domenica 26 novembre 2023

La penultima Simonetta - 26 novembre 2023

Penultima delle letture, ma ultima nel florilegio dedicato a Simonetta Agnello Hornby dalla rivista Oggi. E sono contento che nella cabala delle mie scritture questa settimana ho un pieno di donne da riportarvi. Sia cinque scritti di Simonetta, dove io la preferisco nelle scritture più memoir o più legate a storie della sua terra, rispetto a libri culinari o di altre località. Sia per l’allegato tutto dedicato alla scrittrice spagnola Lucía Etxebarria.

Simonetta Agnello Hornby “Vento scomposto” Corriere Oggi euro 8,90

[A: 30/10/2019 – I: 01/05/2023 – T: 02/05/2023] && ---  

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 404; anno: 2009]

Si sa che Simonetta Agnello Hornby è una scrittrice che seguo con piacere, per debiti amicali e viaggianti, ma non solo. Ovvio che c’entri anche la scrittura e la tematica di (molti) suoi libri. Devo però purtroppo confessare che questo, benché con alcuni punti di assoluto pregio, almeno nelle intenzioni se non nella riuscita, non è stata né una lettura facile né, e questo è peggio, una lettura coinvolgente.

Anche se è pur vero che, allontanando i temi di scrittura dalla natia Sicilia, poteva risultare comunque una lettura d’interesse, proprio i temi, che toccano problematiche molto vicine al mondo lavorativo della scrittrice, ne hanno fatto un “romanzo a tema”, che spesso non riesce a raggiungere gli scopi che si prefigge.

Simonetta, per chi non ne conoscesse la biografia, vive dal 1972 a Londra, sia per via matrimoniale, che per via professionale. Infatti, dopo essersi laureato in Legge, si specializza in diritti dei minori, e si occupa (in special modo nel quartiere di Brixton) di violenze contro le minoranze, sia razziali che sessuali.

Questo libro, come ci dice in premessa, nasce dalla volontà di approfondire le tematiche, positive e negative, innescate dal “Children’s Act”, una legge anglosassone approvata nel 1989 che instaurava un diverso modo di approcciare le violenze domestiche: diritto del minore ad un avvocato, nel caso anche a spese dello stato, e maggior attenzione ai rapporti intercorrenti nelle mura domestiche. In particolare, rispetto alla legislatura precedente, si prevedeva una maggiore possibilità all’allontanamento dal nucleo familiare di soggetti, nel caso ci fossero rischi maggiori che rimanere in un’entità integra. Questo, mi si dice, perché spesso, prima di tale legge, si era restii ad intervenire sulle famiglie, con conseguenze a volte spiacevoli per i soggetti. Non esclusi suicidi e omicidi, altrimenti evitabili.

Quindi, dalla Sicilia ci spostiamo nel quartiere di Kensington a Londra, dove vive la famiglia Pitt: Mike, merchant banker, e Jenny, consulente per negozi vari, e le loro due figlie Amy, otto anni, e Lucy, quattro. Tutto sembra procedere passabilmente, finché un’assistente dell’asilo, insospettita da strani disegni di Lucy, non entra nell’ordine di idee di possibili abusi.

Da qui si scatena tutta una serie di piccoli incidenti che presto diventano una valanga, portando alla possibile incriminazione di Mike per abusi. Anche a seguito di una frettolosa perizia di una psicologa. La valanga sembra inarrestabile quando viene messo in campo uno scalcinato studio legale di Brixton (stesso quartiere dove lavora Simonetta) che comincia a porsi domande. Sia sul comportamento della famiglia Pitt, ma anche sulle azioni dell’assistente nonché sulla perizia improvvida della dottoressa.

L’abilità della scrittrice e la sua conoscenza della materia a questo punto mettono in scena anche tutta una piccola serie di sassolini che danno motore alla macchina quasi kafkiana della giustizia. Una narrazione dove per prima cosa spariscono il buon senso e la logica dei comportamenti. E dove compaiono, suddivisi in parti uguali tra tutti i protagonisti, l’incompetenza, la grettezza, fino al tornaconto personale di ognuno.

