domenica 21 gennaio 2024

Inutili prolungamenti - 21 gennaio 2024

Settimana dedicata ad alcune opere seriali, giunte a diverso livello di scrittura e di episodi, tutte accomunate da un basso livello di gradimento e leggibilità. Tant’è che alla fine il miglior risultato delle trame odierne è di un “juvenilia” (scritto cioè per giovani lettori) di John Grisham, di cui, in genere, abbiamo apprezzato i primi e ben più densi “legal thriller”. C’è la prima avventura del detective dell’antica Roma, Elio Sparziano, ben al di sotto delle “normali” prove letterarie di Ben Pastor su Martin Bova. Ci sono due (quasi) inutili puntate delle avventure di Arkadij Renko, ormai lontano dai fasti di “Gorky Park”. Chiudendo con il settimo illeggibile episodio del procuratore Chas Riley della tedesca Simone Buchholz.

John Grisham “Theodore Boone – L’accusato” Mondadori euro 13 (in realtà, scontato a 11,05 euro)

[A: 10/03/2020 – I: 22/04/2023 – T: 23/04/2023] - && 

[tit. or.: Theodore Boone. The Accused; ling. or.: inglese; pagine: 262; anno 2012]

Ogni tanto torno sui “juvenilia” di Grisham, che non sono forse eccezionali, ma servono come dire a stemperare altre e più impegnative letture. Anche perché, nella sua semplicità, generalmente l’autore riesce ad inserire qualche elemento di curiosità, di interesse, quando non di attività legali, a volta poco consuete in Italia.

Per non perdere il pubblico dei giovin lettori, Grisham cerca di non perdersi pezzi dei romanzi già pubblicati, che si sa, oltre ai seriali, i giovani spesso hanno anche bisogno di qualche raccordo. Purtroppo, rispetto alle prime due uscite, lo spunto del romanzo, “l’accusa” di cui nel titolo, non è così avvincente, e la sua soluzione non ci porta nuovi elementi.

Andiamo a recuperare intanto due informazioni. Il mondo di Theo e le avventure precedenti. Teho è un ragazzo di tredici anni, figlio di due avvocati, lei divorzisti, lui immobiliarista, con un unico zio, Ike, ex-avvocato radiato dall’albo per qualche colpa non ancora divulgata, ma che funge da “spalla maggiore” al piccolo Theo. Nelle prime due puntate abbiamo visto Theo adoperarsi per trovare testimoni che incastrino il cattivo Pete Duffy come assassino della moglie e come si adoperi per ritrovare la sua amica April, immotivatamente scomparsa. April che rimane il suo punto forte, ma che ancora non sviluppa nulla di serio, essendo i ragazzi ancora in troppo giovane età.

Qui sembrava che si volesse collegare subito al primo romanzo, iniziando con il nuovo processo a Duffy, che però fugge, e viene dimenticato per circa 190 pagine, forse aspettando un nuovo romanzo per portarne a compimento il processo. Come detto, April c’è, ma solo in un cammeo. Inoltre, anche questa una costante di questi romanzi, c’è un intermezzo dedicato al “Tribunale degli animali”, un assise in cui vengono discussi casi problematici legati ad animali e dove Theo, pur adolescente, può indossare i panni della difesa “animalista” (ma non a oltranza).

Eliminiamo subito il cammeo degli animali, dove Theo difende un lama accusato di sputare ad un poliziotto corpulento. Ora, tutti sappiamo (e chi è stato in Perù ne ha avuto esperienza) che i lama sputano, ed in genere se provocati o minacciati. Il nostro lama non si esime, rivolgendo la sua saliva ad un massiccio ed assai antipatico guardiano. Invertite, come da suggerimento di Theo, le rotte dei guardiani il caso si risolve, e ve ne lascio leggere per “divertissement” senza altri commenti.

