Simonetta Agnello Hornby “Vento scomposto”
Corriere Oggi euro 8,90
[A: 30/10/2019
– I: 01/05/2023 – T: 02/05/2023] &&
---
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 404; anno: 2009]
Anche se è pur vero che, allontanando i temi
di scrittura dalla natia Sicilia, poteva risultare comunque una lettura
d’interesse, proprio i temi, che toccano problematiche molto vicine al mondo
lavorativo della scrittrice, ne hanno fatto un “romanzo a tema”, che spesso non
riesce a raggiungere gli scopi che si prefigge.
Simonetta, per chi non ne conoscesse la
biografia, vive dal 1972 a Londra, sia per via matrimoniale, che per via
professionale. Infatti, dopo essersi laureato in Legge, si specializza in
diritti dei minori, e si occupa (in special modo nel quartiere di Brixton) di
violenze contro le minoranze, sia razziali che sessuali.
Questo libro, come ci dice in premessa,
nasce dalla volontà di approfondire le tematiche, positive e negative,
innescate dal “Children’s Act”, una legge anglosassone approvata nel 1989 che
instaurava un diverso modo di approcciare le violenze domestiche: diritto del
minore ad un avvocato, nel caso anche a spese dello stato, e maggior attenzione
ai rapporti intercorrenti nelle mura domestiche. In particolare, rispetto alla
legislatura precedente, si prevedeva una maggiore possibilità
all’allontanamento dal nucleo familiare di soggetti, nel caso ci fossero rischi
maggiori che rimanere in un’entità integra. Questo, mi si dice, perché spesso,
prima di tale legge, si era restii ad intervenire sulle famiglie, con
conseguenze a volte spiacevoli per i soggetti. Non esclusi suicidi e omicidi,
altrimenti evitabili.
Quindi, dalla Sicilia ci spostiamo nel
quartiere di Kensington a Londra, dove vive la famiglia Pitt: Mike, merchant
banker, e Jenny, consulente per negozi vari, e le loro due figlie Amy, otto
anni, e Lucy, quattro. Tutto sembra procedere passabilmente, finché
un’assistente dell’asilo, insospettita da strani disegni di Lucy, non entra
nell’ordine di idee di possibili abusi.
Da qui si scatena tutta una serie di piccoli
incidenti che presto diventano una valanga, portando alla possibile
incriminazione di Mike per abusi. Anche a seguito di una frettolosa perizia di
una psicologa. La valanga sembra inarrestabile quando viene messo in campo uno
scalcinato studio legale di Brixton (stesso quartiere dove lavora Simonetta)
che comincia a porsi domande. Sia sul comportamento della famiglia Pitt, ma
anche sulle azioni dell’assistente nonché sulla perizia improvvida della
dottoressa.
L’abilità della scrittrice e la sua
conoscenza della materia a questo punto mettono in scena anche tutta una
piccola serie di sassolini che danno motore alla macchina quasi kafkiana della
giustizia. Una narrazione dove per prima cosa spariscono il buon senso e la
logica dei comportamenti. E dove compaiono, suddivisi in parti uguali tra tutti
i protagonisti, l’incompetenza, la grettezza, fino al tornaconto personale di
ognuno.
Non è un romanzo avvincente, e pur tuttavia
non si riesce ad allontanarsi dalla pagina in attesa di arrivare al
disciogliersi degli eventi. Saranno positivi per Mike? Saranno positivi per gli
assistenti sociali? Vedremo. Di sicuro non saranno mai positivi per i bambini,
ed è questo il messaggio forte che ci vuole mandare la scrittrice.
Un elemento che salta potentemente agli
occhi, tuttavia, è la completa ed assoluta privacy della vicenda. In tutto il
corso delle indagini, fino alle aule giudiziarie, mai interviene un
giornalista, mai compaiono titoli sui giornali. Forse è un fatto normale in
Inghilterra, da noi sarebbe tutt’altro, con i media subito puntati a “mangiare
l’osso” e ridurre tutti a carne da stampa.
Però alla fine, non è una storia
particolarmente avvincente, non c’è molta tensione, anche se vogliamo saperne
la fine. Una prova molto segnata dalle esperienze di giurista di Simonetta, ma
che, personalmente, mi ha fatto subito rimpiangere le più toccanti atmosfere
siciliane.