Non è un romanzo avvincente, e pur tuttavia non si riesce ad allontanarsi dalla pagina in attesa di arrivare al disciogliersi degli eventi. Saranno positivi per Mike? Saranno positivi per gli assistenti sociali? Vedremo. Di sicuro non saranno mai positivi per i bambini, ed è questo il messaggio forte che ci vuole mandare la scrittrice.

Un elemento che salta potentemente agli occhi, tuttavia, è la completa ed assoluta privacy della vicenda. In tutto il corso delle indagini, fino alle aule giudiziarie, mai interviene un giornalista, mai compaiono titoli sui giornali. Forse è un fatto normale in Inghilterra, da noi sarebbe tutt’altro, con i media subito puntati a “mangiare l’osso” e ridurre tutti a carne da stampa.

Però alla fine, non è una storia particolarmente avvincente, non c’è molta tensione, anche se vogliamo saperne la fine. Una prova molto segnata dalle esperienze di giurista di Simonetta, ma che, personalmente, mi ha fatto subito rimpiangere le più toccanti atmosfere siciliane.

Simonetta Agnello Hornby & Maria Rosario Lazzati “La cucina del buon gusto” Corriere Oggi 10 euro 8,90

[A: 05/12/2019 – I: 13/06/2023 – T: 15/06/2023] &&  

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 251; anno: 2012]

Un libro che parla di cucina, con anche molte ricette, ma che è qualcosa più di un libro di cucina. Anche se, alla resa dei conti, resta un libro senza un suo vero mordente. Un libro di una decina di anni fa, e dispiace che, nel frattempo, Maria Rosario ci abbia lasciato (in un giorno molto numerico, 2/2/22).

Qui ci distacchiamo molto dalla solita scrittura di Simonetta, sia delle riuscite migliori quando parla della sua Sicilia, sia di quelle, per me, minori come nel precedente descritto libro londinese. Non so quale tipologia di apporto abbia data la co-autrice, che di sicuro era quella con più dimestichezza ai fornelli, avendo aperto a suo tempo una scuola di cucina italiana a Londra. E non solo.

Anche se, rileggendo le varie parti, vediamo come, in un libro che si pone come una miscela non esplosiva di ricordi personali, di esperienze vissute dalle scrittrici condite da ricette, a volte accennate a volte descritte a fondo (soprattutto nella parte finale, dove ho apprezzato i vari menu proposti: sostanzioso, vegetariano, speziato, per buffet, d’inverno o d’estate). Il tutto condito da abbastanza condivisibile considerazioni sociologiche.

Così, con leggerezza ma con la mente molto indirizzata al nostro presente, passiamo in rassegna la gioia che si prova nel cucinare, accompagnata dalle considerazioni sui vari rituali connessi alla preparazione del cibo. Non ci si può esimere, parlando del porsi intorno ad un tavolo, di come ci si ponga nei confronti degli ospiti (vedi ultima citazione), ma anche rispetto agli altri (possibili) commensali, i figli, i parenti, financo gli stranieri.

Poiché ormai intorno al tavolo ci si pone con un generale rispetto verso gli altri, non si dimenticano, le nostre anfitrione, dell’attenzione alle intolleranze (sempre più in aumento al giorno d’oggi), delle diete, dei cibi di moda del momento, ma anche (e qui io sono in completa sintonia con loro) alle tradizioni culinarie dei paesi stranieri. Non solo e non tanto quindi la cucina italiana a Londra, dove le autrici vivevano al tempo della scrittura. Ma anche ai paesi che nel corso del tempo hanno visitato o in cui hanno sostato per lavoro o per diporto (America, ma anche Zambia o paesi orientali o mediorientali).

Uno dei punti che mi hanno preso, e che condivido grandemente con Alessandra, è la cura con cui si apparecchia la tavola. Non solo utilizzando elementi combinati (tovaglie, fiori, oggettini), ma anche piatti, bicchieri, posate. Come dice Simonetta, poi, l’importante non è tanto avere tutto “dello stesso servizio”, ma avere, anche scombinati, elementi in armonia.

Perché, come ampiamente disamina Simonetta, i rituali del cibo si stanno perdendo. Uno dei grossi rimpianti, anche mio personale, è la difficoltà che si ha di condividere la tavola con la propria famiglia. Sedersi a tavola e mangiare insieme, anche se capita, non ha più quel carattere di scambio, di comunicazione reciproca delle cose fatte, delle cose da fare, insomma della vita nei suoi piccoli andamenti minuti e quotidiani.