Il nocciolo duro del romanzo, invece, deriva da quanto promesso nel titolo. Theo viene “accusato” di aver organizzato e partecipato alla rapina in un locale di elettronica, trafugando cellulari e tablet. Fin dall’inizio sappiamo che si appropinqua qualcosa di losco, che a Theo viene rubato il berretto della sua squadra di baseball, e viene a lungo bersagliato da forature intenzionali delle ruote della sua bicicletta.

Quando poi il berretto viene ritrovato sulla scena del crimine ed alcuni tablet vengono rinvenuti nell’armadietto scolastico di Theo, la sua posizione diventa veramente pericolante. Bersagliato da “hater” sui social, e fatto segno di dileggio a scuola, Theo non riesce a trovare bandoli per questa intricata matassa. Sarà una brillante idea di Ike a fornire il primo filo, seguendo il quale tutti gli altri fili vengono annodati insieme, riuscendo alla fine, con l’aiuto di Ike, di April e di molti suoi compagni di scuola, la vicenda viene acclarata, spiegata ed alla fine (ma questo è già implicito nella serialità del tutto) Theo può tornare nella sua posizione di avvocato in fieri, senza macchie sul suo curriculum.

Pur nella sua brevità, ed in parte anche nella mancanza di reali approfondimenti, Grisham riesce a toccare alcuni punti interessanti. Di certo, il valore dell’amicizia, ed in secondo ordine la necessità di impegnarsi in quello in cui si crede. Impegno che va sempre profuso, qui con buoni risultati, mentre nella vita non sempre succede, ma non ne avrete mai una delusione interiore. Dal punto di vista delle esortazioni per i ragazzi cui è dedicato il libro, di certo, c’è il messaggio che il crimine non paga (ma noi lo pensiamo… o forse non paga se non viene punito…). Infine, c’è un messaggio attuale, pur se di dieci anni fa: una piccola tirata morale contro il cyberbullismo e l’uso distorto delle informazioni. Il modo in cui Theo viene messo alla gogna senza prova deve essere allora come ora di monito a tutti, non solo ai ragazzi.

Per il resto, la famiglia “Mulino Bianco” Boone rimane un po’ troppo sdolcinata, ma ci sta nell’economia della serie e del romanzo. Anche se nuove puntate, per ora, non compariranno nella mia libreria.

Ben Pastor “Il ladro d’acqua” Mondadori s.p. (Regalo di Anto&Paolo)

[A: 07/05/2023 – I: 02/06/2023 – T: 05/06/2023] - && ----

[tit. or.: The Water Thief; ling. or.: inglese; pagine: 467; anno 2006]

Ero curioso di leggere qualche libro di Maria Verbena Volpi diverso dalla serie, da me molto amata, di Martin Bora. Ho accolto quindi con gradimento la proposta compleannica degli amici lavoro-marini. Anche perché avevo in mente di capire non solo il gradimento di questa seconda serie, ma anche di vedere il rapporto di consonanza con la lunga serie, quella sì completamente italica, di Danila Comastri Montanari.

Ora, è pur vero che dell’esimia bolognese ho tutti e 19 i libri che vedono protagonista Publio Aurelio Stazio, senatore ai tempi dell’imperatore Claudio, tanto che per l’appunto le sue vicende si collocano a partire dal 42 d.C. Ma l’epopea del senatore ha una media ben più alta di quest’unico libro della nostra italo-americana.

Ripeto di Verbena (Ben) Volpi Pastor ho letto, e gustato, tutta la saga fin qui pubblicata dell’ufficiale Martin von Bora, pur con i suoi alti e bassi. Qui ho affrontato invece il primo dei sei volumi dedicati ad Elio Sparziano, che, come costume della nostra autrice, è un misto di realtà e di finzione. Con forse un tocco in più di inventiva.

