John Grisham “Theodore Boone –
L’accusato” Mondadori euro 13 (in realtà, scontato a 11,05 euro)
[A: 10/03/2020 – I: 22/04/2023 – T: 23/04/2023] - &&
[tit. or.: Theodore Boone. The Accused;
ling. or.: inglese; pagine: 262; anno 2012]
Ogni
tanto torno sui “juvenilia” di Grisham, che non sono forse eccezionali, ma
servono come dire a stemperare altre e più impegnative letture. Anche perché,
nella sua semplicità, generalmente l’autore riesce ad inserire qualche elemento
di curiosità, di interesse, quando non di attività legali, a volta poco
consuete in Italia.
Per
non perdere il pubblico dei giovin lettori, Grisham cerca di non perdersi pezzi
dei romanzi già pubblicati, che si sa, oltre ai seriali, i giovani spesso hanno
anche bisogno di qualche raccordo. Purtroppo, rispetto alle prime due uscite,
lo spunto del romanzo, “l’accusa” di cui nel titolo, non è così avvincente, e
la sua soluzione non ci porta nuovi elementi.
Andiamo
a recuperare intanto due informazioni. Il mondo di Theo e le avventure
precedenti. Teho è un ragazzo di tredici anni, figlio di due avvocati, lei
divorzisti, lui immobiliarista, con un unico zio, Ike, ex-avvocato radiato
dall’albo per qualche colpa non ancora divulgata, ma che funge da “spalla
maggiore” al piccolo Theo. Nelle prime due puntate abbiamo visto Theo
adoperarsi per trovare testimoni che incastrino il cattivo Pete Duffy come
assassino della moglie e come si adoperi per ritrovare la sua amica April,
immotivatamente scomparsa. April che rimane il suo punto forte, ma che ancora
non sviluppa nulla di serio, essendo i ragazzi ancora in troppo giovane età.
Qui
sembrava che si volesse collegare subito al primo romanzo, iniziando con il
nuovo processo a Duffy, che però fugge, e viene dimenticato per circa 190
pagine, forse aspettando un nuovo romanzo per portarne a compimento il
processo. Come detto, April c’è, ma solo in un cammeo. Inoltre, anche questa
una costante di questi romanzi, c’è un intermezzo dedicato al “Tribunale degli
animali”, un assise in cui vengono discussi casi problematici legati ad animali
e dove Theo, pur adolescente, può indossare i panni della difesa “animalista”
(ma non a oltranza).
Eliminiamo
subito il cammeo degli animali, dove Theo difende un lama accusato di sputare
ad un poliziotto corpulento. Ora, tutti sappiamo (e chi è stato in Perù ne ha
avuto esperienza) che i lama sputano, ed in genere se provocati o minacciati.
Il nostro lama non si esime, rivolgendo la sua saliva ad un massiccio ed assai
antipatico guardiano. Invertite, come da suggerimento di Theo, le rotte dei
guardiani il caso si risolve, e ve ne lascio leggere per “divertissement” senza
altri commenti.
Il
nocciolo duro del romanzo, invece, deriva da quanto promesso nel titolo. Theo
viene “accusato” di aver organizzato e partecipato alla rapina in un locale di
elettronica, trafugando cellulari e tablet. Fin dall’inizio sappiamo che si
appropinqua qualcosa di losco, che a Theo viene rubato il berretto della sua
squadra di baseball, e viene a lungo bersagliato da forature intenzionali delle
ruote della sua bicicletta.
Quando
poi il berretto viene ritrovato sulla scena del crimine ed alcuni tablet
vengono rinvenuti nell’armadietto scolastico di Theo, la sua posizione diventa
veramente pericolante. Bersagliato da “hater” sui social, e fatto segno di
dileggio a scuola, Theo non riesce a trovare bandoli per questa intricata
matassa. Sarà una brillante idea di Ike a fornire il primo filo, seguendo il
quale tutti gli altri fili vengono annodati insieme, riuscendo alla fine, con
l’aiuto di Ike, di April e di molti suoi compagni di scuola, la vicenda viene
acclarata, spiegata ed alla fine (ma questo è già implicito nella serialità del
tutto) Theo può tornare nella sua posizione di avvocato in fieri, senza macchie
sul suo curriculum.
