domenica 5 novembre 2023

Simenon ed altri saggi - 05 novembre 2023

Una settimana di alto profilo, dedicata, una volta tanto, a scritti non di finzione. Ci sono due degni libri di Simenon, tra cui un elevato diario dei suoi quasi sessanta anni. C’è il libro di Piccolo dedicato al cinema, tra Fellini e Visconti. C’è, soprattutto, l’ultimo scritto di Amos Oz, che letto in questi giorni continua a farci riflettere, in particolare quando cita la frase: “Qualcuno dice che la pace è impossibile; io dico che non solo è possibile, è inevitabile”. L’unico che si stacca un po’, ma verso il basso, è il piccolo trattato di vita interiore di Lenoir (che confesso spesso di leggere per assonanze nominali).

Georges Simenon “Dietro le quinte della polizia” Adelphi s.p. (Natale degli Arabini) 

[A: 25/12/2022 – I: 01/04/2023 – T: 03/04/2023] - &&& e ½   

[tit. or.: originale (antologia italiana di testi francesi); ling. or.: francese; pagine: 281; anno 2022]

Negli anni Trenta, Simenon aveva scritto alcuni romanzi, e soprattutto alcuni romanzi con Maigret (ricordo che il primo fu “Pietro il Lettone” scritto nel ’29 e pubblicato nel ‘31). L’allora capo della Polizia Giudiziaria, Xavier Guichard propone quindi al giovane scrittore (che, essendo del ’13, nel ’33 avena trent’anni, ma di Maigret ne aveva già pubblicati 17) di visitare il quai des Orfèvres, sede della Polizia al numero 36.

Da quelle visite, e dall’interesse di Simenon per la cronaca nera e per la cronaca in generale, nascono quindi una serie di articoli, qui brillantemente riproposti da Adelphi, che ci mostrano una particolarità veramente interessante. Anche da giornalista, Simenon è intrinsecamente scrittore, così che non solo vengono alla luce i possibili argomenti di un articolo, ma tutta quella sorta di elementi di contorno, che poi saranno i fulcri di tanti e tanti romanzi.

Come dirà quarant’anni dopo: “Questi reportage scritti di fretta, corretti ancora più rapidamente, contengono in nuce tutti i romanzi che ho immaginato in seguito.”

La buona verve editoriale di Adelphi, ci consente inoltre di seguire questi articoli nel loro andamento temporale. I primi sono proprio quelli scritti a ridosso dell’invito. Infatti, si comincia con “La carovana del crimine” (tit. orig. La carovane du crime) e con “Una ‘prima’ all’Île de Ré” (tit. orig. Une 'premièr' à l'ile de Ré) che narrano, da due diverse prospettive, l’imbarco dei forzati verso isole di detenzione di là dell’Oceanio. Ed è già un modo per Simenon di descrivere i vari personaggi che si imbarcano, con le loro manie, con i loro vestiti e con i giornalisti che fanno la calca per avere qualche scoop.

Sempre del ’33 è il terzo “Polizia Giudiziaria” (tit. orig. Police judiciaire) che ci fa entrare direttamente nel mondo maigrettiano del lungo Senna (anche se Simenon ci fa capire subito la differenza tra le sue invenzioni e la realtà quotidiana dei poliziotti).

Abbiamo poi, l’anno successivo, “Dietro le quinte della polizia dal Quai des Orfèvres a Rue des Saussaies” (tit. orig. Les coulisses de la police: du quai des Orfèvres à la rue des Saussaies) quello che poi dà il titolo al libro, e che inizia con una descrizione delle scrivanie e degli uomini che vi lavorano, facendoci entrare subito nel mondo poliziesco francese, e “Verranno commessi dei delitti…” (tit. orig. Des crimes vont être commis…), una specie di compendio dove il nostro giornalista inizia a seguire da vicino alcune indagini reali. Per fine nel 1937 con “Il Pronto Intervento o I nuovi misteri di Parigi” (tit. orig. Police secours, ou Les nouveaux mystéres de Paris), dove per l’appunto, cercando di avere in mente Eugène Sue, attraverso altre indagini delle squadre di Pronto Intervento, tenta di costruire una mappa fisica di cosa stia diventando, di come stia mutando il mondo criminale dall’inizio alla metà degli anni Trenta (e come di pari passo, muti anche il mondo di coloro che il crimine lo perseguono).