Risulta infatti, che un Elio Sparziano, storico, possa essere esistito, e viene ricordato come autore di una “Historia Augusta”, un trattato che narra la vita degli imperatori romani da Adriano (circa 115 d.C.) sino alla salita al potere di Diocleziano (circa 285 d.C.). Non entro certo qui nella diatriba storica su Elio, che molti ritengono essere un “nome collettivo” di diversi autori, altri uno scrittore che tratta degli imperatori, magari celandosi sotto altri nominativi. Io mi rifaccio all’uso che ne fa Ben, quindi avendo un Elio pseudo-storico, di cui ci si inventa una biografia, e che si fa intervenire nel 304 d.C., in piena era di Diocleziano (che abdicherà l’anno seguente), con il mandato dell’imperatore di cominciare a scrivere la storia dell’Impero proprio a partire da Adriano. Mi piace soltanto ricordare che il nostro Elio viene citato, come autore di una “Vita di Adriano”, da Guglielmo da Baskerville ne “Il nome della rosa” di Umberto Eco.

Ben Pastor fa partire la sua storia dal mandato di Diocleziano ad Elio di indagare sul vero modo in cui morì Antinoo, l’amante dell’imperatore Adriano. Morte che avvenne nel 130 d.C. in Egitto. Morte per annegamento, ma non si sapeva, né lo si sa ora, le modalità. Fatto sta che Adriano, colpito duramente negli affetti, deifica Antinoo, dedicandogli una città in Egitto (Antinopoli), nonché una serie pressoché infinita di monumenti funerari.

Elio comincia ad indagare, scoprendo ben presto che tutta una serie di personaggi, che in qualche modo potevano portare informazioni, desunte da antichi testi, sugli avvenimenti da lui studiati, muoiono come mosche. Oltre a rappresentare, qui certo con capacità, la vita ai bordi del Nilo, Pastor ci porta anche nel mondo di Elio, restituendocene una biografia a tappe: nato in quella che potrebbe essere l’attuale Serbia, il 24 novembre 274 (e quindi 1725 anni esatti prima di Francesco), per poi crescere più a Nord, probabilmente nell’attuale Slovenia. Figlio di soldati, diventa soldato egli stesso, facendo una buona carriera. Combatte la ribellione in Egitto del 296, poi partecipa alle guerre in Armenia. Infine, dal 304 è incaricato da Diocleziano di varie incombenze, che lo portano ad approfondire la sua capacità naturale verso la Storia.

Qui, per l’appunto, viene a conoscenza di possibili documenti segreti, nascosti nella tomba di Antinoo. Peccato che non si sappia dove sia. Fatto sta, che Elio seguendone le tracce, si ritrova a Roma, schiacciato da ulteriori morti, spesso lui stesso in pericolo e con due minacce e/o aiuti che lo circondano. Da un lato c’è Aviola Parato, agente segreto un tempo, ora cieco, che conosce molte trame e molte persone. Dall’altro Baruch, un ebreo che lottò contro Elio nella ribellione citata, e che, sconfitto, si ritira nel commercio, per mantenendo notevoli contatti in campo politico.

Entrambi passano spesso, o così a me sembra, da un lato all’altro della barricata. Ma più che capire chi sia il vero cattivo, quello che preme a Pastor di far saltar fuori è una cospirazione, nata ben prima di Adriano nei ranghi del potere romano, tesa a minarne le forze. O, meglio, ad orientare i favori verso particolari ceti sociali e commerciali. Elio riuscirà a trovarne il bandolo, anche se, come tutte le cospirazioni, forse solo elementi superficiali verranno trovati ed eliminati. Comunque, un bel guazzabuglio politico-economico.

Seppur piacevole in alcune descrizioni della Roma dell’epoca, il testo prosegue molto a scatti, con alcune buone accelerazioni, ma con altrettante frenate, che forse sono in maggior numero. Pastor è documentata al massimo (non ci stupisce) e ricostruisce anche brani di scrittura con piglio da latinista dotta (d’altra parte è pur laureato in Archeologia alla Sapienza!). Tuttavia, la storia non decolla mai abbastanza, e l’usuale lunghezza della scrittrice non ne facilita una lettura piacevolmente distensiva. Al momento, quindi, non prevedo di andare avanti in questo filone, pur ringraziando sentitamente chi me lo ha fatto leggere.