Pur
nella sua brevità, ed in parte anche nella mancanza di reali approfondimenti,
Grisham riesce a toccare alcuni punti interessanti. Di certo, il valore
dell’amicizia, ed in secondo ordine la necessità di impegnarsi in quello in cui
si crede. Impegno che va sempre profuso, qui con buoni risultati, mentre nella
vita non sempre succede, ma non ne avrete mai una delusione interiore. Dal
punto di vista delle esortazioni per i ragazzi cui è dedicato il libro, di
certo, c’è il messaggio che il crimine non paga (ma noi lo pensiamo… o forse
non paga se non viene punito…). Infine, c’è un messaggio attuale, pur se di
dieci anni fa: una piccola tirata morale contro il cyberbullismo e l’uso
distorto delle informazioni. Il modo in cui Theo viene messo alla gogna senza
prova deve essere allora come ora di monito a tutti, non solo ai ragazzi.
Per
il resto, la famiglia “Mulino Bianco” Boone rimane un po’ troppo sdolcinata, ma
ci sta nell’economia della serie e del romanzo. Anche se nuove puntate, per
ora, non compariranno nella mia libreria.
Ben Pastor “Il ladro d’acqua” Mondadori
s.p. (Regalo di Anto&Paolo)
[A: 07/05/2023 – I: 02/06/2023 – T: 05/06/2023] - && ----
[tit. or.: The Water Thief; ling. or.: inglese; pagine: 467; anno 2006]
Ero curioso di leggere qualche libro
di Maria Verbena Volpi diverso dalla serie, da me molto amata, di Martin Bora.
Ho accolto quindi con gradimento la proposta compleannica degli amici
lavoro-marini. Anche perché avevo in mente di capire non solo il gradimento di
questa seconda serie, ma anche di vedere il rapporto di consonanza con la lunga
serie, quella sì completamente italica, di Danila Comastri Montanari.
Ora, è pur vero che dell’esimia
bolognese ho tutti e 19 i libri che vedono protagonista Publio Aurelio
Stazio, senatore ai tempi dell’imperatore Claudio, tanto che per l’appunto le
sue vicende si collocano a partire dal 42 d.C. Ma l’epopea del senatore ha una
media ben più alta di quest’unico libro della nostra italo-americana.
Ripeto di Verbena (Ben) Volpi Pastor ho
letto, e gustato, tutta la saga fin qui pubblicata dell’ufficiale Martin von
Bora, pur con i suoi alti e bassi. Qui ho affrontato invece il primo dei sei
volumi dedicati ad Elio Sparziano, che, come costume della nostra autrice, è un
misto di realtà e di finzione. Con forse un tocco in più di inventiva.
Risulta infatti, che un Elio Sparziano,
storico, possa essere esistito, e viene ricordato come autore di una “Historia
Augusta”, un trattato che narra la vita degli imperatori romani da Adriano
(circa 115 d.C.) sino alla salita al potere di Diocleziano (circa 285 d.C.).
Non entro certo qui nella diatriba storica su Elio, che molti ritengono essere
un “nome collettivo” di diversi autori, altri uno scrittore che tratta degli
imperatori, magari celandosi sotto altri nominativi. Io mi rifaccio all’uso che
ne fa Ben, quindi avendo un Elio pseudo-storico, di cui ci si inventa una
biografia, e che si fa intervenire nel 304 d.C., in piena era di Diocleziano
(che abdicherà l’anno seguente), con il mandato dell’imperatore di cominciare a
scrivere la storia dell’Impero proprio a partire da Adriano. Mi piace soltanto
ricordare che il nostro Elio viene citato, come autore di una “Vita di
Adriano”, da Guglielmo da Baskerville ne “Il nome della rosa” di Umberto Eco.