Ricordiamo per iniziare che Simenon aveva cominciato la sua carriera come giornalista già a sedici anni, nella natia Liegi, dove, per farsi le ossa, si dedica a quelli che in argot vengono chiamati “chiens écrasé”, metafora che indica il dedicarsi alla cronaca locale. Un piglio giornalistico che ritroviamo in questi articoli. Dove vediamo descritti i criminali con le loro manie (che spesso li tradiscono). Per non parlare del lungo elenco di suicidi, dove Simenon ci rivela che il più alto tasso lo si trova nella zona elegante di Passy (elegante tanto che si usano barbiturici e non nodi scorsoi).

Poi ci sono i casi famosi: Landru, colpevole di undici femminicidi, o Stavisky, il celebre truffatore, per finire con la descrizione dei rapinatori della banca Baruch e della loro cattura. Il lungo articolo del titolo è poi una carrellata all’interno di Parigi: i quartieri malfamati, le periferie, le strade eleganti, tutta una città che stava scomparendo. Simenon è sempre curioso, sempre affamato di storie, che qui nascono e si esauriscono nel volgere di poche righe, ognuna tuttavia con qualcosa che ci rimane, in fondo all’occhio, in fondo al cuore. Rimanendo sempre quel geniale artigiano della penna, che mi fece innamorare e continua a tenermi compagnia.

Finisco con una piccola nota privata. Parlando di una serie di omicidi, descrivendoli con il secco gergo poliziesco dell’epoca, e ricordando una prostituta, il cui delitto rimase insoluto, annota: “Pierrette strangolata il 12 maggio 1931…”. Che leggo e penso subito al mio amico Pietro nato lo stesso giorno ma più di venti anni dopo.

Georges Simenon “Quand j’étais vieux” Presses de la cité s.p. (Regalo dei 12 amici per un compleanno)

[A: 08/05/2023 – I: 28/06/2023 – T: 04/07/2023] - &&&&

[tit. or.: originale; ling. or.: francese; pagine: 408; anno 1970]

Un regalo particolare per un anniversario molto particolare. Conoscendo infatti la mia devozione per lo scrittore belga, i miei dodici amici (Luciano, Cristina, Gianna, Renato, Franco, Giovanna, Luciana, Nino, Pietro, Tiziana, Giuzzo, Donatella) hanno trovato questo raro libro di Simenon per omaggiare il mio augusto compleanno. Una ricorrenza biblica, essendo 12 gli apostoli di Gesù e 70 i discepoli di Gesù secondo Luca.

La seconda particolarità del testo è che, a quanto mi risulta, non esiste tuttora una sua traduzione in italiano.

La terza, ed ultima, legata a questo libro in particolare è il fatto che il libro stesso contiene una dedica autografa di Simenon al suo amico Jean-Pierre Richard, un famoso critico letterario francese, appartenente alla cosiddetta “Scuola di Ginevra”, in cui fu sodale di Jean Starobinski. E per chi sa di letteratura, di bridge e di amicizia, sa l’importanza di tutto ciò, nella memoria.

Il testo è un ricordo autobiografico di Simenon che riporta il suo personale diario che va dal 25 giugno 1960 al 12 aprile 1962. È la prima opera “dettata” da Simenon, dove però è ancora in forma manoscritta. Sarà solo dieci anni dopo che comincerà ad usare un registratore. La scrittura avviene nella sua residenza del Castello di Echandens nel cantone svizzero di Vaud. Sarà poi rivisto verso la fine degli anni Sessanta, quando l’autore si è già trasferito a Épalinges, la prima casa che lui si fece costruire interamente dalle fondamenta.

In questi quasi tre anni, al filo della scrittura, pur se non sempre espressamente citati, Simenon scrive 4 romanzi “duri”: Betty (ottobre ’60), Il Treno (marzo ’61), La Porta (giugno ’61), Gli Altri (novembre ’61) e 3 “Maigret”: Maigret e il ladro pigro (gennaio ’61), Maigret e la famiglia felice (settembre ’61), Maigret e il cliente del sabato (febbraio ’62).