Simonetta
Agnello Hornby & Maria Rosario Lazzati “La cucina del buon gusto” Corriere
Oggi 10 euro 8,90
[A: 05/12/2019
– I: 13/06/2023 – T: 15/06/2023] &&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 251; anno: 2012]
Un
libro che parla di cucina, con anche molte ricette, ma che è qualcosa più di un
libro di cucina. Anche se, alla resa dei conti, resta un libro senza un suo
vero mordente. Un libro di una decina di anni fa, e dispiace che, nel
frattempo, Maria Rosario ci abbia lasciato (in un giorno molto numerico,
2/2/22).
Qui
ci distacchiamo molto dalla solita scrittura di Simonetta, sia delle riuscite
migliori quando parla della sua Sicilia, sia di quelle, per me, minori come nel
precedente descritto libro londinese. Non so quale tipologia di apporto abbia
data la co-autrice, che di sicuro era quella con più dimestichezza ai fornelli,
avendo aperto a suo tempo una scuola di cucina italiana a Londra. E non solo.
Anche
se, rileggendo le varie parti, vediamo come, in un libro che si pone come una
miscela non esplosiva di ricordi personali, di esperienze vissute dalle
scrittrici condite da ricette, a volte accennate a volte descritte a fondo
(soprattutto nella parte finale, dove ho apprezzato i vari menu proposti:
sostanzioso, vegetariano, speziato, per buffet, d’inverno o d’estate). Il tutto
condito da abbastanza condivisibile considerazioni sociologiche.
Così,
con leggerezza ma con la mente molto indirizzata al nostro presente, passiamo
in rassegna la gioia che si prova nel cucinare, accompagnata dalle
considerazioni sui vari rituali connessi alla preparazione del cibo. Non ci si
può esimere, parlando del porsi intorno ad un tavolo, di come ci si ponga nei
confronti degli ospiti (vedi ultima citazione), ma anche rispetto agli altri
(possibili) commensali, i figli, i parenti, financo gli stranieri.
Poiché
ormai intorno al tavolo ci si pone con un generale rispetto verso gli altri,
non si dimenticano, le nostre anfitrione, dell’attenzione alle intolleranze
(sempre più in aumento al giorno d’oggi), delle diete, dei cibi di moda del
momento, ma anche (e qui io sono in completa sintonia con loro) alle tradizioni
culinarie dei paesi stranieri. Non solo e non tanto quindi la cucina italiana a
Londra, dove le autrici vivevano al tempo della scrittura. Ma anche ai paesi
che nel corso del tempo hanno visitato o in cui hanno sostato per lavoro o per
diporto (America, ma anche Zambia o paesi orientali o mediorientali).
Uno
dei punti che mi hanno preso, e che condivido grandemente con Alessandra, è la
cura con cui si apparecchia la tavola. Non solo utilizzando elementi combinati
(tovaglie, fiori, oggettini), ma anche piatti, bicchieri, posate. Come dice Simonetta,
poi, l’importante non è tanto avere tutto “dello stesso servizio”, ma avere,
anche scombinati, elementi in armonia.
Perché,
come ampiamente disamina Simonetta, i rituali del cibo si stanno perdendo. Uno
dei grossi rimpianti, anche mio personale, è la difficoltà che si ha di
condividere la tavola con la propria famiglia. Sedersi a tavola e mangiare
insieme, anche se capita, non ha più quel carattere di scambio, di
comunicazione reciproca delle cose fatte, delle cose da fare, insomma della
vita nei suoi piccoli andamenti minuti e quotidiani.
Uno
dei momenti che più mi è rimasto impresso è la tradizionale familiare
prettamente siciliana del “rùmpiri”. Quando il piccolo di casa viene posto in
cucina e può rompere, gettare ovunque tutto quello che gli viene porto dalla
nonna. Così imparerà che a rompere e non dovrà più dimenticarlo avendo rispetto
per le cose fragili.
