spagnola, per non tornare a narrativo storico ambientali e comunque di impatto, torna al genere giallo imbastendo una storia nel suo complesso credibile, ma con personaggi (soprattutto sui principali) assai privi di mordente.

Di certo non posso essere tacciato di troppa benevolenza verso Alicia, anche se, fino ad ora, i suoi scritti, sia gialli sia altro mi hanno sempre interessato con una buona riuscita. Capisco anche che, avendo il personaggio di Petra fatto un suo percorso, è difficile trovare altri ed importanti stimoli. Da poliziotto arrabbiato e single, Petra alla fine vive con la sua famiglia allargata, stemperando la rabbia e la ricerca dei cattivi sempre e comunque, in un mondo leggermente meno cattivo (e ci sta).

Ecco allora che, volendo anche fare un libello che scagli alcune pietre nello stagno del mondo spagnolo, la nostra scrittrice decide di introdurre due nuovi protagonisti (sempre al femminile) e di spostare la sua attenzione dall’amata Barcellona alla nuova, in via di sviluppo e in ogni caso sempre interessante Valencia.

Le nuove protagoniste sono due sorelle, Berta e Marta, intorno ai trent’anni, appena uscite dall’Accademia di Polizia. Una è solare, aperta, sbarazzina, anche troppo. L’altra è più cupa, anche perché ha alle spalle una dolente storia d’amore. È come se avessimo una Petra divisa in due metà. Solo che manca la spalla Garzon.

Lo spostamento a Valencia serve anche a lanciare strali ed accuse varie al potere politico spagnolo ed alla corruzione dilagante. Che non è certo una novità, come non è una novità, non solo per la Spagna, ma diffusa un po’ ovunque là dove si annidano centri di potere. Non dico che si potrebbe leggere in controluce un accenno alle vicende italiane (e si può fare), ma pensiamo agli scandali inglesi di Boris Johnson, alla politica interna americana ai tempi di Trump, o a quanto (potrebbe essere) avvenuto in Russia negli anni ’10 di questo secolo.

C’è la potente ex-presidente della Comunità Valenciana che il suo assistente Salvador “Boro” Badìa trova morta in albergo. Avvelenata. Il giorno dopo avrebbe dovuto comparire in Tribunale a testimoniare per i tanti scandali che gravavano su Valencia e dintorni. I poteri forti si muovono subito per insabbiare il tutto. Per i media, un infarto. Per tacitare il partito un’indagine, ma affidata a due reclute appena entrate in Polizia. Le sorelle Miralles.

Da qui si dipana tutta la storia, non certo molto avvincente. Anche perché Berta e Marta non bucano la pagina come fece Petra dopo dieci righe. Certo, sono discretamente simpatiche. Nonché discretamente fortunate. Ma non mi sono mai entrate nel cuore (almeno per ora, chissà se ci saranno altre puntate).

Aiutate dal gay “Boro” si mettono sulle piste di possibili e strampalate connessioni. Una cameriera (quella che ha portato il caffè avvelenato) che mente spudoratamente, che scompare e che riappare morta. Una sua lontana, nonché giovane, parente si palesa dicendo che la zia le aveva promesso tanti soldi. Le sorelle la mandano in avanscoperta, con il risultato che muore anche lei. “Boro” viene lasciato dal suo amante, che compare di nuovo con un altro amante gay, e con una moto vista in posti ambigui. Di fondo, non manca un altro politico, sodale di Vita, originario del degradato luogo di villeggiatura di Benidorm, lo stesso della cameriera.

Ci si aspetta sempre che i poteri di cui sopra intervengano a fermare le nostre due eroine, che invece vanno sino in fondo, annodano tutti i fili nascosti, riescono a trovare il modo di “pararsi il culo”, per poi affrontare il grosso dilemma che pone loro il Ministro. Acclarati i fatti, possono fermarsi e continuare la loro carriera in polizia, o confessare tutto ai giornali e licenziarsi. Cosa faranno le nostre eroine? Ovvio che vi lascio con questo dubbio amletico in testa.

Non sappiamo se Alicia abbia voluto fare un finto giallo con dentro una reale denuncia. Di certo, la vicenda ha dei paralleli inquietanti con la morte, nel 2016, della potentissima sindaca di Valencia, Rita Barberá. A partire dalla similitudine nel nome, che qui la morta si chiama Vita Castellá. E delle vicende: scandali, mazzette, posti riservati a parenti e amici, possibili scandali sessuali, fors’anche con minorenni. Ma, come diceva Andreotti riprendendo una frase di papa Pio XI: “A pensar male del prossimo si fa peccato ma si indovina”.

Per finire due piccoli elementi da correggere. Un refuso, a pagina 13, dove si riporta “angosica” al posto del corretto “angoscia”. Nonché a pagina 405 Boro va in campagna con falcetto, ed a pagina 406 torna con una zappa (!).

Sinceramente, per quello che conosco e che ho letto di Alicia, mi aspettavo qualcosa di più.

Primo giorno d’ottobre che dedichiamo, come al solito, alle letture di luglio, numerose (ben 17) e di buon livello medio. Su tutte, l’iconico libro di Georges Simenon ricevuto in dono per la mia grande e fortunata festa. Il resto poco sotto, ma senza cadute verticali verso il basso.

#

Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Maurizio De Giovanni

Sorelle

Rizzoli

19

2

2

Georges Simenon

Quand j’étais vieux

Presses de la cité

s.p.

4

3

Carlo Cassola

Fausto e Anna

Repubblica Resistenza

7,90

2

4

Guillaume Musso

La sconosciuta della Senna

La Nave di Teseo

20

3

5

Fulvio Ervas

C’era il mare

Repubblica Emozione Noir

7,90

3

6

Andrea Camilleri

Privo di titolo

Repubblica

8,90

3

7

Viveca Sten

Nel nome di mio padre

Feltrinelli

12

2

8

Giaime Alonge

Il sentimento del ferro

Repubblica Spy

7,90

2

9

Simonetta Agnello Hornby

Via XX Settembre

Corriere Oggi

8,90

3

10

Julie Otsuka

Venivamo tutte per mare

Corriere Giappone

8,90

3

11

Matteo Righetto

La pelle dell’orso

Repubblica Montagna

9,90

2,5

12

Alessandro Reali

Fitte nebbie

Corriere Gazzetta

7,99

2

13

Giovanni Valentini

La sirena delle Azzorre

Mondadori

6,50

3

14

Francesco Guccini & Loriano Macchiavelli

Tempo da Elfi

Repubblica Emozione Noir

7,90

2,5

15

Antonio Manzini

ELP

Sellerio

17

3,5

16

Frédéric Lenoir

Vivere è un’arte

Repubblica Filosofia Viva

9,90

2

17

Guillaume Musso

Angélique

La Nave di Teseo

s.p.

3

Per festeggiare l’ultimo trimestre dell’anno, con tutti i suoi compleanni, questa volta vi lascio con un allegato denso di citazioni. Io mi dedico alla festa, ed alla cura di me stesso (che ogni tanto serve). Aspettando incontri e viaggi, vi abbraccio.

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