Da molto tempo non dedicavo una trama intera ai romanzi d’avventura, altra serie minore ma non di nicchia, con molti estimatori. Io lo sono per alcuni autori, di cui ho quasi le intere produzioni, ma non di tutti. Qui abbiamo due buoni risultati e tre discreti. Tra i buoni, per interesse e scrittura, indicherei la saga giapponese di Clavell e una delle ultime fatiche di Wilbur Smith. Tra le altre, un libro in spagnolo del finlandese Waltari, ma non sull’Egitto, uno sull’Egitto del francese Jacq ed uno dei nuovi episodi della serie della “Cussler factory” dedicata a Isaac Bell.
Mika Waltari “El Aventurero” Éxito s.p. (regalo di Alessandra)
[A: 01/10/2021 – I: 01/02/2022 – T: 13/02/2022] - &&
e ½
[tit. or.: Mikael Karvajalka; ling. or.: finlandese; pagine: 372;
anno 1948]
Un libro entrato in maniera alquanto strana nella mia biblioteca. Si era
in visita allo stupendo giardino botanico “La Concepcion” di Malaga. Mentre
aspettavo sorseggiando un caffè, Ale mi porta un regalo: la botanica aveva
messo dei libri incartati, da prendere insieme ad un fiore. Regalo nascosto, da
cui sbuca questo libro. Del grande scrittore finlandese Mika Waltari, una delle
sue grandi opere storiche. Ovviamente tradotto, ma, traduzione per traduzione,
si può leggerlo in qualsiasi lingua, dato che il finlandese ancora mi è
decisamente ostico.
Libro di avventure, come riporta il titolo in inglese (“The Adventurer”),
in italiano (“L’avventuriero”) o questo in spagnolo. Anche se il titolo
originale riporta solo il nome del protagonista (o un’indicazione come “Michael
der Finn” in tedesco), che tra l’altro, essendo ambientato nel 1500, usa spesso
un cognome significativo, essendo “Karvajalka” in finlandese “Piede Peloso”.
Seguiamo così, attraverso lo scritto, le vicende di Michele dal 1502 (quando
nasce) al 1527 (dove termina questo libro, per proseguire poi nel successivo “Mikael
Hakim”, che tuttavia non credo leggerò).
Anche l’edizione spagnola è ben datata del resto, visto che è l’edizione
del ’56, e se ne sente il peso, che la lingua non è particolarmente scorrevole
(d’altra parte, provate a leggere libri coevi italiani, e non sempre saranno di
facile lettura). Motivo per cui il testo mi ha impegnato più a lungo del
consueto, obbligandomi a riprendere la mia natura antica di leggere più libri
in parallelo, altrimenti mi avrebbe bloccato l’andatura.
Waltari è uno dei più popolari
scrittori finlandesi, e di sicuro il più venduto, soprattutto per il suo libro
più conosciuto, “Sinhoué l’egiziano”. Qui, invece dell’antico Egitto, ci porta
nel 1500, coprendo un arco di 25 anni circa, e terminando il testo in una data
eponima, quel 6 maggio 1527 che secondo Bertrand Russell ed altri studiosi, è
la data conclusiva del Rinascimento.
Mikael nasce a Turku (al tempo
chiamata Abo) nel 1502, e lo incontriamo quando, ancora bambino, la sua
famiglia viene sterminata e lui è accolto da Pirjo, una zitella in odore di
stregoneria. Mikael è dotato, studioso, tanto che dopo le scuole clericale locali,
riuscirà ad andare a studiare a Parigi. Prima però incontrerà l’amico di tutta
la vita, Antti Tykinvalaja, forte, leale, gran bevitore, più dedito alle
spedizioni militari che ai fini ragionamenti.
Ma prima di arrivare a Parigi,
molte saranno le peripezie del giovane Mikael, che parte dalla Finlandia nel
1517 e solo tre anni dopo arriverà in Francia. Partendo squattrinato, ricco
solo della raccomandazione del vescovo Arvid, si dà a mille mestieri: marinaio
per traghettarsi in Germania, orafo in terra tedesca, dove ha la sua prima
storia d’amore, spia a Lubecca per il re danese Cristiano II, contattato da tal
Didrik, con la cui sorella ha la prima storia di sesso (molto casto nella
descrizione, ovvio), in fuga con cavalli ed altri mezzi, attraverso Amburgo,
Colonia, e finalmente in terra di Francia. Qui si unisce ad un mercante d’arte,
ma viene sedotto dalla di lui moglie, per cui si vede costretto a fuggire.