Ho
lasciato per ultimo il collante che innerva tutto il libro. Cioè, gli
interessanti passi ripresi da un testo fondamentale settecentesco di Jean
Anthelme Brillat-Savarin. Il suo, cito il titolo esteso “Fisiologia del gusto,
o meditazioni della gastronomia trascendente; opera teorica, storica e di
attualità, dedicata ai gastronomi parigini, di un professore, membro di diverse
società letterarie e erudite”. Un testo che ragiona sul buon gusto, sul piacere
della convivialità, dell’ospitare, di invitare a dividere la tavola, fornendo
gli spunti che sono serviti alle nostre autrici per sviluppare i loro
ragionamenti.
Il
testo francese mescola in maniera amabile riflessioni, aneddoti, consigli
culinari, arrivando a tratteggiare la figura del “gastronomo” che da allora ha
dominato l’immaginario positivo della cucina e del cucinare. Proprio di
Brillat-Savarin riproporrei due aforismi, tra i venti che pone come prologo al
suo trattato. Nel IV dice “Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei” e nel XX
chiude con “Invitare qualcuno significa farsi carico della sua felicità
durante tutto il tempo che passa sotto il nostro tetto”. Due massime che ho
sempre fatte mie.
Un
libro di ricordi, un libro di cucina, che, tuttavia, ha momenti forse slegati
non riuscendo, pur nella gradevolezza dell’insieme, a trovare un modo unitario
e sempre coinvolgente di rivolgersi al lettore. Devo comunque dire che le
ricette presentate sono affrontate con piglio moderno, e, leggendole, sembra
che si possano fare anche senza troppa difficoltà. Che dire, proveremo.
INGREDIENTI
PER LE POLPETTE DI PESCE AL FORNO IN SALSA PICCANTE (per 6 persone):
Per
le polpette
1
scalogno grande, pelato e tagliato in quarti;
20
g di foglie e gambi di prezzemolo fresco, sminuzzati;
15
g di origano;
1
bustina di zafferano in polvere sciolto in un cucchiaio di acqua calda;
1
spicchio d’aglio, pelato;
1
cucchiaio di capperi sotto sale;
4
acciughe sott’olio;
750
g di merluzzo fresco o altro pesce tagliato a pezzetti;
la
scorza grattugiata di un limone intero non trattato e metà del succo;
100
g circa di pan grattato casalingo;
2
cucchiai di olio;
Per
la salsa
1
cucchiaio di olio;
1
scalogno medio, pelato e tagliato sottile;
1
spicchio d’aglio, pelato e sminuzzato;
2
cipollotti primavera grandi, spuntati e tagliati a pezzetti, parte verde
inclusa;
400
g di pomodori maturi, pelati e tagliati a pezzetti (oppure 400 g di pomodori
pelati in scatola;
peperoncino
piccante a piacere; sale
Procedimento
per la salsa:
In
una padella con manico, riscaldare l’olio e far soffriggere dolcemente lo
scalogno con un pizzico di sale per cinque minuti. Aggiungere l’aglio e cuocere
per un altro minuto, mescolando con un cucchiaio di legno. Unire i cipollotti e
soffriggere ancora per 5 minuti. Alzare la fiamma, aggiungere i pomodori e
cuocere per due minuti rimestando. Incorporare il peperoncino e regolare di
sale. Abbassare il fuoco al minimo, coprire e cuocere per 20 minuti.
Procedimento
per le polpette:
1.
Frullare lo scalogno, il prezzemolo,
l’origano, lo zafferano, l’aglio, i capperi con il loro sale e le acciughe nel
robot da cucina fino ad amalgamare il tutto. Aggiungere il pesce e continuare a
frullare fino a ottenere un impasto omogeneo. Unire la scorza e il succo del
limone all’impasto di pesce, frullandolo fino a incorporare tutti gli
ingredienti.
2.
Preriscaldare il forno a 200° con
ventola.
3.
Rivestire un’ampia placca da forno con
carta forno e ungere con un cucchiaio d’olio.
4.
Estrarre l’impasto dal frullatore e
metterlo in una ciotola. Di fianco, sistemare un piatto fondo con il pan
grattato. Con le mani modellare delle polpette di pesce della grandezza di una
noce. Passarle nel pan grattato e allinearle sulla placca da forno. Irrorare
con un cucchiaio di olio.
5.
Infornare per 10 minuti. Estrarre dal
forno e con una spatola di legno girare le polpette in modo che cuociano
uniformemente. Infornarle per altri 10 minuti. Alla fine, devono essere bionde
e croccanti.