Ben Pastor fa partire la sua storia dal
mandato di Diocleziano ad Elio di indagare sul vero modo in cui morì Antinoo,
l’amante dell’imperatore Adriano. Morte che avvenne nel 130 d.C. in Egitto.
Morte per annegamento, ma non si sapeva, né lo si sa ora, le modalità. Fatto
sta che Adriano, colpito duramente negli affetti, deifica Antinoo, dedicandogli
una città in Egitto (Antinopoli), nonché una serie pressoché infinita di
monumenti funerari.
Elio comincia ad indagare, scoprendo ben
presto che tutta una serie di personaggi, che in qualche modo potevano portare
informazioni, desunte da antichi testi, sugli avvenimenti da lui studiati,
muoiono come mosche. Oltre a rappresentare, qui certo con capacità, la vita ai
bordi del Nilo, Pastor ci porta anche nel mondo di Elio, restituendocene una
biografia a tappe: nato in quella che potrebbe essere l’attuale Serbia, il 24
novembre 274 (e quindi 1725 anni esatti prima di Francesco), per poi crescere più
a Nord, probabilmente nell’attuale Slovenia. Figlio di soldati, diventa soldato
egli stesso, facendo una buona carriera. Combatte la ribellione in Egitto del
296, poi partecipa alle guerre in Armenia. Infine, dal 304 è incaricato da
Diocleziano di varie incombenze, che lo portano ad approfondire la sua capacità
naturale verso la Storia.
Qui, per l’appunto, viene a conoscenza di
possibili documenti segreti, nascosti nella tomba di Antinoo. Peccato che non
si sappia dove sia. Fatto sta, che Elio seguendone le tracce, si ritrova a
Roma, schiacciato da ulteriori morti, spesso lui stesso in pericolo e con due
minacce e/o aiuti che lo circondano. Da un lato c’è Aviola Parato, agente
segreto un tempo, ora cieco, che conosce molte trame e molte persone.
Dall’altro Baruch, un ebreo che lottò contro Elio nella ribellione citata, e
che, sconfitto, si ritira nel commercio, per mantenendo notevoli contatti in
campo politico.
Entrambi passano spesso, o così a me sembra,
da un lato all’altro della barricata. Ma più che capire chi sia il vero
cattivo, quello che preme a Pastor di far saltar fuori è una cospirazione, nata
ben prima di Adriano nei ranghi del potere romano, tesa a minarne le forze. O,
meglio, ad orientare i favori verso particolari ceti sociali e commerciali.
Elio riuscirà a trovarne il bandolo, anche se, come tutte le cospirazioni,
forse solo elementi superficiali verranno trovati ed eliminati. Comunque, un
bel guazzabuglio politico-economico.
Seppur piacevole in alcune descrizioni della
Roma dell’epoca, il testo prosegue molto a scatti, con alcune buone
accelerazioni, ma con altrettante frenate, che forse sono in maggior numero.
Pastor è documentata al massimo (non ci stupisce) e ricostruisce anche brani di
scrittura con piglio da latinista dotta (d’altra parte è pur laureato in
Archeologia alla Sapienza!). Tuttavia, la storia non decolla mai abbastanza, e
l’usuale lunghezza della scrittrice non ne facilita una lettura piacevolmente
distensiva. Al momento, quindi, non prevedo di andare avanti in questo filone,
pur ringraziando sentitamente chi me lo ha fatto leggere.
Forse non è nelle mie corde, ma è stato
fonte di spunti e di ricerche interessanti nelle varie piattaforme in rete.