Inoltre, dalla sua scrittura (e dalle mie ricerche collaterali) emergono i fatti salienti del periodo. A luglio del ’60 passa quasi due settimane in vacanza con la famiglia al Lido di Venezia. Nel settembre dello stesso anno viene operato di appendicectomia, e, in seguito alla difficile convalescenza, decide di consultare uno specialista per curare un specie di labirintite di cui soffre. Prima della fine dell’anno poi riceve la visita di Henry Miller e della famiglia Chaplin. Nel marzo del ’61 si registra l’acquisto di due auto al Salone di Ginevra: una Chrysler-Ghia per Denyse ed una Rolls-Royce Blue Mist per sé stesso. Cui seguirà un viaggio a Liegi nell’ottobre dello stesso anno, nonché, poco prima della fine del libro, la nascita di Serge Georges Paul, il suo primo nipote.

Certo anche che qualche cosa Simenon la tace, come ad esempio l’ingresso nel ménage familiare di una nuova segretaria, Teresa Sburelin, che sarà la compagna dell’ultima parte della sua vita.

Quello che però ci interessa meglio nella scrittura, è la facoltà che ci concede Simenon di entrare nei suoi pensieri. Di sentire i suoi commenti alla quotidianità che vive. Al dolore che prova non riuscendo a risollevare Denyse da tutti quei momenti depressivi che porteranno a poco a poco la coppia ad allontanarsi e poi a separare le proprie strade.

Altro elemento che esce potente dalle righe è il rapporto di Simenon con la scrittura. Le sue riflessioni su quello che va componendo, su come si evolve il romanzo nella sua mente e nelle sue pagine. Di un romanzo da poco terminato si dice di sentirsi nauseato, di averlo voluto abbandonare, per poi proseguire ed alla fine pensare che forse è uno dei suoi romanzi più riusciti (si tratta di “Maigret e i vecchi” per essere precisi). Poi confessa che al ritorno da un festival di Cannes aveva in mente di scrivere un romanzo solare pieno di tenerezza, aveva in mente già il set dell’azione, ne scrive tre pagine per poi abbandonarlo.

Simenon, quando decide di imbarcarsi in una nuova scrittura, non sempre entra in uno “stato di grazia”, non sempre, pur avendo una scrittura veloce, sono sempre momenti di fluidità. Vive istanti ed ore di angoscia, di blocco, si ferma, lì nella sua stanza, lì dove sta isolato dal resto del mondo. Si accende la pipa, fuma, pensa. Stacca. Confesserà, verso il fiale del libro di non sentirsi uno scrittore, uno cui tutto riesce facile. Ma di essere un romanziere, e, per la sua personale percezione, un romanziere “non conosce la gioia della scrittura”.

Poi ci sono i momenti esterni che entrano nella vita del Castello. I giornali, le immagini, per lui dolorose, degli scioperi di quegli anni. E poi Cuba, Kennedy e Krusciov, la Guerra Fredda, l'assassinio di Lumumba, i conflitti mortali e la mortalità infantile in Congo. Ma quello che a lui preme è sé stesso e la sua immagine, che analizza costantemente, con la costante paura di essere frainteso, di presentare, con le immagini, con le interviste, un Simenon che non è Simenon.

Ed è, finalmente e con ostentazione, una scrittura personale e privata. Non analizza mai oggettivamente le situazioni, ma ne presenta solo il suo personale punto di vista. Bello, ben riuscito, scritturalmente a tutto tondo. Ma sempre e soltanto ego centrato.

Ho letto con trasporto queste pagine che mi hanno consentito di entrare ancora di più nello spirito dello scrittore belga. Sperando di riuscire, nelle mie trame, a farvelo sentire un po’, come io l’ho sentito vicino quando, a pagina 125 racconta di seguire alla televisione i Giochi Olimpici di Roma!!

“Ce que les jeunes ne peuvent pas comprendre, c’est qu’à cinquante-sept ans, à soixante, à soixante-dix … on a exactement les mêmes aspirations qu’eux.” (132) [Quello che i giovani non riescono a capire è che a cinquantasette, sessanta, settant'anni... abbiamo esattamente le loro stesse aspirazioni]

“Chaque roman est pour moi un enrichissement, une expérience que je vis.” (160) [Ogni romanzo è per me un arricchimento, un'esperienza che vivo]

“Pourquoi la vie paraît-elle bonne après qu’elle a été vécue?” (333) [Perché la vita sembra bella dopo che è stata vissuta?]