Uno dei momenti che più mi è rimasto impresso è la tradizionale familiare prettamente siciliana del “rùmpiri”. Quando il piccolo di casa viene posto in cucina e può rompere, gettare ovunque tutto quello che gli viene porto dalla nonna. Così imparerà che a rompere e non dovrà più dimenticarlo avendo rispetto per le cose fragili.

Ho lasciato per ultimo il collante che innerva tutto il libro. Cioè, gli interessanti passi ripresi da un testo fondamentale settecentesco di Jean Anthelme Brillat-Savarin. Il suo, cito il titolo esteso “Fisiologia del gusto, o meditazioni della gastronomia trascendente; opera teorica, storica e di attualità, dedicata ai gastronomi parigini, di un professore, membro di diverse società letterarie e erudite”. Un testo che ragiona sul buon gusto, sul piacere della convivialità, dell’ospitare, di invitare a dividere la tavola, fornendo gli spunti che sono serviti alle nostre autrici per sviluppare i loro ragionamenti.

Il testo francese mescola in maniera amabile riflessioni, aneddoti, consigli culinari, arrivando a tratteggiare la figura del “gastronomo” che da allora ha dominato l’immaginario positivo della cucina e del cucinare. Proprio di Brillat-Savarin riproporrei due aforismi, tra i venti che pone come prologo al suo trattato. Nel IV dice “Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei” e nel XX chiude con “Invitare qualcuno significa farsi carico della sua felicità durante tutto il tempo che passa sotto il nostro tetto”. Due massime che ho sempre fatte mie.

Un libro di ricordi, un libro di cucina, che, tuttavia, ha momenti forse slegati non riuscendo, pur nella gradevolezza dell’insieme, a trovare un modo unitario e sempre coinvolgente di rivolgersi al lettore. Devo comunque dire che le ricette presentate sono affrontate con piglio moderno, e, leggendole, sembra che si possano fare anche senza troppa difficoltà. Che dire, proveremo.

INGREDIENTI PER LE POLPETTE DI PESCE AL FORNO IN SALSA PICCANTE (per 6 persone):

Per le polpette

1 scalogno grande, pelato e tagliato in quarti;

20 g di foglie e gambi di prezzemolo fresco, sminuzzati;

15 g di origano;

1 bustina di zafferano in polvere sciolto in un cucchiaio di acqua calda;

1 spicchio d’aglio, pelato;

1 cucchiaio di capperi sotto sale;

4 acciughe sott’olio;

750 g di merluzzo fresco o altro pesce tagliato a pezzetti;

la scorza grattugiata di un limone intero non trattato e metà del succo;

100 g circa di pan grattato casalingo;

2 cucchiai di olio;

Per la salsa

1 cucchiaio di olio;

1 scalogno medio, pelato e tagliato sottile;

1 spicchio d’aglio, pelato e sminuzzato;

2 cipollotti primavera grandi, spuntati e tagliati a pezzetti, parte verde inclusa;

400 g di pomodori maturi, pelati e tagliati a pezzetti (oppure 400 g di pomodori pelati in scatola;

peperoncino piccante a piacere; sale

Procedimento per la salsa:

In una padella con manico, riscaldare l’olio e far soffriggere dolcemente lo scalogno con un pizzico di sale per cinque minuti. Aggiungere l’aglio e cuocere per un altro minuto, mescolando con un cucchiaio di legno. Unire i cipollotti e soffriggere ancora per 5 minuti. Alzare la fiamma, aggiungere i pomodori e cuocere per due minuti rimestando. Incorporare il peperoncino e regolare di sale. Abbassare il fuoco al minimo, coprire e cuocere per 20 minuti.

Procedimento per le polpette:

1.    Frullare lo scalogno, il prezzemolo, l’origano, lo zafferano, l’aglio, i capperi con il loro sale e le acciughe nel robot da cucina fino ad amalgamare il tutto. Aggiungere il pesce e continuare a frullare fino a ottenere un impasto omogeneo. Unire la scorza e il succo del limone all’impasto di pesce, frullandolo fino a incorporare tutti gli ingredienti.