Martin Cruz Smith “Le tre stazioni”
Mondadori euro 7,90
[A: 10/09/2020 – I: 18/10/2023 – T: 19/10/2023] - & e ½
[tit. or.: Three Stations; ling. or.: inglese; pagine: 302; anno 2010]
Arkady Renko07
Erano
ben sei anni che non avevo modo di riprendere in mano letture di Cruz Smith
dedicate al suo eroe di successo, il poliziotto Arkady Renko. Inoltre, dato che
ad un certo punto mi è sembrato che la vena del nostro si sia un po’ esaurita,
non ho controllato se arrivassero sulla mia scrivania in ordine oppure “a
caso”. Infatti, dei nove libri della saga (o forse dieci, che pare ne sia
uscito uno quest’anno), ne ho letti sei, sempre in ordine casuale. Ho
cominciato con il terzo, poi il quarto e poi, finalmente il migliore, il primo,
“Gorky Park”. Con un salto temporale di sei anni ho letto il quinto, sette anni
dopo l’ottavo, ed ora questo settimo. Così che le storie a volte si intrecciano
nella mente, andando avanti ed indietro nell’universo temporale di Renko.
Anche
perché, se guardiamo le date, i dieci romanzi “sovietici” sono usciti nell’arco
di circa quaranta anni. Dove tuttavia, pur invecchiando poco, il nostro
mantiene una sua “piccola” coerenza interna. Figlio del generale stalinista
Kiril Renko, sempre in rotta con il padre (che lo voleva nell’esercito), anche
perché Arkady lo incolpa del suicidio della madre (avvenuto con modalità
analoghe a quelle di Virginia Wolf), pure nelle ultime vicende dove anche il
generale è morto. Corretto ed incorruttibile, inizia investigando su crimini
eccellenti, che, ovviamente, coinvolgono le alte sfere. Motivo per cui, ben
presto, si trova ai margini della vita poliziesca, aiutato forse solo dal suo
sottoposto, il sergente Viktor Orlov. Le sue avventure, inizialmente solo
moscovite, spaziano poi sia per la Russia che per altri luoghi anche
occidentali. Dove tuttavia non trova differenze. Forse solo nella mancanza,
all’Ovest, di quella che in Russia viene etichettata come “patoeterodossia”.
Malattia che per il KGB colpisce Arkady, impedendogli di diventare un buon
cittadino sovietico e necessitando, per la cura, come verso altre forme di
dissidenza, una forzata somministrazione di farmaci psicotropi.
Comunque,
Arkady Renko, nonostante il suo carattere difficile, dimostra sia compassione
che fiducia nel futuro. Inoltre ha un vero talento investigativo. Altro dato
costante: si innamora sempre di donne non sempre adatte a lui, e spesso le
perde. All’inizio di innamora di Irina, la sposa, ma poi lei muore per un
errore medico, evento che Arkady supererà con difficoltà. Sarà nel libro
ambientato in Ucraina dove farà altre conoscenze importanti. La dottoressa
Kazka che diventerà suo amante, sua coinquilina, per poi lasciarlo per andare a
curare malati in Africa. Ed il giovane Zhenya, senza parenti, che Arkady in un
certo senso prenderà in affido, anche se non ufficialmente. Zhenya che a me
risulta forse più simpatico, con i suoi scacchi e la sua vita un po’ ai
margini.
Venendo
a questo libro, che credo sia uno dei peggio riusciti della serie, l’unico
punto interessante è il titolo che si riferisce alla piazza Komsomolskaya,
chiamata piazza delle tre stazioni, in quanto vi afferiscono tre stazioni
ferroviarie di Mosca, le stazioni Leningradsky, Kazanskyj e Yaroslavskiy. In
questo grande dedalo arriva la giovane Maya cui viene rapita la figlia Katya,
vi si aggira Zhenya che incontra Maya e cerca di aiutarla, e viene trovata una
donna uccisa, denudata nella parte inferiore. Casualmente, è Orlov, il vice di
Arkady, che prende la chiamata, ed insieme cominciano le indagini. Anche se il
nostro dovrebbe essere sospeso, in quanto da tempo in lite con tutti i
superiori.