Amos Oz “Resta ancora tanto da dire” Feltrinelli euro 9

[A: 16/05/2023 – I: 23/06/2023 – T: 23/06/2023] - &&&&

[titolo: Kol ha-ḥeshbon ʻod lo nigmar; lingua: ebraico; pagine: 56; anno: 2019]

L’ultimo lascito, quasi un testamento, di Amos Oz. Il testo del suo intervento al convegno sul sionismo tenuto all’Università di Tel Aviv il 3 giugno 2018. Pochi mesi dopo, il 28 dicembre, Oz moriva per un tumore. È un testo intenso, come sempre sono state le parole di Oz, sia nei suoi romanzi, sia, in special modo nelle ultime fasi della sua vita, negli interventi politici e polemici.

Qui era stato inviato a parlare intorno al sionismo, ma, come disse in un’intervista poco dopo, preferì non avere tracce, preferì sentire le vibrazioni dell’aula, salire sul palco, e parlare a braccio per 50 minuti.

Ora, finalmente, nella bella traduzione di Elena Loewenthal, e grazie agli sforzi dei figli Fiona e Daniel, la sua ultima lezione, uscita in inglese, è anche presente nel suo testo italiano. Ma prima di entrare nel testo stesso, i miei dubbi mi portano ad interrogarmi sui titoli. Il titolo italiano, infatti, dovrebbe riprendere una frase di un testo dello scrittore ebraico Yosef Haim Brenner (frase che riporto in ebraico che, purtroppo non è una lingua alla mia portata). Ma Feltrinelli riporta anche il titolo inglese che recita “The Reckoning is not over yet”, che suona come “La resa dei conti non è ancora finita”. Titoli complementari, ma non identici.

Per venire al brevissimo testo due sono i messaggi politici che lancia ed uno, trasversale, il messaggio letterario, forse anch’esso politico, ma anche legato alla profonda conoscenza della lingua e della letteratura ebraica di Oz.

Intanto veniamo al primo contesto, un seminario sul sionismo, termine derivato dal nome del monte Sion, il primitivo nucleo della città di Gerusalemme, e legato al movimento, nato alla fine dell’Ottocento, che rivendicava la costituzione di uno stato ebraico in Palestina. Non voglio entrare in una disamina di cosa sia stato e cosa sia ora, ma mi lego alle parole di Oz: può esistere il ritorno in una casa che non hai costruito? Mi torna subito in mente un altro bellissimo libro “Ritorno ad Haifa” di Ghassan Kanafani. Un libro che vi consiglio di cercare.

Ora, tornando a Oz, qual è il suo primo messaggio politico? È che non ci potrà mai essere uno stato ebraico che cacci gli arabi dalla terra palestinese né uno stato arabo che cacci gli israeliani dalla terra d’Israele. L’unica soluzione è allora quella dei due Stati, come in parte si vive ora in quei luoghi. Perché bisogna evitare le reciproche sopraffazioni, che sono soprusi che vanno fermati con la forza. Infatti, Oz non è un pacifista, non sostiene a spada tratta “make love not war”. Infatti, dice: “Ci vuole un bel bastone per tenere a freno, per reprimere la sopraffazione, la madre di tutte le violenze del mondo”.

Per sottolineare il suo pensiero, Oz ci ricorda anche come sono andati a finire gli stati multietnici (con etnie molto contrastanti): Cipro, Libano e Iraq, quelli da lui citati. Anche se noi sappiamo quanti altri ce ne sono.

Ma quell’affermazione sui due stati non è disgiunta dall’altra posizione politica forte su cosa significa essere un leader (perché ci vuole un leader per portare avanti qualsiasi azione politica). Elaborando un’altra frase forte: “Un leader è colui che dice alle persone che cosa nel profondo del proprio animo sanno di dover fare, ma non ne hanno voglia”. Una frase esemplare.