Forse non è nelle mie corde, ma è stato fonte di spunti e di ricerche interessanti nelle varie piattaforme in rete.

Martin Cruz Smith “Le tre stazioni” Mondadori euro 7,90

[A: 10/09/2020 – I: 18/10/2023 – T: 19/10/2023] - & e ½ 

[tit. or.: Three Stations; ling. or.: inglese; pagine: 302; anno 2010]

Arkady Renko07

Erano ben sei anni che non avevo modo di riprendere in mano letture di Cruz Smith dedicate al suo eroe di successo, il poliziotto Arkady Renko. Inoltre, dato che ad un certo punto mi è sembrato che la vena del nostro si sia un po’ esaurita, non ho controllato se arrivassero sulla mia scrivania in ordine oppure “a caso”. Infatti, dei nove libri della saga (o forse dieci, che pare ne sia uscito uno quest’anno), ne ho letti sei, sempre in ordine casuale. Ho cominciato con il terzo, poi il quarto e poi, finalmente il migliore, il primo, “Gorky Park”. Con un salto temporale di sei anni ho letto il quinto, sette anni dopo l’ottavo, ed ora questo settimo. Così che le storie a volte si intrecciano nella mente, andando avanti ed indietro nell’universo temporale di Renko.

Anche perché, se guardiamo le date, i dieci romanzi “sovietici” sono usciti nell’arco di circa quaranta anni. Dove tuttavia, pur invecchiando poco, il nostro mantiene una sua “piccola” coerenza interna. Figlio del generale stalinista Kiril Renko, sempre in rotta con il padre (che lo voleva nell’esercito), anche perché Arkady lo incolpa del suicidio della madre (avvenuto con modalità analoghe a quelle di Virginia Wolf), pure nelle ultime vicende dove anche il generale è morto. Corretto ed incorruttibile, inizia investigando su crimini eccellenti, che, ovviamente, coinvolgono le alte sfere. Motivo per cui, ben presto, si trova ai margini della vita poliziesca, aiutato forse solo dal suo sottoposto, il sergente Viktor Orlov. Le sue avventure, inizialmente solo moscovite, spaziano poi sia per la Russia che per altri luoghi anche occidentali. Dove tuttavia non trova differenze. Forse solo nella mancanza, all’Ovest, di quella che in Russia viene etichettata come “patoeterodossia”. Malattia che per il KGB colpisce Arkady, impedendogli di diventare un buon cittadino sovietico e necessitando, per la cura, come verso altre forme di dissidenza, una forzata somministrazione di farmaci psicotropi.

Comunque, Arkady Renko, nonostante il suo carattere difficile, dimostra sia compassione che fiducia nel futuro. Inoltre ha un vero talento investigativo. Altro dato costante: si innamora sempre di donne non sempre adatte a lui, e spesso le perde. All’inizio di innamora di Irina, la sposa, ma poi lei muore per un errore medico, evento che Arkady supererà con difficoltà. Sarà nel libro ambientato in Ucraina dove farà altre conoscenze importanti. La dottoressa Kazka che diventerà suo amante, sua coinquilina, per poi lasciarlo per andare a curare malati in Africa. Ed il giovane Zhenya, senza parenti, che Arkady in un certo senso prenderà in affido, anche se non ufficialmente. Zhenya che a me risulta forse più simpatico, con i suoi scacchi e la sua vita un po’ ai margini.