Ripreso da Didrik, si unisce ai
soldati per la battaglia che porta alla conquista di Stoccolma da parte di
Cristiano II. Che, non rivelandosi clemente, uccide i nemici, attuali e
potenziali. Mikael è disgustato e fugge con Antti (ogni tanto si perdono poi si
ritrovano). Dopo varie ed alterne vicende, i due si vedono costretti a fuggire
dalla Finlandia, riparano nuovamente in Germania dove, a Memmingen, Mikael
rimane quasi ucciso. Sarà la giovane Barbara a salvarlo. Ma costei, pur
bruttina ma con la quale avrà una intensa storia d’amore, è vista in odore di
stregoneria. Tanto che finirà sul rogo, e Mikael giura che andrà a Roma ad
uccidere il papa.
Nel frattempo, incontra
Paracelso, da cui imparerà arti mediche. Discute con i religiosi tedeschi che
stanno vivendo la controriforma luterana, si unisce alle truppe di Carlo V
contro il re di Francia, fa una puntata a Madrid, ma poi deve tornare in Italia.
Dove, con i lanzichenecchi, partecipa nel maggio 1527, al sacco di Roma.
Waltari ben descrive questa parte, con tutto l’orrore della guerra, ma anche
della peste, degli stupri, e di tutta le barbarie conseguenti.
Mikael, pentito e disgustato,
decide di andare con Antti a Gerusalemme per espiare i suoi peccati. Così
finisce il libro avventuroso.
Due sono le cose che mi hanno
colpito: l’insistenza dello scrittore nei rapporti d’amore sfortunati del
protagonista e l’inserimento, nel corso della narrazione, di personaggi
storici. Mikael incontra Anna, Veronica, la sorella di Didrik, Geneviève, Barbara,
Lucrezia. E tutte o muoiono malamente, o lo tradiscono. Fosse un po’ misogino,
il nostro finlandese?
L’altra parte mi ha divertito,
nella scansione di persone, alcune ben note a tutti, altre note forse nei mondi
scandinavi. Cose, elencando alla rinfusa, ricordo: i militari, Carlo di Lannoy,
stratega di Carlo V, Georg von Frundsberg, comandante dei lanzichenecchi che
saccheggiano Roma; i religiosi rivoluzionari, Sebastian Lotzer, leader della
protesta contadina di Memmingen, Thomas Müntzer, leader del Cristianesimo
rivoluzionario tedesco; i religiosi studiosi, Arvid Kurck, l’ultimo vescovo
cattolico finlandese, Martin Lutero e Erasmo da Rotterdam; regnanti, sacri e
profani, Cristiano II, re di Danimarca (noto come Cristiano il Tiranno dopo i
massacri di Stoccolma), Carlo V d'Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero
Germanico, Francesco I re di Francia, il papa Clemente VII; artisti e letterati
come Tintoretto, Tiziano, Ludovico Ariosto. Nonché un personaggio che incise
molto nella crescita di Mikael, e nei suoi studi, il millantatore medico Philippus
Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, detto Paracelso.
Ultimo punto stimolante
nell’excursus storico avventuriero di Waltari, sono appunto i vari momenti
storici che si attraversano: la conquista danese di Stoccolma ed i massacri di
Cristiano II, la vita studentesca alla Sorbona di Parigi, la caccia alle streghe
da parte dell’Inquisizione, la riforma luterana, i disordini contadini che ne
seguirono, le guerre europee del XVI secolo, la lotta con l’Impero Ottomano, il
sacco di Roma.
Insomma, una lettura di medio
gradimento, che tuttavia è servita a rinverdire uno spagnolo un po’ troppo
arrugginito. Sul testo, forse è troppo datato per divertire come al tempo della
sua pubblicazione.
Clive Cussler & Justin Scott “Il contrabbandiere” TEA euro 9,90
[A: 25/01/2022 – I:
29/08/2022 – T: 31/08/2022] - && --
[tit. or.: The Bootlegger; ling. or.: inglese; pagine: 366; anno 2014]
ISAAC BELL07
Entrato da poco in libreria,
rispetto ad altri libri del maestro, ma solo perché non usciva l’economica.
Quindi si legge prima, e, purtroppo, non lascia una grande impressione.
Intanto, rimarcando che Cussler
ci ha lasciato da xx anni, continua il pendolo temporale delle avventure del
detective Isaac Bell e dell’agenzia Van Dorn (modellata, come ho già scritto,
sulle gesta della famosa Pinkerton). Così, mentre il sesto episodio si
concludeva nel 1912, qui facciamo un balzo in avanti verso il 1921. Ovvio che è
un salto pericoloso, visto che nove anni non sono pochi. E che anni! Prima
Guerra, Rivoluzione Russa, fermenti tedeschi e proibizionismo.