Mentre
la ricerca di Katya procede, senza tanti sbalzi, ma con dei salti logici
ingiustificati (i rapitori la vendono ad una coppia senza figli, che poi decide
di non volerla, la abbandona sempre nella stessa stazione, dove una ragazza che
ha ucciso il padre e vive lì con il suo cane la prende in custodia, e poi tanti
altri passaggi come questi la cui consequenzialità è da dimostrare), Arkady
procede la sua indagini. Tramite un biglietto di ingresso, si intrufola in un
club di miliardari russi (nonché mafiosi), dove viene aiutato dalla sua vicina,
la giornalista Anya (con cui ovviamente prima o poi andrà a letto, ma senza
futuro, visto che nel romanzo seguente, che ho già letto, non compare).
Attraverso
Anya conosce Sasha, un riccone in via di fallimento che organizza truffe
gigantesche per rimediare rubli e prestigio. Nel coacervo di situazioni
intrecciate vediamo coinvolti nani ladruncoli, ballerine in cerca di fortuna,
ballerini gay con madri insopportabili, teppisti vari, tagiki che commerciano
droga e tante altre piccole cose. Il problema è che ogni tanto, la prosa di
Martin passa da un punto all’altro del racconto, senza una consequenzialità
vera, quasi che i traduttori abbiano deciso di saltare delle pagine.
Così
alla fine (e lo sappiamo dal libro seguente) Arkady (e Orlov) rimarranno ai
loro posti dopo aver risolto brillantemente il caso. Tanto brillantemente che
il lettore non capisce realmente chi ha fatto cosa. L’unica cosa chiara è che
(anche qui senza ragioni apparenti), Maya ne uscirà vincitrice.
Tutto
porta quindi ad un’evidente insoddisfazione nella lettura e nei confronti di
Arkady che non pare più il brillante investigatore di quaranta anni fa. Chissà
se è invecchiato lui, noi o l’autore. Vedremo di riprendere il discorso al
prossimo libro.
Martin Cruz Smith “L’enigma siberiano” Repubblica
Brivido Noir 15 euro 8,90
[A: 09/09/2020 – I: 01/11/2023 – T:
02/11/2023] - &&
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[tit. or.: The Siberian Dilemma; ling. or.: inglese; pagine: 266;
anno 2019]
Arkady Renko09
Ovvio
che dopo salti di anni, capiti che in quindici giorni mi trovi a commentare le
avventure di Arkady Renko, della polizia sovietica e degli avvenimenti nella
grande Russia. Tra l’altro, come accennato nel precedente, con un piccolo
salto. Il poco interessante “Tre stazioni” era il settimo episodio, questo è il
nono. Nel mezzo, un libro che ho letto sei anna fa, intitolato Tatiana e che si
lega strettamente a questo.
Infatti,
per molta parte del romanzo, Arkady è in cerca di Tatiana, e per un altro bel
pezzo si cerca di capire, realmente, quale sia il rapporto tra il poliziotto e
la giornalista. Ma cerchiamo, se possibile, di andare con ordine, confermando
da un lato la scrittura senza troppi fronzoli di Martin, dall’altro un po’ di
stanchezza nella trama, che offre pochi spunti di interesse.
Intanto,
la scrittura si colloca nel ’17, motivo per cui, se si parla di Russia, non si
può che affrontare un tema “politico”: la dittatura di Putin ed il ruolo degli
oligarchi sovietici. Ovvio che, per non avere problemi di censura, pur
criticando Putin (e Arkady è sempre stato uomo delle opposizioni al potere), né
Cruz Smith né Renko si possono esporre troppo. Ma ci sono frecciate sul sistema
di potere putiniano, unito al suo ferreo controllo delle gerarchie militari e
poliziesche. Motivo per cui, Arkady non può che continuare ad avere problemi.