Venendo a questo libro, che credo sia uno dei peggio riusciti della serie, l’unico punto interessante è il titolo che si riferisce alla piazza Komsomolskaya, chiamata piazza delle tre stazioni, in quanto vi afferiscono tre stazioni ferroviarie di Mosca, le stazioni Leningradsky, Kazanskyj e Yaroslavskiy. In questo grande dedalo arriva la giovane Maya cui viene rapita la figlia Katya, vi si aggira Zhenya che incontra Maya e cerca di aiutarla, e viene trovata una donna uccisa, denudata nella parte inferiore. Casualmente, è Orlov, il vice di Arkady, che prende la chiamata, ed insieme cominciano le indagini. Anche se il nostro dovrebbe essere sospeso, in quanto da tempo in lite con tutti i superiori.

Mentre la ricerca di Katya procede, senza tanti sbalzi, ma con dei salti logici ingiustificati (i rapitori la vendono ad una coppia senza figli, che poi decide di non volerla, la abbandona sempre nella stessa stazione, dove una ragazza che ha ucciso il padre e vive lì con il suo cane la prende in custodia, e poi tanti altri passaggi come questi la cui consequenzialità è da dimostrare), Arkady procede la sua indagini. Tramite un biglietto di ingresso, si intrufola in un club di miliardari russi (nonché mafiosi), dove viene aiutato dalla sua vicina, la giornalista Anya (con cui ovviamente prima o poi andrà a letto, ma senza futuro, visto che nel romanzo seguente, che ho già letto, non compare).

Attraverso Anya conosce Sasha, un riccone in via di fallimento che organizza truffe gigantesche per rimediare rubli e prestigio. Nel coacervo di situazioni intrecciate vediamo coinvolti nani ladruncoli, ballerine in cerca di fortuna, ballerini gay con madri insopportabili, teppisti vari, tagiki che commerciano droga e tante altre piccole cose. Il problema è che ogni tanto, la prosa di Martin passa da un punto all’altro del racconto, senza una consequenzialità vera, quasi che i traduttori abbiano deciso di saltare delle pagine.

Così alla fine (e lo sappiamo dal libro seguente) Arkady (e Orlov) rimarranno ai loro posti dopo aver risolto brillantemente il caso. Tanto brillantemente che il lettore non capisce realmente chi ha fatto cosa. L’unica cosa chiara è che (anche qui senza ragioni apparenti), Maya ne uscirà vincitrice.

Tutto porta quindi ad un’evidente insoddisfazione nella lettura e nei confronti di Arkady che non pare più il brillante investigatore di quaranta anni fa. Chissà se è invecchiato lui, noi o l’autore. Vedremo di riprendere il discorso al prossimo libro.

Martin Cruz Smith “L’enigma siberiano” Repubblica Brivido Noir 15 euro 8,90

[A: 09/09/2020 – I: 01/11/2023 – T: 02/11/2023] - && --- 

[tit. or.: The Siberian Dilemma; ling. or.: inglese; pagine: 266; anno 2019]

Arkady Renko09

Ovvio che dopo salti di anni, capiti che in quindici giorni mi trovi a commentare le avventure di Arkady Renko, della polizia sovietica e degli avvenimenti nella grande Russia. Tra l’altro, come accennato nel precedente, con un piccolo salto. Il poco interessante “Tre stazioni” era il settimo episodio, questo è il nono. Nel mezzo, un libro che ho letto sei anna fa, intitolato Tatiana e che si lega strettamente a questo.

Infatti, per molta parte del romanzo, Arkady è in cerca di Tatiana, e per un altro bel pezzo si cerca di capire, realmente, quale sia il rapporto tra il poliziotto e la giornalista. Ma cerchiamo, se possibile, di andare con ordine, confermando da un lato la scrittura senza troppi fronzoli di Martin, dall’altro un po’ di stanchezza nella trama, che offre pochi spunti di interesse.