Notiamo di passaggio che, dopo sei
puntate, si è deciso di non intervenire sul titolo, lasciando il termine
“contrabbandiere” che ben caratterizza l’anima del libro. Che cerca sì di
muoversi su due linee, una politica ed una economica, ma la prima risulta un
mero pretesto, per concentrarsi presto sulla seconda. Altro dato, negativo
invece anche questa volta, è la sovrabbondanza, di nomi, di città, di persone.
Se uno volesse seguire anche brevemente le vicende narrate, potrebbe che so
fare un ripasso delle grandi e piccole città coinvolte: New York, Detroit,
Miami, Amburgo e Berlino si ricordano, poi Patchoque e Bayport (New York)
Hoboken e Asbury Park (New Jersey), Windsor (Connecticut), Ecorse (Michigan)
per sconfinare nelle Bahamas ed in Canada. Ed anche i personaggi sono troppi.
Tutti i sodali dell’agenzia Van Dorn, che entrano ed escono dalla storia.
Quindi, facciamo tagli secchi e concentriamoci su Van Dorn, Bell e le loro
signore, nonché l’emergente Pauline Grandzau. Per gli avversari avremmo modo di
parlarne.
Come detto, l’azione si sviluppa
nel 1921, ed è importante che ne dà una ben precisa connotazione. A gennaio del
’20, infatti, un emendamento costituzionale aveva vietato la vendita di
alcolici, dando inizio al periodo, che durerà sino al ’33, denominato
“proibizionismo”. Periodo che permise alla malavita organizzata di
radicalizzarsi sul territorio americano e di trarne profitti enormi. In
parallelo, finita la guerra, tutto il mondo ribolliva di fermenti nuovi. La
Rivoluzione russa aveva suscitato grandi speranze. Ed il partito comunista,
ancora sotto l’ala di Lenin e Trotskij, usando l’organizzazione di respiro
internazionale, figlia del Comintern, cercava di portare fermenti
rivoluzionari, spesso violenti, dove fosse possibile. Non entreremo qui sui
dibattiti politici, che sarebbero interessanti ma fuori luogo. Quello che è pur
vero è che, nei momenti di crisi, c’è spazio per le menti rapide, e capaci di
azioni anche ardite. Bisogna vedere quanto poi queste siano al fin di bene. Ma
questo è un altro discorso.
Qui, il cattivo di turna, è tal
Marat Zolner, alias Dmitri Smirnoff alias Principe André. Inviato dal Comintern
in America per fomentare una rivoluzione anticapitalista. Il nostro Marat
comincia abbastanza bene, collegandosi con il sindacalismo di sinistra (per chi
volesse saperne di più, invito a cercare l’IWW), con gli scioperi e con la
nascita del CPUSA. Ma le rivoluzioni hanno bisogni di fondi, e Lenin & co.
non è che avessero risorse infinite. Quindi Marat pensa bene di inserirsi nei
due filoni forti del periodo: entrare nel contrabbando ed investire sui mercati
azionari. Per il primo, fa in modo di avere molta immigrazione russa
clandestina al suo servizio, usandola come “esercito nascosto”. Per la seconda
sfrutta il suo fascino verso le donne, in modo da essere presentato nei salotti
buoni.
Tutto andrebbe a meraviglia se,
durante un assalto per “rubare” alcool e rivenderlo con profitto, la barca di
Marat incappa nella guardai costiera. Nel conflitto a fuoco che ne segue,
sfortunatamente, Marat ferisce Joe Van Dorn, il capo dell’Agenzia Investigativa
di cui seguiamo le tracce in questi libri. Ovvio che a Isaac Bell, il James
Bond dell’Agenzia, salta la mosca al naso e comincia una guerra senza quartiere
per stanare Marat ed i suoi complici.
Mentre Cussler sviluppa questo
filone, il suo scrittore in seconda, Justin Scott, infarcisce tutto il romanzo
di sparatorie, lotte, inseguimenti ed altre ricercatezze poco allettanti (per
me). Una parte notevole viene anche svolta dalla nuova entrata in agenzia, la
tedesca Pauline che tra la Germania e la Florida, riesce a trovare i punti
deboli di Marat.
Dopo pagine e pagine di
scazzafrulli intorno al contrabbando, c’è la solita lotta finale, con la solita
vittoria dei buoni. Ovvio che tutto l’interesse del libro è il modo di arrivare
a questa lotta, il modo di stanare i cattivi attraverso i meno buoni, ed altre
amenità.
La “Cussler factory” funziona,
anche se c’è qualche passaggio ardito e qualche dimenticanza. Mentre sulla
seconda sorvolerei, sulla prima farei soltanto menzione sull’improbabilità che
un idrovolante in avaria, durante un inizio di tempesta, riesca ad atterrare
sulla tolda di una nave, per giunta sotto mitragliate di fuoco nemico. Non ci
sono i soliti rimandi “culturali” che hanno fatto storie nel marchio Cussler.