Dall’altra
c’è l’accenno agli oligarchi. Che, se non conoscete l’etimo del termine, sono
personaggi russi che, a partire dai primi anni ’90, hanno accumulato soldi e
potere. In genere, sono allineati a Putin e lo sostengono, anche se,
marginalmente, qualcuno tenta di opporsi, probabilmente per porre sé stesso ai
ruoli di comando piuttosto che per reintrodurre la democrazia nel Paese. Forse
la mia è una visione pessimistica, ma di certo non molto lontana dal vero.
C’è
il solito versante più privato delle storie seriali, anche se qui sono ridotte
all’osso. Che Tatiana fa anche parte della vena principale, ed il suo secondo,
Viktor Orlov, comunica con Arkady solo per via telefonica, magari per
coinvolgerlo in alcune vicende del bioparco gestito dalla sorella, che sono
messe lì un po’ a “muzzo”. Rimane Zhenya, che compare poco, solo per qualche
partita a scacchi, per intavolare un rapporto con una nuova ragazza, visto che
primo è un po’ farfallone, secondo Lotte con cui sembrava avere un rapporto
sparisce insalutata ospite, e per cominciare una relazione con tal Sosi (che
per ora neanche consideriamo visto che potrebbe sparire già dalla prossima
avventura).
La
vicenda gialla, invece, si trascina stancamente. Tatiana va in Siberia (a
Irkutsk) per fare un articolo su tal Mikhail Kuznetsov, un oligarca
arricchitosi con il petrolio e che vorrebbe presentarsi alle elezioni sfidando
il grande Putin. Poiché sembra scomparsa, e poiché Arkady si fa incastrare dal
suo superiore, vediamo il nostro volare in Siberia verso la sponda sinistra del
mitico lago Bajkal per capire se Tatiana è in pericolo, per arrestare un ceceno
(la cui vicenda ci importa come il due di bastoni) e per farci entrare nel
mondo delle faide tra miliardari.
Che
lì, l’altro gallo del pollaio è il miliardario Boris Benz, apparentemente
sodale di Mikhail, ma forse solo nello sfruttamento dei giacimenti petroliferi
che contornano il lago. Scaramucce varie, e poi caccia all’orso, organizzata
nei dintorni dei pozzi da parte di Boris, in una regione dove di notte già si
scende a 40 gradi sottozero. Ovvio che alla caccia, oltre a Boris, partecipano
Tatiana e Arkady, quest’ultimo con i ricordi del padre generale e cacciatore.
Saranno i consigli memorizzati del padre che permetteranno ad Arkady di
sopravvivere, seppur malconcio, ad un assalto del pachiderma.
Nel
frattempo, dei pozzi di Boris erano stati sabotati, ed è per capirne qualcosa
che Boris organizza la spedizione. Che finisce male per lui, e rischia di
finire male anche per i nostri, se non fossero salvati, prima con tecnologie
poi con interventi sciamanici, da un buriato anche lui un po’ di contorno ed un
po’ di folklore. Qui poi ricompare il capo di Arkady, con una proposta che poi
è il dilemma del titolo (e ci torneremo). O Arkady uccide Kuznetsov che a) è un
nemico di Putin e b) ha probabilmente organizzato l’omicidio di Boris, o lui
uccide Zhenya che ha preso in ostaggio. Un dilemma che solo le fine arti di
Arkady riusciranno a risolvere con buona pace di (quasi) tutti i cattivi.
Veniamo
a qualche spigolatura di contorno. Intanto ho apprezzato la gita siberiana, in
particolare per il lago Bajkal che, se non lo sapete, è lungo 636 chilometri e
profondo sino a più di 1500 metri, risultando quindi il lago con maggior volume
d’acqua al mondo. Secondo, la giurisdizione del lago è divisa tra la provincia
di Irkutsk, e ci sta, ed una delle meno note repubbliche sovietiche, la
Buriazia, da dove proviene appunto il buriato che salva Arkady.