Tuttavia Oz non può dimenticare di essere uno scrittore. E da scrittore fa due citazioni a sostegno delle sue tesi. Una è appunto la frase di Brenner usata come titolo. L’altra è citare l’esempio della poesia di Uri Zvi Greenberg, che riavvolge il nastro del tempo, ed esprime fortemente il suo afflato nazionalista scrivendo memorabili poesie.

Andando un po’ in quella direzione, per chi conosce poco l’ebraismo, rammento che Brenner è stato uno scrittore israeliano di nascita ucraina, inventore di linguaggi nuovi, dove insieme all’ebraico moderno usava una mescolanza di ebraico antico, aramaico, yiddish, inglese e arabo. Brenner muore a quarant’anni, il 2 maggio del 1921 durante una delle prime rivolte arabe verso gli insediamenti ebraici.

Uri Zvi Greenberg, invece, fu poeta, nato a fine Ottocento in Galizia, che introdusse molte espressioni del parlato nelle sue poesie. È anche considerato il più grande poeta israeliano in yiddish ed ebraico. Andrebbe letta e studiata una sua profonda poesia, scritta nel 1923, “Nel Regno del Crocifisso”, dove descrive già l’olocausto ebraico in terra europea.

Mi piace finire con una frase che Oz pronunciò ad una commemorazione di Simon Peres: “There are some who say that peace is not possible. But peace is not only possible, it is inevitable.” Una frase che, ora, penso sia applicabile non solo alla terra d’Israele, ma a tutte le terre martoriate, Ucraina e Russia in testa.

Penso che non avrò modo di leggere altro di Oz, che per molti anni ha accompagnato le mie più felici letture sulle vicende personali e politiche israeliane. להתראות, עמוס

Frédéric Lenoir “Vivere è un’arte” Repubblica Filosofia Viva 10 euro 9,90

[A: 06/05/2020 – I: 28/07/2023 – T: 30/07/2023] - &&

[tit. or.: Petit traité de vie intérieure; ling. or.: francese; pagine: 170; anno 2010]

Avevo già scritto, parlando del libro di Lenoir sulla gioia, che, più che di filosofia mi sembravano scritti quasi di auto-aiuto, scritti per fare dei percorsi verso consapevolezze raggiungibili attraverso i percorsi personali che ognuno (può fare) fa con l’aiuto di una riflessione sul proprio agire personale. Altro punto, già detto a suo tempo, e qui da ribadire, la poca incisività degli inserti personali. Ci fa piacere che l’autore abbia sperimentato su di sé molti dei percorsi che suggerisce con i suoi scritti. Ma questi “confessioni” aggiungono poco al testo in sé, ed a volte ci fanno perdere di vista il percorso logico che si sta seguendo.

Ma prima di tutto voglio fermarmi un attimo sul mistero, per me sempre insondabile, della titolazione italiana. Il testo francese porta come titolo “Piccolo trattato di vita interiore”. Un titolo che in italiano diventa un piacevole sottotitolo, per essere soppiantato da quel “Vivere è un arte”, che serve soltanto come specchietto per attirare lettori incauti. Forse pensando che quel “vita interiore” possa spaventare il possibile acquirente.

Ora, è innegabile che Lenoir abbia uno stile accattivante, ed una scorrevolezza invidiabile, unita ad una buona dose di riferimenti. Non è un caso che per tutto il testo si appoggia a sicuri maestri, di filosofia, di religione, di vita. Così con lui, possiamo ripassare alcuni passi salienti di Buddha, Confucio, Socrate, Aristotele, Epicuro, Epitteto, Gesù, Montaigne, Spinoza, fino a Schopenhauer e Lévinas (il filosofo francese di origini lituane, forse meno noto di altri, ma che produsse delle riflessioni notevoli sul tempo). Tuttavia, a me rimane sempre sospesa la sua non incisività di fondo. Di buoni propositi sono lastricate le vie del mondo, ma bastano?

Certo, uno dei punti di partenza è constatare che il mondo è irto di difficoltà. Affrontarle è il nostro modo di trasformare queste sfide in possibilità. Dedicando tempo ad una serie di momenti che sembrano collaterali ma sono fondanti: la cura dello spirito, lo studio, la conoscenza (anche se non dovremmo mai cadere nel delirio di onniscienza, poco posso sapere ma quel poco lo affronto con tutto me stesso).