2.    Preriscaldare il forno a 200° con ventola.

3.    Rivestire un’ampia placca da forno con carta forno e ungere con un cucchiaio d’olio.

4.    Estrarre l’impasto dal frullatore e metterlo in una ciotola. Di fianco, sistemare un piatto fondo con il pan grattato. Con le mani modellare delle polpette di pesce della grandezza di una noce. Passarle nel pan grattato e allinearle sulla placca da forno. Irrorare con un cucchiaio di olio.

5.    Infornare per 10 minuti. Estrarre dal forno e con una spatola di legno girare le polpette in modo che cuociano uniformemente. Infornarle per altri 10 minuti. Alla fine, devono essere bionde e croccanti.

6.    Sistemare le polpette su un piatto riscaldato e servirle calde con la salsa di pomodoro a fianco.

Simonetta Agnello Hornby “Via XX Settembre” Corriere Oggi 8 euro 8,90

[A: 21/11/2019 – I: 12/07/2023 – T: 13/07/2023] &&&  

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 218; anno: 2013]

Un educazione sentimentale palermitana, fatta di tutto e di niente, ma di tanto amore e di tanto impegno personale e civile.

Un libro autobiografico a tutto tondo, questo, che ci porta dentro il mondo di Simonetta ed anche dentro il mondo di una città da lei sempre amata, da lei sempre descritta con tutto l’amore e l’odio che Palermo porta con sé.

Che a Palermo, Simonetta, c’è nata quasi ottanta anni fa (e dieci in meno quando scrive questo libro), ma per sbaglio, che le sue famiglie native, gli Agnello paterni ed i Giudice materni erano di Agrigento e dintorni, come vedremo meglio nel suo successivo scritto dedicata alla campagna natia della frazione di Mosè nella campagna agrigentina.

Lì a Mosè trascorre l’infanzia, con la sorella Chiara, fino ai tredici anni, quando, dovendo entrare al ginnasio, si decide di trasferirsi a Palermo. Sarà soprattutto la madre a guidare sia il trasferimento che la vita palermitana, dove il padre preferisce rimanere a guardare le terre facendosi vivo nei tempi giusti ma non spessissimo.

Intanto, mirabile è la zona decisa per il trasloco, quella via XX Settembre del titolo, parallela a via Libertà, nel quartiere Politeama, a due passi dal teatro. In fondo a due passi da tutto, meno a quello che Simonetta sperava: il monte Pellegrino, icona della sua memoria infantile, che il degrado e la speculazione edilizia impediscono di ammirare dalla nuova casa.

Ed è anche, Palermo, il luogo dove può stare a contatto con i suoi amati cugini, in particolare Silvano Comentini, di cui in libri successivi apprezzeremo al meglio le doti culinarie. Perché Palermo è anche il luogo degli odori e della cucina. In primis, il bianco dei pupi di zucchero, quelli preparati per la festa dei morti. Statuine di zucchero riproducenti le colorate marionette siciliane, che non vanno prese a morsi, ma leccate a cominciare dal dorso, per poi tuffarsi nel goloso tutto del trionfo di zucchero e limone. Ma è anche la Palermo dei mercati (Vucciria e Ballarò) e dei loro odori e sapori, dalla meuza sino alle dorature delle panelle dell’Osteria di San Francesco ed alle arancine dell’Orto Botanico (ovvio che nella memoria, la mia Palermo a volte si sovrappone a quella di Simonetta).

Simonetta, quindi, inizia lì ginnasio e liceo statale Garibaldi, quello che ora si torva dietro il parco dedicato a Piersanti Mattarella, quello per cui si faceva la camminata a piedi, passando davanti a villa Trabia, quella della famiglia Lanza, con il famoso Raimondo morto pochi anni prima, ed immortalato dal “Vecchio frak” di Modugno. Fa amicizie che le rimarranno per tutta la vita, entra in contatto, attraverso professori illuminati e amiche lettrici, del mondo che esce dai libri, del mondo della filosofia e della politica. In fondo, del mondo che la circonda. Non è un caso quindi, che la sua pronta intelligenza la porterà nel breve, quando dovrà decidere del suo futuro, ad indirizzarsi verso la Giurisprudenza. Specializzandosi poi in Inghilterra, sua seconda terra, dove troverà il primo marito (Hornby, appunto), i suoi due amati figli, ma soprattutto il mondo dell’infanzia e dei maltrattamenti sui minori, terrano del suo lavoro di una vita.