Rimangono qualche spicciolo, come le giacche sciancrate che si usavano al tempo
(quelle strette in vita), i funzionamenti degli speakeasy (i locali dove
“parlando piano” si poteva ordinare alcool illegale), nonché (ma questo è un
pallino di molta produzione cussleriana) il funzionamento delle linee
ferroviarie private, dove, con i soldi, potevi comprarti un treno ed una tratta
di percorrenza.
Si capisce comunque che, a parte
qualche velleitarismo storicistico, è un romanzo di basso profilo, ben
realizzato, da leggere in una calda estate, sotto un ombrellone.
James Clavell “Shōgun”
Bompiani euro 15 (in realtà, scontato a 12,75 euro)
[A: 25/12/2019 – I: 10/11/2023
– T: 14/11/2023] - &&&
+
[tit. or.: Shōgun; ling. or.: inglese; pagine: 1094; anno 1975]
Avevo inserito questo libro tra
le possibili letture, spinto dalle mie libropeute con le loro citazioni, anche
se veniva inserito tra i “libri da leggere su di un’amaca”. Tuttavia, essendo
in compagnia di “Norwegian Wood” di Murakami e “Vedrò Singapore?” di Pietro
Chiara (due libri che mi hanno intrigato, anche se per motivi diversi), mi è
sembrato che potesse valere la pena di leggerlo, prima o poi. Anche perché,
come vedete in alto, non è che sia un vero e proprio tascabile (pur essendo
questa l’edizione economica), ma un tomo da oltre mille pagine.
Clavell, intanto, inglese nato in
Australia e naturalizzato americano è stato scrittore e sceneggiatore, quindi,
come ci si aspetta, dotato di una proprietà di linguaggio visivo che permette
ad un’opera storico-avventurosa-romantica di farsi leggere gradevolmente
mantenendo (abbastanza) una sua visibilità quasi filmica. Per quanto poi questo
venga considerato il primo capitolo (cronologico) dei suoi libri “asiatici”,
non credo che, pur nella mia onnivora volontà di lettura, proseguirò nei suoi
scritti. Questo mi è stato gradito, ma anche sufficiente.
Qui, intanto, abbiamo questo
grande pastiche che mescola vicende storiche reali a raccordi da fiction che
servono a collegare tra loro i momenti noti. In particolare, seguiamo due
vicende parallele che si intrecciano assai, creando quella dicotomia oriente –
occidente che era uno degli scopi dello scrittore.
Da un lato l’inglese John
Blackthorne (William Adams, metto tra parentesi il personaggio storico, anche
se su di lui e sul giapponese ritornerò), pilota di navi che naufraga sulle
coste del Giappone. Dall’altra Toranaga (Tokugawa Ieyasu) uno dei cinque
reggenti il Giappone al momento dell’arrivo di John e che seguiamo nella sua
lotta e nei suoi intrighi per diventare feudatario principe dell’imperatore, e
quindi proclamarsi Shōgun.
Parentesi. Il termine Shōgun è
un'abbreviazione di sei-i taishōgun, che significa letteralmente “grande
generale dell'esercito che sottomette i barbari”, e, pur essendo una carica
militare, divenne poi sinonimo di capo del governo, di fatto estromettendo dal
potere reale l’imperatore, che comunque c’era essendo di discendenza divina.
Gli “shogunati” ebbero inizio con Minamoto nel 1192 (con capitale Kamakura),
passando per gli Ashikaga (che portarono la capitale a Kyoto, fino al 1600) e
terminando con Tokugawa Yoshinobu che, nel 1868, restituì il potere
all’imperatore Meiji (intanto la capitale era stata spostata a Tokyo).
Ai due personaggi sopra citati si
intreccia la storia di una donna che serve a Clavell da collante tra i due
mondi, Toda Mariko (Hosokawa Tamako “Grazia”), una donna giapponese convertita
al cattolicesimo e che parlava portoghese e latino, quindi, tra l’altro,
utilizzata come interprete.
La storia, in breve, vede
l’arrivo di John con la sua nave naufragata sulle coste. John è protestante e
non potrà che entrare in conflitto con i gesuiti, allora unici occidentali sul
suolo giapponese. Il generale che lo accoglie, Yabu, sobillato dai preti, cerca
di ucciderlo, ma lui si salva, anche perché Toranaga pensa possa essere
utilizzato per le sue conoscenze militari. Per questo lo prende sotto la sua
protezione, chiedendo a Mariko di fare da interprete ed insegnargli il
giapponese. Contemporaneamente, John comincia ad incontrarsi e scontrarsi con
la cultura giapponese, ma, ovviamente, anche ad innamorarsi, senza futuro, di
Mariko.