Quindi, tutto deve, dovrà tendere a vivere una buona vita, accettandola ma non in maniera induista remissiva, quanto in modo propositivo. Accettarla ed attraverso il proprio vissuto arrivare alla conoscenza di sé (Socrate), avere il buon senso di accettare quello che non posso cambiare (falsamente attribuita a San Francesco, in realtà è la “Preghiera della serenità” del teologo Karl Paul Reinhold Niebuhr, scritta negli anni ’30), portandoci a vivere “qui e ora” (come mi hanno insegnato i miei due maestri comportamentali Maria Luisa Aversa e Luciano Marchino).

Con un corollario che è quanto di più difficile si possa praticare nella vita: saper scegliere e saper perdonare.

Ovviamente, sarebbe tutto bello e lucido, se non ci fossero forse contrarie che, a prescindere dalle difficoltà di cui sopra, si ostinano a mettere bastoni tra le nostre ruote. Senza ostacoli potremmo dedicarci al saper essere, mentre tutto intorno a noi ci porta a doverci concentrare sul saper fare. Fino all’epigono berlusconiano che la cultura non dà da mangiare.

Atteniamoci dunque alla regola d’oro della vita, di non fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi (a parte la discussione storica e religiosa di chi siano “gli altri”). E ragioniamo ancora con Aristotele che alla fine ci suggerisce che tutto, anche la felicità, deriva dalla fortuna, solo in seconda battuta aiutata dalla saggezza che rende possibile adattarci alla vita.

Finendo con quello che i titolatori italiani hanno voluto riportare nel titolo: perché esistere è un fatto, e non dipende da noi, mentre vivere è un’arte.

Finisco con una spigolatura che esula dal testo, ma non dall’autore, e sulla quale mi trovo discretamente concorde. Lenoir in un’intervista si definisce “flexitariano”, una definizione che trovo consona anche al mio stile di vita. La parola deriva dall’unione di “flexible” e “vegetarian”, cioè un vegetariano flessibile che non rinuncia ad alimentarsi saltuariamente di proteine animali. Non c’entra, ma serve a ragionare su di sé.

“Le quattro virtù [tibetane] della parola: non mentire, non dire parole che possono ferire, non dire parole di discordia e non dire parole futili.” (67)

“Aristotele: senza amici nessuno sceglierebbe di vivere, anche se possedesse tutti gli altri beni.” (90)

“Diogene: le cose necessarie costano poco, le cose superflue costano care.” (115)

Francesco Piccolo “La bella confusione” Einaudi euro 20 (in realtà, scontato a 19 euro)

[A: 30/05/2023 – I: 03/08/2023 – T: 05/08/2023] &&&& ---   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 281; anno: 2023]

Francesco Piccolo, per me, è sempre una sicurezza. Può scrivere cose più o meno interessanti, più o meno coinvolgenti, ma ha una scrittura che mi riesce gradevole seguire. Ed ogni volta c’è qualcosa che stuzzica i miei poveri neuroni.

In questo libro, abbastanza inclassificabile, riesce a ricreare un’atmosfera ed un sentimento di interesse, verso un momento particolare della storia del cinema. Non mancando mai, come sempre fa, e come sempre tende a sottolineare, di fare anche qualche spunto personale alla narrazione, che alla fine non risulta autobiografica, ma di certo con piccole puntate nel suo universo, che non fa mai male percorrere insieme a lui.

Certo, il 1963 non è un anno in cui è già presente (il nostro farà 60 anni l’anno prossimo), ma è certo l’anno del suo concepimento, avvenuto, secondo le sue leggende familiari, il 15 giugno di quell’anno, a Roma, a valle di una partita amichevole rimasta nella storia: Roma – Santos 3 a 4, con doppietta di Pelé (e goal della Roma di De Sisti). Cosa numericamente possibile, essendo Francesco nato esattamente nove mesi dopo, il 12 marzo 1964.

L’altro elemento che mi ha colpito, oltre alla passione per i libri nata sui banchi del liceo, e quella del cinema, nata subito dopo, è la svolta personale che fa nella sua mente la storia che va a narrare, di cui gli girava in testa un filo già da tempo, ma che non riusciva a focalizzare, a valle (o durante) la lettura di un libro bellissimo, “La famiglia Manzoni” di Natalia Ginzburg.