6.
Sistemare le polpette su un piatto
riscaldato e servirle calde con la salsa di pomodoro a fianco.
Simonetta
Agnello Hornby “Via XX Settembre” Corriere Oggi 8 euro 8,90
[A: 21/11/2019
– I: 12/07/2023 – T: 13/07/2023] &&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 218; anno: 2013]
Un
educazione sentimentale palermitana, fatta di tutto e di niente, ma di tanto
amore e di tanto impegno personale e civile.
Un
libro autobiografico a tutto tondo, questo, che ci porta dentro il mondo di
Simonetta ed anche dentro il mondo di una città da lei sempre amata, da lei
sempre descritta con tutto l’amore e l’odio che Palermo porta con sé.
Che
a Palermo, Simonetta, c’è nata quasi ottanta anni fa (e dieci in meno quando
scrive questo libro), ma per sbaglio, che le sue famiglie native, gli Agnello
paterni ed i Giudice materni erano di Agrigento e dintorni, come vedremo meglio
nel suo successivo scritto dedicata alla campagna natia della frazione di Mosè
nella campagna agrigentina.
Lì a
Mosè trascorre l’infanzia, con la sorella Chiara, fino ai tredici anni, quando,
dovendo entrare al ginnasio, si decide di trasferirsi a Palermo. Sarà
soprattutto la madre a guidare sia il trasferimento che la vita palermitana,
dove il padre preferisce rimanere a guardare le terre facendosi vivo nei tempi
giusti ma non spessissimo.
Intanto,
mirabile è la zona decisa per il trasloco, quella via XX Settembre del titolo,
parallela a via Libertà, nel quartiere Politeama, a due passi dal teatro. In
fondo a due passi da tutto, meno a quello che Simonetta sperava: il monte
Pellegrino, icona della sua memoria infantile, che il degrado e la speculazione
edilizia impediscono di ammirare dalla nuova casa.
Ed è
anche, Palermo, il luogo dove può stare a contatto con i suoi amati cugini, in particolare
Silvano Comentini, di cui in libri successivi apprezzeremo al meglio le doti
culinarie. Perché Palermo è anche il luogo degli odori e della cucina. In
primis, il bianco dei pupi di zucchero, quelli preparati per la festa dei
morti. Statuine di zucchero riproducenti le colorate marionette siciliane, che
non vanno prese a morsi, ma leccate a cominciare dal dorso, per poi tuffarsi
nel goloso tutto del trionfo di zucchero e limone. Ma è anche la Palermo dei
mercati (Vucciria e Ballarò) e dei loro odori e sapori, dalla meuza sino alle
dorature delle panelle dell’Osteria di San Francesco ed alle arancine dell’Orto
Botanico (ovvio che nella memoria, la mia Palermo a volte si sovrappone a
quella di Simonetta).
Simonetta,
quindi, inizia lì ginnasio e liceo statale Garibaldi, quello che ora si torva
dietro il parco dedicato a Piersanti Mattarella, quello per cui si faceva la
camminata a piedi, passando davanti a villa Trabia, quella della famiglia
Lanza, con il famoso Raimondo morto pochi anni prima, ed immortalato dal “Vecchio
frak” di Modugno. Fa amicizie che le rimarranno per tutta la vita, entra in
contatto, attraverso professori illuminati e amiche lettrici, del mondo che
esce dai libri, del mondo della filosofia e della politica. In fondo, del mondo
che la circonda. Non è un caso quindi, che la sua pronta intelligenza la
porterà nel breve, quando dovrà decidere del suo futuro, ad indirizzarsi verso
la Giurisprudenza. Specializzandosi poi in Inghilterra, sua seconda terra, dove
troverà il primo marito (Hornby, appunto), i suoi due amati figli, ma
soprattutto il mondo dell’infanzia e dei maltrattamenti sui minori, terrano del
suo lavoro di una vita.