Infine,
in maniera un po’ capziosa, tutto il “giallo” del romanzo non è, come dice il
titolo italiano, un intrigo, ma, come dice il titolo inglese, un dilemma. Che
vi ripropongo in termini spero semplici.
Un
uomo cammina sopra i ghiacci del lago nel periodo invernale, quando questo cede
e lui si trova immerso nell’acqua. Il dilemma è: se in quattro minuti non ti
tirano fuori, sei morto, ma se ti tirano fuori, nell’aria ghiacciata, sei morto
comunque in due minuti. Che soluzione adottare al dilemma? Martin non ci aiuta
molto, spero che voi ci riflettiate meglio.
Simone Buchholz “Uomini in gabbia”
Repubblica Brivido Noir 33 euro 8,90
[A: 14/01/2021 – I: 08/12/2023 – T: 10/12/2023] - &
[tit. or.: Beton Rouge; ling. or.: tedesco; pagine: 234; anno 2017]
Una
seconda lettura della scrittrice tedesca veramente deludente.
Intanto
non ho compreso il titolo tedesco, che non viene ripreso nel testo, e non mi
rimanda a nulla a me noto. Non è il nome di qualche locale citato, l’eventuale
calcestruzzo (beton) non mi risuona nel corso del romanzo. Potrebbe far cenno a
qualche “tedescheria” ma che non sono riuscito a decifrare. Il titolo italiano
è di certo più aderente al testo, anche se fuorviante. Non si tratta di persone
che tentano ribellioni, dal facile assunto che se qualcuno è ingabbiato tende a
ribellarsi. Infatti si tratta proprio di uomini che, per qualche motivo che si
scoprirà nel corso del testo, vengono rinchiusi in una gabbia ed esposti al
pubblico ludibrio.
L’altro
motivo è legato alla serialità delle avventure della protagonista, il
procuratore Chastity “Chas” Riley, di cui questo è il settimo episodio. Avevo
letto anni fa il primo, e, con tutti i distinguo di una giallo non sempre ben
finalizzato, mi era sembrato quanto meno leggibile. I cinque libri che
intercorrono tra le mie letture hanno di certo affinato le mosse e le
personalità dei maggiori protagonisti, ma io, cercando di svuotare la mente, e
seguendo solo questo come fosse un libro a sé, di sicuro non ne capisco
l’evoluzione e le motivazioni.
Chas
è figlio di un americano e di una tedesca, madre che però abbandona ben presto
la famiglia, lasciando il marito a gestire il ménage ed a crescere la figlia.
Cosa che avviene più o meno degnamente, tanto che Chas raggiunge una decente
posizione lavorativa, lasciandole però qualche bisogno affettivo e relazionale
che qui si palesano fortemente.
Nel
primo episodio c’era Faller, il capo di Chas, che equilibrava le situazioni,
quasi fosse un buon punto fermo, una boa cui ancorarsi. Qui è penso in vacanza
in Spagna, ogni tanto interviene da lontano, ma non se ne apprezzano i motivi,
né perché Chas a lui si appoggi molto. Lì c’era Carla, l’amica del cuore di
Chas, che ora ritroviamo far coppia fissa con Rocco, anche se è una relazione
che si sta esaurendo (e che forse si è evoluta nelle precedenti puntate).
Tuttavia Simone non riesce a farcene apprezzare le modalità di cambiamento.
Come in modo analogo i rapporti tra Chas e Sberla che nel primo episodio
accennavano ad un avvicinamento.
Ora
sembrano anche loro sul punto di rottura. Sberla dirige anche un locale (il Blu
Notte, che è anche il titolo del sesto episodio, dove probabilmente si capisce
i motivi della gestione di Sberla). Fatto sta che ci sono comportamenti tra i
due che vengono buttati là come se noi si dovesse capirli ed invece rimangono
oscuri (perché è importante una giacca lasciata su una sedia, o perché non
viene accettata una birra offerta).