Escono bene dall’affresco di Simonetta tutte le persone di famiglia e di casa degli Agnello – Giudice. Certo il borbonico padre, Francesco Agnello Gangitano, dei baroni di Signefari, con quel suo rimanere ai margini della storia, ma soprattutto la madre Elena Giudice Caramazza, forte e decisa, motore della cucina di casa, su cui si tornerà in altri libri, che vediamo all’inizio fragile ed indifesa, scivolare verso una perdita della memoria, che tutti noi spaventa. Forse è anche questo, uno dei motori di Simonetta nella sua spinta autobiografica: poter scrivere di ciò che (ancora) si ricorda, non solo per sé, ma per i figli e per i nipoti.

Poi c’è l’affetto, palese anche se pudico, verso la sorella Chiara, le cui doti culinarie apprezzeremo qui e altrove. Ed i “famigli”, come si diceva un tempo: Paolo, l’autista che per quarant’anni non solo porterà il padre da Mosè a Palermo, ma provvederà a gestire gli spostamenti di Simonetta all’interno della città, e Giuliana che nasce bambinaia, per poi evolversi nel corso del tempo in cameriera ed infine confidente di tutte le turbe della scrittrice. Per poi concludersi con quel microcosmo fatti degli altri: zii, cugini, amici ed altri parenti.

Tuttavia, come accennato, il centro e motore del libro è Palermo: colorata, stimolante, profumata, accogliente, e poi degradata dalla speculazione edilizia, laddove il racconto della distruzione di villa Deliella ne è un esempio preclaro. Questa dolce amara città farà quindi da specchio e riscontro alla dolce amara vita di Simonetta, che chiude il libro con la sua partenza verso l’Inghilterra, e con una riflessione sul ruolo delle donne nel 1965 (con lei ventenne) che ci mostra come sia Simonetta nella sua personale realtà (non ve lo dico, leggetelo).

Un libro che a volte mi ha frenato, ma che si è riscattato in pieno quando Palermo è venuta sul palcoscenico, e non lo ha più lasciato.

Simonetta Agnello Hornby “Il pranzo di Mosè” Corriere Oggi 11 euro 8,90

[A: 12/12/2019 – I: 09/08/2023 – T: 10/08/2023] && +  

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 195; anno: 2014]

Pur essendo stato scritto l’anno seguente, e pur avendo spostato il luogo deputato del racconto più che dell’azione, in un certo senso è un completamento del libro precedente. È vero che non parliamo strettamente di racconto autobiografico, anche se in molti punti la scrittrice non può non parlare di sé e dei suoi. Usando in modo complementare un elemento fondante della saga familiare della famiglia Agnello-Giudice, la cucina (con un utile quasi mezzo libro dedicato alla descrizione delle ricette per mano della sorella Chiara). Ed è anche vero che la sua genesi è decisamente differente, poiché è anche stato un programma a puntate trasmesso nel 2014 su Real Time.

Tuttavia, non parliamo di libri ed al libro torniamo.

Se nel libro precedente abbiamo assistito al passaggio di Simonetta da Agrigento (e dalle estati a Mosè) con la vita palermitana, qui torniamo in campagna, dove la casa colonica, quella che poi sarà sempre il rifugio del padre, è narrata per descrivere l’approccio al cibo ed alla tavola di tutta la famiglia. In testa, mamma Elena e zia Teresa ed il loro senso del cibo, di come si prepara, di come si porge, di come si apparecchia la tavola, di come si distribuiscono i posti. Subito dietro, gli apprendisti. Ovviamente Simonetta e Chiara, le sorelle Agnello, con un approccio ben diverso agli insegnamenti della generazione precedente. Simonetta che riproduce quasi maniacalmente le ricette, e Chiara che ha l’ardire di introdurre varianti, che tuttavia si amalgamano allo spirito della tavola. E di lato, il cugino Silvano, unico uomo ammesso a pieni voti ai fornelli.