Tutto ciò per entrare nella narrazione di cose altre. Perché qui si narra e si percorrono i sentieri che hanno portato alla realizzazione di due capolavori cinematografici: “Il Gattopardo” di Luchino Visconti e “8 e ½” di Federico Fellini. Due film eponimi, sia per i loro autori che per la storia del cinema in sé.

Fellini e Visconti sono due maestri indiscussi del cinema, non solo italiano. E sono due registi che sono sempre stati, direttamente o per interposto intervento, antagonisti. O quanto meno su due piani diversi di sensibilità e realizzazione. Divisi anche dalla critica, e dalla politica, che negli anni ’50 vedeva Visconti sostenuto dall’intellighenzia comunista e Fellini acclamato dalla élite democristiana. Una contrapposizione che, a ben vedere, ha poco senso, che entrambi sono (sarebbero) inclassificabili nell’uno e nell’altro schieramento. Tanto che poi, in realtà, riescono a porsi entrambi fuori da questi schemi. Producendo opere che ora l’uno ora l’altro formazione (come si direbbe in termini calcistici) avrebbero visto come il fumo negli occhi.

La loro contrapposizione nasce già nel ’54, alla Mostra di Venezia, dove si contendono il premio “Senso” di Visconti e “La strada” di Fellini. Piccolo ricostruisce caparbiamente quel momento, con la DC tutta schierata per sbarrare la strada all’aristocratico di sinistra, riuscendo a far avere il Leone d’Oro ad un film discreto ma di certo meno valido dei due (“Giulietta e Romeo” di Renato Castellani). Con il pubblico schierato a fischiare l’operato della giuria (guidata da Ignazio Silone) e comandato da uno scatenato Franco Zeffirelli.

Il testo è poi, e non a caso, pieno di citazioni e di rimandi, di piccoli tratteggi di figure importanti nella storiografia del cinema. Dai vari assistenti dei registi (da Zeffirelli a Rosi, per esempio), degli sceneggiatori (da Suso Cecchi D’Amico a Ennio Flaiano), fino agli attori (da Sordi a Delon, da Mastroianni a Lancaster, da Sandra Milo a Claudia Cardinale, e l’elenco potrebbe essere ancora più lungo). Rimanendo a quest’ultima, uno degli elementi scatenanti il testo è proprio la bella Claudia: nel ’63 si dividerà tra i due set, romano e palermitano, per interpretare Angelica per Visconti e Claudia per Fellini.

Ma l’intento di Piccolo, nato da tanti piccoli accadimenti, è soprattutto un altro: mostrare la genesi di due capolavori, e di come questi stessi abbiano influenzato e modificato la vita dei due registi. Fellini riesce a fare un film dichiaratamente autobiografico, in cui Mastroianni interpreta un regista che vuole fare un film ma non sa che film fare, e nel mentre ripercorre, visivamente, oniricamente e realmente, tutti i momenti della sua vita, per decidere alla fine che la vita va (e può essere vissuta), con quel finale da circo in sfilata, omaggiato da una colonna sonora indimenticabile di Nino Rota (e come non richiamare alla mente, ora, in questi anni, l’analogo seppur diverso finale de “Il sol dell’avvenire” di Nanni Moretti).

Visconti, invece, parte dal libro, da una sceneggiatura quasi religiosa, in cui non si può spostare una virgola per non cambiarne il senso, per poi, aiutato da una maiuscola interpretazione di Burt Lancaster, arrivare certo a mostrarci interamente la bellezza del capolavoro di Tomasi di Lampedusa. Ma facendo un’operazione (consapevole?) di immedesimazione con l’ambiente, andando a descrivere, traslatamente, la fine del suo mondo aristocratico. Che esemplifica con due stupende frasi. Una di Tancredi (Alain Delon): “Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi”. L’altra di Don Fabrizio (Burt Lancaster): “Dopo tutto sarà diverso, ma sarà peggiore”.