Escono
bene dall’affresco di Simonetta tutte le persone di famiglia e di casa degli
Agnello – Giudice. Certo il borbonico padre, Francesco Agnello Gangitano, dei
baroni di Signefari, con quel suo rimanere ai margini della storia, ma
soprattutto la madre Elena Giudice Caramazza, forte e decisa, motore della
cucina di casa, su cui si tornerà in altri libri, che vediamo all’inizio
fragile ed indifesa, scivolare verso una perdita della memoria, che tutti noi
spaventa. Forse è anche questo, uno dei motori di Simonetta nella sua spinta
autobiografica: poter scrivere di ciò che (ancora) si ricorda, non solo per sé,
ma per i figli e per i nipoti.
Poi
c’è l’affetto, palese anche se pudico, verso la sorella Chiara, le cui doti
culinarie apprezzeremo qui e altrove. Ed i “famigli”, come si diceva un tempo:
Paolo, l’autista che per quarant’anni non solo porterà il padre da Mosè a
Palermo, ma provvederà a gestire gli spostamenti di Simonetta all’interno della
città, e Giuliana che nasce bambinaia, per poi evolversi nel corso del tempo in
cameriera ed infine confidente di tutte le turbe della scrittrice. Per poi
concludersi con quel microcosmo fatti degli altri: zii, cugini, amici ed altri
parenti.
Tuttavia,
come accennato, il centro e motore del libro è Palermo: colorata, stimolante,
profumata, accogliente, e poi degradata dalla speculazione edilizia, laddove il
racconto della distruzione di villa Deliella ne è un esempio preclaro. Questa
dolce amara città farà quindi da specchio e riscontro alla dolce amara vita di
Simonetta, che chiude il libro con la sua partenza verso l’Inghilterra, e con
una riflessione sul ruolo delle donne nel 1965 (con lei ventenne) che ci mostra
come sia Simonetta nella sua personale realtà (non ve lo dico, leggetelo).
Un
libro che a volte mi ha frenato, ma che si è riscattato in pieno quando Palermo
è venuta sul palcoscenico, e non lo ha più lasciato.
Simonetta
Agnello Hornby “Il pranzo di Mosè” Corriere Oggi 11 euro 8,90
[A: 12/12/2019
– I: 09/08/2023 – T: 10/08/2023] &&
+
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 195; anno: 2014]
Pur
essendo stato scritto l’anno seguente, e pur avendo spostato il luogo deputato
del racconto più che dell’azione, in un certo senso è un completamento del
libro precedente. È vero che non parliamo strettamente di racconto
autobiografico, anche se in molti punti la scrittrice non può non parlare di sé
e dei suoi. Usando in modo complementare un elemento fondante della saga
familiare della famiglia Agnello-Giudice, la cucina (con un utile quasi mezzo
libro dedicato alla descrizione delle ricette per mano della sorella Chiara).
Ed è anche vero che la sua genesi è decisamente differente, poiché è anche
stato un programma a puntate trasmesso nel 2014 su Real Time.
Tuttavia,
non parliamo di libri ed al libro torniamo.
Se
nel libro precedente abbiamo assistito al passaggio di Simonetta da Agrigento
(e dalle estati a Mosè) con la vita palermitana, qui torniamo in campagna, dove
la casa colonica, quella che poi sarà sempre il rifugio del padre, è narrata
per descrivere l’approccio al cibo ed alla tavola di tutta la famiglia. In
testa, mamma Elena e zia Teresa ed il loro senso del cibo, di come si prepara,
di come si porge, di come si apparecchia la tavola, di come si distribuiscono i
posti. Subito dietro, gli apprendisti. Ovviamente Simonetta e Chiara, le
sorelle Agnello, con un approccio ben diverso agli insegnamenti della
generazione precedente. Simonetta che riproduce quasi maniacalmente le ricette,
e Chiara che ha l’ardire di introdurre varianti, che tuttavia si amalgamano
allo spirito della tavola. E di lato, il cugino Silvano, unico uomo ammesso a
pieni voti ai fornelli.
Allora,
con Simonetta e tutta la sua famiglia trasferiamoci a Mosè, cominciando con
apprenderne la storia, che viene da molto lontano, e di cui, a parte alcuni
elementi casalinghi, a me rimane in testa che quello che rimane a testimoniare
il passare del tempo e la sua continuità, sono gli ulivi, che ancora danno, pur
faticosamente, il loro olio. Un’introduzione, ed un perpetuarsi nel breve
racconto, che serve a darci un sottoprodotto della lettura. Un’analisi del
contesto sociale in cui si è evoluta una famiglia meridionale di buon livello,
penetrandone nell’intimità, e scoprendone i valori, che restano e resteranno
validi anche quando Simonetta si trasferisce in Inghilterra.