Allora, con Simonetta e tutta la sua famiglia trasferiamoci a Mosè, cominciando con apprenderne la storia, che viene da molto lontano, e di cui, a parte alcuni elementi casalinghi, a me rimane in testa che quello che rimane a testimoniare il passare del tempo e la sua continuità, sono gli ulivi, che ancora danno, pur faticosamente, il loro olio. Un’introduzione, ed un perpetuarsi nel breve racconto, che serve a darci un sottoprodotto della lettura. Un’analisi del contesto sociale in cui si è evoluta una famiglia meridionale di buon livello, penetrandone nell’intimità, e scoprendone i valori, che restano e resteranno validi anche quando Simonetta si trasferisce in Inghilterra.

Valori per me esemplificati dal libro di ricette di nonna Maria, un brogliaccio con ingredienti ed accenni di ricette, spesso completate con il ricordo di come si faceva un dì. Con un modo molto fisico di cucinare, dove l’uso diretto delle mani sul cibo è un modo di appropriarsene e di renderlo al cucinato con qualcosa di molto vicino al cuore. Che a me leggendone, ricorda visivamente il libro di ricette di mia moglie, tanto usato e compulsato, e finalmente, prima di essere distrutto, portato da un rilegatore che ne ha fatto un prezioso simbolo familiare.

Tornando poi all’olio dell’antico uliveto, non ci stupiamo che a Mosè si decide il menu molto in base a quanto in quel momento offre l’orto e la fattoria in toto. Così come cerchiamo di fare anche noi, nella nostra piccola Soriano. Con quella casa sempre aperta, e quel tavolo magico della sala da pranzo (spesso portato fuori sotto il pergolato) che si allunga e si restringe a seconda degli ospiti che, invitati o meno, si recano a Mosè.

Simonetta, in questo contesto, ci svela segrete atavici: le ricette tramandate da generazioni ma anche quelle segrete dei dolcetti che vengono dai conventi, portandoci anche alla considerazioni della sobrietà (come direbbe qualcuno di Barbiana) che ci consente di non sprecare il cibo, anzi di trasformare i resti in nuove e squisite pietanze.

Vi invito comunque a leggere soprattutto la genesi dei sei pranzi descritti in dettaglio e ad affidarvi alle parole di Chiara per trasformare lo scritto in un momento di magico convivio: il pranzo di compleanno o il pranzo in piedi, tanto per citare i classici. Ma soprattutto i due che mi hanno colpito: uno per la golosità che riverso per l’elemento principe, un pranzo di caponate, ed uno perché mi incuriosisce e lo vorrei praticare, un pranzo di soli dolci.

Finisco con due elementi che esulano dal romanzo, ma che mi hanno colpito. Il primo per la sua casualità, laddove a pagina 124 si parla del Manoir aux Quat’Saisons e dello chef Raymond Blanc, di cui avevo appena letto nel libro letto prima di questo, quello della Rowling. L’altro per il ritorno di un amore antico: Simonetta confessa di avere avuto un amore sportivo verso un ciclista che, probabilmente, siamo in pochi ad aver amato e seguito nelle sue imprese, il lussemburghese Charly Gaul. Fu il mito delle mie prime passioni ciclistiche, indimenticato ed indimenticabile, come i primi amori. Grazie anche di questo, miss Agnello Hornby.

“Introduciamo vecchie ricette con sapori nuovi, e ricette nuove con elementi vecchi … [sapendo che] … la cucina casalinga è basata sul gusto del conosciuto che si tramanda da generazioni.” (36)

Simonetta Agnello Hornby e George Hornby “Nessuno può volare” Corriere Oggi euro 8,90

[A: 28/11/2019 – I: 04/010/2023 – T: 06/10/2023] &&& --- 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 220; anno: 2017]

Con questo abbiamo terminato la lettura dell’opera (quasi) omnia di Simonetta Agnello Hornby pubblicata dal Corriere ed uscita in edicola. Una serie di libri di diversa resa, ma tutti con una costante: bella e chiara scrittura. A volte si parla di piccoli eventi storici dimenticati, altre si passa al privato, seguendo le vicende di Simonetta e dei suoi cari, come nelle stupende pagine, come ricordo, dei tempi della fattoria di Mosè (inteso come villaggio sito poco sotto a Porto Empedocle).