Intanto, la scrittura si colloca nel ’17, motivo per cui, se si parla di Russia, non si può che affrontare un tema “politico”: la dittatura di Putin ed il ruolo degli oligarchi sovietici. Ovvio che, per non avere problemi di censura, pur criticando Putin (e Arkady è sempre stato uomo delle opposizioni al potere), né Cruz Smith né Renko si possono esporre troppo. Ma ci sono frecciate sul sistema di potere putiniano, unito al suo ferreo controllo delle gerarchie militari e poliziesche. Motivo per cui, Arkady non può che continuare ad avere problemi.

Dall’altra c’è l’accenno agli oligarchi. Che, se non conoscete l’etimo del termine, sono personaggi russi che, a partire dai primi anni ’90, hanno accumulato soldi e potere. In genere, sono allineati a Putin e lo sostengono, anche se, marginalmente, qualcuno tenta di opporsi, probabilmente per porre sé stesso ai ruoli di comando piuttosto che per reintrodurre la democrazia nel Paese. Forse la mia è una visione pessimistica, ma di certo non molto lontana dal vero.

C’è il solito versante più privato delle storie seriali, anche se qui sono ridotte all’osso. Che Tatiana fa anche parte della vena principale, ed il suo secondo, Viktor Orlov, comunica con Arkady solo per via telefonica, magari per coinvolgerlo in alcune vicende del bioparco gestito dalla sorella, che sono messe lì un po’ a “muzzo”. Rimane Zhenya, che compare poco, solo per qualche partita a scacchi, per intavolare un rapporto con una nuova ragazza, visto che primo è un po’ farfallone, secondo Lotte con cui sembrava avere un rapporto sparisce insalutata ospite, e per cominciare una relazione con tal Sosi (che per ora neanche consideriamo visto che potrebbe sparire già dalla prossima avventura).

La vicenda gialla, invece, si trascina stancamente. Tatiana va in Siberia (a Irkutsk) per fare un articolo su tal Mikhail Kuznetsov, un oligarca arricchitosi con il petrolio e che vorrebbe presentarsi alle elezioni sfidando il grande Putin. Poiché sembra scomparsa, e poiché Arkady si fa incastrare dal suo superiore, vediamo il nostro volare in Siberia verso la sponda sinistra del mitico lago Bajkal per capire se Tatiana è in pericolo, per arrestare un ceceno (la cui vicenda ci importa come il due di bastoni) e per farci entrare nel mondo delle faide tra miliardari.

Che lì, l’altro gallo del pollaio è il miliardario Boris Benz, apparentemente sodale di Mikhail, ma forse solo nello sfruttamento dei giacimenti petroliferi che contornano il lago. Scaramucce varie, e poi caccia all’orso, organizzata nei dintorni dei pozzi da parte di Boris, in una regione dove di notte già si scende a 40 gradi sottozero. Ovvio che alla caccia, oltre a Boris, partecipano Tatiana e Arkady, quest’ultimo con i ricordi del padre generale e cacciatore. Saranno i consigli memorizzati del padre che permetteranno ad Arkady di sopravvivere, seppur malconcio, ad un assalto del pachiderma.

Nel frattempo, dei pozzi di Boris erano stati sabotati, ed è per capirne qualcosa che Boris organizza la spedizione. Che finisce male per lui, e rischia di finire male anche per i nostri, se non fossero salvati, prima con tecnologie poi con interventi sciamanici, da un buriato anche lui un po’ di contorno ed un po’ di folklore. Qui poi ricompare il capo di Arkady, con una proposta che poi è il dilemma del titolo (e ci torneremo). O Arkady uccide Kuznetsov che a) è un nemico di Putin e b) ha probabilmente organizzato l’omicidio di Boris, o lui uccide Zhenya che ha preso in ostaggio. Un dilemma che solo le fine arti di Arkady riusciranno a risolvere con buona pace di (quasi) tutti i cattivi.