Valori
per me esemplificati dal libro di ricette di nonna Maria, un brogliaccio con
ingredienti ed accenni di ricette, spesso completate con il ricordo di come si
faceva un dì. Con un modo molto fisico di cucinare, dove l’uso diretto delle
mani sul cibo è un modo di appropriarsene e di renderlo al cucinato con
qualcosa di molto vicino al cuore. Che a me leggendone, ricorda visivamente il
libro di ricette di mia moglie, tanto usato e compulsato, e finalmente, prima
di essere distrutto, portato da un rilegatore che ne ha fatto un prezioso
simbolo familiare.
Tornando
poi all’olio dell’antico uliveto, non ci stupiamo che a Mosè si decide il menu
molto in base a quanto in quel momento offre l’orto e la fattoria in toto. Così
come cerchiamo di fare anche noi, nella nostra piccola Soriano. Con quella casa
sempre aperta, e quel tavolo magico della sala da pranzo (spesso portato fuori
sotto il pergolato) che si allunga e si restringe a seconda degli ospiti che,
invitati o meno, si recano a Mosè.
Simonetta,
in questo contesto, ci svela segrete atavici: le ricette tramandate da
generazioni ma anche quelle segrete dei dolcetti che vengono dai conventi,
portandoci anche alla considerazioni della sobrietà (come direbbe qualcuno di
Barbiana) che ci consente di non sprecare il cibo, anzi di trasformare i resti
in nuove e squisite pietanze.
Vi
invito comunque a leggere soprattutto la genesi dei sei pranzi descritti in
dettaglio e ad affidarvi alle parole di Chiara per trasformare lo scritto in un
momento di magico convivio: il pranzo di compleanno o il pranzo in piedi, tanto
per citare i classici. Ma soprattutto i due che mi hanno colpito: uno per la
golosità che riverso per l’elemento principe, un pranzo di caponate, ed uno
perché mi incuriosisce e lo vorrei praticare, un pranzo di soli dolci.
Finisco
con due elementi che esulano dal romanzo, ma che mi hanno colpito. Il primo per
la sua casualità, laddove a pagina 124 si parla del Manoir aux Quat’Saisons e dello
chef Raymond Blanc, di cui avevo appena letto nel libro letto prima di questo,
quello della Rowling. L’altro per il ritorno di un amore antico: Simonetta
confessa di avere avuto un amore sportivo verso un ciclista che, probabilmente,
siamo in pochi ad aver amato e seguito nelle sue imprese, il lussemburghese Charly
Gaul. Fu il mito delle mie prime passioni ciclistiche, indimenticato ed
indimenticabile, come i primi amori. Grazie anche di questo, miss Agnello
Hornby.
“Introduciamo
vecchie ricette con sapori nuovi, e ricette nuove con elementi vecchi …
[sapendo che] … la cucina casalinga è basata sul gusto del conosciuto che si
tramanda da generazioni.” (36)
Simonetta
Agnello Hornby e George Hornby “Nessuno può volare” Corriere Oggi euro 8,90
[A: 28/11/2019
– I: 04/010/2023 – T: 06/10/2023] &&&
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[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 220; anno: 2017]
Con
questo abbiamo terminato la lettura dell’opera (quasi) omnia di Simonetta
Agnello Hornby pubblicata dal Corriere ed uscita in edicola. Una serie di libri
di diversa resa, ma tutti con una costante: bella e chiara scrittura. A volte
si parla di piccoli eventi storici dimenticati, altre si passa al privato,
seguendo le vicende di Simonetta e dei suoi cari, come nelle stupende pagine,
come ricordo, dei tempi della fattoria di Mosè (inteso come villaggio sito poco
sotto a Porto Empedocle).
Qui
siamo sul versante privato, ed anche un privato né semplice né solo
consolatorio. Perché, come vedete in alto, ho voluto inserire anche il nome del
figlio di Simonetta, che non solo, come dice lei, “interferisce” nel racconto,
ma né è sicuramente, anche involontariamente, il motore primo.