Qui siamo sul versante privato, ed anche un privato né semplice né solo consolatorio. Perché, come vedete in alto, ho voluto inserire anche il nome del figlio di Simonetta, che non solo, come dice lei, “interferisce” nel racconto, ma né è sicuramente, anche involontariamente, il motore primo.

Tutto nasce nei primi anni 2000, credo, quando a George viene diagnostica un sclerosi multipla. Una malattia rara ed incurabile, che porta ad un progressivo indebolimento dei muscoli, per cui, con il progredire della malattia, si comincia a non riuscire ad eseguire movimenti semplici. Passando presto alle difficoltà di deambulazione, ed alla necessità di sedie a rotelle ed altri ausili, al fine di riuscire ad avere una vita, non normale, ma normalizzata.

Da qui, l’attenzione di Simonetta-madre verso le disabilità, da qui un pensiero alle disabilità incontrate nella vita, piccoli schizzi paesani che ci portano alla luce momenti di vita difficili, ma, nella descrizione della scrittrice, affrontati con dignità e coraggio. Come il piede caprino della zia Teresa (detto medicalmente piede torto congenito), che la zia visse sempre senza modificare la sua indole. Certo, non volle sposarsi, ma operò nel bene, soprattutto verso conventi e ritrovi di suore. E sempre, nel ricordo familiare, con il sorriso sulle labbra.

Ma l’attenzione, e le descrizioni che introducono il volume, servono da introduzione alle problematiche familiari. Certo, la famiglia Agnello è sempre stata presente a sé stessa, e mai ha trattato i diversamente abili come elementi da emarginare, o trattare in maniera poco rispettosa. Tuttavia, è ben diverso, psicologicamente, quando queste disabilità cominciano ad affiorare in famiglia.

C’era stato da sempre il problema del padre di Simonetta, affetto da osteomielosi, e ad un certo punto costretto all’amputazione dell’arto offeso. Capisco quindi, dalle parole scritte, come il sorgere della malattia del figlio sia stata certo affrontata con la stessa coscienza. Comunque, traspare ovviamente, il non benessere di un figlio non è facile da mettere in conto.

Nelle parole di Simonetta e di George, la malattia viene accettata, affrontata ed in un certo senso esorcizzata. Da un lato, cercando, nei limiti del possibile, di costruire una vita normale per George. Che ci racconta il progressivo avanzare della malattia, ed il suo parallelo modo di accettarla ed affrontarla.

Dall’altro, avendo una maggiore attenzione alle barriere architettoniche ed a tutto ciò che impedisce ai disabili di usufruire di beni che dovrebbero essere accessibili a tutti.

L’esempio forte è la decisione di effettuare un viaggio da Londra alla Sicilia, lei, George, ed una troupe televisiva che ne documentasse i vari passaggi. Così che vediamo siti e luoghi che consentono l’accesso, ed altri che, mentendo, purtroppo non lo sono. Come la metropolitana di Napoli, che non ha un accesso dalla banchina ai vagoni. Come il Palazzo dei Normanni a Palermo che non ha un ascensore per salire ai piani. Come il ristorante che aveva affermato di non esserci problemi, ma che, quando i nostri arrivano, scoprono essere tre gradini. Insormontabili per George.

È un libro che aiuta a comprendere come dobbiamo convivere con la diversità. Fa parte del nostro mondo, e non va mai né sottovalutata né emarginata. Mi hanno commosso le ricerche di Simonetta sui quadri che rappresentano la diversità, e come ben sappiamo sono veramente pochi. Che il disabile è “brutto”, e gli unici accettabili sono i nani (vedi Velasquez).

Quindi ci mettiamo vicino a lei ed a George (che mi è piaciuto nelle sue interferenze piene di humor inglese non banale), e mettiamoci a guardare gli uccelli che volano. Loro possono. Gli uomini, no, non possono volare. Ma possono, debbono essere messi in condizione di vivere una vita dignitosa.

Un bel libro di denuncia, leggero, ma pieno di pesantezze.

Come scritto sopra, questa volta le citazioni sono in allegato e dedicate alla scrittrice spagnola Lucia Etxebarria.

Noi ci approntiamo ad affrontare un dicembre che si preannuncia freddoso assai. Vediamo di coprirci al massimo, di non raffreddarci, di continuare ad organizzare come al solito i nostri viaggi e quello dei nostri amici e delle nostre amiche. Al resto pensiamo abbracciandoci.