Veniamo a qualche spigolatura di contorno. Intanto ho apprezzato la gita siberiana, in particolare per il lago Bajkal che, se non lo sapete, è lungo 636 chilometri e profondo sino a più di 1500 metri, risultando quindi il lago con maggior volume d’acqua al mondo. Secondo, la giurisdizione del lago è divisa tra la provincia di Irkutsk, e ci sta, ed una delle meno note repubbliche sovietiche, la Buriazia, da dove proviene appunto il buriato che salva Arkady.

Infine, in maniera un po’ capziosa, tutto il “giallo” del romanzo non è, come dice il titolo italiano, un intrigo, ma, come dice il titolo inglese, un dilemma. Che vi ripropongo in termini spero semplici.

Un uomo cammina sopra i ghiacci del lago nel periodo invernale, quando questo cede e lui si trova immerso nell’acqua. Il dilemma è: se in quattro minuti non ti tirano fuori, sei morto, ma se ti tirano fuori, nell’aria ghiacciata, sei morto comunque in due minuti. Che soluzione adottare al dilemma? Martin non ci aiuta molto, spero che voi ci riflettiate meglio.

Simone Buchholz “Uomini in gabbia” Repubblica Brivido Noir 33 euro 8,90

[A: 14/01/2021 – I: 08/12/2023 – T: 10/12/2023] - & 

[tit. or.: Beton Rouge; ling. or.: tedesco; pagine: 234; anno 2017]

Una seconda lettura della scrittrice tedesca veramente deludente.

Intanto non ho compreso il titolo tedesco, che non viene ripreso nel testo, e non mi rimanda a nulla a me noto. Non è il nome di qualche locale citato, l’eventuale calcestruzzo (beton) non mi risuona nel corso del romanzo. Potrebbe far cenno a qualche “tedescheria” ma che non sono riuscito a decifrare. Il titolo italiano è di certo più aderente al testo, anche se fuorviante. Non si tratta di persone che tentano ribellioni, dal facile assunto che se qualcuno è ingabbiato tende a ribellarsi. Infatti si tratta proprio di uomini che, per qualche motivo che si scoprirà nel corso del testo, vengono rinchiusi in una gabbia ed esposti al pubblico ludibrio.

L’altro motivo è legato alla serialità delle avventure della protagonista, il procuratore Chastity “Chas” Riley, di cui questo è il settimo episodio. Avevo letto anni fa il primo, e, con tutti i distinguo di una giallo non sempre ben finalizzato, mi era sembrato quanto meno leggibile. I cinque libri che intercorrono tra le mie letture hanno di certo affinato le mosse e le personalità dei maggiori protagonisti, ma io, cercando di svuotare la mente, e seguendo solo questo come fosse un libro a sé, di sicuro non ne capisco l’evoluzione e le motivazioni.

Chas è figlio di un americano e di una tedesca, madre che però abbandona ben presto la famiglia, lasciando il marito a gestire il ménage ed a crescere la figlia. Cosa che avviene più o meno degnamente, tanto che Chas raggiunge una decente posizione lavorativa, lasciandole però qualche bisogno affettivo e relazionale che qui si palesano fortemente.

Nel primo episodio c’era Faller, il capo di Chas, che equilibrava le situazioni, quasi fosse un buon punto fermo, una boa cui ancorarsi. Qui è penso in vacanza in Spagna, ogni tanto interviene da lontano, ma non se ne apprezzano i motivi, né perché Chas a lui si appoggi molto. Lì c’era Carla, l’amica del cuore di Chas, che ora ritroviamo far coppia fissa con Rocco, anche se è una relazione che si sta esaurendo (e che forse si è evoluta nelle precedenti puntate). Tuttavia Simone non riesce a farcene apprezzare le modalità di cambiamento. Come in modo analogo i rapporti tra Chas e Sberla che nel primo episodio accennavano ad un avvicinamento.