Tutto
nasce nei primi anni 2000, credo, quando a George viene diagnostica un sclerosi
multipla. Una malattia rara ed incurabile, che porta ad un progressivo
indebolimento dei muscoli, per cui, con il progredire della malattia, si
comincia a non riuscire ad eseguire movimenti semplici. Passando presto alle
difficoltà di deambulazione, ed alla necessità di sedie a rotelle ed altri
ausili, al fine di riuscire ad avere una vita, non normale, ma normalizzata.
Da
qui, l’attenzione di Simonetta-madre verso le disabilità, da qui un pensiero
alle disabilità incontrate nella vita, piccoli schizzi paesani che ci portano
alla luce momenti di vita difficili, ma, nella descrizione della scrittrice,
affrontati con dignità e coraggio. Come il piede caprino della zia Teresa
(detto medicalmente piede torto congenito), che la zia visse sempre senza
modificare la sua indole. Certo, non volle sposarsi, ma operò nel bene,
soprattutto verso conventi e ritrovi di suore. E sempre, nel ricordo familiare,
con il sorriso sulle labbra.
Ma
l’attenzione, e le descrizioni che introducono il volume, servono da
introduzione alle problematiche familiari. Certo, la famiglia Agnello è sempre
stata presente a sé stessa, e mai ha trattato i diversamente abili come
elementi da emarginare, o trattare in maniera poco rispettosa. Tuttavia, è ben
diverso, psicologicamente, quando queste disabilità cominciano ad affiorare in
famiglia.
C’era
stato da sempre il problema del padre di Simonetta, affetto da osteomielosi, e
ad un certo punto costretto all’amputazione dell’arto offeso. Capisco quindi,
dalle parole scritte, come il sorgere della malattia del figlio sia stata certo
affrontata con la stessa coscienza. Comunque, traspare ovviamente, il non
benessere di un figlio non è facile da mettere in conto.
Nelle
parole di Simonetta e di George, la malattia viene accettata, affrontata ed in
un certo senso esorcizzata. Da un lato, cercando, nei limiti del possibile, di
costruire una vita normale per George. Che ci racconta il progressivo avanzare
della malattia, ed il suo parallelo modo di accettarla ed affrontarla.
Dall’altro,
avendo una maggiore attenzione alle barriere architettoniche ed a tutto ciò che
impedisce ai disabili di usufruire di beni che dovrebbero essere accessibili a
tutti.
L’esempio
forte è la decisione di effettuare un viaggio da Londra alla Sicilia, lei,
George, ed una troupe televisiva che ne documentasse i vari passaggi. Così che
vediamo siti e luoghi che consentono l’accesso, ed altri che, mentendo,
purtroppo non lo sono. Come la metropolitana di Napoli, che non ha un accesso
dalla banchina ai vagoni. Come il Palazzo dei Normanni a Palermo che non ha un
ascensore per salire ai piani. Come il ristorante che aveva affermato di non
esserci problemi, ma che, quando i nostri arrivano, scoprono essere tre
gradini. Insormontabili per George.
È un
libro che aiuta a comprendere come dobbiamo convivere con la diversità. Fa
parte del nostro mondo, e non va mai né sottovalutata né emarginata. Mi hanno
commosso le ricerche di Simonetta sui quadri che rappresentano la diversità, e
come ben sappiamo sono veramente pochi. Che il disabile è “brutto”, e gli unici
accettabili sono i nani (vedi Velasquez).
Quindi
ci mettiamo vicino a lei ed a George (che mi è piaciuto nelle sue interferenze
piene di humor inglese non banale), e mettiamoci a guardare gli uccelli che
volano. Loro possono. Gli uomini, no, non possono volare. Ma possono, debbono
essere messi in condizione di vivere una vita dignitosa.
Un
bel libro di denuncia, leggero, ma pieno di pesantezze.
Come scritto sopra, questa volta le citazioni
sono in allegato e dedicate alla scrittrice spagnola Lucia Etxebarria.
Noi ci approntiamo ad affrontare un dicembre che si preannuncia freddoso assai. Vediamo di coprirci al massimo, di non raffreddarci, di continuare ad organizzare come al solito i nostri viaggi e quello dei nostri amici e delle nostre amiche. Al resto pensiamo abbracciandoci.