Nella seconda parte del libro
(oltre pagina 500), entriamo più a fondo nelle lotte di potere all’interno dei
clan giapponesi. Lo scontro, all’inizio solo di tatticismi verbali, tra
Toranaga e Ishido (Ishida Mitsunari) è reso abbastanza bene da Clavell, con
tutta una serie di decisioni e contro decisioni molto in linea con lo spirito
nipponico. La chiave di volta del conflitto sarà proprio Mariko, che, confinata
illegalmente nel castello di Osaka, ne vuole uscire ma, impedita in vario modo
da Ishido, trova la maniera cruenta di farsi uccidere. Questo scatenerà tutta
una serie di conseguenze che portano i due contendenti allo scontro aperto, che
si concluderà con la Battaglia di Sekigahara (avvenuta realmente il 21 ottobre
1600), che vedrà la vittoria di Toranaga, il quale, rafforzando il proprio
potere negli anni successivi, il 24 marzo 1603 si farà nominare Shōgun
dall’imperatore Go-Yōzei.
Ovvio che questa è una sintesi
delle linee principali, non volendo entrare nei mille rivoli della trama,
interessanti alcuni, forzati altri. Certo, nella parte finale, un nuovo ruolo
assume John, che vede distrutta la sua nave, ma che, dopo aver nella prima
parte addestrato le truppe di Toranaga all’uso dei moschetti, userà il suo
tempo per costruire un nuovo vascello con cui attaccare, se servisse,
portoghesi ed altri cattolici. O sarebbe interessante seguire lo sviluppo degli
intrighi di Genjiko (Oeyo) per realizzare un quartiere dedito al piacere a Edo
(nome della residenza principale di Toranaga, prima che le venisse assegnato il
nome di Tokyo; in realtà, approfondendo, in giapponese Kyoto significa “città
capitale” e Tokyo “capitale orientale”).
Altri elementi toccati, sottesi,
a volte forse troppo accentuati potrebbero essere le lotte senza esclusione di
colpi tra cattolici e protestanti (cioè tra ispano-portoghesi ed
anglo-indiani). Ma anche quelli tra gesuiti e francescani. Più coinvolgente, per
i miei interessi, la contrapposizione tra le due culture. John viene forzato a
fare il bagno (cosa che in patria faceva una o due volte l’anno!) perché puzza,
e ne viene conquistato. Apprezzerà anche, ma con lentezza, a non vergognarsi
del proprio e dell’altrui corpo, ad entrare in sintonia con la lealtà estrema
della mentalità locale. All’importanza dell’essenza contrapposto all’apparenza.
È con uno sforzo mentale non
banale che si può “giacere” con una persona amandone un’altra ed in
quell’unione sublimare il vero rapporto. Un discorso complicato, ma molto
giapponese.
C’è anche un discreto sforzo
linguistico nella costruzione dell’autore, che lascia intere frase in
traslitterazione giapponese, traducendone alcune o alcune parti. Restituisce un
senso di estraneazione, simile a chi, realmente, si trova ad Osaka e cerca di
comunicare con i locali (esperienza mia personale, bella e faticosa).
Di converso, ci sono alcune
inesattezze (i tempi dell’introduzione delle armi da fuoco, alcune datazioni di
battaglie, un giapponese che nelle prime pagine parla portoghese e poi lo
dimentica) ed un po’ di confusione volendo mettere troppa carne al fuoco. Ed
anche, ad essere un po’ “rompini” a voler a forza inserire storie romantiche.
In parallelo, c’è un onesto tentativo di far comprendere la mentalità
giapponese anche considerando che cinquanta anni fa il mondo del Sol Levante
era di sicuro meno noto di adesso.
Come detto all’inizio poi, a
parte che volendo si può trovare in internet un ricco parallelo tra i
personaggi fittizi di Clavell e quelli reali, di certo è intrigante la storia
die due personaggi principali (e mezzo).
William Adams fu realmente il
primo inglese ad arrivare in Giappone, aiutò realmente il signore di Edo nelle
sue vittorie, e rimase lì, costruendo navi ed aprendo la via al commercio della
Compagnia delle Indie. Date le difficoltà linguistiche, venne chiamato Anjin
(“pilota”) e la sua residenza a Edo era chiamata Anjin-chō, in una zona che ora
è dentro Tokyo ed in suo onore è battezzata Chūō.
Tokugawa Ieyasu, come dice
Clavell, divenne il primo Shōgun del periodo Edo, fu di rara astuzia, e di
lunga preveggenza, decretando, pochi anni dopo la presa del potere, la chiusura
del Giappone a tutti gli stranieri, eccetto che nel porto di Nagasaki, utile
per i commerci. In ogni caso, è da visitare, a Nikko, il santuario dedicato
allo Shōgun.