Ci sarebbe tanto altro da riportare, tante discussioni da cominciare sull’uno e sull’altro fronte di questi due colossi, che, alla fine, avranno parole di stima reciproca, pur rimanendo sempre ostili nel fondo. Io mi accontento di questo finale, come nella frase che riporto, lasciando a voi il privilegio di gustare le opere della volpe Fellini e del riccio Visconti.

“[Da Archiloco nella versione di Isaiah Berlin] La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande … [così] gli esseri umani si dividono in volpi e ricci. Ricci sono quelli che si rifanno a un unico principio ispiratore, sulla base di una visione morale del mondo. Volpi sono quelli che si appassionano a modelli diversi e contraddittori, senza un faro etico.” (270)

Con il primo scritto di novembre andiamo ad elencare le dense, densissime letture di agosto, che per quest’anno è (e credo rimarrà) il mese a più alta densità di pagine (d’altra parte si era di riposo a Soriano…). Tutte letture di buon livello, nessuna veramente brutta, su cui si ergono il libro di Piccolo, di cui avete la trama più in alto, ed il piccolo gioiello giapponese delle storie di Genji. Senza dimenticare a ruota, il Peter Pan di Barrie, l’ispettore Linley di George ed un buon libro dell’ottimo Murakami.

#

Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Arne Dahl

Il tempo del male

Feltrinelli

12

3

2

Francesco Piccolo

La bella confusione

Einaudi

20

4

3

Roberto Alajmo

Io non ci volevo venire

Repubblica Essenza Noir

8,90

2

4

J.K. (Robert Galbraith) Rowling

Bianco Letale

Repubblica Emozione Noir

7,90

2,5

5

Simonetta Agnello Hornby

Il pranzo di Mosè

Corriere Oggi

8,90

2

6

Murasaki Shikibu

Il racconto di Genji

Bompiani

s.p.

4

7

Yokomizo Seishi

Il detective Kindaichi

Sellerio

13

3

8

Sarah Savioli

La banda dei colpevoli

Feltrinelli

11

3

9

Massimo Mongai

Memorie di un cuoco d’astronave

Mondadori

6,99

3

10

Camilla Grebe

La sconosciuta

Corriere Profondo Nero

7,90

2

11

Massimo Carlotto

E verrà un altro inverno

Repubblica Essenza Noir

8,90

3

12

James Matthew Barrie

I romanzi di Peter Pan

Mondadori

10

3,5

13

Camilla Läckberg

Il figlio sbagliato

Marsilio

s.p.

3

14

Åsa Larsson

Sacrificio a Moloch

Feltrinelli

11

3

15

Haruki Murakami

Nel segno della pecora

Corriere

8,90

2,5

16

Yokomizo Seishi

La locanda del Gatto Nero

Sellerio

13

3

17

Haruki Murakami

A sud del confine, a ovest del sole

Corriere

8,90

3,5

18

Roberto Centazzo

Operazione sale e pepe

Repubblica Emozione Noir

7,90

2,5

19

Elizabeth George

Punizione

Superpocket

6,90

3,5

20

Marco Balzano

Café Royal

Einaudi

14,50

2

21

Giovanni Ricciardi

L’undicesima ora

Fazi editore

16

3

La citazione del mese coinvolge uno scrittore e poeta poco noto ma di molta intensità nei suoi brevi scritti. Mi riferisco a Franco Arminio che nel gustoso “Nevica e ho le prove” parla di vecchiaia, amicizia ed altro contorno con le seguenti due frasi:

“Speravo di arrivare alla vecchiaia con un pessimismo luminoso … ma nessuno arriva in luoghi diversi da quelli in cui è partito, siamo sempre gli stessi. … Io sono sempre uno che voleva cambiare la sua vita, adesso ho capito che la mia vita è stata sempre la stessa” (54)

“Certe volte non litighiamo con gli amici perché abbiamo paura che poi viene poca gente al nostro funerale” (101)

Per il resto invito ancora una volta a leggere e rileggere Amos Oz e gli altri scrittori sia arabi che ebrei, come faccio ora con una grande pena nel cuore. Uniamoci tutti ancora una volta per il Medioriente e per l’est slavo in una grande speranza di pace, come detto più volte nel corso di questa trama. Non posso che sperare in un abbraccio, con voi e tutti loro.

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