L’unico
elemento un po’ vivo è la presenza di Ivo, che non risulta essere alla prima
apparizione, un poliziotto molto al limite, che però sembra l’unica cosa
veramente viva in tutto il testo, e che alla fine segna un avvicinamento tra
lui e Chas che potrebbe portare, nei futuri episodi, a sviluppi nuovi e, forse,
inaspettati. Mentre qui, l’unica cosa che si rimarca è la costante propensione
all’alcol di Chas, sempre più pesante, e, apparentemente, immotivata. Cui Ivo
si unisce, portando in dote anche qualche canna.
Mentre
la trama “noir” non decolla. Ci sono due manager di buon livello che vengono
messi alla berlina, nudi e con piccoli segni di tortura, di fronte alle loro
aziende. Quando si scopre che i due non solo avevano fatto il collegio insieme,
ma vivevano nella stessa camerata, insieme ad un terzo grande manager e ad un
“capro espiatorio”, si intuisce qualcosa. Alle indagini di Chas e Ivo si
aggiunge il fatto che il terzo manager è anche accusato di omicidio stradale
nei confronti di una giovane ciclista. Vogliamo anche dire che il malcapitato
in collegio aveva un solo amico a sostenerlo?
Insomma,
tanto contorno ma nessuna pietanza forte. Si scivola via, pagina dopo pagina,
senza essere presi dalla trama, vedendo tutto andare nelle caselle giuste.
Anche se non nella vita privata dei protagonisti. Poi Simone accelera in un
finale in cui si capisce chi muore, ma non perché né per mano di chi. Una
piccola delusione per la gestione di un “krimi” (termine tedesco per “giallo”)
che poteva potenzialmente arrivare a miglior fortuna.
Tra
l’altro, ci sono pagine corsivate di poca utilità per la comprensione globale,
visto che non si sa chi stia parlando in soggettiva. Ed ogni capitolo (spesso
breve) ha un titolo che fa parte della narrativa del punto della trama in cui
si è arrivati. Ma ad un certo punto, tra un indagine e l’altra, c’è il seguente
microcapitolo:
“ADESSO
il nostro sole / è uno sghembo bidone ammaccato / in cui arde un mobiletto
ritrovato.” Inutile e incomprensibile.
Per
rimanere in temi polizieschi o quasi, questa settimana vi dedico tre citazioni
del mio amatissimo scrittore islandese Arnaldur Indriðason. Perché
mi piace sempre leggerne e magari affinché sia un viatico per quasi vicini
viaggi (vicini all’autore non al tempo). Nel quarto episodio del commissario Erlendur
“La signora in verde” ci ammonisce: “Il tempo … non risana
alcuna ferita” (60).
Mentre nel sesto, “La voce”, il commissario
riflette sul rapporto con sé: “So cosa si prova a non sopportare più se
stessi … è una sensazione che non ci togliamo mai di dosso. Ce ne possiamo
liberare per un po’, ma poi quella torna sempre” (177), ma soprattutto sulle
motivazioni delle nostre inamovibilità caratteriali: “Quando uno prende una
posizione, poi non fa niente per cambiarla. Perché non vuole, credo. E il tempo
passa, gli anni passano, finché poi si dimentica la sensazione, il motivo che
aveva scatenato tutto quanto, e io ho dimenticato, di proposito o meno, le occasioni
che avrei avuto per rimediare a quanto era andato storto, e poi a un tratto è
stato troppo tardi” (237).
E come dicevo la volta scorsa, già si comincia ad organizzare il prossimo viaggio, e si continua a leggere il prossimo libro, e si fanno gli auguri a tutti (tanti?) amici e parenti che compiono gli anni in questo primo mese del ’24. Anche se fa freschino (non freddo, però) un abbraccio caldo vi travolgerà.
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