Hosokawa Tamako era una donna di
alto lignaggio aristocratico, si convertì assumendo il nome di “Grazia”, e fu
il perno della vittoria di Ieyasu ad Osaka, dove, commettendo il sacrificio
rituale, costrinse Ishida a scoprire le sue carte, portando poi Ieyasu a
sconfiggerlo nella battaglia sopra citata.
In fondo, più che del libro in
sé, decente ma non esaltante, mi ha coinvolto il mondo che vi si rappresenta, e
le lotte di potere che cominciarono 450 anni fa e per una trentina di anni
attraversarono in lungo e in largo le isole nipponiche.
Wilbur Smith & Chris Wakling “Tempesta”
HarperCollins euro 16
[A: 18/04/2021 – I: 18/12/2023 – T: 20/12/2023]
- &&&
[tit. or.: Cloudburst; ling. or.: inglese;
pagine: 331; anno 2020]
(periodo: 2019) JackCourtney
01
Sono due anni e mezzo che non
metto mano ad un libro di Smith, fors’anche per rispettarne la memoria, visto
che ormai anche lui ci ha lasciato. Ho però alcuni libri dell’ultimo sequel del
grande avventuriero, dedicati all’ultima stagione dei Courtney, ed in
particolare rivolti ad un pubblico giovanile, essendo imperniati su Jack, il
più giovane della stirpe della grande famiglia.
Intanto, come spesso nell’ultimo
periodo delle sue scritture, Smith si fa “aiutare” da un giovane scrittore,
Chris Wakling, autore di alcuni libri di viaggio, alcuni romanzi e da sempre
ammiratore di Smith. Il tocco di Wakling si sente abbastanza pesantemente per
la parte descrittiva delle interazioni tra i giovani protagonisti e per la loro
descrizione ed approccio alla vicenda. Inoltre, è di sicuro frutto degli
interessi di viaggio di Chris prendere in mano le parti naturaliste, che
sicuramente Wilbur aveva immaginato, e trasporle con la dovuta cura.
La trama si sente frutto delle
idee del grande vecchio, in particolare per quei tocchi di “ambientalismo” che
da sempre punteggiano i suoi romanzi. Viene un po’ meno l’intreccio uomo-donna,
o meglio ragazzo-ragazza, che il libro è rivolto ad un pubblico indicato come
13+, anche se gli adolescenti ben sanno già tutto. Pur con qualche velata
freccia, che non scocca, il romanzo si mantiene nel solco del più puro
politically correct.
Cominciamo allora con
l’inquadrare i personaggi della vicenda. Il narratore e protagonista principale
è Jack Courtney, nato nel 2005 e quindi quattordicenne durante la storia. Aveva
un fratello, Mark, morto quattro anni prima in un incidente di cui Jack,
erroneamente, si sente colpevole. Poi abbiamo i genitori: la madre Janine
Ferdinand, di cui sappiamo poco, ed il padre, Nicholas Miguel de Santiago y
Machado Courtney, di cui invece sappiamo molto. È infatti figlio di Ramon De
Santiago y Machado, detto “Volpe d’oro”, un agente del KGB, che sposa
fraudolentemente Isabella Courtney, solo per rapire Nicholas ed usarlo come
arma di ricatto. Ricatto che non va a buon fine, e Ramon rimane ucciso nel
1977. Isabella si risposa con Jeffrey Smile con cui ha un figlio, Langdon. Il
quale sposa Alice Adams con cui ha Caleb, nel 2004.
In questo primo episodio vediamo
coinvolti Nicholas, Janine e Jack, oltre al fratellastro Langdon ed al cugino
Caleb. Ci sono poi due personaggi “esterni”, che però mi dicono nel sito di
Wilbur rimarranno nella serie: Amelia e Xander. La prima è nata insieme a Jack,
nello stesso ospedale, ed i due si frequentano da sempre. Xander è un nigeriano
che studia nello stesso collegio di Jack.
La vicenda, come vuole la
tradizione di Smith, ha un duplice aspetto: presentazione di terre e luoghi
poco noti al lettore ed una vena di ambientalismo e cura della terra. Quindi ci
trasportiamo nella Repubblica Democratica del Congo (ex-Congo Belga) uno dei
territori più ricchi in risorse estrattive (diamanti, rame, uranio, tantalio)
ed uno dei più poveri in assoluto (si colloca al 184° posto dei 193 paesi
censiti dal Fondo Monetario Internazionale. Questo dovuto alle ruberie
endemiche del monarca Mobutu che vi regnò sino al 1997, ed allo sfruttamento
delle sue risorse, prima e dopo, da parte delle multinazionali straniere.