Ora sembrano anche loro sul punto di rottura. Sberla dirige anche un locale (il Blu Notte, che è anche il titolo del sesto episodio, dove probabilmente si capisce i motivi della gestione di Sberla). Fatto sta che ci sono comportamenti tra i due che vengono buttati là come se noi si dovesse capirli ed invece rimangono oscuri (perché è importante una giacca lasciata su una sedia, o perché non viene accettata una birra offerta).

L’unico elemento un po’ vivo è la presenza di Ivo, che non risulta essere alla prima apparizione, un poliziotto molto al limite, che però sembra l’unica cosa veramente viva in tutto il testo, e che alla fine segna un avvicinamento tra lui e Chas che potrebbe portare, nei futuri episodi, a sviluppi nuovi e, forse, inaspettati. Mentre qui, l’unica cosa che si rimarca è la costante propensione all’alcol di Chas, sempre più pesante, e, apparentemente, immotivata. Cui Ivo si unisce, portando in dote anche qualche canna.

Mentre la trama “noir” non decolla. Ci sono due manager di buon livello che vengono messi alla berlina, nudi e con piccoli segni di tortura, di fronte alle loro aziende. Quando si scopre che i due non solo avevano fatto il collegio insieme, ma vivevano nella stessa camerata, insieme ad un terzo grande manager e ad un “capro espiatorio”, si intuisce qualcosa. Alle indagini di Chas e Ivo si aggiunge il fatto che il terzo manager è anche accusato di omicidio stradale nei confronti di una giovane ciclista. Vogliamo anche dire che il malcapitato in collegio aveva un solo amico a sostenerlo?

Insomma, tanto contorno ma nessuna pietanza forte. Si scivola via, pagina dopo pagina, senza essere presi dalla trama, vedendo tutto andare nelle caselle giuste. Anche se non nella vita privata dei protagonisti. Poi Simone accelera in un finale in cui si capisce chi muore, ma non perché né per mano di chi. Una piccola delusione per la gestione di un “krimi” (termine tedesco per “giallo”) che poteva potenzialmente arrivare a miglior fortuna.

Tra l’altro, ci sono pagine corsivate di poca utilità per la comprensione globale, visto che non si sa chi stia parlando in soggettiva. Ed ogni capitolo (spesso breve) ha un titolo che fa parte della narrativa del punto della trama in cui si è arrivati. Ma ad un certo punto, tra un indagine e l’altra, c’è il seguente microcapitolo:

“ADESSO il nostro sole / è uno sghembo bidone ammaccato / in cui arde un mobiletto ritrovato.” Inutile e incomprensibile.

Per rimanere in temi polizieschi o quasi, questa settimana vi dedico tre citazioni del mio amatissimo scrittore islandese Arnaldur Indriðason. Perché mi piace sempre leggerne e magari affinché sia un viatico per quasi vicini viaggi (vicini all’autore non al tempo). Nel quarto episodio del commissario Erlendur “La signora in verde” ci ammonisce: “Il tempo … non risana alcuna ferita” (60).

Mentre nel sesto, “La voce”, il commissario riflette sul rapporto con sé: “So cosa si prova a non sopportare più se stessi … è una sensazione che non ci togliamo mai di dosso. Ce ne possiamo liberare per un po’, ma poi quella torna sempre” (177), ma soprattutto sulle motivazioni delle nostre inamovibilità caratteriali: “Quando uno prende una posizione, poi non fa niente per cambiarla. Perché non vuole, credo. E il tempo passa, gli anni passano, finché poi si dimentica la sensazione, il motivo che aveva scatenato tutto quanto, e io ho dimenticato, di proposito o meno, le occasioni che avrei avuto per rimediare a quanto era andato storto, e poi a un tratto è stato troppo tardi” (237).

E come dicevo la volta scorsa, già si comincia ad organizzare il prossimo viaggio, e si continua a leggere il prossimo libro, e si fanno gli auguri a tutti (tanti?) amici e parenti che compiono gli anni in questo primo mese del ’24. Anche se fa freschino (non freddo, però) un abbraccio caldo vi travolgerà.

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