Citazioni di Lucía Etxebarria
La scrittrice spagnola (anzi basca) Lucía Etxebarria Asteinza non ancora
sessantenne, ha sempre affrontato nei suoi scritti il ruolo della donna nella
società odierna, la maternità, il femminismo, la sessualità, le relazioni
sociali o gli stereotipi di genere. Sono contento di poterla inserire in questa
giornata post 25 novembre.
Vediamo qui alcune citazioni dai suoi primi tre romanzi, scritti tra il
’96 ed il ’99.
Il primo fu “Amore, Prozac
e altre curiosità”:
“Era la prima scopata del mese…
Mi sentivo sola, disperatamente sola, affamata di affetto, avida di coccole ….
Abbiamo tutti bisogno di abbracci di quando in quando” (11)
“Se la vita si potesse pulire
come le tendine, se potessimo far sparire le nostre macchie in una lavatrice,
tutto sarebbe più facile” (80)
“Se qualcosa è giusto perché non
funziona? L’amore ci separerà … l’amore distrugge. Ferisce profondamente,
dolorosamente” (229)
L’anno successivo vince il premio
Nadal con “Beatriz e i corpi celesti”:
“In definitiva, tutto quanto
viene scritto finisce per essere una nota a piè di pagina di qualcosa che è
stato scritto in precedenza” (17)
“Il fatto è che dall’amore, come
dalla vita, ci si aspetta sempre di più e non ci si accontenta mai.” (28)
“E io non voglio impegnarmi prima
di essere sicura dei miei sentimenti, perché sospetto che il mio lato peggiore
finirebbe per stabilirsi in quella intersezione tra le circonferenze delle
nostre rispettive solitudini. Non c’è solitudine peggiore della solitudine
condivisa” (29)
“[È] molto meglio cambiare
persona piuttosto che cambiare una persona” (189)
“Sapevo che non mi stava usando e
che mi amava, che mi amava davvero, che sarebbe stata accanto a me in caso di
bisogno, che non mi avrebbe mai fatto del male di proposito, e forse nemmeno
inconsapevolmente” (191)
“Perché ti ossessiona ciò che non
hai? Perché non accetti una dannata volta che quello che non può essere, non
può essere e inoltre è impossibile?” (253)
“Tutti siamo allo stesso tempo
vittime e artefici della nostra vita. Nel bene e nel male, tutti i sentieri del
possibile sono aperti al passaggio del reale. Ma non tutti siamo così saggi da
capirlo né così audaci da aprirci la nostra strada” (263)
Infine nell’ultimo anno del
secolo scorso esce “Nosotras
que no somos como las demàs” che
ho letto in lingua. Tuttavia qui ne parlo come “Noi che non siamo come
le altre”, cioè riportando solo le citazioni da me tradotte in italiano.
“Cercò di nuovo di evitare
l’immagine riflessa nello specchio … però l’immagine non sta nello specchio, ma
nell’occhio di chi guarda.” (74)
“-Tu non parli molto vero? … -
Ascoltare è molto più interessante.” (94)
“e città sono dentro di noi, non
si fugge da loro facilmente ... così diceva Kavafis.” (114)
“Andrò dove tu vai, mi fermerò
dove tu sarai ... la tua terra sarà la mia terra, e il tuo Dio il mio Dio.”
(155)
“Elsa odia parlare di amore,
perché ha provato che dell'amore ... ognuno ha una idea diversa e che
dall’amore ... sempre ci si aspetta di più e non si è mai soddisfatti. ... La
gente non capisce perché Elsa si ostina a vivere da sola, e alcuni sostengono che
non è capace di amare .... è per questo che ad Elsa non piace parlare di amore,
le piace soltanto praticarlo e solo in rare occasioni.” (214)
“Sa che ogni dolore finisce per
diminuire, ed allora in linea con Wilde prega Dio di liberarla dal dolore
fisico che lei si occuperà del dolore morale.” (232)
“Questo provava ... che aveva
perso troppo tempo della sua vita senza fare quello che voleva fare o le
sarebbe piaciuto fare, condannata a vivere secondo i desideri degli altri.”
(261)
“Niente muore, se rimane nella
memoria.” (381)
Con lei, con Simonetta e con le altre, anche io ripeto “Non
una di meno”!