La vicenda vede la famiglia
Courtney recarsi a Kinshasa per partecipare ad una conferenza che deve
deliberare sulla limitazione dello sfruttamento della foresta pluviale
congolese da parte delle industrie estrattive. Ovvio che Janine è la paladina
della crociata anti-sfruttamento. Alla conferenza partecipano anche le
industrie, e tra queste c’è Langdon, il fratellastro, proprietario di diverse
miniere sul territorio, e fortemente ostile al progetto di Janine.
Fatto sta che mentre i ragazzi
(Jack, Amelia, Xander e Caleb) partecipano ad uno sfortunato safari per
fotografare i gorilla, Janine e Nicholas vengono rapiti affinché non portino i
loro dossier alla Conferenza. Da qui parte l’avventura dei ragazzi che, soli
contro tutti, o con pochi aiuti, cercano di ritrovare le tracce dei rapiti, in
questo ostacolati, più o meno scopertamente, da Langdon. Ben descritte nelle
parti naturalistiche, le varie vicende che si alternano non lasciano gran che
alla suspense, forse anche per il pubblico primario cui si rivolge.
Certo, vediamo Jack esibirsi in
due o tre episodi positivi e a volte divertenti, vediamo Amelia, la banca dati
del gruppo, fornire dati ed informazioni utili, vediamo Xander sfruttare le
risorse paterne per aiutare il trio, vediamo Caleb prima antipatico, poi sempre
più coinvolto nella lotta ai cattivi (forse anche per un suo interessamento ad
Amelia). La soluzione da una parte è scontata, che Langdon non può non essere
dalla parte sbagliata. Ma il finale riserva qualche sorpresa non scontata e che
rende interessante il finale stesso.
Anche se Janine non farà in tempo
con i suoi dossier, un memorandum fotografico di Jack permetterà in extremis di
ottenere il voto sperato. Con un epilogo che non può che fare da apripista al
secondo episodio.
Insomma, scrittura giovanile
gradevole, alcuni tratti ben disegnati (Jack e Amelia in particolare) ed una
lettura che scorrevole piacevolmente.
Un solo appunto “semantico”. Ad
un certo punto, di una agenzia da coinvolgere in un certo affare, viene detto
che su di lei è stata fatta una “dovuta diligenza”, maldestra traduzione di una
attività di selezione dei dati detta “due diligence”, che serve all’analisi
delle informazioni relative ad un dato soggetto. È uno strumento molto
utilizzato nelle grandi aziende, e viene sempre riportato in inglese. La
traduzione italiana, pur corretta, porta un po’ fuori strada l’attenzione del
lettore.
Infine, la solita domanda sul
titolo, che in inglese sarebbe nubifragio piuttosto che tempesta. Ma tant’è.
Christian Jacq “La regina d’oro” tre60 s.p. (Prestito di Alessandra)
[A: 25/12/2023 – I:
20/02/2024 – T: 22/02/2024] - &&
[tit. or.: La
femme d’or. La vie miraculeuse de la reine-Pharaon Hatchepsout; ling. or.: francese; pagine: 311; anno 2021]
In
gioventù, al ritorno dai miei primi viaggi francesi, mi innamorai della
scrittura egizia di Jacq, per cui comprai, lessi ed apprezzai la sua pentalogia
su Ramses. Poi ritornai sulla sua scrittura quindici anni fa, con un altro
libro egittologo, anche se ambientato nell’Ottocento londinese. Erano comunque
tutte letture in originale. Prendendo invece spunto dal grande viaggio
celebrativo del Capodanno 2023, ho regalato ad Alessandra questo libro
sull’importante figura della regina faraone Hatshepsut, che ora leggo anch’io,
per la prima volta tradotto.
Anche
ben tradotto, rimane un testo agevole, che si fa leggere senza troppi intoppi,
anche se, per le conoscenze egizie di Jacq, a volte sorvola su passaggi che ad
un neofita risultano oscuri. È vero che l’Antico Egitto era un mondo complesso,
dove realtà e culto degli dèi (un numero enorme) si intrecciano e si mescolano.
Talvolta anche gli stessi dei prendono nomi diversi per funzioni diverse, si
incarnano in animali e sembrano intervenire di persona nella vita quotidiana.
Un mondo che a noi risulta alquanto lontano, così che, per seguire il testo ed
i suoi messaggi, sono rimasto fedele alla lettura delle parti storiche e
sociali.
Essendo
un libro di fanta-biografia, molta parte è pur sempre legata alla realtà della
vita di Hatshepsut, ma un grosso filone è utilizzato dallo scrittore per tener
viva l’attenzione del lettore, imbastendo un filo rosso di intrighi tendenti
all’uccisione della regina, e legati ad alcuni personaggi fittizi. Questo
consente di avere un filo conduttore, dall’inizio dei primi tradimenti fino
alla sconfitta dei cattivi ed alla vittoria della regina. Il tutto condensato
nei primi nove anni di regno, anche se poi lei visse fino a cinquant’anni
raggiungendo, unica tra le regine d’Egitto, ben ventidue anni di regno.