Citazioni di Lucía Etxebarria

La scrittrice spagnola (anzi basca) Lucía Etxebarria Asteinza non ancora sessantenne, ha sempre affrontato nei suoi scritti il ruolo della donna nella società odierna, la maternità, il femminismo, la sessualità, le relazioni sociali o gli stereotipi di genere. Sono contento di poterla inserire in questa giornata post 25 novembre.

Vediamo qui alcune citazioni dai suoi primi tre romanzi, scritti tra il ’96 ed il ’99.

Il primo fu “Amore, Prozac e altre curiosità”:

“Era la prima scopata del mese… Mi sentivo sola, disperatamente sola, affamata di affetto, avida di coccole …. Abbiamo tutti bisogno di abbracci di quando in quando” (11)

“Se la vita si potesse pulire come le tendine, se potessimo far sparire le nostre macchie in una lavatrice, tutto sarebbe più facile” (80)

“Se qualcosa è giusto perché non funziona? L’amore ci separerà … l’amore distrugge. Ferisce profondamente, dolorosamente” (229)

L’anno successivo vince il premio Nadal con “Beatriz e i corpi celesti”:

“In definitiva, tutto quanto viene scritto finisce per essere una nota a piè di pagina di qualcosa che è stato scritto in precedenza” (17)

“Il fatto è che dall’amore, come dalla vita, ci si aspetta sempre di più e non ci si accontenta mai.” (28)

“E io non voglio impegnarmi prima di essere sicura dei miei sentimenti, perché sospetto che il mio lato peggiore finirebbe per stabilirsi in quella intersezione tra le circonferenze delle nostre rispettive solitudini. Non c’è solitudine peggiore della solitudine condivisa” (29)

“[È] molto meglio cambiare persona piuttosto che cambiare una persona” (189)

“Sapevo che non mi stava usando e che mi amava, che mi amava davvero, che sarebbe stata accanto a me in caso di bisogno, che non mi avrebbe mai fatto del male di proposito, e forse nemmeno inconsapevolmente” (191)

“Perché ti ossessiona ciò che non hai? Perché non accetti una dannata volta che quello che non può essere, non può essere e inoltre è impossibile?” (253)

“Tutti siamo allo stesso tempo vittime e artefici della nostra vita. Nel bene e nel male, tutti i sentieri del possibile sono aperti al passaggio del reale. Ma non tutti siamo così saggi da capirlo né così audaci da aprirci la nostra strada” (263)

Infine nell’ultimo anno del secolo scorso esce “Nosotras que no somos como las demàs” che ho letto in lingua. Tuttavia qui ne parlo come “Noi che non siamo come le altre”, cioè riportando solo le citazioni da me tradotte in italiano.

“Cercò di nuovo di evitare l’immagine riflessa nello specchio … però l’immagine non sta nello specchio, ma nell’occhio di chi guarda.” (74)

“-Tu non parli molto vero? … - Ascoltare è molto più interessante.” (94)

“e città sono dentro di noi, non si fugge da loro facilmente ... così diceva Kavafis.” (114)

“Andrò dove tu vai, mi fermerò dove tu sarai ... la tua terra sarà la mia terra, e il tuo Dio il mio Dio.” (155)

“Elsa odia parlare di amore, perché ha provato che dell'amore ... ognuno ha una idea diversa e che dall’amore ... sempre ci si aspetta di più e non si è mai soddisfatti. ... La gente non capisce perché Elsa si ostina a vivere da sola, e alcuni sostengono che non è capace di amare .... è per questo che ad Elsa non piace parlare di amore, le piace soltanto praticarlo e solo in rare occasioni.” (214)

“Sa che ogni dolore finisce per diminuire, ed allora in linea con Wilde prega Dio di liberarla dal dolore fisico che lei si occuperà del dolore morale.” (232)

“Questo provava ... che aveva perso troppo tempo della sua vita senza fare quello che voleva fare o le sarebbe piaciuto fare, condannata a vivere secondo i desideri degli altri.” (261)

“Niente muore, se rimane nella memoria.” (381)

Con lei, con Simonetta e con le altre, anche io ripeto “Non una di meno”!

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