Una
parte fiction che si lega in modo naturale al momento storico dell’inizio della
XVIII dinastia egizia. Che da non molti anni erano stati sconfitti gli invasori
Hyksos, e quindi quanto di meglio imbastire una trama di tradimenti ed inganni
da parte dei discendenti degli invasori uniti a personalità che non digerivano
la presenza sul trono di una donna, magari contrapposto ad un uomo, anche se,
all’epoca, ancora bambino.
Questa
è la parte che serve a tenere il lettore vicino alla pagina, mentre in
parallelo, e più interessante dal punto di vista della ricostruzione
storico-ambientale, viene la parte legata agli avvenimenti “reali” ed ai
personaggi che vengono poi segnalati sia sulla mitica tomba della regina, che
visitai trentacinque anni fa in quella che, appunto, si chiama Valle delle
Regine (in arabo Deir el-Bahari, ora chiusa al pubblico dopo gli attentati del
1997) sia nell’unica cronaca arrivataci, pur frammentaria, quella dello storico
Manetone.
Vediamo
così Hatshepsut più o meno quindicenne aspirare al trono del padre Thutmose I,
essendo figlia del Faraone e della sposa Reale. Ma essendo donna, gli viene
preferito il fratellastro Thutmose II, figlio del Faraone e di una sposa
secondaria (pratica molto in voga al tempo avere più mogli). Quando però
Thutmose II deve scegliersi una sposa Reale, avendo la sua concubina rifiutato,
sposa Hatshepsut. Ma il Faraone è cagionevole e muore presto, così che a
venticinque anni la nostra può aspirare al titolo, ma il Gran Consiglio le
preferisce il figlio maschio della concubina, che tuttavia, avendo solo quattro
anni, viene associato al Regno, lui Faraone e lei Regina.
Intanto
lei si era costruita un entourage forte, associandosi al potere l’amico
d’infanzia Senenmut, architetto, astronomo e poi gran consigliere, e scegliendo
Hapuseneb come Primo Sacerdote, carica che equivale ad un Capo di Stato di quel
tempo. Loro tre introducono una rivoluzione sociale, imbastendo una sequenza di
avvenimenti che portano Hatshepsut ad essere dichiarata figlia di Amon, e
quindi incoronata Faraone a trent’anni. Inciso: nella sua tomba c’è tutta la
storia di questa costruzione inventata, molto interessante.
Ma
sappiamo anche che, seppur il suo regno fu di soli venti anni (morì quindi a
cinquanta), in questi nove anni che ci narra Jacq instaurò una grande pace
sociale, affrontò e superò una crisi derivante da una inondazione del Nilo,
nonché riuscì a importare l’incenso dal Corno d’Africa, che da allora orna e
profuma tutto l’Egitto.
Nel
frattempo, aveva generato una figlia, Neferura, che morirà a venticinque anni,
essendo ancora viva la madre, ma che darà inizio alla scalata al potere del
cosiddetto Faraone legittimo, Thutmose III.
La
scrittura e le descrizioni di Jacq sono efficaci, anche se, come detto, poco si
addentrano sui sistemi di potere vigenti all’epoca, pur restituendoci una non
facile pittura degli usi e dei costumi degli antichi egizi.
Un’ultima
notizia: la tomba di Hatshepsut fu scoperta da Howard Carter nel 1916, sei anni
prima che il “tombarolo” americano scoprisse quella di Tutankhamon, che lo
renderà immortale nell’universo degli archeologi.
Visto
che abbiamo trattato avventure, vi girerei alcune frasi dell’epopea romana di
Giulio Valerio Maggiorano narrata da Giulio
Castelli nel suo “Imperator”:
“Thea
aveva la facoltà di scovare un’altra persona in me.” (146)
“Con
un gioco di parole potrei dire che era un profondo conoscitore delle cose
superficiali e un superficiale conoscitore di quelle profonde” (192)
“La
verità è che tu mi ami e non mi ami… Forse sei un po’ geloso. Ma non bruci di
passione. ... Non ami le persone. Ami le
idee, non gli esseri umani.” (196)
“Avevo
cominciato a pensare che la decadenza è una lenta spirale. Dapprima gli uomini
non la avvertono. Poi il movimento si fa sempre più rapido fino a divenire
inarrestabile. A quel punto tutti ne diventano consapevoli ma ormai è troppo
tardi.” (346)
Si avvicina la fine del mese bisestile, nonché un compleanno gradito di un “anziano” amico, per non scordarsi che manca poco ad imbarcarsi. Quindi, poche parole e molti abbracci.